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23 ottobre 2024

FLAVIO, LIBERATO NELL'ALBA DELLA RISCOSSA EUROPEA

Abbiamo già raccontato la storia di Flavio Caldarone  e della sua  "guerra infinita": prima in Africa Settentrionale (gennaio 1941), poi in Albania (settembre 1941), quindi in Francia (novembre 1942). Catturato dopo le vicende dell'8 settembre 1943, viene liberato dagli Alleati l'8 ottobre 1944 e torna in Italia, ancora nell'esercito (il suo foglio matricolare riporta varie tappe, fino al congedo del 1946).

Una bella foto di Flavio Caldarone
Un dato in particolare colpisce la nostra attenzione: Flavio risulta liberato già nell'ottobre 1944, dunque a questa data non può che trovarsi in Francia, visto che i Lager in Germania e nei paesi occupati dai nazisti saranno liberati a partire dalla data -rimasta simbolica- del 27 gennaio 1945.

Dal foglio matricolare di Flavio Caldarone; Archivio di Stato di Salerno

Anche se dedicato all'analisi della cattura degli internati militari in altri contesti geografici, il prezioso lavoro di Maria Teresa Giusti (Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945) ci fornisce delle cifre interessanti:

In totale dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi disarmarono, su 2.000.000 di effettivi, 1.007.000 italiani. Di questi, 197 mila circa riuscirono a sfuggire alla deportazione dandosi alla fuga; dei rimanenti [...], 197.000 aderirono alla collaborazione con i tedeschi nel periodo tra la cattura e la primavera del 1944.  [...] Le reazioni delle 35 divisioni dislocate all’estero e delle 24 in Italia furono diverse: in Italia centrale e settentrionale consegnarono le armi 416 mila militari, a Roma e nel sud 102 mila, nella Francia meridionale circa 59 mila. [p.35]

Quanti hanno scelto di collaborare con i tedeschi (e con la Repubblica di Salò)?

I “fedeli all’alleanza” o i “recuperati immediatamente all’alleanza”, cioè subito dopo l’8 settembre, come li aveva definiti il comando supremo della Wehrmacht, erano circa 94.000 italiani appartenenti a tutte le forze armate. Divisi per aree geografiche, dei 94.000 che aderirono immediatamente, 13.000 circa erano sul territorio nazionale, 32.000 in Francia e 49.000 nei Balcani. Di questi approssimativamente 20.000 appartenevano alla milizia volontaria fascista; i rimanenti alle forze armate regolari [pp.72-73]

Dunque, dei 59 mila soldati italiani catturati dai tedeschi in Francia, collaborano in 32mila: oltre la  metà. Tra questi, non c'è Flavio Caldarone, che resta in Francia come internato e viene liberato nell'ottobre 1944.

La liberazione della Francia

Cerchiamo di ricostruire il contesto nel quale è avvenuta la liberazione di Flavio.

Dopo lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, Parigi è liberata il 25 agosto.

Rimangono nella storia le parole del generale De Gaulle:

Parigi! Parigi oltraggiata! Parigi spezzata, Parigi martirizzata, ma Parigi libera! Libera da sola, liberata dal suo popolo con la collaborazione degli eserciti di Francia e il supporto e la cooperazione dell'intera nazione, di una Francia che combatte, dell'unica Francia, della vera Francia, della Francia eterna.

Dopo Parigi, gli Alleati si concentrano sulla liberazione del resto della Francia e avanzano verso il Reno, barriera naturale verso la Germania. I tedeschi, in ritirata, si difendono tenacemente. Solo tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 la Francia può dirsi liberata. Il comandante delle forze Alleate, Eisenhower, scriverà: "Senza i partigiani francesi la liberazione della Francia e la disfatta del nemico in Europa occidentale si sarebbero protratte molto più a lungo e ci sarebbero costate maggiori perdite".

Un'ipotesi

Non sappiamo quale sia stato il campo di prigionia di Flavio.

Proviamo comunque a fare un'ipotesi: lo Stalag XII, che ha avuto diverse dislocazioni; dall'ottobre 1943 al novembre 1944 lo troviamo nella città francese di Forbach, al confine con la Germania (oggi nella regione del Grand Est, che ha come capoluogo Strasburgo).

E' un'ipotesi ancora da verificare, ma ci sembra plausibile perché all'epoca la città di confine è di fatto annessa alla Germania (e in effetti il foglio matricolare di Flavio non parla esplicitamente di Francia).


