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28 settembre 2023

ALL'OMBRA DELLE TUE ALI: IL SETTEMBRE '43 NEI RICORDI DEI VALVESI (seconda parte)

Continua il nostro viaggio tra i ricordi legati al settembre 1943, quando nei valvesi la paura del conflitto tra tedeschi e americani si è aggiunta alla preoccupazione che da oltre tre anni avevano per le sorti dei giovani soldati al fronte.
Il punto di osservazione per il racconto degli eventi è quello della grotta di San Michele: quasi un nido incastonato nella roccia e un rifugio nel settembre 1943 per tante famiglie valvesi.

Foto di Valentino Cuozzo
Il settembre '43 al fronte
Settembre è il mese in cui cadono tre soldati valvesi e in cui circa venti vengono fatti prigionieri dai tedeschi, nelle convulse settimane dopo la proclamazione dell'armistizio.
In questo momento, i soldati valvesi all'estero sono dispiegati in gran parte sul fronte greco-albanese, in particolare nel Dodecaneso (ad esempio Rodi, Coo) e nelle isole greche (ad esempio Creta, Cefalonia e Corfù). Per loro il destino è segnato: la prigionia.
Il settembre del 1943 è anche il mese in cui i cosiddetti "sbandati" tornano a casa, ma non siamo ancora in grado di ricostruire le loro vicende. Certamente i tempi di rientro sono legati al punto in cui si trovavano i soldati; abbiamo anche esempi di soldati di stanza in Italia che sono rimasti al loro posto (in Sardegna e in Calabria ad esempio).

Il settembre '43 a Valva
La memoria orale ha fissato alcuni eventi, rendendoli patrimonio immateriale e prezioso delle famiglie. Raccontarli ora in forma scritta è sicuramente tardivo, ma forse non sarà inutile. 
In questo percorso ci guideranno ricordi di vario genere. 
Diamo la parola ai valvesi che hanno vissuto quegli avvenimenti e  per fortuna ancora sono tra noi; riportiamo e sintetizziamo alcuni racconti già pubblicati; leggiamo i racconti che alcuni testimoni hanno fatto ai loro figli negli anni. 

Panorama di Valva in una cartolina spedita nel 1926
dal marchese D'Ayala-Valva a suo nipote,
il celebre musicista Giacinto Scelsi; fonte

Il racconto di Michele Gaudiosi
In un suo scritto del 2012 dal titolo👉Valva 1943 pubblicato da Gozlinus, Michele Gaudiosi racconta come i valvesi si accorsero che qualcosa di particolare stava accadendo: guardie armate a presidiare gli accessi a Villa d'Ayala, automobili scoperte con a bordo ufficiali con molte medaglie al petto che salivano da piazza Calvario lungo il viale che conduce al castello. Suo padre sentì a Radio Londra la notizia che il quartier generale delle forze armate tedesche del Sud Italia aveva sede "in un piccolo paese del Mezzogiorno" e capì che stavano parlando di Valva. 
Citiamo direttamente dal testo di Michele Gaudiosi: 

In me è ancora vivissimo il ricordo di una Piazza Calvario intasata da grandi uniformi scattanti in impeccabili saluti militari. Fra di loro, purtroppo, si aggiravano, tetre, le funebri uniformi nere delle onnipotenti SS, lugubri spettri della dittatura più infame nella storia dell’umanità.

La testimonianza di Michele Gaudiosi sarà ancora utilissima quando parleremo delle famiglie rifugiatesi all'interno di Villa d'Ayala.

I ricordi delle nonne di Valva
Nelle scorse settimane ho intervistato due tra le donne più anziane di Valva, chiedendo loro un ricordo di quel drammatico mese di ottanta anni fa.
La signora Marietta Marciello aveva undici anni quando si è nascosta con la famiglia nella grotta San Michele e quella, più piccola, detta di Paulo.
Nell'intervista pubblicata nel post 👉"Tu sai la storia e io i fatti": la guerra a Valva nei racconti di una testimone, zia Marietta ha raccontato che un uomo cucinava per le famiglie rifugiate e rassicurava i bambini dando la colpa delle fiamme a pastori che non avevano spento il fuoco in montagna. Ricorda ancora che dormivano sui "curm" -gli steli su cui la madre metteva lenzuola portate dalla loro abitazione non lontana- e che dormivano all'aperto.
La signora Carmela Torsiello mi ha raccontato che la sua famiglia aveva un capanno sotto la montagna, in contrada Elice, che servì da rifugio. 

