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07 agosto 2024

ANGELANTONIO, UN IMI DAL FRONTE GRECO

Angelantonio Marciello nasce a Valva il 22 marzo 1923, figlio di Francesco (che risulta deceduto al momento della visita militare del giovane soldato) e di Grazia Figliulo.

Chiamato alle armi il 19 settembre 1942, il giorno dopo lo troviamo nel Deposito 26.mo Reggimento Artiglieria di Corpo d'Armata, a Napoli.

Il 4 novembre 1942 parte da Torre Annunziata perché è trasferito al 26.mo Reggimento Artiglieria e raggiunge la 4.a Base di Mestre.

L'11 novembre 1942 parte da Mestre a mezzo tradotta e il 15 giunge al campo sosta di Kalambaka, in Grecia, dove resta fino al 25 novembre, quando raggiunge il suo reggimento, "in territorio dichiarato in stato di guerra".

Kalambàka è considerata la porta di ingresso alla regione di Meteora, caratterizzata da speroni rocciosi sulla cima dei quali sorgono celebri monasteri ortodossi. Il 23 aprile 1943 tra gli abitanti del posto e gli italiani c'è un duro scontro, con la morte di 70 soldati. Siamo nella stessa regione di Giannina, che abbiamo incontrato nella vicenda del valvese Sabino Spiotta.

Nel suo foglio matricolare di Angelantonio troviamo un'annotazione abbastanza insolita per i soldati italiani che si trovano all'estero: "sbandatosi in seguito agli eventi sopravvenuti all'armistizio" (in genere si trova per i soldati sul fronte italiano), con la data fortemente simbolica dell'8 settembre 1943.

Nel nostro podcast Il giorno dopo abbiamo analizzato le conseguenze dell'armistizio sui soldati valvesi, anche quelli impegnati sul fronte greco-albanese.

Il 12 settembre Angelantonio risulta catturato dai tedeschi e condotto in Germania.

Purtroppo né la banca dati on-line degli Internati Militari Italiani né gli Archivi Arolsen conservano documenti relativi alla sua prigionia.

Anche diversi compaesani di Angelantonio sono fatti prigionieri sul fronte greco; i prigionieri provenienti da questo fronte indossano divise estive, inadatte all'inverno tedesco.

Quello che i documenti militari non dicono, lo possiamo immaginare dalle testimonianze e dagli studi sulle condizioni degli internati militari.

Padova, Museo dell'Internamento

Sappiamo che il 10 luglio 1945 Angelantonio rientra in Italia e si presenta al Distretto Militare di Salerno, dove viene interrogato come da prassi e poi inviato in licenza di rimpatrio di 60 giorni. Il 10 settembre viene inviato in licenza straordinaria senza assegni in attesa di impiego; infine, l'anno seguente viene ricollocato in congedo illimitato.

L'11 febbraio 1964 ad Angelantonio viene conferita la croce al merito di guerra per l'internamento in Germania e per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943 (nello specifico, però, il foglio matricolare riporta le campagne di guerra del 1943, del 1944 e del 1945).

Approfondimento

Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

👉"Spremuti come limoni": i lavori forzati degli IMI
👉Le condizioni di vita degli internati militari italiani
👉"Pacchisti e "magroni": l'ossessione della fame
👉"E' arrivato il momento di parlare 'tedesco' con queste carogne"

Vicende di altri valvesi catturati sul fronte greco:

👉Quando i racconti di zio Sabino entravano in classe
👉Col sangue, con la libertà: quei no pagati caro

Gli episodi del nostro podcast Il giorno dopo -dedicato alle conseguenze dell'8 settembre 1943 sui soldati valvesi-che si riferiscono al fronte greco:

Bibliografia

📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

01 settembre 2023

FRANCESCO E CARMINE, MORTI IN FRANCIA CON LA DIVISA AMERICANA

Avrò letto questi nomi decine di volte.

Eppure, non avevo mai notato che la precisione con cui sono stati scritti si interrompe alla fine dell'elenco dei soldati caduti in combattimento: due nomi non rispettano l'ordine alfabetico.

Ora so che non è una svista ma una scelta.

Quando nel 1924 i valvesi hanno eretto il monumento ai caduti in guerra, grazie al contributo del Circolo valvese "Santa Maria Assunta" di Newark, hanno scelto di includere nell'elenco dei caduti anche due concittadini che erano morti con un'altra divisa: quella americana.

Abbiamo già affrontato il tema della scelta fatta da alcuni valvesi di combattere con l'esercito del Paese in cui sono emigrati, si veda il post La divisa nella quale combattere.

