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07 maggio 2025

IL SUONO DELLA FESTA: IL TAMBURO DI SAN MICHELE

Non è semplice stabilire quando sia cominciata, a Valva, la tradizione del tamburo di San Michele. 
Certe cose ci sono, si tramandano, si portano avanti ed è bello così, ma legarle a un contesto o a un avvenimento può farcele sentire più vicine e apprezzare ancora di più.
Prima dell'alba, nei giorni che precedono la festa patronale dell'8 maggio, mentre tutto dorme un tamburo gira per il piccolo borgo.
Un rullare amico, un suono che precede la luce e dà segno / della festa che viene -direbbe il poeta- ed a quel suon diresti / che il cor si riconforta.
Dal 2012, il tamburo è affidato al signor Michelino Cuozzo, che lo suona con dedizione -e gratuitamente- ogni mattina della novena. «È giusto portare avanti certe tradizioni, finché si riesce», ci dice.  
Qualche anno fa ha rinunciato al compenso che il comitato festa voleva riconoscergli e ha chiesto che con quei soldi fosse comprato il tamburo, come è stato fatto. 
Ecco il signor Michelino in azione:

Un tamburo per far tornare i soldati a casa
Le testimonianze finora raccolte ci riportano agli anni del dopoguerra. 
La signora Feodora D'Ambrosio collega la tradizione proprio a quel contesto storico. Finita la guerra, le mamme attendevano il ritorno a casa dei figli che erano al fronte. A suo avviso è probabile che l'usanza di suonare il tamburo per la festa di San Michele sia nata come atto di devozione, insieme all'abitudine in quel periodo di fare molte processioni per ottenere il ritorno dei soldati. Il comitato della festa patronale ricompensava il suonatore del tamburo con un chilo di pane al giorno.
Ricorda una scena in particolare: una madre gettatasi ai piedi di una statua in processione, disperata per il mancato ritorno dei due figli.
C'è un episodio molto significativo legato al tamburo.
Uno dei primi a suonarlo -ricorda zia Dora- era il signor Matteo Cozza. Quando si ammalò gravemente, la moglie fu costretta ad andare a vendere il tamburo a Oliveto e col ricavato riuscì a comprare un po' di pasta per la sua numerosa famiglia (otto figli, due erano morti bambini).
La signora Antonia, vedendo il marito rattristato per la perdita del tamburo a cui era tanto affezionato, gli promise che lo avrebbero ricomprato una volta guarito.
Purtroppo Matteo morì nel 1953, a poco più di cinquant'anni.

I ricordi di zio Antonio
Dai ricordi rimasti in paese, altri nomi emergono tra i suonatori del tamburo negli anni del dopoguerra.
Antonio Cozza e Giuseppe Alfano, ad esempio. 
Zio Antonio – recentemente scomparso – suonava un tamburo appartenente a Bonaventura Megaro, storico maestro di banda. Ricordava che, per un certo periodo, era Michele Alfano detto Girinea, l’altro capobanda del paese, a scegliere chi dovesse suonarlo. Zio Antonio ha raccontato anche un episodio buffo: una mattina, nel silenzio dell’alba, mentre faceva rullare il suo tamburo tra i vicoli deserti del centro storico, trovò un uomo ubriaco addormentato all’aperto, davanti alla chiesa madre. 

Il recupero della tradizione
Verso la fine degli anni Ottanta,  il signor Pietro Cozza raccontava ad alcuni nipoti di quando, anni prima, organizzava le feste patronali di Valva. 
Grande appassionato di musica, aveva persino fondato una propria banda musicale. Con il terremoto, però, gli strumenti andarono perduti; tutti, tranne un tamburo, che riuscì a recuperare.
Fu proprio da quei racconti che nacque l’idea di riportare in vita la tradizione del tamburo di San Michele. Il tamburo venne sistemato, e così due nipoti di zio Pietro — prima Salvatore, poi suo fratello Michele — ripresero la tradizione, più o meno all’inizio degli anni Novanta.

