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16 gennaio 2024

"SPREMUTI COME LIMONI": I LAVORI FORZATI DEGLI IMI

Con la trasformazione dei prigionieri italiani in internati militari, Hitler ha a disposizione un ingente "bottino di guerra" (rappresentato anche dai prigionieri degli altri paesi occupati) come forza lavoro nelle fabbriche, nei campi e nelle miniere, in assenza dei tanti uomini tedeschi sotto le armi.

Vittorio Vialli, La lunga coda per l'acqua (Fondo Vialli) fonte

Nel suo recente e preziosissimo Schiavi di Hitler, nel capitolo dal titolo Lavori forzati (pp.110-124) il prof. Mimmo Franzinelli sottolinea che l'economia tedesca ha bisogno dei prigionieri italiani. Dopo solo tre settimane, ad esempio, un piano delle autorità tedesche ipotizza un fabbisogno di 421mila unità. Nel novembre del 1943 sono quasi 383mila gli IMI al lavoro, a metà febbraio 1944 sono 428mila, a metà maggio 437mila.

Si assiste a una "gara contro il tempo" tra i reclutatori di manodopera e gli emissari fascisti che cercano adesioni alla Repubblica Sociale Italiana.

Sono gli stessi funzionari fascisti a testimoniare le condizioni massacranti degli internati italiani, con un orario giornaliero che oscilla dalle 12 alle 14 ore, "debilitati dalla fame e prostrati da insulti e percosse".

fonte

Settori di impiego degli IMI, "spremuti come limoni"

Franzinelli analizza dati del febbraio 1944: gli internati militari italiani vengono impiegati nell'industria mineraria (56%), in vari settori produttivi (35%) e nell'agricoltura (6%). Molti sono impegnati anche nello sgombero delle macerie (un numero in aumento visto che i bombardamenti sulle città tedesche si intensificano). L'orario settimanale risulta in media di 57-58 ore, con un solo giorno di riposo.

Significativo il commento dello storico:

L'atteggiamento dei tedeschi -gerarchi, militari e civili- è caratterizzato da una sorta di schizofrenia: da un lato trattano gli italiani come degli animali e con ostentato disprezzo li vogliono distruggere sul piano morale, dall'altro pretendono una resa produttiva esemplare, senza rendersi conto della contraddizione tra le due condotte. Gli IMI vengono spremuti come limoni.   [op. cit., pp. 112-113]

Un'ordinanza di Hitler (28 febbraio 1944) precisa che il vitto deve essere in relazione alla produttività; se questa è insoddisfacente, il vitto va ridotto a tutta l'unità di lavoro.

Chi non regge ai ritmi della miniera o della fabbrica diventa un convalescente-bracciante: viene destinato alle aziende agricole, dove il lavoro è meno logorante e le razioni alimentari sono generalmente migliori di quelle dei Lager. Non mancano, però, testimonianze di internati impegnati nelle aziende agricole che denunciano dure condizioni di lavoro.

La "civilizzazione" coatta

Nell'estate del 1944 agli IMI viene proposta la trasformazione in "liberi lavoratori": così avevano previsto Mussolini e Hitler nel loro incontro del 20 luglio.

Gli internati non credono alle promesse. Come testimonia Carlo Bargaglia (rinchiuso in un Lager in Baviera), gli italiani ritengono di essere stati trasformati in lavoratori civili solo per essere impiegati più facilmente.

Vari imprenditori giungono nei Lager e selezionano gli italiani.

Nonostante la Convenzione di Ginevra lo vieti, anche gli ufficiali sono sottoposti al lavoro coatto.

Drammatica la testimonianza del tenente colonnello Pietro Testa, dal campo di Wietzendorf:

Gli ufficiali spesso venivano convocati a teatro, sotto la luce di proiettori e sottoposti alla scelta di impresari e contadini tedeschi che palpavano loro gli arti, guardavano in bocca come se fossero delle bestie. Gli ufficiali che si rifiutavano di partire venivano portati fuori dal campo con sentinelle armate di fucile e baionetta.   [op. cit., p.118]

Ci siamo già occupati di un internato militare a Wietzendorf che rifiuta di lavorare durante la prigionia. E' il valvese Giovanni Milanese, che così scrive nel suo diario Frammenti di storia. Diario di guerra e di prigionia 1943-1945:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
29-11-44
Mi richiamano. Non ci vado di nuovo
.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.