È per loro un'opportunità: dopo la dura china della guerra intravedono la cittadinanza, l'integrazione, una nuova vita. 

Partono per l'Europa, in genere nella primavera del 1918 e vi restano fino alla primavera inoltrata del 1919: così leggiamo dagli elenchi dei soldati sulle navi nella tratta da New York alla Bretagna.

Abbiamo raccontato le storie di Amedeo Catino (con un fratello caduto nell'esercito italiano), di Frank Grasso (poi celebre direttore d'orchestra in Florida), di Tony Marcello e stiamo cercando informazioni su Pietro Falcone.

In questo post ci occupiamo dei due soldati caduti in terra francese, uno dei quali riposa ancora lì in un cimitero americano.

Ecco una foto di Francesco Torsiello, nato a Valva l'11 giugno 1890.

È uno zio di zia Carmela, intervistata nel post Quando la montagna era rifugio; la signora ci ha parlato di lui e ce ne ha mostrato il ritratto, al quale è molto affezionata.

Nell'atto di nascita di Francesco Torsiello leggiamo che è nato in via Piazza dell'olmo 15 l'11 giugno 1890, figlio di Carmine (contadino di 44 anni) e di Angela Cuozzo. L'atto è sottoscritto solo dall'ufficiale di stato civile e sindaco Paolo d'Urso, poiché il padre del bambino e i due testimoni (il sarto Antonio Fasano e il contadino Francesco Spiotta) si sono dichiarati analfabeti.

Non è semplice seguire le orme di Francesco negli Stati Uniti, possiamo fare solo delle ipotesi.

Dovrebbe essere lui il soldato caduto il 13 ottobre 1918 e sepolto in Francia con il nome Frank Torssiello (sic!):

Sezione D, fila 6, tomba 6; per una visita virtuale al cimitero, si veda il sito

Il soldato risulta "killed in action" (morto in combattimento) a Romagne-sous-Montfaucon e sepolto nel cimitero Meuse-Argonne American Cemetery.
Frank apparteneva al 305th Infantry Regiment, 77h Division.
Il reggimento viene organizzato a Camp Upton, New York, nell'agosto 1917; partecipa alle campagne Oise-Aisne, Mosa-Argonne, Champagne e Lorena. Viene smobilitato nel maggio 1919.

Frank parte il 16 aprile 1918 sulla nave Vauban; risulta residente a New York e dichiara di avere uno zio di nome Michele.

In un altro documento leggiamo che si è arruolato il 27 febbraio 1918, all'età di 27 anni e 9 mesi (corrisponde); come luogo di nascita è indicato Maples, Italy (avranno approssimato un bel po'). Ha prestato servizio all'estero dal 16 aprile 1918 (appunto la data dell'imbarco) al 13 ottobre (quella in cui viene ucciso):

La sua morte viene notificata allo zio, il cui nome nel documento è scritto Mike Torssido (sic!), al numero 59 di Greene Street, Jersey City.

All'Archivio di Stato di Salerno Francesco Torsiello risulta essere stato disertore perché era all'estero; un'annotazione del 1924 cita l'atto di notorietà del Comune di Valva che dichiara che il soldato è morto in Francia, militante nell'esercito americano.

Valva, Monumento ai caduti

Sempre in Francia,  nel Dipartimento della Marna (regione Champagne-Ardenne), muore l'altro valvese Carmine Figliulo; la data che troviamo nei documenti è il 20 febbraio 1919

Visto che la guerra era finita nel novembre precedente, possiamo dedurne che il soldato sia deceduto in seguito a ferite riportate in combattimento (o a una malattia contratta in guerra).

A Carmine dedicheremo un post più approfondito, perché stiamo verificando un'ipotesi suggestiva: è possibile che egli abbia prima combattuto la guerra italo-turca con l'esercito italiano e poi sia  emigrato negli Stati Uniti, combattendo la Grande guerra con quello americano e trovandovi la morte.


Si ringrazia la dott.ssa De Donato dell'Archivio di Stato di Salerno

P.s. Documents are taken by www.ancestry.com

G.V.