Per la foto, un sentito ringraziamento al nipote Antonio Caldarone.


Approfondimenti

Il precedente post dedicato alla vicenda di Flavio è il seguente: 
👉La guerra infinita: la storia di Flavio, liberato in Francia

Per le vicende della liberazione della Francia: Sulle macerie del nazismo: la liberazione di Parigi, Storica, National Geographic

Maria Teresa Giusti, Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945

G.V.

11 agosto 2024

DOMENICO, LA RESISTENZA SUI MONTI D'ALBANIA

La vicenda di Domenico Torsiello ci consente di indagare un aspetto non molto noto della Seconda guerra mondiale degli italiani: soldati che restano in Albania dopo l'8 settembre, resistono alla cattura da parte dei tedeschi e vanno in montagna a combattere al fianco della Resistenza albanese.

Domenico nasce a Valva il 13 maggio 1923, da Nicola e Virginia Torsiello. Alla visita militare, nel 1942, risulta orfano di padre.

Chiamato alle armi, vi giunge il 9 gennaio 1943, assegnato al Deposito 9° Reggimento Autieri in Macerata. Imbarcatosi a Bari, giunge a Durazzo in Albania il 29 luglio 1943, nell'auto drappello Q.G. della Divisione "Firenze".

Bandiera del Regno albanese; fonte: Wikipedia

A questo punto, sul suo foglio matricolare troviamo un'annotazione insolita:

Foglio matricolare, Archivio di Stato di Salerno
 Proviamo a trascrivere:
Sbandato per gli avvenimenti bellici e portatosi (?) in montagna, 8 settembre 1943
Rimpatriato da Durazzo, 1 giugno 1945
Sbarcato a Brindisi, 1 giugno 1945

Come al solito, tre righe riassumono quasi due anni di guerra (o di prigionia, come accade a tanti altri militari italiani in quello stesso periodo).

Il contesto però, come dicevamo, è insolito.

Dopo l'armistizio di Cassibile, la 9ᵅ Armata italiana in Albania subisce un duro colpo a causa dell'indecisione dei suoi comandanti: quattro delle sei divisioni italiane vengono catturate dai tedeschi. Tuttavia, la 151ᵅ Divisione Fanteria "Perugia" e la 41ᵅ Divisione Fanteria "Firenze" resistono. Il generale Arnaldo Azzi, che comanda la "Firenze", rifiuta di cedere le armi e si allea con l'Esercito Albanese di Liberazione Nazionale. Nasce il Comando Italiano Truppe alla Montagna (CITaM), che riunisce soldati italiani dispersi.

Sul sito ANPI leggiamo:

E' così costituito il "Comando Italiano Truppe alla Montagna" (CITaM), forte di migliaia di uomini suddivisi in alcuni comandi di zona. Risulta presto evidente che una tale massa di uomini e un simile schieramento in terra straniera non sono adatti alla guerra partigiana, e così, presto, il CITaM, sottoposto all'attacco dei tedeschi e alla difficile convivenza con le formazioni della Resistenza albanese, si sbanda. Gli italiani, costretti a cedere agli albanesi armi ed equipaggiamento, trovano rifugio e ospitalità presso la popolazione locale. Alcuni militari entreranno poi nella Resistenza albanese.  fonte

Alla fine della guerra, Domenico si imbarca a Durazzo e sbarca a Brindisi il 1° giugno 1945; il giorno dopo lo troviamo nel campo di Taranto. A giugno ottiene una prima licenza di sessanta giorni, il 25 agosto si presenta al distretto di Salerno e viene inviato in licenza straordinaria senza assegni in attesa di reimpiego. La guerra per lui è davvero finita.


Fonti consultate:

G.V.

17 aprile 2024

IL RAGAZZO SOPRAVVISSUTO ALL'ECCIDIO DI CEFALONIA E INTERNATO IN GERMANIA

Il 17 aprile 1924 era il Giovedì Santo; negli Stati Uniti veniva fondata la storica casa di produzione cinematografica Metro-Goldweyn-Mayer, celebre per il leone ruggente.

Quel giovedì di cento anni fa, a Valva nasceva Pasquale Cappetta, figlio di Giuseppe e di Francesca Strollo.

Abile e arruolato in seguito alla visita del 4 settembre 1942, Pasquale viene chiamato alle armi il 12 maggio 1943 e assegnato al Deposito del 33.mo Reggimento Artiglieria: è la famosa Divisione Acqui.

