30 marzo 2024

LA PASQUA LONTANA

In alcune aree interne del Sud, dal Molise alla Calabria, ancora si vede appesa a qualche finestra.

Nel suo vestito tradizionale, spesso a lutto in quanto vedova di Carnevale, con il fuso e la conocchia in mano; soprattutto, con penne di gallina infilzate, un vero e proprio conto alla rovescia verso la Pasqua: sette all'inizio, ne perde una ogni domenica.

La bambola della Quaresima ha origini antiche, addirittura precristine: testimonianza del sincretismo religioso che ha caricato di nuovi significati riti e simboli preesistenti.

Forse i soldati internati nei Lager nazisti e quelli prigionieri degli Alleati -almeno quelli di origine meridionale- hanno pensato alla bambola che scandisce il trascorrere delle domeniche di Quaresima, fino al giorno di Pasqua.

Forse il valvese Giovanni Milanese, autore di un diario da cui spesso abbiamo tratto testimonianze preziose, e i suoi compaesani internati come lui o prigionieri degli inglesi ricordavano quando andavano in giro, tra il Venerdì e il Sabato Santo, alla ricerca di legna "per il Sepolcro" (per accendere il fuoco nella veglia pasquale, sul sagrato della chiesa madre).

Per farlo, come in molte zone del Sud Italia, usavano un rudimentale e rumorosissimo strumento musicale in legno, a Valva chiamato lu 'nzierr. Veniva fatto roteare per annunciare che passava la raccolta della legna.

Dal blog Gozlinus prendiamo questa foto; lo strumento è stato costruito dal signor Attilio Cuozzo:

fonte

Infine, sicuramente avranno pensato al viccə, il caratteristico tarallo dolce con un uovo intrecciato, che la mattina di Pasqua le donne donavano ai bambini che avevano portato loro il ramoscello di ulivo benedetto la Domenica delle Palme.


A una tradizione del periodo pasquale di un'altra parte d'Italia  allude questo racconto di Mario Rigoni Stern, che dopo la campagna di Russia è internato militare nella Prussia orientale:
Un uovo di gallina cotto e colorato con erbe, foglie di cipolla e fondi di caffè: come quelli che le ragazze del mio paese usano donare ai ragazzi alla vigilia dell'Ascensione. Lo mangiai nell'angolo del recinto da dove si vedeva la campagna con le betulle rinverdite. Quell'uovo me lo aveva infilato nella tasca del pastrano una bambina polacca che ogni mattina incontravamo quando saliva sul treno con i compagni per recarsi a scuola. Mi guardava e mi regalava un sorriso che mi aiutava a vivere. La mattina del sabato Santo si era avvicinata furtiva e lesta; poi sentii quel peso insolito nella tasca e con la mano avevo scoperto l'emozionante dono.    
Mario Rigoni Stern, Aspettando l'alba
Uova decorate per la Grande Rogazione e il Giorno della Sensa, zona di Asiago
fonte


Per la foto delle uova decorate un sentito ringraziamento al signor Stefano Sartori, Malga Col del Vento.
G.V.

1918, LE CAMPANE DELLA PASQUA SUONANO A MARTELLO

Anche nel 1918 Pasqua cade il 31 marzo, ma la risurrezione sembra lontana.

Ecco come scrive il Corriere della Sera in prima pagina, in un articolo dal titolo La passione:

Mai più atroce Pasqua parve separare con una fiumana di sangue la parola di Cristo e l'opera degli uomini; mai nel fresco alito della primavera, tutta santa di generazione, imperversò tanto furore di distruzione. Presi dalla terribile angoscia della lotta che deciderà i destini del mondo, noi non udiamo nel suono delle campane la festa della risurrezione, ma come un supremo richiamo di aiuto. Suonano a martello, attraverso l'occidente, le campane della Pasqua. 

Ma la festa della resurrezione verrà: la data è oscura; l'avvenire è certo. Tanto sacrifizio non puo rimanere sterile, tanto dolore non può essere  senza fecondità, se in esso centinaia di milioni di uomini, fiore della terra, attestano più che la volontà, la necessità del rinnovamento.