16 luglio 2023

L'INVOLONTARIO ARTEFICE

Avevamo vinto, avevamo sacrificato il fior fiore della nostra gioventù [...]. Ci si contendevano i termini [=i confini] sacri della Patria e c'erano in Italia dei democratici la cui democrazia consiste nel fare l'imperialismo per gli altri e nel rinnegarlo per noi (applausi) che ci lanciavano questa stolta accusa semplicemente perché intendevamo che il confine d'Italia al nord dovesse essere il Brennero dove sarà fin che ci sarà il sangue di un italiano in Italia (applausi). Intendevamo che il confine orientale fosse al Nevoso [in Slovenia] perché là sono i naturali giusti confini della Patria e perché non eravamo sordi alla passione di Fiume e perché portavamo nel cuore lo spasimo dei fratelli della Dalmazia perché infine sentivamo vivi e vitali quei vincoli di razza che non ci lega soltanto agli italiani da Zara a Ragusa ed a Cattaro [in Montenegro] ma che ci lega anche agli italiani del Canton Ticino, anche a quegli italiani che non vogliono più esserlo, a quelli di Corsica a quelli che sono al di là dell'Oceano, a questa grande famiglia di 50 milioni di uomini che noi vogliamo unificare in uno stesso orgoglio di razza (applausi). 
[...] Noi italiani del secolo XX abbiamo veduto la grande tragedia del compimento nazionale, noi che portiamo nel profondo del nostro animo il ricordo di tutti i nostri morti che sono la nostra religione, noi o cittadini d'Italia facciamo un solo giuramento un solo proposito: vogliamo essere gli artefici modesti ma tenaci delle sue fortune presenti e avvenire.

E' il 3 aprile 1921, la domenica dopo Pasqua, e al Teatro Comunale di  Bologna si tiene l'adunata dei fasci emiliani. Le parole di Benito Mussolini, non ancora Presidente del Consiglio, sembrano già preannunciare un futuro di guerra che incombe sull'Italia: ci penserà il regime fascista a inculcare nelle menti e nei cuori degli italiani l'obiettivo di essere artefici della gloria della patria, a ogni costo, attraverso una politica espansionistica in nome dei "naturali giusti confini" e dell' "orgoglio di razza".

In quella stessa domenica a Valva nasce Domenico StrolloI genitori sono Francesco e Maria Giuseppa Cuoco.

La carriera militare

Il 4 maggio 1940 Domenico è dichiarato abile e arruolato.

Chiamato alle armi il 6 gennaio 1941, è assegnato al 43.mo Reggimento artiglieria in Africa Settentrionale, addetto al deposito munizioni e attrezzature; vi resta fino all'ottobre 1941.


Dai documenti risulta che la sua prima campagna di guerra è quella in Balcania: l'8 ottobre 1941, infatti, Domenico Strollo viene trasferito al 48.mo Reggimento artiglieria mobilitato in Montenegro, dove resterà fino al 29 agosto del 1942. 

Il Reggimento artiglieria "Taro" è un reparto della 48.ma Divisione di fanteria "Taro". Dopo la resa della Grecia, nell'aprile 1941, la Divisione è stata trasferita in Montenegro per presidiare il territorio e reprimere la resistenza locale.

L'occupazione italiana del Montenegro inizia con l'invasione del Regno di Jugoslavia, nell'aprile del 1941; nel luglio 1941 inizia un'insurrezione generale da parte della popolazione e dei partigiani comunisti. I rinforzi consentono al corpo di occupazione italiano di riprendere il controllo della situazione in circa un anno. I partigiani torneranno in Montenegro nella primavera del 1943, tanto da rendere necessario l'intervento delle truppe tedesche a sostegno della repressione italiana.  (fonte

La Divisione rientra in Italia nell'agosto 1942 -e infatti nel foglio matricolare di Domenico leggiamo la data del 29- e viene dislocata in Piemonte, nella zona di Alessandria-Novi Ligure, per poi trasferirsi in Francia a novembre (il 10, leggiamo nel foglio matricolare).

Domenico si trova nella Francia meridionale, a nord di Tolone, lungo la costa nella zona di Cuers, tra Mèounes-lès-Montrieux, Pierrefeu e Carnoules.

Nel 1943 la Divisione resta nella Francia meridionale, a presidiare la zona a nord di Tolone e a est del porto, fino a settembre.