Il cappellano militare Bernardino Pavese scrive queste significative parole, che il professor Franzinelli pone a conclusione del capitolo dedicato ai lavori forzati:

Gli IMI hanno lavorato. Tutti hanno lavorato. Sempre hanno lavorato. Lavori forzati. E lavorano duramente: 12 ore al giorno, con un turno di un giorno di riposo al mese e...con molta fame. Hanno per questo collaborato? Ognuno s'ingegno per sabotare (nella massa, quanto sabotaggio!) e a proprio rischio e pericolo, e sotto gli occhi e nelle meni del nemico! [op. cit., p.124]

Approfondimento
Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:
👉Il pranzo di Natale con le patate risparmiate
👉Il ritratto di Michelina per tre razioni di pane
👉L'unico amore del prigioniero Giovanni
👉Fare la guardia alla dignità di italiano
👉Sono di nuovo un uomo e non più un numero
👉Scrivere per sentirsi ancora uomini


Bibliografia
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

26 febbraio 2022

"E' ARRIVATO IL MOMENTO DI PARLARE 'TEDESCO' CON QUESTE CAROGNE"

Finalmente è arrivato il momento di parlare "tedesco" con queste carogne. Finora abbiamo dovuto andarci piano, con questi signori, altrimenti ci avrebbero accusati di diffamare uno stato alleato. Ma d'ora in avanti tirerà un'altra aria...Adesso non useremo certo molti riguardi, e finalmente impareranno qui, da noi, che cosa vuol dire lavorare.

Foto segnaletica per la scheda personale
Fonte

I pregiudizi contro gli italiani

Non erano pochi i pregiudizi tedeschi contro gli italiani, soprattutto quelli meridionali, e non erano recenti. Da secoli, infatti, i tedeschi attribuivano agli italiani alcune caratteristiche negative, come l'ozio, la cattiveria, l'avarizia, la doppiezza, la mancanza di spirito combattivo.

Gli studi sui lavoratori stagionali nella Germania di fine Ottocento dimostrano che i tedeschi distinguevano fra gli italiani del Nord, considerati efficienti, frugali e laboriosi, e quelli de Sud, ritenuti brutali, rozzi e arretrati.                                               

Con la fine dell'alleanza italo-tedesca, dopo l'8 settembre tornarono a galla vecchi stereotipi e pregiudizi che la propaganda aveva represso per anni, quando l'Italia fascista era alleata della Germania nazista. 

In questa nuova fase, la propaganda tedesca fu abile a strumentalizzare l'indignazione nazionale contro gli italiani, ora considerati "traditori"; i militari italiani non disposti a continuare la guerra a fianco della Germania vennero considerati nemici e di conseguenza denigrati come un esempio assai negativo. 

Il cambiamento di status dopo il 1943

Nell'autunno del 1943 la Germania decise di considerare i militari italiani come manodopera nell'industria bellica, una vera e propria "massa da impiegare nell'economia di guerra"; dall'autunno del 1944 fino alla fine della guerra gli internati militari furono considerati "lavoratori civili".

In un primo tempo i soldati italiani furono considerati nemici e quindi prigionieri di guerra, distinti in due tipologie: quelli che non erano disposti a collaborare ma che comunque si erano arresi senza combattere, e quelli che avevano opposto resistenza; i primi vennero avviati al lavoro nell'industria pesante come prigionieri di guerra, i secondi vennero puniti con l'assegnazione a lavori più gravosi, a ridosso della linea del fronte orientale.

Il 20 settembre 1943 i soldati italiani considerati fino a quel momento prigionieri di guerra vennero trasformati in "internati militari italiani" (IMI): venivano considerati tali i prigionieri che avevano opposto una resistenza sostanzialmente passiva.

Il dibattito storiografico sul cambiamento di stato

Perché questo cambiamento di status?
Secondo la storiografia italiana, questa sarebbe stata una misura punitiva contro l'ex esercito italiano: in questo modo i tedeschi avrebbero sottratto gli italiani alla competenza in materia di assistenza ai prigionieri di guerra, spettante alla Croce Rossa.

Nel suo Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, dal quale sono tratte queste informazioni, Gabriele Hammermann ritiene invece che se i militari catturati dai tedeschi avessero mantenuto lo status di prigionieri di guerra essi sarebbero stati considerati prigionieri di un paese nemico e ciò avrebbe comportato il riconoscimento del Regno del Sud e del governo guidato da Badoglio. Ci sarebbero dunque motivazioni politiche alla base di questo cambiamento di statuto voluto da Hitler: riconoscere il governo di Salò, che si stava formando in quelle settimane, come l'unico legittimo rappresentante del popolo italiano.


Per approfondire
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004

Citazioni
Le informazioni e le citazioni contenute questo post sono tratte dal testo di Hammermann e precisamente:
- pagine 50-58 (Politica e razzismo nel trattamento dei militari internati)  
- pagine 42-44 (Il cambiamento di status nel settembre 1943)


G.V.

19 febbraio 2022

LE CONDIZIONI DI VITA DEGLI INTERNATI MILITARI

 

Vivono in ambienti malsani e inadatti, i pagliericci contengono terra e polvere al posto della paglia perché il contenuto è sempre lo stesso da mesi ed è pieno di parassiti di tutti i tipi. 