Contrada Elice, una "carcara" (forno per ridurre le pietre in calce);
foto di Valentino Cuozzo
Anche il parroco di Valva, don Lorenzo Spiotta era con loro e la signora ricorda ancora il dettaglio della tonaca strappata.
Zia Carmela ha poi raccontato un pericolo corso mentre scendeva dalla montagna a dorso dell'asino.
La sua intervista è nel post 👉Quando la montagna è rifugio: i ricordi di zia Carmela.

I civili salvati parlando in inglese
C'è un episodio che torna in due racconti raccolti in queste settimane. I protagonisti sono diversi, ma l'azione è la stessa e identico è il risultato del loro intervento, per fortuna positivo.
Gli americani sono insospettiti dal fumo che si leva dalla montagna, in più punti. Un valvese che conosce l'inglese parla con i soldati e spiega che nelle grotte in montagna non ci sono tedeschi nascosti ma solo civili spaventati dalla guerra.
La signora Marietta ricorda che l'intervento provvidenziale è stato di Vito Iannuzzi, che viveva in America. 
Valentino Cuozzo ricorda che la madre, la signora Margherita Mastrolia, gli raccontava un episodio simile: in un posto chiamato "le grotticelle", al di sopra della grotta di San Michele e di quella di Paulo, suo padre Michele -che era stato in America nei primissimi anni del Novecento- aveva fatto la stessa cosa.
Non vedo contraddizione nei due racconti: nulla toglie che possano essere entrambi corretti; in un contesto in cui gruppi di famiglie si rifugiavano dove potevano, non si può escludere che una stessa situazione si sia presentata in modalità simili, con protagonisti diversi. 
Ricordiamo che già negli anni Ottanta dell'Ottocento è attestato un notevole flusso migratorio negli Stati Uniti e che alcune famiglie avevano poi fatto ritorno a Valva, con bambini nati in America.

I tedeschi a Valva nei racconti di Aristide
Marco Cuoco ci rivela questo episodio che gli ha raccontato suo padre Aristide:

Mio padre mi raccontava che i tedeschi andavano tra le masserie in cerca di ragazze; egli stesso fu testimone di una richiesta molto esplicita fatta da uomini del comando tedesco a una persona di loro fiducia, di Valva; questa persona indicò due ragazze. In quel periodo la loro famiglia  si era trasferita dal paese in contrada Bosco; mio padre corse ad avvisare la madre delle ragazze, che subito fece scappare le figlie in montagna o comunque in un posto sicuro. I tedeschi effettivamente andarono a casa a cercare le ragazze e non le trovarono.

A quel tempo Aristide aveva già perso suo padre, Michele Cuoco, caduto in guerra nell'Africa Orientale. Riposa ad Addis Abeba.
Aristide raccontava al figlio anche altri episodi relativi a quel periodo; uno mi colpisce particolarmente perché fonde cronaca e leggenda, a dimostrazione di come alcuni episodi cruenti possano condizionare l'immaginario collettivo e dare origine a episodi di suggestione:

In contrada Arenale alcuni tedeschi furono uccisi e sepolti proprio nei pressi della fontana che si trova lì. I corpi vennero successivamente recuperati dai tedeschi, ma è rimasto il racconto secondo cui in un particolare momento dell'anno da quelle parti si sentiva un plotone marciare, con passi pesanti di soldati.

L'abbattimento dell'aereo americano ha impressionato molto i valvesi ed è rimasto a lungo nei loro racconti; è comprensibile che ne esistano più varianti. 
Nel primo episodio di questo nostro viaggio nel settembre 1943 a Valva abbiamo riportato la testimonianza -raccolta da Salvatore Cuozzo- del signor Antonio Falcone
Ecco come il signor Aristide raccontava l'episodio al figlio:
L'aereo americano fu abbattuto sulla zona dei Lagarielli. Mio padre si era nascosto come gli altri valvesi nelle grotte, ma essendo un ragazzino durante il giorno andava un po' in giro e si spingeva fin sopra il "Rutunno", un punto  pericoloso ma panoramico; da lì lui e i suoi amici si sporsero e videro il bombardiere americano abbattuto.  
Mio padre ricordava che i piloti furono arsi vivi e finiti con le forche.

Il cosiddetto "Rutunno" (la punta in alto a sx),
foto di Valentino Cuozzo, con adattamento

Dai racconti che ho raccolto in paese emerge anche un altro dettaglio: uno dei piloti sarebbe stata una donna. 
Non ho trovato altri riscontri di questo elemento -certamente significativo- ma capisco che possa essersi sedimentato nella memoria. 
Me lo conferma Matteo Pierro, dell'Associazione Salerno 1943: la storia di una donna pilota è molto frequente nei racconti legati agli abbattimenti aerei. "Su oltre 40 crash site che abbiamo investigato -continua- questa storia ricorre in almeno una ventina di essi. Si tratta di distorsioni legate alla trasmissione orale dei racconti".
Credo che la storia non sia solo costituita da fatti suffragati da documenti; anche analizzare i meccanismi della trasmissione dei racconti e della formazione della memoria collettiva -e forse individuale- merita la massima attenzione.