L'Italia occupa la Francia meridionale tra il 1940 e il 1943, fino all'armistizio dell'8 settembre. La Divisione Taro è impegnata -nel XXII Corpo d'armata- nella difesa del cosiddetto Primo settore, che si estende dal lago di Ginevra sino a Bandol.  
I partigiani francesi approfittano della caduta del fascismo per attaccare le forze di occupazione italiana, che fino a quel momento hanno mantenuto una linea morbida; nuove disposizioni restrittive in materia di ordine pubblico non vengono realmente attuate a causa della fine dell'occupazione italiana. 
Il governo di Pietro Badoglio dà inizio al ritiro delle truppe, ridislocandole in Italia. Si prevede di lasciare truppe italiane solo nel saliente nizzardo compreso tra il confine e la linea Tinea-Varo. L'Italia si impegna a lasciare alla Germania il pieno controllo dell'area entro il 9 settembre.  (fonte)

In questa bella foto con i suoi commilitoni,
Domenico Strollo è con la camicia chiara, senza giacca.

La cattura e l'internamento in Germania

L'8 settembre 1943 viene reso noto l'armistizio firmato con gli Alleati e inizia una nuova fase della guerra.

L'8 settembre l'evacuazione delle truppe italiane non è ancora completata: circa 100mila uomini sono lasciati nelle mani dei tedeschi, che impegnano contro gli italiani tre divisioni con mezzi corazzati e motorizzati. Gli italiani cercano di resistere ma molti sono costretti alla resa. I soldati che riescono a evitare la cattura cercano di riorganizzarsi in territorio italiano, con un ripiegamento nella zona di Cuneo-Mondovì; l'11 settembre, però, dopo aver isolato il grosso delle truppe italiane, i tedeschi hanno già conquistato Torino, Alessandria, Asti, Alba, Bra e Vercelli.  (fonte) 

Domenico Strollo risulta fatto prigioniero dei tedeschi già il giorno 9. Come molti suoi commilitoni, inizia la deportazione in Germania, finalizzata al lavoro coatto.

Un altro valvese si trova in Francia in questi giorni, ma riesce a sottrarsi alla prigionia e trova ospitalità presso una famiglia borghese a Pianfei, in provincia di Cuneo: è Michele Cecere, che aderirà alla lotta partigiana dal luglio 1944 al giugno 1945.

Sappiamo con certezza che Domenico Strollo è prigioniero in Germania: risulta nello Stalag VI D, a Dortmund. 

Stalag VI, Dortmund; fonte

Sul sito di Ravizza Editore troviamo alcune preziose informazioni sullo Stalag VI. 
Dopo i bombardamenti del maggio 1944, nei quali persero la vita oltre cento prigionieri, le condizioni dei vita diventano catastrofiche: l'unico ingrediente dei pasti sono le patate. Il campo sarà completamente distrutto nei mesi successivi; verranno installate grandi tende (da 400 a 500 prigionieri) divise per nazionalità. 
Molti prigionieri riescono a fuggire, approfittando dei bombardamenti. Particolarmente grave il bilancio del bombardamento del 12 marzo  1945, che provoca moltissime vittime, anche a causa del divieto di accesso ai rifugi sotterranei della città di Dortmund per i prigionieri di guerra. 
Secondo un racconto orale raccolto dal nostro blog, anche il valvese Minente Figliulo è riuscito a fuggire in seguito a un bombardamento. 
I due compaesani si saranno incontrati nel campo?

fonte

Prigionieri di guerra nello Stalag VI; fonte

Il 7 aprile 1945 (oppure l'8 maggio, secondo altri documenti) Domenico Strollo viene liberato dalle truppe alleate, che lo trattengono fino all'11 agosto.

Il figlio Francesco ricorda che Domenico era impiegato in un'azienda agricola. Non siamo ancora riusciti a trovare documenti più precisi in merito.

Una geografia appresa in guerra

Soldato in Africa, poi impegnato su due fronti di guerra in Europa, infine internato militare in Germania: la geografia che Domenico Strollo ha imparato sui campi di battaglia e in quello di prigionia testimonia le conseguenze della politica espansionistica del regime fascista -già accennata in quelle lontane parole pronunciate, mentre egli stava nascendo, da Mussolini a Bologna- e la rottura dell'Asse, prodotta dall'armistizio dell'8 settembre 1943; una rottura che ha reso particolarmente duro l'atteggiamento dei tedeschi verso i soldati italiani. 

In questo significativo fotomontaggio, accanto a Domenico Strollo
ci sono due figli carabinieri: Mario (sx) e Francesco

Approfondimenti

Un video sulla presenza italiana nei Balcani: 1941: Italia in guerra- Fuoco nei Balcani

Il blog "la ràdica" ha dedicato il podcast IL GIORNO DOPO alle conseguenze dell'8 settembre 1943, dal punto di vista dei soldati valvesi; in particolare, Domenico Strollo viene citato nell'episodio 🎧La prima resistenza, terza parte; si veda anche il post 👉Otto valvesi prigionieri.

