07 novembre 2022

I RACCONTI DELL'ULTIMO COMBATTENTE

L'ultimo valvese che ha combattuto la Seconda guerra mondiale è sulla soglia dei cento anni e ha ancora voglia di raccontare.

Nato il 24 febbraio 1923, Giuseppe Feniello è stato prigioniero in Africa per oltre tre anni ed è tornato in Italia solo nel settembre 1946.

Ha compiuto venti anni quattro giorni prima di giungere sul fronte di guerra, quando è tornato a casa non ha trovato più il Re: mentre lui era prigioniero, l'Italia aveva scelto la Repubblica nel referendum istituzionale del 1946.

Grazie alla preziosa collaborazione della nipote Gerardina Rocco, abbiamo raccolto la sua testimonianza, nell'intervista che ci onoriamo di pubblicare.


Giuseppe Feniello in mezzo ai militari del Reggimento logistico "Garibaldi" di Persano
durante la cerimonia del 4 novembre (2022)

Valva, 6 novembre 2022, una domenica a pranzo 

Nonno, cosa facevi durante il servizio militare?

A Santa Maria Capua Vetere (Caserta) mi arruolarono come marconista ma poco dopo mi trasferirono al genio artiere, non avendo titoli di studio. Lì ero in attesa di ordini. Poi venni spedito in Africa, con l'aereo, che venne anche bombardato dagli alleati e quindi fummo costretti a un atterraggio di emergenza, e sotto di noi c'erano le bombe tedesche, che nonostante stessimo atterrando non scoppiarono! 

Come si legge nel suo foglio matricolare, Giuseppe Feniello si è imbarcato a Castelvetrano (Sicilia)
ed è giunto in Africa Settentrionale "via aerea" il 28 febbraio 1943,
due giorni dopo aver compiuto venti anni

Arrivato in Africa cosa facevi? 
La guerra l'ho vista poco perché il 6 aprile venni fatto prigioniero degli inglesi. 

Ricordi come sei diventato prigioniero? 
Fummo circondati dagli inglesi mentre marciavamo e ci trovammo di fronte un carrarmato, per questo il plotone dovette cedere. Consegnammo le armi e ci portarono nel campo di prigionia. Da prigionieri avevamo avuto anche l'ordine di chiudere l'otturatore, prenderlo e buttarlo via per evitare di consegnarlo al nemico.

Non possiamo stabilirlo con certezza, ma la data del 6 aprile 1943 ci fa ipotizzare che Giuseppe Feniello abbia preso parte a quella che è stata definita "la Stalingrado africana", una battaglia che il generale inglese Montgomery definirà nelle sue memorie "la più violenta e selvaggia dopo El Alamein". 
Ecco un 👉 approfondimento sul sito del Ministero della Difesa.

In quali posti sei stato?
Tunisi, Tripoli, Alessandria d'Egitto. Ci avrebbero portati anche a Gerusalemme e a fare una visita in Terra Santa ma 24 ore prima fui liberato.

Ricordi il nome di qualche campo? 
No, però ricordo di essere stato per un periodo nella Gabbia 1.

Com'era la vita da prigioniero? Lavoravi?
Non era tanto male. Alla mattina c'era la conta, poi facevamo ogni tanto alcuni lavori.
Un episodio che ricordo fu quando venni portato, insieme ad altri prigionieri, in un baraccone a saldare ferro e alluminio e veniva in continuazione un soldato inglese ad insultarci facendo smorfie [qui fa il verso "gnaa gnaa", ndr] e io persi la pazienza e, avendo in mano un martello, gli diedi tre martellate e per questo fui punito a mangiare per cinquantuno giorni pane e acqua e a spaccare legna in cucina. In Africa poi l'inverno non esisteva, faceva sempre caldo. 

Ricordi il nome di qualche commilitone? Anche tedesco?
No, non ricordo e poi italiani e tedeschi erano separati nei campi.