Leggo che le cosiddette WASP [Piloti del servizio femminile dell'aeronautica] avevano principalmente l'incarico di trasportare gli aerei appena costruiti dal luogo di fabbricazione al punto di decollo, ma alcune di loro parteciparono anche all'addestramento dei piloti e altre furono addirittura istruttrici; inoltre, trasportarono personale e merci militari e fecero diversi voli di prova.  fonte 1
Le WASP non erano considerate militari a tutti gli effetti e i corpi di quelle cadute venivano riportati a casa a spese della famiglia, senza onori militari e senza nemmeno la bandiera sulla bara.  fonte 2

Lo scampato pericolo della famiglia Freda 
Un post del blog "Gozlinus" del dicembre 2020 riporta la bella 👉testimonianza di Antonio Freda:

C'era ancora il pericolo di subire bombardamenti e questa eventualità spinse le persone a rifugiarsi in luoghi ritenuti più sicuri della propria casa. Molti ripararono nelle grotte del parco [di Villa d'Ayala, ndr.]; noi ci sistemammo nella cantina della casa di mio nonno paterno, ubicata tre piani sottostanti la strada. 
Il silenzio, che almeno in quel momento regnava, fu violentemente rotto da un'insistente bussata. Quando mio padre aprì il portone si ritrovò fra le braccia un giovane tedesco completamente insanguinato. A pochi passi dall'ingresso della nostra casa c'era il castello che ospitava i tedeschi: che fare? Papà non aveva altra possibilità che portarlo presso i suoi compatrioti. Dopo uno scambio infruttuoso di spiegazioni, gli intimarono di seguirli nel parco; adagiato su un muretto, a torso nudo, vide il giovane tedesco, al quale stavano disinfettando le ferite, che lo salutò agitando la mano. Successivamente appurammo che era stato gravemente ferito a Colliano dallo scoppio di una bomba a mano, le cui schegge si erano conficcate nella sua schiena.
Papà tornò dopo ore. Ci abbracciammo piangendo prima e dopo il suo racconto e sorbimmo un bel caffè d'orzo per brindare allo scampato pericolo.
 
Un cordiale ringraziamento alle persone che hanno collaborato a questo post, rendendolo possibile grazie ai loro ricordi e alla loro consulenza.
Un pensiero rispettoso alle persone citate nel post e non più con noi.

***2- Continua***

Approfondimenti
Ecco la prima parte di  questa ricostruzione del settembre 1943 vissuto a Valva:
👉All'ombra delle tue ali: la grotta di San Michele rifugio dei valvesi nel settembre 1943 

G.V.

27 settembre 2023

ALL'OMBRA DELLE TUE ALI: LA GROTTA DI SAN MICHELE RIFUGIO DEI VALVESI NEL 1943 (prima parte)

Quando si salgono gli ultimi scalini che portano alla Grotta di San Michele e guardi verso il cielo, la volta rocciosa sembra abbracciarti.

Sono parole dell'autore di questa foto, Valentino Cuozzo, e ne costituiscono una bella didascalia.

Quell'abbraccio i valvesi lo hanno cercato nel settembre 1943, quando dal cielo e dalla terra arrivavano i colpi della guerra. 

La popolazione civile -anche con qualche sfollato che veniva da altri centri- si  rifugia sui monti, in particolare nelle grotte.

La montagna sacra 

I valvesi nel 1943 non potevano vedere lo scorcio come appare in questa foto recente, ma anche essi hanno sicuramente avuto un'impressione di maestosa potenza:

foto di Valentino Cuozzo

Non sapevano che anche la montagna si sarebbe scrollata di dosso un po' del suo peso, meno di quaranta anni dopo, la sera del terremoto del 1980 (nella seconda, fortissima scossa, quella della notte).

La montagna di San Michele, montagna sacra, ne conosce di storie. 

Ricavata nella roccia del monte Eremita, la grotta dedicata a San Michele è legata all'opera di evangelizzazione dei monaci basiliani, già prima dell'anno Mille. 

Grotta di San Michele, facciata; foto di Valentino Cuozzo

Il santo -è noto- è rappresentato come un guerriero e per questo è stato considerato come protettore dai Bizantini, dai Longobardi e dai Normanni.