Cartolina pasquale, Museo Francesco Baracca, Lugo
fonte

Tra i soldati che non sentiranno il suono festoso della campane della vittoria, dato per certo nell'articolo del Corriere, il fante Vito Feniello, morto per malattia il Sabato Santo nell'ospedale da  campo 059. 

Apparteneva al 79.mo Reggimento.

Vito era nato a Valva il 16 giugno 1892 (il giorno dopo la festa di San Vito: questo forse ne spiega il nome), figlio di Carmine e di Filomena Volpe.

Nei registri di leva troviamo i nomi di tre fratelli: Giuseppe (1895), Giovanni (1902), Michele (1910, panettiere).

Il numero dell'ospedale da campo ci fa capire che aveva la disponibilità di cento letti. 

Dal sito sanitagrandeguerra.it ricaviamo la forza organica del personale sanitario presso un ospedale da campo da 100 letti: 6 ufficiali (di cui 5 medici), 47 uomini di truppa (di cui un farmacista, 5 aiutanti di sanità, 7 portaferiti, 15 infermieri, un ecclesiastico e altri uomini con incarichi vari).

Non conosciamo con precisione la localizzazione del campo. Sappiamo che il 79.mo Reggimento, che fa parte della Brigata Roma, in questo periodo è impiegato in prima linea nel settore di Lavanech (M. Melino- M. Lavanech), in Trentino, dove rimarrà nel servizio di trincea fino al 25 aprile, quando sarà inviato in Val Camonica.

G.V.

29 marzo 2024

LA FEDE CHE AIUTA A RESISTERE

Il sostegno della fede religiosa fu fondamentale per gli internati. 

Nel Museo Nazionale dell'Internamento, a Padova, una teca custodisce questi oggetti sacri:

Ecco alcune, significative parole di presentazione:
Essenziale fu per molti il sostegno morale ricevuto dalla fede religiosa e consolante la serenità ricevuta nell'assistere alle funzioni officiate all'interno del Lager, anche segretamente, dai sacerdoti che si prodigavano nell'assistenza, spesso non solo simbolica, degli internati.

In un nostro precedente post, abbiamo riportato questa testimonianza di padre Silvino Azzolini, cappellano degli italiani nella zona di Vienna, tratta da Schiavi di Hitler (Mondadori), di Mimmo Franzinelli :

Dopo essere stati disarmati venivano trasportati in vagoni di bestiame con scarsissimo vitto nei campi  concentramento centrali, denominati Stammlager, o più brevemente Stalag, ove venivano spogliati di ogni cosa personale, persino delle catenelle e dei ricordi più cari della famiglia.
Brutalmente trattati senza alcuna osservanza delle leggi internazionali per i prigionieri, venivano spesso sottoposti a stringenti interrogatori perché aderissero al nuovo governo. Ma pochissimi cedettero a simili richieste, anche se minacciati di battiture e di digiuni. [...]
In un primo tempo veniva anche lor assolutamente proibito qualsiasi conforto religioso. Moltissime e assai frequenti furono le loro richieste per avere un cappellano, ma il rifiuto era persistente. Solo dopo alcuni mesi un certo numero di cappellani prigionieri internati furono messi a disposizione dei diversi campi di concentramento.   [Mimmo Franzinelli, op. cit., pagg. 234-35]
Michelangelo Perghrm Gelmi, La prima messa nel campo '43;
fonte
In molti Lager per soldati era vietata la permanenza di cappellani nel timore che potessero orientare in senso antifascista gli internati militari; essi erano invece presenti nei Lager per ufficiali.
Padre Guido Cinti lamenta che è vietato parlare con i soldati: può solo celebrare la messa domenicale, sotto il controllo di un interprete tedesco.
Particolarmente significativa ci sembra questa riflessione di Mimmo Franzinelli:
La fede religiosa può conferire una forza interiore che rinsalda lea decisione di tener testa alle persecuzioni e continuare a resistere.  [Mimmo Franzinelli, op. cit., pag. 233]

G.V. 

24 marzo 2024

NON SAREMO BESTIE FINCHE' CERCHEREMO DI RESISTERE

Sono trascorsi ottanta anni. 

E' il 24 marzo 1944. Il convoglio è partito la sera prima da Siedlce, località della Polonia occupata dai tedeschi. Arrivati in stazione, hanno tolto loro gli spaghi delle scarpe e le cinghie dei pantaloni. Al testimone che scrive, hanno tolto l'impermeabile. 