Alla figura del partigiano Michele Cecere il blog "la ràdica" ha dedicato diversi post:


Il blog Gozlinus ha dedicato un bel post a Mario Strollo, figlio di Domenico, tenente dell'Arma dei carabinieri. 

Un cordiale ringraziamento ai figli Gerardo, Mario e Francesco per la gentile collaborazione.

G.V.



01 ottobre 2022

OTTO VALVESI PRIGIONIERI

Dopo l'8 settembre diversi valvesi vengono fatti prigionieri dai tedeschi in Jugoslavia, Albania, Grecia, Dodecaneso. 
Di sei prigionieri valvesi non siamo però in grado di indicare il luogo di cattura né, in quasi tutti i casi, il fronte di guerra.

Mastrolia Carmine, classe 1923, fante
Carmine Mastrolia risulta prigioniero dall'8 settembre.
E' giunto alle armi nel gennaio 1943, assegnato al 67.mo Reggimento Fanteria in Como. Il suo reggimento nel settembre 1943 risulta in Puglia; a fine settembre, sarà la prima grande unità militare del nuovo Esercito Cobelligerante Italiano, che combatterà accanto alle forze alleate. 
Non siamo ancora in grado di dire dove sia stato catturato il fante valvese.

Mastrolia Onofrio, classe 1923, fante
Nemmeno di un altro fante valvese, Onofrio Mastrolia, siamo in grado di indicare con precisione il luogo di cattura. 
Sappiamo che anche lui è giunto alle armi nel gennaio 1943, assegnato al 49.mo Reggimento Fanteria in Ascoli Piceno. 
Nel settembre 1943 il reggimento risulta impegnato in Albania. Di Onofrio Mastrolia l'Archivio Arolsen conserva un documento significativo: la scheda compilata dagli Alleati il 9 luglio 1945. Egli sarà rimpatriato l'8 settembre 1945, esattamente due anni dopo la cattura. 
Negli anni successivi, emigrerà in Francia.

Spiotta Sabino, classe 1920 
Risulta prigioniero dei tedeschi il 12 settembre 1943 e rimpatriato il 4 agosto 1945. E' assegnato al reparto distrettuale Savona. In un documento degli Archivi Arolsen risulta presente in Germania dal 1 gennaio al 7 aprile 1945: è probabilmente un elenco di internati che lavorano in un'azienda in Bassa Sassonia; nel foglio che alleghiamo, si nota la nazionalità degli altri prigionieri: polacchi, ucraini, olandesi.

Si notino due refusi: Solino al posto di Spiotta e Valoa al posto di Valva

Torsiello Pietro, classe 1920, fante
Quando il 22 aprile 1939 è dichiarato abile e arruolato, Pietro Torsiello rinuncia al beneficio del congedo anticipato; è chiamato alle armi nel febbraio 1940, assegnato all'85.mo Reggimento Fanteria. 
A questo punto, la sua storia diventa difficile da ricostruire.
Il prezioso sito www.regioesercito.it informa che il reggimento è impegnato in Africa; viene sciolto nel 1941 a causa delle gravi perdite subite; nei mesi successivi, con i superstiti anche di altri reggimenti viene costituito il Reggimento di Fanteria "Sabratha", sciolto poi nell'estate 1942 nella zona di El Alamein. Il personale e il materiale superstiti vengono trasferiti al 61.mo Reggimento Fanteria della Divisione "Trento", che a sua volta sarà sciolto per eventi bellici il 25 novembre 1942. 
Seguendo le vicende del reggimento al quale è stato assegnato, dobbiamo ipotizzare che Pietro Torsiello sia stato in Africa, ma il documento custodito negli Archivi Arolsen  che pubblichiamo ne testimonia sicuramente la presenza in Germania come internato militare italiano. 
Il documento è un elenco, redatto a Monaco nel 1946; Pietro Torsiello risulta in Germania dal settembre 1944 all'aprile 1945.

Falcone Giuseppe, classe 1915, fante
Il soldato Giuseppe Falcone risulta assegnato al 90.mo Reggimento Fanteria Salerno. Il reggimento risulta in Russia; dopo il rimpatrio, viene sciolto dopo l'8 settembre, mentre è ancora in fase di riordinamento in Lombardia. Al comune di Valva risulta fatto prigioniero di guerra il12 settembre, mentre nella sua scheda nell'Archivio IMI la data di cattura risulta il 25 settembre.
Un documento custodito negli Archivi Arolsen riporta il nome  della località presso la quale egli lavorava. Non siamo ancora in grado di indicare il luogo e le circostanze della cattura. 