Grotta di San Michele, cappelletta con altare;
datata 1933, è 
stata restaurata di recente
(foto di Valentino Cuozzo)

Il contesto militare del 1943 nella Valle del Sele

Dopo l'annuncio dell'armistizio l'8 settembre e lo sbarco degli Alleati a Salerno il giorno seguente, la guerra tra tedeschi e americani arriva anche nella Valle del Sele, dove i tedeschi fanno azioni di guerriglia per rallentare l'avanzata della 45.ma Divisione di Fanteria alleata, che ha da poco occupato Eboli, poi Contursi Terme e si dirige verso Avellino, passando per l'Ofantina.

Il castello della Villa d'Ayala a Valva diventa per qualche giorno sede del comando di Albert Kesserling, comandante delle forze tedesche in Italia.

Secondo la testimonianza di Antonio Freda -raccolta da Gozlinus- il generale aveva fatto esporre sul tetto una enorme croce rossa, "ingannevole simbolo di solidarietà umana".

Kesserling comandò con notevole efficacia flotte aeree nel corso dell'invasione della Polonia, della campagna di Francia, della battaglia d'Inghilterra e dell'operazione Barbarossa.
Dall'estate del 1943 assunse il comando supremo delle forze tedesche in Italia e condusse la campagna difensiva contro gli Alleati. Represse il movimento di Resistenza e fu responsabile di numerosi crimini contro i partigiani e contro la protezione civile.  
Nel marzo 1945 comandò le forze germaniche sul fronte occidentale. 
Al processo di Venezia fu condannato a morte da un tribunale militare britannico per la responsabilità dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu poi commutata in ergastolo. Nel 1952 sarà rilasciato, senza peraltro aver mai rinnegato la sua lealtà al nazismo.

A Valva fa una visita lampo Wihelm Keitel, comandante dell'Oberkommando della Wehrmacht.

Wihelm Keitel nel 1942

Keitel sarà uno dei principali imputati al processo di Norimberga, dove sarà condannato a morte perché giudicato colpevole di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. 

Così è apparso il castello ai generali tedeschi: 

Il castello e l'oleificio visti da via San Biagio, Anni Trenta; fonte

I tedeschi restano nella Valle del Sele fino al 23-24 settembre, ci dice Pasquale Capozzolo, presidente dell'Associazione Avalanche 1943.

Il 22 settembre c'è uno scontro con gli americani a Oliveto Citra, durante il quale si assiste all'eroismo di Ernest Childersun nativo americano Creek dell'Oklahoma, Secondo Tenente della 45a Divisione di Fanteria. 

Childers sarà poi premiato con la Medaglia d'Onore per la sua azione eroica a Oliveto Citra. 

Esposto al fuoco di mitragliatrice, insieme a otto uomini attaccò il nemico. Nonostante una frattura al piede, Childers ordinò il fuoco di copertura e avanzò sulla collina, uccidendo da solo due cecchini che facevano fuoco da una casa nelle vicinanze; si mosse contro i nidi di mitragliatrice e uccise tutti gli occupanti di quello più vicino; continuò verso il secondo e lanciò delle pietre all'interno; quando i due occupanti del nido si alzarono, ne ucciso uno, mentre l'altro fu ucciso da uno degli otto soldati. Continuò la sua avanzata verso una casa più in alto sulla collina e, da solo, catturò un osservatore di mortai nemico.

Con queste parole si conclude la citazione della Medaglia d'Onore: 

La leadership eccezionale, l'iniziativa, la calma sotto il fuoco e lo straordinario eroismo dimostrato dal Secondo Tenente Childers furono una fonte di ispirazione per i suoi uomini.   fonte 

fonte

L'aereo abbattuto a Valva

Intanto, a Valva -in località Lappito- la contraerea tedesca abbatte un aereo americano di questo modello:

L'associazione Salerno 1943 negli anni scorsi ha condotto alcune ricerche in contrada Lappito, di cui ha dato notizia il blog Gozlinus in tre post (5 e 18 settembre 2016, 26 settembre 2021); sono stati recuperati diversi pezzi dell'aereo.  

Nel 2016, il compianto Salvatore Cuozzo ha raccolto questa testimonianza di Antonio Falcone di Luigi, pubblicata sul blog Gozlinus:

Mentre stavo seduto con la mia famiglia davanti casa (contrada Lagarielli, ndr) sentimmo un forte rumore e vedemmo passare, a pochi metri dal tetto, (da ovest verso est, ndr) un aereo militare che perdeva fumo e si vedevano delle fiamme… Dopo pochi secondi vedemmo del fumo alzarsi da dietro la collina. Io incuriosito, nonostante i richiami dei miei genitori, corsi in direzione del fumo e in pochi minuti raggiunsi il punto dell’impatto (contrada Lappito, ndr). A pochi metri mi fermai, un po’ intimorito dalla scena del disastro e anche dalla presenza di alcuni soldati tedeschi vicino all’aereo in fiamme. I soldati, vedendomi, mi chiamarono facendomi segno di avvicinarmi a loro, cosa che feci ed ebbi modo di vedere … che il pilota era steso a terra vicino all’aereo morto e stava bruciando con la parte superiore del corpo avvolta nelle fiamme. I tedeschi, un po’ a parole, un po’ a segni   mi chiesero di trovare un bastone o un forcone…  Al mio ritorno, con il bastone portato da me, un soldato tedesco spinse nel fuoco ciò che rimaneva del corpo del pilota cremandolo definitivamente.    