Quando una tradizione è viva
Quando ero uno studente delle medie, ho contribuito a realizzare un giornalino di classe in cui ho curato la pagina dedicata al tamburo di San Michele. Qualche anno fa, il blog "Gozlinus" ha pubblicato quella pagina: 

fonte

A distanza di quasi quaranta anni da quelle semplici frasi- scritte a macchina dalla mia professoressa di italiano- continuo a pensare che il tamburo "sta a indicare la gioia della popolazione per la festa in arrivo", anche se forse sono meno convinto che la tradizione affondi "le radici nella notte dei tempi", ma non è importante. Perché se una tradizione non è antica, non necessariamente perde valore; la sua forza si misura nella capacità di continuare a parlarci: di far sognare i bambini, di far attendere una festa di paese con le bancarelle, di confortare il sonno fragile di una persona anziana, di strappare il primo sorriso della giornata.
A tenerla viva è anche la sua capacità di adattarsi senza perdere identità, di rinnovarsi senza snaturarsi. 
Quest'anno, ad esempio, il signor Michelino è stato accompagnato da un gruppetto di persone, tra le quali il parroco e in un caso anche il sindaco. 
Un sorriso all'alba
(foto tratta dalla pagina Facebook
della Parrocchia San Giacomo Apostolo)
Alcune famiglie hanno lasciato il caffè pronto davanti alla porta, una signora ha accolto il piccolo gruppo offrendo dei cioccolatini. 
Un caffè per il suonatore
(foto di Stefania Feniello)
Piccole storie, di ieri e di oggi, che sono come dei battiti che fanno capire che il cuore di una piccola comunità è vivo.

Questo post è poca cosa, ma è dedicato alla memoria del signor Antonio Cozza la cui voce ho riascoltato -con emozione- mentre scrivevo queste righe.

Un cordiale ringraziamento:
Al signor Michelino Cuozzo, innanzitutto per la dedizione con cui consente a questa tradizione di conservarsi e anche per la sua preziosa testimonianza (grazie anche alla figlia Valentina che l'ha raccolta).
Alla signora Feodora D'Ambrosio, che ha condiviso i suoi ricordi e ha offerto un'interessante chiave di interpretazione della tradizione.
Alla signora Marinella Cozza, che ha raccolto la testimonianza del caro papà Antonio.
Alla signora Norma Caldarone, che ha consentito di ricostruire le vicende del recupero della tradizione.
Alla signora Stefania Feniello, autrice del video e della foto del caffè.
Alla signora Anna Cecere, nipote del signor Matteo Cozza, che ha contribuito a ricostruire la storia del tamburo di famiglia.
G.V.

23 marzo 2025

LEGGERE UN VESTITO, ASCOLTARNE LA VOCE

23 marzo
Giornata dell'abito tradizionale valvese

In occasione del Giorno della Pacchiana, il blog "la ràdica" pubblica un album dedicato al vestito della nostra identità: si intitola 👉 L'abito delle nostre radici (basta cliccare sul titolo per vederlo).

La copertina

Ecco la prefazione al lavoro:

Quello che un abito racconta

Il Giorno della Pacchiana è un’occasione per riscoprire e onorare le tradizioni legate al vestito tradizionale della nostra comunità, simbolo di identità, cultura e memoria.
In questa giornata rendiamo omaggio alla nostra storia attraverso un abito che parla di amore e sacrificio.
Quello da “pacchiana”, infatti, non è solo un abito, non è solo tessuto; è un viaggio che attraversa le generazioni, portando con sé la forza di una tradizione, le emozioni racchiuse nei ricordi e i legami che sfidano il tempo.
Di molti abiti restano solo le foto, testimonianze silenziose di momenti che il tempo ha reso immortali. Donne che sorridono nell'eterno spazio della memoria, donne in posa, fiere e consapevoli della propria identità, del loro ruolo nella famiglia e nella comunità. Nei loro abiti trasmettono orgoglio e dignità. L'esuberanza delle giovani, la compostezza delle anziane: diverse modalità di esprimere la propria femminilità.
Alcuni abiti, per fortuna, si sono conservati e ancora ci parlano.
Ogni abito racconta l’amore e la dedizione con cui è stato tramandato e custodito, diventando simbolo di un affetto che va oltre le epoche. Lo stupore che proviamo oggi nel contemplarlo nasce dal sentimento del legame profondo che unisce il passato al presente in un abbraccio senza tempo.

La pagina introduttiva

Un esempio di pagina dedicata a una parte dell'abito

La presentazione del corpetto

La dedica

Alla Giornata del costume tradizionale valvese, che potremmo sintetizzare con Il Giorno della Pacchiana, abbiamo dedicato i seguenti post:

22 giugno 2024

SETTEMBRE 1943: UN DOCUMENTARIO SUI CIVILI NASCOSTI NELLA GROTTA DI SAN MICHELE

Un documentario dedicato al settembre 1943, dopo lo sbarco alleato a Salerno.
All'ombra delle tue ali raccoglie testimonianze di valvesi relative al settembre 1943
Gli Americani risalgono il corso del fiume Sele.
A Valva, i tedeschi hanno il loro comando nella Villa d'Ayala-Valva.
All'arrivo degli Americani, i civili si rifugiano nelle grotte della montagna e della stessa villa d'Ayala.
In particolare, un nutrito gruppo di persone trova rifugio nella grotta di San Michele Arcangelo.
Foto di Valentino Cuozzo
Il primo episodio ha un titolo che viene dalla liturgia: INTROIBO.
È la prima parola di un breve rito di ingresso nella messa in latino: Mi accosterò all'altare del Signore. La parola assume il valore di "introduzione". 
L'episodio introduttivo ha due sorprese: la prefazione scritta da don Lorenzo Cuozzo e l'audio del canto tradizionale valvese dedicato a San Michele -dal titolo Il principe forte- cantato da un gruppo di donne e registrato dall'allora parroco mons. Domenico Cruoglio.
Ecco un brano tratto dalla prefazione:

In questo scenario tremendo anche la nostra piccola comunità venne sconvolta. Per sfuggire ai possibili bombardamenti aerei molti dei nostri compaesani salirono alla grotta di San Michele e nelle grotte adiacenti nella convinzione di trovare maggiore sicurezza rispetto al centro abitato.

Questa situazione che vide ospitati tanti valvesi nella «casa» del loro Protettore non ha davvero eguali nella storia della nostra comunità.

Foto di Valentino Cuozzo

Oltre ai racconti raccolti dai testimoni di quei giorni, nei prossimi episodi pubblicheremo altre strofe dell'inno a San Michele. Un piccolo omaggio alla tradizione culturale e religiosa di Valva.

G.V.

18 giugno 2024

L'ABBRACCIO DEL SOLDATO

La signora Gerardina Cecere ha 89 anni e vive ormai da tempo a Bellizzi, anche se è rimasto forte il suo legame con Valva e con i tanti nipoti della numerosa famiglia Cecere.

Abbiano chiesto a sua nipote Lucia di raccoglierne la testimonianza sul periodo della guerra e in particolare i ricordi relativi al settembre 1943, quando Valva ha visto lo scontro tra tedeschi e americani.

"Ho chiesto a zia se se la sentiva di raccontare dove erano, dove sono andati e come hanno vissuto quei momenti così difficili; lei ha fatto un cenno con la testa e ha iniziato il suo racconto", ci dice Lucia.

Ecco il suo racconto:

Abitavamo in paese, papà era già morto; io avevo più o meno otto anni. Siamo andati via portando poche cose. Eravamo io, mamma, le tre sorelle più grandi [lei le chiama r guagliott, le ragazze], mia sorella Maria che era piccola e mio fratello Bruno. Michele, l'altro fratello, non era con noi: era partito per fare il soldato e poi si è trovato a fare la guerra.

In questa foto del 1957, zia Gerardina è la donna in alto a destra. 
Accanto a lei, il fratello Michele e la sorella Carmela.
Davanti a zia Gerardina, sua madre Antonia Fasano.
La donna al centro è la signora Angela, sorella di Antonia.
In basso da sinistra, Maria Giuseppa (che indossa un segno di lutto) e Maria.
Mancano la sorella Annita (già emigrata in Argentina) e il fratello Bruno.

Uno scorcio di via Pistelli sotto Chiesa, dove abitava la famiglia;
fonte
Nel 1943, la sorella più piccola, Maria, aveva due anni: la mamma di Lucia, che ha raccolto questa testimonianza. 

Ci siamo trovati con altre famiglie, tra cui una con cui eravamo molto legati: la famiglia di Carmela Torsiello.

Carmela Torsiello è la signora che ci ha raccontato i suoi ricordi del tempo di guerra nel post Quando la montagna è un rifugio. Ci siamo occupati anche della vicenda di suo zio Francesco, morto nella Grande Guerra combattendo con l'esercito americano. 

Ci siamo rifugiati in contrada Elice; eravamo in tanti ma noi siamo stati sempre con questa famiglia. C'era una grande masseria ma molti erano accampati anche fuori, nei terreni e nel fango. Ricordo i tanti animali, anche i maiali. Di giorno gli uomini andavano nei campi e tornavano la sera, portando i viveri che riuscivano a trovare.

Non ricordo di preciso quando mio fratello Michele è tornato, ma ricordo che noi eravamo ancora all'Elice; quando è tornato aveva i vestiti tutti rotti e strappati, ha raccontato che glieli avevano dati delle persone lungo il tragitto di ritorno.

Il fratello Michele Cecere:
ha partecipato alla spedizione in Russia
ed è riuscito a sopravvivere alla tragica ritirata

Come trascorrevi le giornate?

Ricordo che stavo sempre con un bambino -un fratello di Carmela- che aveva più o meno la mia età; badavamo agli animali e quando sentivamo gli aerei sopra di noi scappavamo. 