Nelle convulse vicende del "giorno dopo", cioè a partire dall'indomani dell'annuncio dell'armistizio, altri soldati valvesi vengono fatti prigionieri dai tedeschi, in zone sicuramente diverse dai Balcani. Di questi soldati, conosciamo il fronte in cui sono stati catturati e, in due casi, anche il luogo preciso: in Italia, evidentemente prima della nascita della Repubblica di Salò (che avverrà il 23 settembre 1943).

Strollo Domenico, classe 1921
Risulta catturato sul fronte francese il 9 settembre.
Non conosciamo il luogo preciso. Di lui conosciamo il campo di internamento, lo Stalag VI D, a Dortmund. 

Strollo Giuliano, classe 1921, fante
Assegnato al 4 Reggimento Fanteria Carrista, è catturato il 10 settembre a Vercelli

Perna Michele, classe 1923, fante
Risulta catturato a Trieste. Il suo reggimento, il 24.mo Fanteria, è in territorio jugoslavo, con compiti di presidio e controguerriglia. 

Falcone Giuseppe è il numero 284; Kr.Gef. significa "prigioniero di guerra"


🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sui valvesi prigionieri o caduti nella Seconda guerra mondiale.


Blog


Questi i post più recenti dedicati agli altri prigionieri valvesi:


G.V.

21 settembre 2022

L'8 SETTEMBRE AL DI LA' DELL'ADRIATICO

Le conseguenze dell'armistizio reso pubblico l'8 settembre 1943 sono particolarmente drammatiche per i soldati italiani di stanza nei Balcani e nell'Egeo. 

In questo post analizzeremo in particolare la situazione in Albania.

L'Italia nei Balcani

Con la guerra italo-turca, l’Italia ha occupato le isole del Dodecaneso e l’Epiro settentrionale, un territorio tra Albania e Grecia, di fronte all’isola di Corfù, isola che viene occupata nel 1923.

Nel 1914 l'Italia occupa l'Albania, e dal 1917 al 1920 esercita un protettorato sul piccolo stato balcanico.

Nell’aprile 1939, dopo che Hitler ha occupato la Cecoslovacchia, Mussolini invade l’Albania.

Aprile 1939: l'Italia invade l'Albania

L'illusione della neutralità italiana dopo l'8 settembre

Dopo l'8 settembre 1943, i soldati italiani di stanza nei Balcani e in Grecia devono decidere se consegnarsi ai tedeschi o combatterli.

Si diffonde l'illusione che l'Italia possa rimanere neutrale per evitare ritorsioni tedesche. E' un approccio che condanna le forze italiane, che non prendono iniziative a differenza dei tedeschi.

L'annuncio dell'armistizio coglie di sorpresa i soldati italiani, che non sapevano nulla delle trattative; essi non ricevono un ordine diretto di disarmare i tedeschi, a decidere son i singoli comandanti. 

Alla forze nel Mar Egeo viene ordinato di disarmare i tedeschi solo in caso di "prevedibili atti di forza" da parte di questi ultimi. Nella notte dell'8 settembre, il Comando Supremo dà indicazioni di non fare atti ostili contro i tedeschi; questo determinerà un atteggiamento passivo da parte dei comandi italiani nella regione. L'11 settembre finalmente le direttive sono chiare: bisogna attaccare i tedeschi; è tardi, però: le divisioni italiane in gran parte si sono già arrese. 

Mentre dall'Italia non arrivano ordini, i tedeschi occupano aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, vie di comunicazione; ancora una volta, essi si muovono seguendo un piano ben preciso. Promettono di rimpatriare le truppe italiane in cambio del disarmo, ma poi non manterranno gli impegni presi. 

La situazione in Albania

Tra il 25 luglio e l'8 settembre, le forze tedesche sono state autorizzate a occupare tutti gli aeroporti. Le forze italiane sono inferiore a quelle tedesche. 

Nella foto dell'Istituto Luce, una folla di albanesi a Tirana
ascolta il discorso di entrata in guerra dell'Italia; fonte

La sera dell'8 settembre arriva l'ordine di reagire ai tedeschi per non essere disarmati; non si deve però prendere l'iniziativa di atti ostili contro i tedeschi. L' 11 settembre, il comando italiano è circondato: tutti gli ufficiali sono fatti prigionieri. 