Ecco alcuni resti della fusoliera dell'aereo:




*** 1- Continua***


Post scriptum
Mi è gradita l'occasione per ricordare Salvatore Cuozzo, appassionato di storia e di storia locale. Se il destino non avesse deciso diversamente, con molta probabilità l'ottantesimo anniversario degli eventi dell'estate 1943 lo avrebbe visto impegnato in un lavoro di ricerca migliore di questo che avete appena letto.

Approfondimenti
Stiamo ricostruendo le vicende vissute dalla popolazione civile a Valva nel 1943 attraverso alcuni post; ecco quelli già pubblicati:
👉"Tu sai la storia e io i fatti": la guerra vissuta a Valva nei racconti di una testimone"
👉La divisa del sabato e gli ordigni bellici: la guerra  della piccola Marietta
Per approfondire, si rimanda a questi post di Gozlinus:
👉Ricordi del nostro passato
👉Valva 1943: storia di uno scampato pericolo

Segnaliamo due interessanti testi della sezione Ricordi del blog Gozlinus:
👉Michele Gaudiosi, Valva 1943 
👉Mario Valletta, Valvesi doc 

 G.V.

09 settembre 2023

I VALVESI DELLA DIVISIONE ACQUI

 In memoria di

ALFONSO FENIELLO e GIUSEPPE MACCHIA

Divisione Acqui- Cefalonia e Corfù

Dispersi il 9 settembre 1943


Hanno l'impercettibile sussurro, 
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.

Giuseppe Ungaretti, Non gridate più



Oggi sono a Verona perché dovevo essere qui, davanti al Monumento Nazionale alla Divisione Acqui, i martiri di Cefalonia e Corfù. Le prime vittime della resistenza ai nazisti, che rifiutarono di consegnare le armi per non tradire il giuramento fatto al Re, anche se il Vittorio Emanuele III era in fuga e dal governo arrivavano comandi incerti e a volte contraddittori.

I valvesi nella Divisione Acqui
In particolare, sono qui perché due miei concittadini - soldati appartenenti al Battaglione mitraglieri di corpo d’armata della Divisone Acqui- risultano dispersi in combattimento il 9 settembre 1943.

Alfonso Feniello, dall'Africa Orientale a Cefalonia
Nasce a Valva il 2 agosto 1911, da Nicola a Maria Alfano. Da civile esercita il mestiere di mulattiere.
In occasione della guerra di Etiopia, il 5 novembre si arruola nella 140.ma legione in A.O.I. e viene assegnato al 4.o Battaglione Camicie Nere d'Africa con la ferma biennale.
Il 28 gennaio 1937 si imbarca a Napoli col piroscafo "Colombo" e il 5 febbraio sbarca a Massaua.
Il 18 agosto 2939 si imbarca a Mogadiscio per l'Italia, ma in seguito alla sospensione del rimpatrio sbarca a Massaua il 28 agosto e viene aggregato al 170.mo Reggimento Camicie Nere Asmara.
Finalmente il rimpatrio arriva e Alfonso può imbarcarsi a Massaua alla volta dell'Italia: sbarca a Napoli il 31 agosto 1939.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Alfonso è richiamato alle armi il 6 dicembre 1940, nel 110 Reggimento Mitraglieri autocarrati: è la Divisione Acqui.
Sbarca a Valona il 5 gennaio 1941 come aggregato alla Divisione Acqui  ed è a Cefalonia nel febbraio 1941.
Poi non abbiamo altre notizie di lui.
È ritenuto disperso a Cefalonia il 9 settembre 1943 per eventi bellici, come da atto notorio rilasciato dal Comune di Valva il 5 febbraio 1947. Verrà dichiarato “morto presunto a Cefalonia” da una sentenza del tribunale di Salerno nel 1956.  

Giuseppe Macchia 
Giuseppe Macchia nasce a Valva il 27 ottobre 1911, figlio di Giacomo e di Francesca Torsiello.