Quando siamo tornati dall'Elice, prima di tornare a casa nostra siamo rimasti ancora un po' con questa famiglia. Alla fine della guerra [dopo che i tedeschi si erano ritirati], io e il mio amico scendevamo sempre in strada perché passavano i soldati e ci davano caramelle e biscotti. Li aspettavamo ogni giorno. 

Ricordo che una volta eravamo in prossimità della contrada Piro Verde; eravamo seduti su un muro, un soldato è sceso dal camion, si è lavato la faccia alla fontana e ha bevuto, poi mi ha guardato, mi ha abbracciata e mi ha detto che aveva a casa una figlia piccola come me.

Un po' più a valle c'erano anche degli accampamenti dei soldati, con tante tende. Le mie tre sorelle maggiori, Maria Giuseppa, Carmela e Annita, andavano a lavare i panni a questi soldati alla fontana della Pedina, in cambio di viveri. 

Il ricordo dell'accampamento militare è confermato da altri racconti. Ad esempio, l'avvocato Michele Gaudiosi ricorda quello tedesco nella zona di campagna Ortaglio, subito alla fine dell'abitato, e in contrada Pantanito: in effetti sono le zone che anche la zia Gerardina ricorda.  

Dopo un po' di tempo siamo tornati a casa nostra, in paese. La nostra vita è ripresa: io badavo a tua madre che era piccola, mamma e le sorelle più grandi lavoravano nei campi, i miei fratelli andavano anche a giornata nelle terre del marchese.

Una foto che non c'è più

Il terremoto del 1980 tra le altre cose s'è portato via una foto della famiglia Cecere fatta -come si usava al tempo- nel monumento ai caduti in guerra. Nella foto c'era ancora papà Peppino ma non ancora la figlia più piccola, Maria: possiamo dunque ipotizzare che sia stata scattata nel 1940. 

Era stata scattata perché la famiglia aveva il progetto di trasferirsi in Africa (verosimilmente in Libia): una scelta sicuramente suggerita dalla propaganda del regime fascista, che vedeva nella "quarta sponda" una possibile risposta all'atavica mancanza di terra dei contadini italiani, in questo caso meridionali. 

Nella foto, una ragazza con la "tovaglia" in testa (il fazzoletto tradizionalmente indossato dalle contadine); secondo Lucia -che ricorda bene la foto e da bambina ne ha sentito raccontare la storia- sotto quella tovaglia c'era un volto malinconico, perché la ragazza non voleva partire, visto che era fidanzata.

L'anno dopo papà Peppino sarebbe morto e tutti i progetti sarebbero cambiati.

La ragazza che non voleva partire sarebbe diventata mia nonna.

🙏Un ringraziamento speciale a Lucia Farella per la sua preziosissima collaborazione.

Approfondimenti
La testimonianza della signora Michela Feniello: Ricordo ancora il dolce di quelle caramelle
I ricordi dell'avvocato Michele Gaudiosi: GozlinusValva, 1943 

G.V.

28 settembre 2023

ALL'OMBRA DELLE TUE ALI: IL SETTEMBRE '43 NEI RICORDI DEI VALVESI (seconda parte)

Continua il nostro viaggio tra i ricordi legati al settembre 1943, quando nei valvesi la paura del conflitto tra tedeschi e americani si è aggiunta alla preoccupazione che da oltre tre anni avevano per le sorti dei giovani soldati al fronte.
Il punto di osservazione per il racconto degli eventi è quello della grotta di San Michele: quasi un nido incastonato nella roccia e un rifugio nel settembre 1943 per tante famiglie valvesi.

Foto di Valentino Cuozzo
Il settembre '43 al fronte
Settembre è il mese in cui cadono tre soldati valvesi e in cui circa venti vengono fatti prigionieri dai tedeschi, nelle convulse settimane dopo la proclamazione dell'armistizio.
In questo momento, i soldati valvesi all'estero sono dispiegati in gran parte sul fronte greco-albanese, in particolare nel Dodecaneso (ad esempio Rodi, Coo) e nelle isole greche (ad esempio Creta, Cefalonia e Corfù). Per loro il destino è segnato: la prigionia.
Il settembre del 1943 è anche il mese in cui i cosiddetti "sbandati" tornano a casa, ma non siamo ancora in grado di ricostruire le loro vicende. Certamente i tempi di rientro sono legati al punto in cui si trovavano i soldati; abbiamo anche esempi di soldati di stanza in Italia che sono rimasti al loro posto (in Sardegna e in Calabria ad esempio).