Vita nel lager; fonte 
Il direttore del Servizio Assistenza Internati, Vaccari, non può fare a meno di notare in una sua ispezione che i posti per dormire nei campi degli internati italiani non rispettano gli standard minimi richiesti.
Ritengo significativa questa testimonianza, riportata nel volume di Gabriele Hammermann dal titolo "Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945" (il Mulino), che ho già avuto modo di citare.

Baracche senza pavimento di pietra e di cemento, che dunque non potevano essere mantenute pulite: la sporcizia provocava infezioni.
Gli internati militari potevano soddisfare le principali esigenze igieniche solo con molta difficoltà; molte aziende presso le quali lavoravano distribuivano loro pochi grammi di sapone e detersivo in polvere.
Spesso i responsabili dei lager attribuivano la mancanza di igiene dei detenuti alla loro mancanza di cultura e al loro scarso interesse per la pulizia e i provvedimenti di disinfestazione e pulizia spesso erano accompagnati da misure punitive.
         
Hammermann scrive:

Soprattutto contro gli internati provenienti dall'Italia meridionale, che erano considerati poco amanti dell'acqua e del lavoro, scarsamente disciplinati e poco camerateschi, si fece ricorso a umilianti misure punitive.

Molte testimonianze riguardano l'inadeguatezza dell'abbigliamento
Il pessimo abbigliamento degli internati italiani influiva sullo stato di salute, soprattutto di quelli impiegati nell'industria siderurgica: molte ferite ai piedi erano dovute alla mancanza di calze e pezze da piedi.
La mancanza di un abbigliamento adeguato e di biancheria intima provocava l'aumento di malattie.


Per approfondire
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004

Citazioni
Le informazioni e le citazioni contenute in questo post sono tratte dalle pagine 224, 225, 227


G.V.

12 febbraio 2022

SECCHI D'ACQUA PER LAVARE IL SANGUE E IL LAVORO RIPRENDE

Il soldato Giacomo Cani è stato letteralmente sfracellato dal tornio contro lo stipite del portone. Alcuni secchi d'acqua cancellano i segni della tragedia e il lavoro continua come se nulla fosse accaduto. 
Queste parole, riportate in un bel volume di Gabriele Hammermann dal titolo "Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945" (il Mulino), hanno attirato la mia attenzione. Il capitolo è quello dedicato alle condizioni di lavoro nei campi di prigionia.


Nella scheda del soldato, leggiamo che era di Imola e aveva 25 anni. Era la vigilia di Natale del 1943.
Causa della morte: incidente sul lavoro.
Non posso dire che non sia vero.
Però la storia è fatta anche di testimonianze, di racconti orali che poi diventano parole scritte che restano e colpiscono.
Le parole "incidente sul lavoro" non dicono cosa è accaduto dopo, subito dopo; non rivelano il contesto nel quale è maturato l'incidente.

Leggiamo ancora nel libro di Hammermann:
L'ex internato Calossi [...] descrive la forte pressione psicofisica causata dai turni di notte: "Sono disperato e vivo sotto l'incubo di non essere in grado di resistere a tanti patimenti".
[Un altro internato] racconta che in un mese di turni di notte dimagrì di cinque chili, più di quanto aveva perso in sei mesi di lavoro diurno. 

La sicurezza sul lavoro era decisamente inferiore a quella assicurata ai lavoratori tedeschi; la studiosa individua una serie di cause: l'impiego precipitoso, le difficoltà legate alla comprensione della lingua, l'assoluta mancanza di formazione richiesta, lo sfinimento provocato dai turni di lavoro e dai bombardamenti, lo scarso rispetto delle norme sulla sicurezza.
Particolarmente carenti dal punto di vista della sicurezza sul lavoro erano il settore minerario e quelli dell'industria pesante e delle costruzioni. Anche nell'edilizia gli infortuni erano frequenti.

Spesso il gran numero di infortuni di cui rimanevano vittime gli internati era dovuto al fatto che non disponevano dei necessari indumenti da lavoro [...]Anche nell'industria pesante, va da sé, la mancanza di un abbigliamento adatto aumentava di molto il rischio di infortuni.
Gli internati non disponevano di guanti da lavoro, per cui le ferite alle dita erano inevitabili quando lavoravano le lastre di metallo rovente. 
Dai documenti delle varie aziende ricaviamo che gli internati italiani nella maggior parte venivano impiegati come manovali o lavoratori non specializzati.

"Era soprattutto il trattamento indegno riservato ai morti stranieri sul lavoro a sgomentare gli internati", scrive Hammermann, che a questo punto riporta le parole dedicate a Giacomo Cani.

Oggi Giacomo riposa nel cimitero militare italiano di Varsavia.
Era la vigilia di Natale, aveva venticinque anni.

Per approfondire
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004

Citazioni
Le citazioni in questo post sono tratte dalle pagine 110-111



G.V.