29 novembre 2022

IL MEDICO DISPERSO NELLA NEVE

Sono trascorsi ottant'anni.

Il 30 novembre 1942 un soldato valvese risulta disperso in Russia: è Prospero Annunciata, tenente medico, di 39 anni.

Prospero, figlio di Pasquale e di Maria Consiglia Mollica, nasce a Valva l'8 aprile 1903.

Eccolo in una bella foto pubblicata da Gozlinus:

Prospero Annunciata in una foto pubblicata da Gozlinus

Dal suo foglio matricolare apprendiamo che nel marzo 1923 aveva ottenuto un congedo provvisorio con l'obbligo di ripresentarsi alle armi nel giugno dello stesso anno, perché munito della dichiarazione di idoneità nella istruzione premilitare; nel settembre 1924 risulta in congedo illimitato, con dichiarazione di "aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore".

Verosimilmente Prospero si laurea in medicina dopo il servizio militare; esercita la professione di medico all'ospedale di Castellammare di Stabia.

Siamo in attesa di ulteriori documenti dall'Archivio di Stato per ricostuire il periodo che va dal 1924 alla partenza per il fronte.

Prospero alla guerra in Russia

Durante la Seconda guerra mondiale, il tenente Annunciata  presta servizio nell'ospedale da campo 825 della 9.a Divisione di fanteria Pasubio, sul fronte russo; l'ospedale, come tutti i punti sanitari, è stanziato nelle  retrovie della Divisone, a Radtschenskoje.  

La località evidenziata è Radtschenskoje
Le vicende della Pasubio nel 1942

La Divisione Pasubio, destinata al fronte russo, all'inizio del luglio 1941 parte da Verona e raggiunge -prima tra le unità italiane- la zona di operazioni a Jampol, sul fiume Dnjestr, il 6 agosto.

Nel gennaio 1942, la divisione prende parte alle operazioni di contenimento del nemico nella zona di Izyum; nello stesso periodo, i rimanenti reparti della divisione subiscono un violento attacco nella zona di Nowaja Orlowka, ma il nemico viene respinto.

Nel mese di luglio avanza verso est e si sposta sul fiume Don, dove si attesta nella zona di Jejskoi. Il 20 agosto i russi danno inizio alla prima grande offensiva sul Don e attaccano le posizioni sul fianco destro della divisione. La pressione sovietica si esaurisce in pochi giorni. 

Dubrava - Getreide: le vecchie scuole nel 1942 sede di comandi reggimentali e dell'infermeria; fonte

Il destino di Prospero: prigioniero o disperso?

Renza Martini, esperta della spedizione italiana in Russia, scrive sulla pagina del gruppo Facebook "Dispersi" in Russia:

La data di scomparsa di Prospero ci fa pensare che sia rimasto colpito in un periodo di relativa calma, infatti la controffensiva russa sarebbe scattata verso la metà di dicembre 1942. Possiamo pensare che sia rimasto colpito in un attacco locale o anche che si sia spostato dall'ospedale dove prestava servizio e rimasto sotto un bombardamento. In quanto definito disperso, nessuno ha potuto recuperare il suo corpo. Probabilmente ha avuto una sepoltura in una fossa comune, o forse ci ha pensato la natura a dare sepoltura ai suoi resti.

A Valva si è tramandata un'altra versione: come riporta il già citato 👉 post di Gozlinus, il farmacista don Goffredo Merolla fece sapere a Michele Annunciata che suo fratello Prospero era stato fatto prigioniero e aveva subito il congelamento dei piedi; la notizia era giunta tramite la radio.

Renza Martini sostiene che in quel periodo alla radio le notizie non erano molto attendibili, anche per la volontà del regime. Fino agli anni Novanta, praticamente tutti i soldati non rientrati in Italia risultavano "dispersi"; solo con l'arrivo degli elenchi dalla Russia si è chiarita la posizione dei vari soldati e si è scoperto che tanti "dispersi" erano stati sepolti in campi di prigionia; di conseguenza, le schede sono state uniformate e ora sono consultabili nel sito curato dall'Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia:  https://www.unirr.it/ricerche/ricerca-nell-elenco-dei-caduti 

In questo schedario, Prospero Annunciata risulta "disperso":

"Riposano in un ambiente di rara bellezza"

Il sito dell'U.N.I.R.R. riporta una bella testimonianza di Ezio Fiori, che nel 2004 ha visitato i luoghi della Divisione Pasubio. Riportiamo queste significative parole:

In lontananza si scorgevano le colline sulle cui cime i soldati della 9Divisione Pasubio avevano costruito i loro capisaldi. Direi che il panorama del Cappello Frigio [ansa del fiume Don, così chiamata dai nostri fanti] a fine giugno si presentava come un piccola Umbria. I nostri caduti là sepolti, benché lontani dal suolo natio, riposano in un ambiente di rara bellezza.