Dopo il servizio militare, viene richiamato alle armi il 12 febbraio 1935 e giunge al 39.mo Reggimento Fanteria 2.a Compagnia Richiamati. 
Parte per l'Eritrea col 3.o Battaglione speciale del 39.mo Fanteria mobilitato in A.O.I. Imbarcatosi a Napoli, sbarca a Massaua il 21 agosto 1935. E' inserito nel 4.o gruppo salmerie e carreggio d'intendenza, poi nel 17.mo Battaglione speciale intendenza A.O.
Nell'aprile 1937 si conclude la sua prima esperienza di guerra: infatti rientra è collocato in congedo illimitato e riceve il premio di smobilitazione.
Nel dicembre 1940 viene richiamato alle armi e giunge nel Deposito del 15.mo Reggimento Fanteria per passare nel 110 Battaglione mitraglieri: è la Divisione Acqui
Si imbarca a Bari e giunge a Valona l'11 dicembre.
Partecipa alle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera greco albanese  fino al 23 aprile 1941 (data in cui la Grecia firma la resa). 
Il 23 settembre 1942 è inviato in licenza straordinaria di 15 giorni per gravi motivi di famiglia.
Al rientro, partecipa alle operazioni di guerra in Balcania, nei territori greco e albanese dal 18 novembre 1942 all'8 settembre 1943.
Poi, un'annotazione aggiunta anni dopo ci informa che Giuseppe Macchia è stato ritenuto disperso in Corfù per eventi bellici il 9 settembre 1943, come da atto notorio rilasciato dal comune di Valva l'11 luglio 1947.

Un post di Gozlinus del giugno 2019 parla della loro vicenda e mostra anche le loro (rare) foto.
Della divisione Acqui fa parte anche Pasquale Cappetta, chiamato alle armi a maggio e fatto prigioniero a settembre. Sarà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A.  
Pasquale Cappetta in una foto risalente al periodo
in cui era emigrante in Germania; fonte: Gozlinus
Come abbiamo riportato in altri nostri post, di lui gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte


Approfondimento
Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sula Divisione Acqui:

03 agosto 2023

IL MISTERO DEI DUE CADUTI IN GUERRA CON LO STESSO NOME

È bello raccontare storie in cui tutti i tasselli siano al posto giusto, ma a volte capita di dover ammettere che i dubbi sono superiori ai dati accertati. Altre volte ci sono i dati e addirittura le foto, ma in paese non c'è più memoria delle persone.
Questo è uno dei casi.
Due caduti in guerra valvesi hanno lo stesso nome e sono di difficile identificazione: Giuseppe Macchia.
Giuseppe Macchia fu Giacomo (1911)
Il primo è nato nel 1911 ed è uno dei caduti della Divisione Acqui, a Corfù, il 9 settembre 1943. 
Ne abbiamo una foto grazie a un meritorio lavoro di una classe del liceo "G. Da Procida" di Salerno:
fonte
Ecco il suo atto di nascita:
Nel 1937, Giuseppe sposa Giacomina Cuozzo, a Caposele.
Non sono chiari imotivi di questa scelta degli sposi, visto che entrambi sono residenti a Valva, ma leggendo l'atto di matrimonio possiamo formulare un'ipotesi:

La mamma dello sposo, Francesca Torsiello (già defunta all'epoca del matrimonio) in questo documento risulta residente a Caposele.
Gli sposi potrebbero aver scelto di farle un omaggio celebrando il proprio matrimonio a Caposele (o più probabilmente al santuario di Materdomini, frazione di Caposele).
I genitori della sposa sono Michele Cuozzo (già defunto) e Maria Michela Di Leone. 
Non risultano figli negli anni successivi.
Giuseppe partecipa alle operazioni di guerra sul fronte albano-greco-jugoslavo fino alla resa della Grecia e riceve il distintivo del Regio Governo d'Albania. Successivamente è aggregato al Battaglione mitraglieri. 
Quando cade a Corfù, suo padre risulta già deceduto, come vediamo al monumento ai caduti a Valva: 

Giuseppe Macchia di Carmine (1921)
Nemmeno l'altro Giuseppe Macchia è stato identificato.
Nato a Valva il 24 settembre 1921 in via Madonna degli Angeli, è figlio di Carmine e di Anna Spiotta.
Quando Giuseppe nasce, suo padre Carmine è un pastore di trenta anni.
Il soldato risulta caduto il 1 agosto 1943.
Al Comune di Valva  con un evidente errore  risulta "ritenuto disperso in Atene nel settembre 1944 (sic!)".