Sono gli internati militari che stanno lasciando un Lager diretti in un altro Lager, questa volta in Germania: Sandbostel.

Campo di Sandbostel; fonte

Lui è Giovanni Milanese, autore di un preziosissimo diario della prigionia. 

Ecco come descrive la giornata del 24 marzo:

Alle 6.30 siamo a Varsavia. Alle 7 siamo a Plome. Alle 9.30 a Boza Vola ed alle 13.30 a Kudico. Alle 24 a Francoforte.
Siamo sistemati in 40 per ciascun carro bestiame dove c'è a terra torba ed una cassetta in un angolo per i bisogni personali. Come si prevedeva non ci aprono mai la porta. Che disastro!...

Padova, Museo dell'Internamento

Milanese annota la presenza di una cassetta per i bisogni personali, "in un angolo".

Per quanto drammatica, la situazione sembra migliore di quella descritta da Primo Levi nel suo I sommersi e i salvati, nel capitolo "La violenza inutile".

Scrive Levi:

Neppure pensò a munire ogni vagone di un recipiente che fungesse da latrina, e questa dimenticanza si dimostrò gravissima: provoco un’afflizione assai peggiore della sete e del freddo. Nel mio vagone c’erano parecchi anziani, uomini e donne: tra gli altri, c’erano al completo gli ospiti della casa di riposo israelitica di Venezia. Per tutti, ma specialmente per questi, evacuare in pubblico era angoscioso o impossibile: un trauma a cui la nostra civiltà non ci prepara, una ferita profonda inferta alla dignità umana, un attentato osceno e pieno di presagio; ma anche il segnale di una malignità deliberata e gratuita. Per nostra paradossale fortuna (ma esito a scrivere questa parola in questo contesto), nel nostro vagone c’erano anche due giovani madri con i loro bambini di pochi mesi, e una di loro aveva portato con sé un vaso da notte: uno solo, e dovette servire per una cinquantina di persone. Dopo due giorni di viaggio trovammo chiodi confitti nelle pareti di legno, ne ripuntammo due in un angolo, e con uno spago e una coperta improvvisammo un riparo, sostanzialmente simbolico: non siamo ancora bestie, non lo saremo finché cercheremo di resistere.                                    Primo Levi, I sommersi e i salvati, Giulio Einaudi editore, 1986, Torino

"Evacuare in pubblico è un trauma a cui la nostra civiltà non ci prepara, una ferita profonda inferta alla dignità umana", scrive Levi. Anche se Giovanni Milanese non ne fa cenno in questa pagina del suo diario, possiamo comunque ipotizzare che in un vagone con quaranta deportati non sia stato semplice fare i propri bisogni, nonostante la presenza della "cassetta".

Padova, Museo dell'Internamento

E' possibile che nello stesso convoglio sia stato presente anche il tenente Guareschi di cui Giovanni Milanese parla in una pagina del suo diario, datata 4 giugno: il tenente Guareschi e il capitano Salvatori "hanno commemorato con molta passione l'anniversario dello statuto". Poche parole ma significative, a dimostrazione di quanto fosse vivo l'amor di patria negli internati militari.

Il tenente Guareschi diventerà poi l'autore della fortunata saga dei romanzi di Don Camillo e Peppone: Giovannino Guareschi.

G.V.



20 marzo 2024

ANCHE I RACCONTI SFAMANO: LA FAME NEL LAGER RACCONTATA DA TONINO GUERRA E GIOVANNINO GUARESCHI

La fame è uno dei principali problemi che un internato militare deve affrontare. 

Lo storico  Gabriele Hammermann, nel suo Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945 [il Mulino], scrive:

Se relativamente all'alimentazione dei prigionieri poco produttivi molte imprese oscillarono tra l'adozione di rigide misure punitive e il ricorso a sistemi di incentivazione tramite premi, non ci sono dubbi sul fatto che le brutalità e gli abusi vennero considerati appropriati strumenti di pressione per ottenere un aumento del rendimento.   op. cit., pag. 181

Nel suo recente e preziosissimo Schiavi di Hitler [Mondadori], Mimmo Franzinelli riassume: "I Comandi dei Lager utilizzano la fame per stremare i prigionieri e piegarli alla loro volontà".