Dopo la Prima guerra mondiale, il reggimento viene ricostituito nel 1939, in tre gruppi aggregati alla 33.ma Divisione di fanteria "Acqui". Nella Seconda guerra mondiale il reggimento viene schierato sul fronte greco-albanese; dopo la resa della Grecia, tutta la divisione ha l'incarico di presidiare le Isole Ionie. Il reggimento d'artiglieria viene dislocato a Cefalonia, con un gruppo distaccato a Corfù.  fonte

La divisione Acqui
Dopo la proclamazione dell'armistizio, la Divisione Acqui è chiamata a una scelta drammatica. 
Gli ordini che giungono sono contraddittori: prima si autorizza l’uso  delle armi in caso di attacco da parte dei tedeschi, poi la sera del 9 settembre il comandante dell'XI Armata, Vecchiarelli, emana l'ordine di resa ai tedeschi in tutta la Grecia; il comandante della Divisione, Antonio Gandin, però prende tempo: considera l’ordine in contrasto con la dichiarazione dell’armistizio (le truppe italiane sarebbero in balìa di quelle tedesche). 
Gandin inizia le trattative con il comandante tedesco cercando di rinviare la resa. 
A Corfù il comandante italiano Lusignani rifiuta nettamente ogni trattativa con i tedeschi. 
Dopo vari tentativi falliti di contattare telefonicamente il governo italiano, solo il 13 settembre arriva dal Comando Supremo italiano, che si trova a Brindisi dopo la fuga, l'ordine di resistere alle forze tedesche, che devono essere considerate nemiche. 
Quando giunge l'ultimatum tedesco accade qualcosa di inedito: una consultazione fra le truppe italiane; ai soldati viene chiesto se consegnare le armi o combattere contro i tedeschi, quasi tutti decidono di combattere. 
Cefalonia, il 15 settembre inizia la battaglia. 
Tante testimonianze ricordano il forte spirito di corpo e la determinazione mostrata dai soldati italiani contro i tedeschi. 
Le truppe tedesche, grazie ai rinforzi giunti dall'entroterra e soprattutto grazie all'appoggio aereo, hanno la meglio sui soldati italiani dopo circa una settimana di combattimenti. 
Gli italiani si arrendono il 22 settembre, ma questo non ferma il massacro; il 24, le salme degli ufficiali trucidati nella "Casetta rossa" vengono gettate in mare, i corpi dei soldati bruciati. 
Nei tre giorni seguenti, i massacri si ripetono a Corfù, dove i tedeschi sono sbarcati il 24 settembre. 
La tragedia della Divisione Acqui non finisce a Cefalonia e a Corfù. 
Tre navi che trasportano i prigionieri vengono affondate, causando oltre mille morti (tremila, secondo altre fonti). Circa seimila sopravvissuti iniziano un viaggio di oltre un mese verso i campi di prigionia nell'Europa dell'Est. 

La cattura
Pasquale viene catturato dai tedeschi: diventerà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A

Pasquale Cappetta in una foto risalente al periodo
in cui era emigrante in Germania
 
Come abbiamo riportato in altri nostri post, di lui gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte

Come leggiamo nel sito memorieincammino.it, il registro del campo raggiunse la quota di 48600 uomini. Solo una parte di questi erano alloggiati nel campo principale, perché gli altri lavoravano nelle tante fabbriche dislocate nella regione del Brandeburgo.

fonte Wikipedia

Pasquale Cappetta risulta liberato l'8 maggio 1945, praticamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Tornerà in Germania, come emigrante, a Darmstadt; lo testimoniano anche da alcune foto nell'Archivio di Gozlinus.
Questa foto è scattata nel 1965 a Rossdorf: ritrae emigrati di Valva e del vicino comune di Colliano; lavorano in un'impresa specializzata nell'estrazione di rocce basaltiche:
fonte Gozlinus
La foto è particolarmente significativa per il blog la ràdica, perché insieme a Pasquale Cappetta ci sono i figli di due internati militari di cui ci siamo occupati. Proprio davanti a lui, infatti, c'è il figlio del signor Enrico Santovito, mentre il secondo della fila centrale, da sinistra, è il figlio del signor Domenico Strollo. Inoltre, accanto a Pasquale c'è il signor Lazzaro Del Plato, che ha combattuto in guerra, meritando la Croce al merito.
In quest'altra foto, scattata a Darmstadt, Pasquale si prende una meritata pausa:
Pasquale è in piedi; fonte


Approfondimento
Sulla Divisione Acqui si vedano i post:
 

G.V.