Un episodio che ti è rimasto impresso? Una persona?
Ricordo che da prigioniero veniva a girarmi intorno un carrarmato e io gli urlavo contro: "Spostati da qua" "Vai via".
Poi un'altra volta che tornammo alla Gabbia 1, digiuni da due, tre giorni e affamati, un colonnello fece buttare via la razione di pasta che era per noi.
Perché a ognuno era riservata al giorno una patata bollita e un morso di pane, e ogni tanto ci davano un cucchiaio do farina, che accumulavo insieme agli altri (eravamo in sei o sette) per poi fare i cavatelli.
I soldati inglesi non erano così male con noi, infatti c'era un maresciallo scozzese che simpatizzava per il fascismo e, sapendo che io ero fascista, aveva una certa simpatia per me; infatti quando terminarono i cinquantuno giorni di punizione mi portò con lui in cucina e comandò di darmi quello che volevo.
Molte volte poi stavamo digiuni, non sempre c'era da mangiare, anche le bucce di fave le facevano con lo spezzatino.
Sono stato ricoverato anche in un ospedaletto da campo per un problema all'intestino e nel padiglione dove stavo eravamo un fila e si moriva (moriva uno sì e uno no) e io pensavo che sarebbe dovuto arrivare anche il mio turno stando lì.
Quando poi ci mandavano a un'altra destinazione, in Egitto, venivano intorno a noi dei bambini che ci deridevano dicendo: "Italiani grrh" [qui fa il gesto di una mano al collo, ndr] e io appena ebbi l'occasione presi per i capelli un bambino di quelli e lo scaraventai lontano.
Avete saputo della fine della guerra? Perché ti hanno tenuto prigioniero ancora?
Certo che sapevamo che la guerra era finita ma noi non c'entravamo più con la guerra: eravamo prigionieri e lo siamo stati fino al 9 agosto 1946. La nostra condizione non è cambiata. La guerra era finita ma i comandi no!
Riuscivi a scrivere ai familiari? Le risposte arrivavano?
Potevamo scrivere una sola lettere ogni mese, a volte passavano due mesi. Noi le consegnavamo al comando e poi arrivavano dopo diversi mesi a destinazione. Le risposte arrivano anche dopo diciotto mesi. Una lettera che mi aveva scritto Margherita, la mia fidanzata, arrivò dopo mesi e mesi.

Una volta liberato dove sei andato?

Sono stato liberato e portato a Porto Said il 9 agosto 1946, dove ci siamo imbarcati sulla nave che ci ha portato a Napoli.
In Italia sono arrivato il 7 settembre e a casa, a Valva, il 20. Sono arrivato con il treno fino a Contursi e Angelino (dei C'nes) che mi aveva visto ha avvisato la mia famiglia del mio arrivo e sono venuti incontro i miei fratelli Michele e Vitantonio.                                

È stato un momento commovente.  Anche quando sono rientrato a casa, io che ero un gran bevitore, figlio di un altro grande bevitore, mio padre mi ha detto: "Se sei ancora il mio Peppino finisci questo fiasco di vino". Io l'ho bevuto anche se mi ha dato alla testa.

Vino in Africa non ne bevevi?
Ogni tanto riuscivamo a comprarlo con quello che ci davano, poche monete.

Valva, Giuseppe Feniello -aiutato dal nipote omonimo e dal sindaco Giuseppe Vuocolo-
partecipa alla cerimonia del 4 novembre

Lo scorso 4 novembre, Giuseppe Feniello -il nonno di Valva- ha partecipato alla manifestazione al monumento ai caduti. 
Ha voluto fare un omaggio alla statua del milite ignoto e poi ha seguito la cerimonia in mezzo ai militari.
L'applauso che gli hanno tributato i bambini e i ragazzi delle scuole di Valva, presenti alla cerimonia, sono il finale più bello per questo post.

 Si ringrazia la signora Marinella Cozza per la gentile collaborazione

Approfondimenti
Per la ricostruzione del contesto storico, si suggerisce questa puntata di Passato e presente.
Molto ricca la voce di Wikipedia dedicata alla Campagna del Nord Africa.

Blog Questi i post più dedicati alle vicende dei soldati valvesi in Africa:




G.V.