Il settembre '43 a Valva
La memoria orale ha fissato alcuni eventi, rendendoli patrimonio immateriale e prezioso delle famiglie. Raccontarli ora in forma scritta è sicuramente tardivo, ma forse non sarà inutile. 
In questo percorso ci guideranno ricordi di vario genere. 
Diamo la parola ai valvesi che hanno vissuto quegli avvenimenti e  per fortuna ancora sono tra noi; riportiamo e sintetizziamo alcuni racconti già pubblicati; leggiamo i racconti che alcuni testimoni hanno fatto ai loro figli negli anni. 

Panorama di Valva in una cartolina spedita nel 1926
dal marchese D'Ayala-Valva a suo nipote,
il celebre musicista Giacinto Scelsi; fonte

Il racconto di Michele Gaudiosi
In un suo scritto del 2012 dal titolo👉Valva 1943 pubblicato da Gozlinus, Michele Gaudiosi racconta come i valvesi si accorsero che qualcosa di particolare stava accadendo: guardie armate a presidiare gli accessi a Villa d'Ayala, automobili scoperte con a bordo ufficiali con molte medaglie al petto che salivano da piazza Calvario lungo il viale che conduce al castello. Suo padre sentì a Radio Londra la notizia che il quartier generale delle forze armate tedesche del Sud Italia aveva sede "in un piccolo paese del Mezzogiorno" e capì che stavano parlando di Valva. 
Citiamo direttamente dal testo di Michele Gaudiosi: 

In me è ancora vivissimo il ricordo di una Piazza Calvario intasata da grandi uniformi scattanti in impeccabili saluti militari. Fra di loro, purtroppo, si aggiravano, tetre, le funebri uniformi nere delle onnipotenti SS, lugubri spettri della dittatura più infame nella storia dell’umanità.

La testimonianza di Michele Gaudiosi sarà ancora utilissima quando parleremo delle famiglie rifugiatesi all'interno di Villa d'Ayala.

I ricordi delle nonne di Valva
Nelle scorse settimane ho intervistato due tra le donne più anziane di Valva, chiedendo loro un ricordo di quel drammatico mese di ottanta anni fa.
La signora Marietta Marciello aveva undici anni quando si è nascosta con la famiglia nella grotta San Michele e quella, più piccola, detta di Paulo.
Nell'intervista pubblicata nel post 👉"Tu sai la storia e io i fatti": la guerra a Valva nei racconti di una testimone, zia Marietta ha raccontato che un uomo cucinava per le famiglie rifugiate e rassicurava i bambini dando la colpa delle fiamme a pastori che non avevano spento il fuoco in montagna. Ricorda ancora che dormivano sui "curm" -gli steli su cui la madre metteva lenzuola portate dalla loro abitazione non lontana- e che dormivano all'aperto.
La signora Carmela Torsiello mi ha raccontato che la sua famiglia aveva un capanno sotto la montagna, in contrada Elice, che servì da rifugio. 

Contrada Elice, una "carcara" (forno per ridurre le pietre in calce);
foto di Valentino Cuozzo
Anche il parroco di Valva, don Lorenzo Spiotta era con loro e la signora ricorda ancora il dettaglio della tonaca strappata.
Zia Carmela ha poi raccontato un pericolo corso mentre scendeva dalla montagna a dorso dell'asino.
La sua intervista è nel post 👉Quando la montagna è rifugio: i ricordi di zia Carmela.

I civili salvati parlando in inglese
C'è un episodio che torna in due racconti raccolti in queste settimane. I protagonisti sono diversi, ma l'azione è la stessa e identico è il risultato del loro intervento, per fortuna positivo.
Gli americani sono insospettiti dal fumo che si leva dalla montagna, in più punti. Un valvese che conosce l'inglese parla con i soldati e spiega che nelle grotte in montagna non ci sono tedeschi nascosti ma solo civili spaventati dalla guerra.
La signora Marietta ricorda che l'intervento provvidenziale è stato di Vito Iannuzzi, che viveva in America. 
Valentino Cuozzo ricorda che la madre, la signora Margherita Mastrolia, gli raccontava un episodio simile: in un posto chiamato "le grotticelle", al di sopra della grotta di San Michele e di quella di Paulo, suo padre Michele -che era stato in America nei primissimi anni del Novecento- aveva fatto la stessa cosa.
Non vedo contraddizione nei due racconti: nulla toglie che possano essere entrambi corretti; in un contesto in cui gruppi di famiglie si rifugiavano dove potevano, non si può escludere che una stessa situazione si sia presentata in modalità simili, con protagonisti diversi. 
Ricordiamo che già negli anni Ottanta dell'Ottocento è attestato un notevole flusso migratorio negli Stati Uniti e che alcune famiglie avevano poi fatto ritorno a Valva, con bambini nati in America.