Panorama sul "Cappello frigio" è sullo sfondo; fonte


🔍Approfondimenti

Le citazioni nel testo sono tratte da:

https://www.unirr.it/viaggi/657-ezio-fiori-viaggio-sui-luoghi-della-pasubio?jjj=1669585359788


Per la ricostruzione storica:

- Renza Martini,  Non sarete dimenticati-Memorie dell'ARMIR dal fronte russo, Tra le righe libri, 2021 


👉Altre storie di soldati in Russia


🙏Ringraziamenti

A Veronica Cuozzo, pronipote del fratello del tenente Annunciata, per la gentile collaborazione e per i documenti forniti.

A Renza Martini, per la consulenza storica, per aver ospitato e commentato sulla pagina del suo gruppo le storie dei due soldati valvesi sul fronte sovietico e per tutto quello che fa per custodire la memoria dei soldati caduti e dispersi in Russia. 


G.V.


25 novembre 2022

AVETE DISTRUTTO L'UOMO


Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato  agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice. [...] anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo.

Primo Levi, Se questo è un uomo  

Nel campo di Buchenwald, i prigionieri credevano che questa fosse la quercia di Goethe

La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato. Sono loro, i Muselmanner [i deboli], i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica,
dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina,
già troppo vuoti per soffrire veramente.

Una quercia preservata dagli stessi nazisti che pure avevano abbattuto il bosco per creare il campo. Nel 1944 l'albero viene distrutto durante un bombardamento.

Immaginare il grande poeta tedesco sostare sotto questa quercia era per i prigionieri un modo per evadere dalla terribile realtà quotidiana.

Sullo sfondo della foto, l'inconfondibile sagoma della ciminiera di un forno crematorio.

Ecco altre foto del campo di Buchenwald; le parole delle didascalie sono tratte da Se questo è un uomo, di Primo Levi:

Ricostruzione del patibolo e di uno strumento di lavoro.
Mi ha raccontato la sua storia, e oggi l'ho dimenticata, ma certo era una storia dolorosa, crudele e commovente; ché tali sono le nostre storie, centinaia di migliaia di storie,
tutte diverse e tutte piene di una tragica sorprendente necessità.
Ce le raccontiamo a vicenda a sera, e sono avvenute in Norvegia, in Italia, in Algeria, in Ucraina, e sono semplici e incomprensibili come le storie della Bibbia.
Ma non sono anch'esse storie di una nuova Bibbia?

Intorno, tutto ci è nemico. Sopra di noi, si rincorrono le nuvole maligne, per separarci dal sole;
da ogni parte ci stringe lo squallore del ferro in travaglio.
I suoi confini non li abbiamo mai visti, ma sentiamo, tutto intorno,
la presenza cattiva del filo spinato che ci segrega dal mondo. 


Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero.
La Shoah ha caratteristiche peculiari nelle modalità e nelle dimensioni della tragedia: questo post non vuole individuare analogie ad ogni costo con gli Internati Militari Italiani ma invitare a rivolgere il pensiero e la pietà al dolore di coloro che sono stati prigionieri: le parole di Levi sono un modo per rendere loro omaggio e uno stimolo alla nostra riflessione.
I motivi [suonati dalla banda musicale] sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomoni per ucciderci poi lentamente.


G.V.


19 novembre 2022

LA MAMMA DI CARMINE

A Valva, nell'antica cappella della Madonna degli Angeli, c'è una targa in marmo che ricorda che nel 1971 la signora Cuozzo Caterina ha contribuito al restauro dell'edificio sacro "in memoria del caro figlio Carmine".


Suo figlio Carmine Corrado era morto a ventitré anni il 31 dicembre 1943, in un ospedale austriaco della Carinzia, per una tubercolosi miliare.
Si trovava lì perché era stato fatto prigioniero dai tedeschi sul fronte greco, in seguito agli eventi dell'8 settembre 1943. 
Dopo la Seconda guerra mondiale, molte salme di soldati morti in Austria sono state traslate e riunite nel cimitero di Mauthausen; tra queste, anche quella di Carmine, che riposa nel settore del cimitero dedicato a militari e civili internati dopo l'8 settembre 1943 nei campi di concentramento nazisti.
In uno dei primi post del nostro blog, dal titolo👉 Carmine, che riposa a Mauthausen, abbiamo pubblicato l'atto di morte del giovane prigioniero, già dichiarato "internato militare italiano"; eccolo:
Il documento proviene dall'Archivio Arolsen; un grazie a Maurizio Corona che lo ha ottenuto contattando l'archivio
Nell'atto di nascita di Carmine leggiamo che era nato in via "Madonna degli Angioli", secondo la grafia dell'epoca.
Il papà di Carmine era un contadino che aveva imparato a fare la sua firma; l'atto di nascita era stato sottoscritto da due testimoni:
una guardia campestre e un giovane telegrafista.
Per approfondire, è possibile consultare il post 👉 Un bozzetto di vita valvese.