I tedeschi fanno opera di propaganda: distribuiscono manifestini che promettono il ritorno in patria agli italiani. Molti soldati sperano di tornare in Italia.  

Un soldato ingannato due volte

Pensiamo a un soldato di Valva catturato in Albania: Enrico Santovito. 

Sappiamo che è stato catturato l'11 novembre. La sua famiglia ha raccontato un episodio relativo alla sua liberazione: fu ingannato e si trovò su un treno diretto in Unione Sovietica; a Praga si accorse dell'inganno e, dopo un mese trascorso a racimolare il denaro necessario al viaggio di ritorno, partì per l'Italia. Potrebbe essere stato ingannato dai tedeschi in Albania e dai sovietici in Germania.


Bibliografia

Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino

Podcast

Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi


G.V.

20 settembre 2022

IL GIORNO IN CUI NACQUERO GLI IMI

Come già avvenuto dopo il 25 luglio, gli italiani interpretano la firma dell’armistizio come la fine della guerra; subentra però subito la preoccupazione: cosa faranno i tedeschi? Gli angloamericani sbarcheranno ancora?

La risposta arriva subito: i tedeschi occupano le città, applicando un piano già pronto; gli angloamericani sbarcano a Salerno già il 9 settembre.

Quando i tedeschi capiscono che ci sarà uno sbarco nell’Italia del Sud, il comando tedesco dà un ultimatum all’Italia, presentando alcune richieste e minacciando l’immediato disarmo delle truppe italiane. 

La maggioranza dell’esercito italiano viene colta di sorpresa, quello tedesco è invece già preparato.

Le direttive "criminali" sui prigionieri italiani

Il 10 e il 12 settembre vengono emanate dalla Germania alcune direttive che uno storico tedesco in un suo libro sugli internati militari nei campi di concentramento in Germania ha definito “criminali”.

Quale trattamento si deve riservare ai soldati italiani?

Chi aderisce alla proposta di combattere al fianco della Germania, può conservare le armi e viene trattato come un soldato tedesco.

Chi non vuole collaborare, deve essere inviato nei campi di internamento in Germania o in altri paesi alleati, come prigioniero di guerra.

Chi si schiera apertamente al fianco dei partigiani, viene fucilato se è un ufficiale, impiegato come forza lavoro nei territori dell’est Europa se è un semplice soldato.

In questa prima fase nelle direttive tedesche si parla di prigionieri di guerra; soltanto il 20 settembre 1943, su ordine di Hitler, agli italiani catturati viene attribuita la denominazione di internati militari: in questo modo, essi non sono tutelati dalle convenzioni internazionali, anche se è una decisione del tutto arbitraria dal punto di vista del diritto internazionale.

Un appello all'aperto, nel mese di gennaio 1944.
La foto è tratta da: Ho scelto la prigionia, di Vittorio Vialli (il Mulino); fonte

Lo sbando

Tra l'8 il 9 settembre i tedeschi prendono possesso di aeroporti, stazioni ferroviari, centrali dei telefoni e delle poste; cercano di controllare le principali vie di comunicazione; entrano nelle caserme italiane e chiedono il disarmo delle truppe.

In mancanza di ordini precisi da parte del Comando italiano, molti generali e ufficiali fuggono; diversi soldati vengono consegnati nelle caserme, dopo sono poi catturati dai tedeschi, In altri casi, sono invitati a "sbandarsi" e a tornare a casa.

Il "colpo grosso"

Il disarmo degli italiani viene definito a Berlino "il colpo grosso": l'ultima vittoria militare tedesca prima della fine della guerra, scrive lo storico Nicola Labanca.

Su un milione di soldati italiani, solo qualche decina di migliaia sceglie la strada dell'adesione alla Wehrmacht o addirittura alle SS: una via che sembra garantire il ritorno in Italia.

Come scrive lo stesso Labanca,

dalla Francia, dai Balcani, dall'Italia, lunghi treni, spesso piombati, portarono in poche settimane centinaia di migliaia di militari nei vasti territori del Reich, dai confini con la Francia alla Polonia. Chiusi a decine in vagoni senza servizi, senza o con poco cibo, senza indicazioni sul logo di destinazione, non di rado ingannati (a molti in servizio nei Balcani era stato detto che sarebbero stati portati in Italia), sottoposti a violenze e perfino uccisi alla minima resistenza, il viaggio dal luogo di cattura a quello di prima detenzione [...] fu sempre ricordato dai soldati italiani internati come un incubo, come il precipitare in un abisso senza speranza.

fonte

Bibliografia

Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino

Nicola Labanca, Prigionieri, internati, resistenti- Memorie dell' "altra Resistenza", Editori Laterza


Podcast

Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi


G.V.