I tedeschi a Valva nei racconti di Aristide
Marco Cuoco ci rivela questo episodio che gli ha raccontato suo padre Aristide:

Mio padre mi raccontava che i tedeschi andavano tra le masserie in cerca di ragazze; egli stesso fu testimone di una richiesta molto esplicita fatta da uomini del comando tedesco a una persona di loro fiducia, di Valva; questa persona indicò due ragazze. In quel periodo la loro famiglia  si era trasferita dal paese in contrada Bosco; mio padre corse ad avvisare la madre delle ragazze, che subito fece scappare le figlie in montagna o comunque in un posto sicuro. I tedeschi effettivamente andarono a casa a cercare le ragazze e non le trovarono.

A quel tempo Aristide aveva già perso suo padre, Michele Cuoco, caduto in guerra nell'Africa Orientale. Riposa ad Addis Abeba.
Aristide raccontava al figlio anche altri episodi relativi a quel periodo; uno mi colpisce particolarmente perché fonde cronaca e leggenda, a dimostrazione di come alcuni episodi cruenti possano condizionare l'immaginario collettivo e dare origine a episodi di suggestione:

In contrada Arenale alcuni tedeschi furono uccisi e sepolti proprio nei pressi della fontana che si trova lì. I corpi vennero successivamente recuperati dai tedeschi, ma è rimasto il racconto secondo cui in un particolare momento dell'anno da quelle parti si sentiva un plotone marciare, con passi pesanti di soldati.

L'abbattimento dell'aereo americano ha impressionato molto i valvesi ed è rimasto a lungo nei loro racconti; è comprensibile che ne esistano più varianti. 
Nel primo episodio di questo nostro viaggio nel settembre 1943 a Valva abbiamo riportato la testimonianza -raccolta da Salvatore Cuozzo- del signor Antonio Falcone
Ecco come il signor Aristide raccontava l'episodio al figlio:
L'aereo americano fu abbattuto sulla zona dei Lagarielli. Mio padre si era nascosto come gli altri valvesi nelle grotte, ma essendo un ragazzino durante il giorno andava un po' in giro e si spingeva fin sopra il "Rutunno", un punto  pericoloso ma panoramico; da lì lui e i suoi amici si sporsero e videro il bombardiere americano abbattuto.  
Mio padre ricordava che i piloti furono arsi vivi e finiti con le forche.

Il cosiddetto "Rutunno" (la punta in alto a sx),
foto di Valentino Cuozzo, con adattamento

Dai racconti che ho raccolto in paese emerge anche un altro dettaglio: uno dei piloti sarebbe stata una donna. 
Non ho trovato altri riscontri di questo elemento -certamente significativo- ma capisco che possa essersi sedimentato nella memoria. 
Me lo conferma Matteo Pierro, dell'Associazione Salerno 1943: la storia di una donna pilota è molto frequente nei racconti legati agli abbattimenti aerei. "Su oltre 40 crash site che abbiamo investigato -continua- questa storia ricorre in almeno una ventina di essi. Si tratta di distorsioni legate alla trasmissione orale dei racconti".
Credo che la storia non sia solo costituita da fatti suffragati da documenti; anche analizzare i meccanismi della trasmissione dei racconti e della formazione della memoria collettiva -e forse individuale- merita la massima attenzione.

Leggo che le cosiddette WASP [Piloti del servizio femminile dell'aeronautica] avevano principalmente l'incarico di trasportare gli aerei appena costruiti dal luogo di fabbricazione al punto di decollo, ma alcune di loro parteciparono anche all'addestramento dei piloti e altre furono addirittura istruttrici; inoltre, trasportarono personale e merci militari e fecero diversi voli di prova.  fonte 1
Le WASP non erano considerate militari a tutti gli effetti e i corpi di quelle cadute venivano riportati a casa a spese della famiglia, senza onori militari e senza nemmeno la bandiera sulla bara.  fonte 2

Lo scampato pericolo della famiglia Freda 
Un post del blog "Gozlinus" del dicembre 2020 riporta la bella 👉testimonianza di Antonio Freda:

C'era ancora il pericolo di subire bombardamenti e questa eventualità spinse le persone a rifugiarsi in luoghi ritenuti più sicuri della propria casa. Molti ripararono nelle grotte del parco [di Villa d'Ayala, ndr.]; noi ci sistemammo nella cantina della casa di mio nonno paterno, ubicata tre piani sottostanti la strada. 
Il silenzio, che almeno in quel momento regnava, fu violentemente rotto da un'insistente bussata. Quando mio padre aprì il portone si ritrovò fra le braccia un giovane tedesco completamente insanguinato. A pochi passi dall'ingresso della nostra casa c'era il castello che ospitava i tedeschi: che fare? Papà non aveva altra possibilità che portarlo presso i suoi compatrioti. Dopo uno scambio infruttuoso di spiegazioni, gli intimarono di seguirli nel parco; adagiato su un muretto, a torso nudo, vide il giovane tedesco, al quale stavano disinfettando le ferite, che lo salutò agitando la mano. Successivamente appurammo che era stato gravemente ferito a Colliano dallo scoppio di una bomba a mano, le cui schegge si erano conficcate nella sua schiena.
Papà tornò dopo ore. Ci abbracciammo piangendo prima e dopo il suo racconto e sorbimmo un bel caffè d'orzo per brindare allo scampato pericolo.
 