A Valva molti ricordano "zia Caterina", con il tradizionale vestito da pacchiana, nella sua abitazione non lontano dalla cappella della Madonna degli Angeli.
Ecco una bella foto dell'affresco cinquecentesco riemerso nella chiesetta dopo i lavori di restauro in seguito al sisma del 1980:
fonte
Un'immagine di grande tenerezza materna: una giovane mamma che allatta il suo bambino.
All'ingresso della cappella, poche e semplici parole ricordano il gesto di una mamma non più giovane in memoria di un figlio che non è tornato dalla guerra.
























G.V.

P.s. Un sentito ringraziamento al signor Giovanni Perna, che mi ha fatto notare la presenza della piccola epigrafe nella cappella e mi ha ricordato, con la sua bonaria ironia, che occorre sempre guardarsi intorno quando si entra in un luogo. Credo se ne possa trarre una piccola ma utile lezione di vita.

07 novembre 2022

I RACCONTI DELL'ULTIMO COMBATTENTE

L'ultimo valvese che ha combattuto la Seconda guerra mondiale è sulla soglia dei cento anni e ha ancora voglia di raccontare.

Nato il 24 febbraio 1923, Giuseppe Feniello è stato prigioniero in Africa per oltre tre anni ed è tornato in Italia solo nel settembre 1946.

Ha compiuto venti anni quattro giorni prima di giungere sul fronte di guerra, quando è tornato a casa non ha trovato più il Re: mentre lui era prigioniero, l'Italia aveva scelto la Repubblica nel referendum istituzionale del 1946.

Grazie alla preziosa collaborazione della nipote Gerardina Rocco, abbiamo raccolto la sua testimonianza, nell'intervista che ci onoriamo di pubblicare.


Giuseppe Feniello in mezzo ai militari del Reggimento logistico "Garibaldi" di Persano
durante la cerimonia del 4 novembre (2022)

Valva, 6 novembre 2022, una domenica a pranzo 

Nonno, cosa facevi durante il servizio militare?

A Santa Maria Capua Vetere (Caserta) mi arruolarono come marconista ma poco dopo mi trasferirono al genio artiere, non avendo titoli di studio. Lì ero in attesa di ordini. Poi venni spedito in Africa, con l'aereo, che venne anche bombardato dagli alleati e quindi fummo costretti a un atterraggio di emergenza, e sotto di noi c'erano le bombe tedesche, che nonostante stessimo atterrando non scoppiarono! 

Come si legge nel suo foglio matricolare, Giuseppe Feniello si è imbarcato a Castelvetrano (Sicilia)
ed è giunto in Africa Settentrionale "via aerea" il 28 febbraio 1943,
due giorni dopo aver compiuto venti anni

Arrivato in Africa cosa facevi? 
La guerra l'ho vista poco perché il 6 aprile venni fatto prigioniero degli inglesi. 

Ricordi come sei diventato prigioniero? 
Fummo circondati dagli inglesi mentre marciavamo e ci trovammo di fronte un carrarmato, per questo il plotone dovette cedere. Consegnammo le armi e ci portarono nel campo di prigionia. Da prigionieri avevamo avuto anche l'ordine di chiudere l'otturatore, prenderlo e buttarlo via per evitare di consegnarlo al nemico.

Non possiamo stabilirlo con certezza, ma la data del 6 aprile 1943 ci fa ipotizzare che Giuseppe Feniello abbia preso parte a quella che è stata definita "la Stalingrado africana", una battaglia che il generale inglese Montgomery definirà nelle sue memorie "la più violenta e selvaggia dopo El Alamein". 
Ecco un 👉 approfondimento sul sito del Ministero della Difesa.

In quali posti sei stato?
Tunisi, Tripoli, Alessandria d'Egitto. Ci avrebbero portati anche a Gerusalemme e a fare una visita in Terra Santa ma 24 ore prima fui liberato.

Ricordi il nome di qualche campo? 
No, però ricordo di essere stato per un periodo nella Gabbia 1.