09 settembre 2022

IL GIORNO DOPO

Nei giorni 8 e 9 settembre il nostro blog ha pubblicato due numeri del podcast IL GIORNO DOPO, dedicato proprio alle vicende dei soldati valvesi in quei giorni.

Gli episodi hanno dei titoli a nostro avviso significativi:

- L'ORA GRAVE DELLA NOSTRA STORIA

- LO SBANDO

In questo post proviamo a fare una sintesi dei due episodi e a mettere in evidenza alcuni punti che riguardano i soldati valvesi.

L'annuncio dell'armistizio

Alle 19.42 dell'8 settembre 1943, il Capo del Governo italiano, il Maresciallo Pietro Badoglio, pronuncia questo drammatico comunicato:


La riscoperta dolente della patria

Dall'episodio LO SBANDO riportiamo queste parole di Natalia Ginsburg:

“Le strade e le piazze delle città, teatro un tempo della nostra noia di adolescenti e oggetto del nostro altezzoso disprezzo, diventarono i luoghi che era necessario difendere. Le parole «patria» e «Italia», che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall'aggettivo «fascista», perché gonfie di vuoto, ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D'un tratto alle nostre orecchie risultarono vere. Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava.

La morte della patria?
Dello stesso episodio, segnaliamo questa scena di un celebre film dedicato all'8 settembre 1943:
Tutti a casa, di Luigi Comencini, 1960

Vicende dei valvesi

Dopo l’8 settembre iniziano alcune settimane di assenza di autorità e di ordini chiari: i soldati italiani si trovano così costretti a scegliere se combattere al fianco dei tedeschi o no.

I soldati più a rischio sono quelli dislocati nei Balcani (in particolare sul fronte greco-albanese), e nelle isole del Dodecaneso.

Lo dimostrano le vicende dei soldati valvesi: tre di loro cadono a Rodi, Cefalonia e Corfù proprio all’indomani dell’8 settembre, nei giorni dello scontro con l’esercito tedesco; altri sono fatti prigionieri dai tedeschi in Croazia, Albania, Grecia e nelle isole dell’Egeo che costituivano il possedimento italiano.

Ecco i loro nomi:

Alfonso Feniello, 32 anni

Giuseppe Macchia, 32 anni

Enrico Fusella, 21 anni

A loro nei mesi scorsi abbiamo dedicato il post La prima resistenza.

In questa prima fase dello scontro tra italiani e tedeschi, un soldato valvese viene fatto prigioniero a Vercelli, il 10 settembre: è Giuliano Strollo, di Erberto, classe 1921.

Un altro valvese sarà fatto prigioniero a Trieste, ma qualche giorno più tardi, il 14: Michele Perna di Martire, classe 1923: aveva da poco compiuto vent’anni.

Michele Cecere l'’8 settembre lascia la Francia, il 9 è già in Piemonte, ospitato da una famiglia borghese a Pianfei, in provincia di Cuneo, come riporta il suo foglio matricolare. Resterà in Piemonte e dal luglio 1944 al giugno 1945 prenderà parte alla lotta partigiana.

A Michele Cecere abbiamo dedicato il post Il partigiano di Valva.

Il ritorno degli "sbandati"

Dopo l'annuncio dell'armistizio, i soldati dislocati in Italia si tolgono la divisa e scappano, per raggiungere casa; spesso sono aiutati da civili, che offrono loro abiti per la fuga.

Sarebbe interessante ricostruire le tappe del ritorno a casa dei soldati valvesi dopo l'8 settembre.

Confondiamo nella memoria orale: i racconti dei nostri soldati sono stati affidati ai figli e poi ai nipoti. Riportarli alla luce potrà essere utile a ricostruire un momento importante della nostra storia nazionale e locale. 

G.V.


16 luglio 2022

MA L'AMORE NO

Terzo episodio del podcast IL GIORNO DOPO, dedicato alle conseguenze dell'8 settembre 1943, dal punto di vista dei soldati valvesi.

Con questo episodio inizia un percorso di approfondimento dedicato alle canzoni degli anni Trenta-Quaranta; il primo argomento è la canzone d'amore.

Ascoltare le canzoni che i nostri soldati hanno cantato, magari mentre erano prigionieri, è un modo per ricostruire il loro mondo e per conoscerli un po' più da vicino.



Il podcast è disponibile sulle seguenti piattaforme:

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G.V.