Un cordiale ringraziamento alle persone che hanno collaborato a questo post, rendendolo possibile grazie ai loro ricordi e alla loro consulenza.
Un pensiero rispettoso alle persone citate nel post e non più con noi.

***2- Continua***

Approfondimenti
Ecco la prima parte di  questa ricostruzione del settembre 1943 vissuto a Valva:
👉All'ombra delle tue ali: la grotta di San Michele rifugio dei valvesi nel settembre 1943 

G.V.

27 settembre 2023

ALL'OMBRA DELLE TUE ALI: LA GROTTA DI SAN MICHELE RIFUGIO DEI VALVESI NEL 1943 (prima parte)

Quando si salgono gli ultimi scalini che portano alla Grotta di San Michele e guardi verso il cielo, la volta rocciosa sembra abbracciarti.

Sono parole dell'autore di questa foto, Valentino Cuozzo, e ne costituiscono una bella didascalia.

Quell'abbraccio i valvesi lo hanno cercato nel settembre 1943, quando dal cielo e dalla terra arrivavano i colpi della guerra. 

La popolazione civile -anche con qualche sfollato che veniva da altri centri- si  rifugia sui monti, in particolare nelle grotte.

La montagna sacra 

I valvesi nel 1943 non potevano vedere lo scorcio come appare in questa foto recente, ma anche essi hanno sicuramente avuto un'impressione di maestosa potenza:

foto di Valentino Cuozzo

Non sapevano che anche la montagna si sarebbe scrollata di dosso un po' del suo peso, meno di quaranta anni dopo, la sera del terremoto del 1980 (nella seconda, fortissima scossa, quella della notte).

La montagna di San Michele, montagna sacra, ne conosce di storie. 

Ricavata nella roccia del monte Eremita, la grotta dedicata a San Michele è legata all'opera di evangelizzazione dei monaci basiliani, già prima dell'anno Mille. 

Grotta di San Michele, facciata; foto di Valentino Cuozzo

Il santo -è noto- è rappresentato come un guerriero e per questo è stato considerato come protettore dai Bizantini, dai Longobardi e dai Normanni.

Grotta di San Michele, cappelletta con altare;
datata 1933, è 
stata restaurata di recente
(foto di Valentino Cuozzo)

Il contesto militare del 1943 nella Valle del Sele

Dopo l'annuncio dell'armistizio l'8 settembre e lo sbarco degli Alleati a Salerno il giorno seguente, la guerra tra tedeschi e americani arriva anche nella Valle del Sele, dove i tedeschi fanno azioni di guerriglia per rallentare l'avanzata della 45.ma Divisione di Fanteria alleata, che ha da poco occupato Eboli, poi Contursi Terme e si dirige verso Avellino, passando per l'Ofantina.

Il castello della Villa d'Ayala a Valva diventa per qualche giorno sede del comando di Albert Kesserling, comandante delle forze tedesche in Italia.

Secondo la testimonianza di Antonio Freda -raccolta da Gozlinus- il generale aveva fatto esporre sul tetto una enorme croce rossa, "ingannevole simbolo di solidarietà umana".

Kesserling comandò con notevole efficacia flotte aeree nel corso dell'invasione della Polonia, della campagna di Francia, della battaglia d'Inghilterra e dell'operazione Barbarossa.
Dall'estate del 1943 assunse il comando supremo delle forze tedesche in Italia e condusse la campagna difensiva contro gli Alleati. Represse il movimento di Resistenza e fu responsabile di numerosi crimini contro i partigiani e contro la protezione civile.  
Nel marzo 1945 comandò le forze germaniche sul fronte occidentale. 
Al processo di Venezia fu condannato a morte da un tribunale militare britannico per la responsabilità dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu poi commutata in ergastolo. Nel 1952 sarà rilasciato, senza peraltro aver mai rinnegato la sua lealtà al nazismo.

A Valva fa una visita lampo Wihelm Keitel, comandante dell'Oberkommando della Wehrmacht.

Wihelm Keitel nel 1942

Keitel sarà uno dei principali imputati al processo di Norimberga, dove sarà condannato a morte perché giudicato colpevole di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. 