Com'era la vita da prigioniero? Lavoravi?
Non era tanto male. Alla mattina c'era la conta, poi facevamo ogni tanto alcuni lavori.
Un episodio che ricordo fu quando venni portato, insieme ad altri prigionieri, in un baraccone a saldare ferro e alluminio e veniva in continuazione un soldato inglese ad insultarci facendo smorfie [qui fa il verso "gnaa gnaa", ndr] e io persi la pazienza e, avendo in mano un martello, gli diedi tre martellate e per questo fui punito a mangiare per cinquantuno giorni pane e acqua e a spaccare legna in cucina. In Africa poi l'inverno non esisteva, faceva sempre caldo. 

Ricordi il nome di qualche commilitone? Anche tedesco?
No, non ricordo e poi italiani e tedeschi erano separati nei campi.

Un episodio che ti è rimasto impresso? Una persona?
Ricordo che da prigioniero veniva a girarmi intorno un carrarmato e io gli urlavo contro: "Spostati da qua" "Vai via".
Poi un'altra volta che tornammo alla Gabbia 1, digiuni da due, tre giorni e affamati, un colonnello fece buttare via la razione di pasta che era per noi.
Perché a ognuno era riservata al giorno una patata bollita e un morso di pane, e ogni tanto ci davano un cucchiaio do farina, che accumulavo insieme agli altri (eravamo in sei o sette) per poi fare i cavatelli.
I soldati inglesi non erano così male con noi, infatti c'era un maresciallo scozzese che simpatizzava per il fascismo e, sapendo che io ero fascista, aveva una certa simpatia per me; infatti quando terminarono i cinquantuno giorni di punizione mi portò con lui in cucina e comandò di darmi quello che volevo.
Molte volte poi stavamo digiuni, non sempre c'era da mangiare, anche le bucce di fave le facevano con lo spezzatino.
Sono stato ricoverato anche in un ospedaletto da campo per un problema all'intestino e nel padiglione dove stavo eravamo un fila e si moriva (moriva uno sì e uno no) e io pensavo che sarebbe dovuto arrivare anche il mio turno stando lì.
Quando poi ci mandavano a un'altra destinazione, in Egitto, venivano intorno a noi dei bambini che ci deridevano dicendo: "Italiani grrh" [qui fa il gesto di una mano al collo, ndr] e io appena ebbi l'occasione presi per i capelli un bambino di quelli e lo scaraventai lontano.
Avete saputo della fine della guerra? Perché ti hanno tenuto prigioniero ancora?
Certo che sapevamo che la guerra era finita ma noi non c'entravamo più con la guerra: eravamo prigionieri e lo siamo stati fino al 9 agosto 1946. La nostra condizione non è cambiata. La guerra era finita ma i comandi no!
Riuscivi a scrivere ai familiari? Le risposte arrivavano?
Potevamo scrivere una sola lettere ogni mese, a volte passavano due mesi. Noi le consegnavamo al comando e poi arrivavano dopo diversi mesi a destinazione. Le risposte arrivano anche dopo diciotto mesi. Una lettera che mi aveva scritto Margherita, la mia fidanzata, arrivò dopo mesi e mesi.

Una volta liberato dove sei andato?

Sono stato liberato e portato a Porto Said il 9 agosto 1946, dove ci siamo imbarcati sulla nave che ci ha portato a Napoli.
In Italia sono arrivato il 7 settembre e a casa, a Valva, il 20. Sono arrivato con il treno fino a Contursi e Angelino (dei C'nes) che mi aveva visto ha avvisato la mia famiglia del mio arrivo e sono venuti incontro i miei fratelli Michele e Vitantonio.                                

È stato un momento commovente.  Anche quando sono rientrato a casa, io che ero un gran bevitore, figlio di un altro grande bevitore, mio padre mi ha detto: "Se sei ancora il mio Peppino finisci questo fiasco di vino". Io l'ho bevuto anche se mi ha dato alla testa.

Vino in Africa non ne bevevi?
Ogni tanto riuscivamo a comprarlo con quello che ci davano, poche monete.

Valva, Giuseppe Feniello -aiutato dal nipote omonimo e dal sindaco Giuseppe Vuocolo-
partecipa alla cerimonia del 4 novembre

Lo scorso 4 novembre, Giuseppe Feniello -il nonno di Valva- ha partecipato alla manifestazione al monumento ai caduti. 
Ha voluto fare un omaggio alla statua del milite ignoto e poi ha seguito la cerimonia in mezzo ai militari.
L'applauso che gli hanno tributato i bambini e i ragazzi delle scuole di Valva, presenti alla cerimonia, sono il finale più bello per questo post.

 Si ringrazia la signora Marinella Cozza per la gentile collaborazione

Approfondimenti
Per la ricostruzione del contesto storico, si suggerisce questa puntata di Passato e presente.
Molto ricca la voce di Wikipedia dedicata alla Campagna del Nord Africa.

Blog Questi i post più dedicati alle vicende dei soldati valvesi in Africa:




G.V.