Approfondimento

Ecco altri post in cui sono citati i due soldati:

Questo è un post di Gozlinus:

16 luglio 2023

L'INVOLONTARIO ARTEFICE

Avevamo vinto, avevamo sacrificato il fior fiore della nostra gioventù [...]. Ci si contendevano i termini [=i confini] sacri della Patria e c'erano in Italia dei democratici la cui democrazia consiste nel fare l'imperialismo per gli altri e nel rinnegarlo per noi (applausi) che ci lanciavano questa stolta accusa semplicemente perché intendevamo che il confine d'Italia al nord dovesse essere il Brennero dove sarà fin che ci sarà il sangue di un italiano in Italia (applausi). Intendevamo che il confine orientale fosse al Nevoso [in Slovenia] perché là sono i naturali giusti confini della Patria e perché non eravamo sordi alla passione di Fiume e perché portavamo nel cuore lo spasimo dei fratelli della Dalmazia perché infine sentivamo vivi e vitali quei vincoli di razza che non ci lega soltanto agli italiani da Zara a Ragusa ed a Cattaro [in Montenegro] ma che ci lega anche agli italiani del Canton Ticino, anche a quegli italiani che non vogliono più esserlo, a quelli di Corsica a quelli che sono al di là dell'Oceano, a questa grande famiglia di 50 milioni di uomini che noi vogliamo unificare in uno stesso orgoglio di razza (applausi). 
[...] Noi italiani del secolo XX abbiamo veduto la grande tragedia del compimento nazionale, noi che portiamo nel profondo del nostro animo il ricordo di tutti i nostri morti che sono la nostra religione, noi o cittadini d'Italia facciamo un solo giuramento un solo proposito: vogliamo essere gli artefici modesti ma tenaci delle sue fortune presenti e avvenire.

E' il 3 aprile 1921, la domenica dopo Pasqua, e al Teatro Comunale di  Bologna si tiene l'adunata dei fasci emiliani. Le parole di Benito Mussolini, non ancora Presidente del Consiglio, sembrano già preannunciare un futuro di guerra che incombe sull'Italia: ci penserà il regime fascista a inculcare nelle menti e nei cuori degli italiani l'obiettivo di essere artefici della gloria della patria, a ogni costo, attraverso una politica espansionistica in nome dei "naturali giusti confini" e dell' "orgoglio di razza".

In quella stessa domenica a Valva nasce Domenico StrolloI genitori sono Francesco e Maria Giuseppa Cuoco.

La carriera militare

Il 4 maggio 1940 Domenico è dichiarato abile e arruolato.

Chiamato alle armi il 6 gennaio 1941, è assegnato al 43.mo Reggimento artiglieria in Africa Settentrionale, addetto al deposito munizioni e attrezzature; vi resta fino all'ottobre 1941.


Dai documenti risulta che la sua prima campagna di guerra è quella in Balcania: l'8 ottobre 1941, infatti, Domenico Strollo viene trasferito al 48.mo Reggimento artiglieria mobilitato in Montenegro, dove resterà fino al 29 agosto del 1942. 

Il Reggimento artiglieria "Taro" è un reparto della 48.ma Divisione di fanteria "Taro". Dopo la resa della Grecia, nell'aprile 1941, la Divisione è stata trasferita in Montenegro per presidiare il territorio e reprimere la resistenza locale.

L'occupazione italiana del Montenegro inizia con l'invasione del Regno di Jugoslavia, nell'aprile del 1941; nel luglio 1941 inizia un'insurrezione generale da parte della popolazione e dei partigiani comunisti. I rinforzi consentono al corpo di occupazione italiano di riprendere il controllo della situazione in circa un anno. I partigiani torneranno in Montenegro nella primavera del 1943, tanto da rendere necessario l'intervento delle truppe tedesche a sostegno della repressione italiana.  (fonte

La Divisione rientra in Italia nell'agosto 1942 -e infatti nel foglio matricolare di Domenico leggiamo la data del 29- e viene dislocata in Piemonte, nella zona di Alessandria-Novi Ligure, per poi trasferirsi in Francia a novembre (il 10, leggiamo nel foglio matricolare).

Domenico si trova nella Francia meridionale, a nord di Tolone, lungo la costa nella zona di Cuers, tra Mèounes-lès-Montrieux, Pierrefeu e Carnoules.

Nel 1943 la Divisione resta nella Francia meridionale, a presidiare la zona a nord di Tolone e a est del porto, fino a settembre.

L'Italia occupa la Francia meridionale tra il 1940 e il 1943, fino all'armistizio dell'8 settembre. La Divisione Taro è impegnata -nel XXII Corpo d'armata- nella difesa del cosiddetto Primo settore, che si estende dal lago di Ginevra sino a Bandol.  
I partigiani francesi approfittano della caduta del fascismo per attaccare le forze di occupazione italiana, che fino a quel momento hanno mantenuto una linea morbida; nuove disposizioni restrittive in materia di ordine pubblico non vengono realmente attuate a causa della fine dell'occupazione italiana. 
Il governo di Pietro Badoglio dà inizio al ritiro delle truppe, ridislocandole in Italia. Si prevede di lasciare truppe italiane solo nel saliente nizzardo compreso tra il confine e la linea Tinea-Varo. L'Italia si impegna a lasciare alla Germania il pieno controllo dell'area entro il 9 settembre.  (fonte)

In questa bella foto con i suoi commilitoni,
Domenico Strollo è con la camicia chiara, senza giacca.