Nel saggio di Franzinelli troviamo alcuni testi del poeta Tonino Guerra -internato in un Lager vicino a Bonn- e di Giovannino Guareschi.

Ecco Anche i racconti sfamanodi Guerra:

La fame? La fame era tremenda e nel campo c'erano solo brodaglia con patate e pane secco. La sera nella baracca mi chiedevano dei racconti. Una sera, era la notte di Natale, non è arrivata la zuppa. Gli altri prigionieri come me avevano fame e pensavano a un piatto di tagliatelle. Io che non avevo mai seguito con attenzione mia madre mentre preparava da mangiare, all'improvviso ho ricordato tutto e iniziato a spiegare in dettaglio il procedimento per preparare la sfoglia. Prima la farina, poi le uova e sul tagliere si impasta tutto. Si stende col matterello e si ripiega per poter tagliare le tagliatelle. Intanto si mette l'acqua a bollire e a bollore raggiunto si buttano le tagliatelle. Il sugo è pronto e una volta scolate si unisce il tutto. Le ho versate nei piatti e tutti hanno mangiato con le parole. Qualcuno ha chiesto il bis.                            op. cit., pag. 105

Molto significativa questa poesia dal titolo La farfàla, qui riportata in traduzione:

Contento proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando mi hanno liberato
in Germania
che mi son omesso a guardare una farfalla 
senza la voglia di mangiarla.                                      op. cit., pag. 106

Guareschi è libero: non ha più bisogno di cacciare le farfalle col desiderio di cibarsene.

Accanto alla leggerezza poetica di Tonino Guerra, l'ironia di un altro internato militare: Giovannino Guareschi.

Ecco una pagina del suo Diario clandestino:

La fame c'è e grava sulle nostre spalle in ogni azione della giornata e, la notte, popola i nostri sogni di visioni dolorose, e tutti l'accettano con rassegnazione come cosa fatale, come un morbo inguaribile. 
Ma per costoro la fame è diventata pazzia. Parlano continuamente di mangiare. Descrivono pranzi, cene, cenette, colazioni, merende. Descrivono panini imbottiti. Redigono in collaborazione ponderatissime liste di pranzi storici da celebrare al ritorno. 
C'è chi raccoglie indirizzi di locande con distinte di piatti caratteristici e compila guide gastronomiche d'Italia.
Altri annota accuratamente migliaia di ricette dei più ammennicoli culinari.
L'eterno e vano parlare di cibarie e l'eterno e vano pensare al mangiare hanno aumento il desiderio. E lo stomaco, nell'accesa immaginazione di costoro, ha assunto la dimensione adeguata al desiderio stesso: la dimensione di un bigoncio.
E' una forma di pazzia che annebbia d'angoscia i cervelli, e questi poveretti cacciano fuori tutte le ossa e diventano gialli più ancora per paura della fame che per la fame stessa.     Diario clandestino, Pazzia, 10 dicembre 1943

Nel saggio I militari italiani nei Lager nazisti- Una resistenza senz'armi (1943-1945), di Mario Avagliano e Marco Palmieri, troviamo un esempio pratico delle guide gastronomiche di cui parla Guareschi:

Due ufficiali molisani, il capitano Fedele Carriero e il capitano Michele Morelli, nel lager di Wietzendorf [lo stesso di Guareschi, ndr.] scrivono e disegnano "un po' per celia, un po' per men soffrire" un manuale di arte culinaria significativamente intitolato Padelle, non gavette! [...] Nel ricettario vengono proposti, accanto alle "Sbobbe tipo lager" e ai "Crostini al prigioniero", deliziosi e fantasiosi manicaretti, alcuni dei quali dai nomi insoliti ed evocativi, come "Cotoletta dei nostri sogni", "Frittata non ti scordar di me", accompagnati da disegni vivaci a colori acquarellati, la cui fattura [...] viene seguita passo dopo passo e apprezzata dai loro commilitoni, che attraverso le immagini si figurano quelle meravigliose pietanze.    op. cit., pag. 244
All'argomento della fame degli internati militari italiani abbiamo dedicato il post:
👉"Pacchisti e "magroni": l'ossessione della fame 

G.V.