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23 marzo 2022

LA PACCHIANA CHE CHIUSE DIETRO DI SÉ UN MONDO INTERO

La guerra la fa Ulisse ma non è facile essere Penelope.

Le donne la combattono nei campi, sostituendo le braccia dei mariti, dei fratelli, a volte anche dei padri; o meglio: continuando a fare il lavoro che già facevano prima ma facendolo da sole. Le donne la combattono in casa, allevando figli e tirando avanti ogni giorno, con carattere e speranza.

Le immagino così le ragazze e le donne che attendono il ritorno del loro uomo dal fronte o dalla prigionia.

Nelle lettere dal fronte, sono evocate con pudore se fidanzate, con delicatezza se sono madri, con rispetto se sono nonne, con simpatia se zie e comari. Molti soldati non sono ancora sposati. 

In guerra, scrive De André in una delle sue più celebri canzoni con parole che graffiano l'anima, "a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio". 

Morire di maggio, metafora per indicare la giovane età dei caduti.

La guerra di Ulisse e di Penelope, dunque.

Oggi voglio ricordare una donna che ha avuto il marito al fronte e che rimarrà un simbolo per tutta Valva: la nostra ultima "pacchiana", zia Pasqualina.

Zia Pasqualina Torsiello vestita da pacchiana,
con in testa lu varlirə 

Non amo il termine pacchiana usato in italiano, perché vi vedo la spia linguistica di un pregiudizio di classe. 

L'accezione negativa con la quale l'aggettivo è rimasto incagliato nelle reti della nostra lingua mi sembra ingiusta: "privo di buon gusto e di stile, vistoso, grossolano", scrive il dizionario Treccani. Sullo stesso dizionario, il termine è presentato prima come sostantivo, di area meridionale: "contadino, villano; per lo più al femminile, contadina nelle vesti tradizionali, colorate e vistose".

Quando penso al termine dialettale, invece, mi si apre un mondo straordinario, un patrimonio di cultura e di affetto. 

Le vistose e tradizionali vesti della tradizione contadina appartengono alla nostra cultura in modo profondo, costituiscono un elemento della nostra "ràdica", sono un elemento di identità non solo per le donne che le indossano e che le indossano anche quando nessun'altra lo fa: zia Pasqualina sembrava vivere in un tempo sospeso, testimoniato e reso presente.

Giorno di festa

Queste vesti sono un elemento di identità anche per la comunità intera, perché il modo di vestire è una delle prime cose che notiamo in una persona e che ricordiamo di lei quando non c'è più; sono un elemento di identità collettiva perché un abito tradizionale (non amo definirlo costume: non siamo a teatro, non siamo a Carnevale, siamo nella vita vera delle persone e delle storie) ci ricorda da dove veniamo e, dunque, anche un po' chi siamo.


Zia Pasqualina con un vivace maccaturə

Zia Pasqualina se ne è andata, coi suoi vestiti da pacchiana, il 23 marzo del 2010.

Ci sono persone, scrive Erri De Luca, che morendo chiudono dietro di loro un mondo intero. A distanza di anni se ne accetta la perdita solo concedendo che in verità morirono in tempo.

Ecco perché zia Pasqualina appartiene a tutti noi.


Un grazie alla nipote Stefania per l'affettuosa collaborazione


G.V.