Così è apparso il castello ai generali tedeschi: 

Il castello e l'oleificio visti da via San Biagio, Anni Trenta; fonte

I tedeschi restano nella Valle del Sele fino al 23-24 settembre, ci dice Pasquale Capozzolo, presidente dell'Associazione Avalanche 1943.

Il 22 settembre c'è uno scontro con gli americani a Oliveto Citra, durante il quale si assiste all'eroismo di Ernest Childersun nativo americano Creek dell'Oklahoma, Secondo Tenente della 45a Divisione di Fanteria. 

Childers sarà poi premiato con la Medaglia d'Onore per la sua azione eroica a Oliveto Citra. 

Esposto al fuoco di mitragliatrice, insieme a otto uomini attaccò il nemico. Nonostante una frattura al piede, Childers ordinò il fuoco di copertura e avanzò sulla collina, uccidendo da solo due cecchini che facevano fuoco da una casa nelle vicinanze; si mosse contro i nidi di mitragliatrice e uccise tutti gli occupanti di quello più vicino; continuò verso il secondo e lanciò delle pietre all'interno; quando i due occupanti del nido si alzarono, ne ucciso uno, mentre l'altro fu ucciso da uno degli otto soldati. Continuò la sua avanzata verso una casa più in alto sulla collina e, da solo, catturò un osservatore di mortai nemico.

Con queste parole si conclude la citazione della Medaglia d'Onore: 

La leadership eccezionale, l'iniziativa, la calma sotto il fuoco e lo straordinario eroismo dimostrato dal Secondo Tenente Childers furono una fonte di ispirazione per i suoi uomini.   fonte 

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L'aereo abbattuto a Valva

Intanto, a Valva -in località Lappito- la contraerea tedesca abbatte un aereo americano di questo modello:

L'associazione Salerno 1943 negli anni scorsi ha condotto alcune ricerche in contrada Lappito, di cui ha dato notizia il blog Gozlinus in tre post (5 e 18 settembre 2016, 26 settembre 2021); sono stati recuperati diversi pezzi dell'aereo.  

Nel 2016, il compianto Salvatore Cuozzo ha raccolto questa testimonianza di Antonio Falcone di Luigi, pubblicata sul blog Gozlinus:

Mentre stavo seduto con la mia famiglia davanti casa (contrada Lagarielli, ndr) sentimmo un forte rumore e vedemmo passare, a pochi metri dal tetto, (da ovest verso est, ndr) un aereo militare che perdeva fumo e si vedevano delle fiamme… Dopo pochi secondi vedemmo del fumo alzarsi da dietro la collina. Io incuriosito, nonostante i richiami dei miei genitori, corsi in direzione del fumo e in pochi minuti raggiunsi il punto dell’impatto (contrada Lappito, ndr). A pochi metri mi fermai, un po’ intimorito dalla scena del disastro e anche dalla presenza di alcuni soldati tedeschi vicino all’aereo in fiamme. I soldati, vedendomi, mi chiamarono facendomi segno di avvicinarmi a loro, cosa che feci ed ebbi modo di vedere … che il pilota era steso a terra vicino all’aereo morto e stava bruciando con la parte superiore del corpo avvolta nelle fiamme. I tedeschi, un po’ a parole, un po’ a segni   mi chiesero di trovare un bastone o un forcone…  Al mio ritorno, con il bastone portato da me, un soldato tedesco spinse nel fuoco ciò che rimaneva del corpo del pilota cremandolo definitivamente.    

Ecco alcuni resti della fusoliera dell'aereo:




*** 1- Continua***


Post scriptum
Mi è gradita l'occasione per ricordare Salvatore Cuozzo, appassionato di storia e di storia locale. Se il destino non avesse deciso diversamente, con molta probabilità l'ottantesimo anniversario degli eventi dell'estate 1943 lo avrebbe visto impegnato in un lavoro di ricerca migliore di questo che avete appena letto.

Approfondimenti
Stiamo ricostruendo le vicende vissute dalla popolazione civile a Valva nel 1943 attraverso alcuni post; ecco quelli già pubblicati:
👉"Tu sai la storia e io i fatti": la guerra vissuta a Valva nei racconti di una testimone"
👉La divisa del sabato e gli ordigni bellici: la guerra  della piccola Marietta
Per approfondire, si rimanda a questi post di Gozlinus:
👉Ricordi del nostro passato
👉Valva 1943: storia di uno scampato pericolo

Segnaliamo due interessanti testi della sezione Ricordi del blog Gozlinus:
👉Michele Gaudiosi, Valva 1943 
👉Mario Valletta, Valvesi doc 

 G.V.