La cattura e l'internamento in Germania

L'8 settembre 1943 viene reso noto l'armistizio firmato con gli Alleati e inizia una nuova fase della guerra.

L'8 settembre l'evacuazione delle truppe italiane non è ancora completata: circa 100mila uomini sono lasciati nelle mani dei tedeschi, che impegnano contro gli italiani tre divisioni con mezzi corazzati e motorizzati. Gli italiani cercano di resistere ma molti sono costretti alla resa. I soldati che riescono a evitare la cattura cercano di riorganizzarsi in territorio italiano, con un ripiegamento nella zona di Cuneo-Mondovì; l'11 settembre, però, dopo aver isolato il grosso delle truppe italiane, i tedeschi hanno già conquistato Torino, Alessandria, Asti, Alba, Bra e Vercelli.  (fonte) 

Domenico Strollo risulta fatto prigioniero dei tedeschi già il giorno 9. Come molti suoi commilitoni, inizia la deportazione in Germania, finalizzata al lavoro coatto.

Un altro valvese si trova in Francia in questi giorni, ma riesce a sottrarsi alla prigionia e trova ospitalità presso una famiglia borghese a Pianfei, in provincia di Cuneo: è Michele Cecere, che aderirà alla lotta partigiana dal luglio 1944 al giugno 1945.

Sappiamo con certezza che Domenico Strollo è prigioniero in Germania: risulta nello Stalag VI D, a Dortmund. 

Stalag VI, Dortmund; fonte

Sul sito di Ravizza Editore troviamo alcune preziose informazioni sullo Stalag VI. 
Dopo i bombardamenti del maggio 1944, nei quali persero la vita oltre cento prigionieri, le condizioni dei vita diventano catastrofiche: l'unico ingrediente dei pasti sono le patate. Il campo sarà completamente distrutto nei mesi successivi; verranno installate grandi tende (da 400 a 500 prigionieri) divise per nazionalità. 
Molti prigionieri riescono a fuggire, approfittando dei bombardamenti. Particolarmente grave il bilancio del bombardamento del 12 marzo  1945, che provoca moltissime vittime, anche a causa del divieto di accesso ai rifugi sotterranei della città di Dortmund per i prigionieri di guerra. 
Secondo un racconto orale raccolto dal nostro blog, anche il valvese Minente Figliulo è riuscito a fuggire in seguito a un bombardamento. 
I due compaesani si saranno incontrati nel campo?

fonte

Prigionieri di guerra nello Stalag VI; fonte

Il 7 aprile 1945 (oppure l'8 maggio, secondo altri documenti) Domenico Strollo viene liberato dalle truppe alleate, che lo trattengono fino all'11 agosto.

Il figlio Francesco ricorda che Domenico era impiegato in un'azienda agricola. Non siamo ancora riusciti a trovare documenti più precisi in merito.

Una geografia appresa in guerra

Soldato in Africa, poi impegnato su due fronti di guerra in Europa, infine internato militare in Germania: la geografia che Domenico Strollo ha imparato sui campi di battaglia e in quello di prigionia testimonia le conseguenze della politica espansionistica del regime fascista -già accennata in quelle lontane parole pronunciate, mentre egli stava nascendo, da Mussolini a Bologna- e la rottura dell'Asse, prodotta dall'armistizio dell'8 settembre 1943; una rottura che ha reso particolarmente duro l'atteggiamento dei tedeschi verso i soldati italiani. 

In questo significativo fotomontaggio, accanto a Domenico Strollo
ci sono due figli carabinieri: Mario (sx) e Francesco

Approfondimenti

Un video sulla presenza italiana nei Balcani: 1941: Italia in guerra- Fuoco nei Balcani

Il blog "la ràdica" ha dedicato il podcast IL GIORNO DOPO alle conseguenze dell'8 settembre 1943, dal punto di vista dei soldati valvesi; in particolare, Domenico Strollo viene citato nell'episodio 🎧La prima resistenza, terza parte; si veda anche il post 👉Otto valvesi prigionieri.

Alla figura del partigiano Michele Cecere il blog "la ràdica" ha dedicato diversi post:


Il blog Gozlinus ha dedicato un bel post a Mario Strollo, figlio di Domenico, tenente dell'Arma dei carabinieri. 

Un cordiale ringraziamento ai figli Gerardo, Mario e Francesco per la gentile collaborazione.

G.V.