28 settembre 2023

ALL'OMBRA DELLE TUE ALI: IL SETTEMBRE '43 NEI RICORDI DEI VALVESI (seconda parte)

Continua il nostro viaggio tra i ricordi legati al settembre 1943, quando nei valvesi la paura del conflitto tra tedeschi e americani si è aggiunta alla preoccupazione che da oltre tre anni avevano per le sorti dei giovani soldati al fronte.
Il punto di osservazione per il racconto degli eventi è quello della grotta di San Michele: quasi un nido incastonato nella roccia e un rifugio nel settembre 1943 per tante famiglie valvesi.

Foto di Valentino Cuozzo
Il settembre '43 al fronte
Settembre è il mese in cui cadono tre soldati valvesi e in cui circa venti vengono fatti prigionieri dai tedeschi, nelle convulse settimane dopo la proclamazione dell'armistizio.
In questo momento, i soldati valvesi all'estero sono dispiegati in gran parte sul fronte greco-albanese, in particolare nel Dodecaneso (ad esempio Rodi, Coo) e nelle isole greche (ad esempio Creta, Cefalonia e Corfù). Per loro il destino è segnato: la prigionia.
Il settembre del 1943 è anche il mese in cui i cosiddetti "sbandati" tornano a casa, ma non siamo ancora in grado di ricostruire le loro vicende. Certamente i tempi di rientro sono legati al punto in cui si trovavano i soldati; abbiamo anche esempi di soldati di stanza in Italia che sono rimasti al loro posto (in Sardegna e in Calabria ad esempio).

Il settembre '43 a Valva
La memoria orale ha fissato alcuni eventi, rendendoli patrimonio immateriale e prezioso delle famiglie. Raccontarli ora in forma scritta è sicuramente tardivo, ma forse non sarà inutile. 
In questo percorso ci guideranno ricordi di vario genere. 
Diamo la parola ai valvesi che hanno vissuto quegli avvenimenti e  per fortuna ancora sono tra noi; riportiamo e sintetizziamo alcuni racconti già pubblicati; leggiamo i racconti che alcuni testimoni hanno fatto ai loro figli negli anni. 

Panorama di Valva in una cartolina spedita nel 1926
dal marchese D'Ayala-Valva a suo nipote,
il celebre musicista Giacinto Scelsi; fonte

Il racconto di Michele Gaudiosi
In un suo scritto del 2012 dal titolo👉Valva 1943 pubblicato da Gozlinus, Michele Gaudiosi racconta come i valvesi si accorsero che qualcosa di particolare stava accadendo: guardie armate a presidiare gli accessi a Villa d'Ayala, automobili scoperte con a bordo ufficiali con molte medaglie al petto che salivano da piazza Calvario lungo il viale che conduce al castello. Suo padre sentì a Radio Londra la notizia che il quartier generale delle forze armate tedesche del Sud Italia aveva sede "in un piccolo paese del Mezzogiorno" e capì che stavano parlando di Valva. 
Citiamo direttamente dal testo di Michele Gaudiosi: 

In me è ancora vivissimo il ricordo di una Piazza Calvario intasata da grandi uniformi scattanti in impeccabili saluti militari. Fra di loro, purtroppo, si aggiravano, tetre, le funebri uniformi nere delle onnipotenti SS, lugubri spettri della dittatura più infame nella storia dell’umanità.

La testimonianza di Michele Gaudiosi sarà ancora utilissima quando parleremo delle famiglie rifugiatesi all'interno di Villa d'Ayala.

I ricordi delle nonne di Valva
Nelle scorse settimane ho intervistato due tra le donne più anziane di Valva, chiedendo loro un ricordo di quel drammatico mese di ottanta anni fa.
La signora Marietta Marciello aveva undici anni quando si è nascosta con la famiglia nella grotta San Michele e quella, più piccola, detta di Paulo.
Nell'intervista pubblicata nel post 👉"Tu sai la storia e io i fatti": la guerra a Valva nei racconti di una testimone, zia Marietta ha raccontato che un uomo cucinava per le famiglie rifugiate e rassicurava i bambini dando la colpa delle fiamme a pastori che non avevano spento il fuoco in montagna. Ricorda ancora che dormivano sui "curm" -gli steli su cui la madre metteva lenzuola portate dalla loro abitazione non lontana- e che dormivano all'aperto.
La signora Carmela Torsiello mi ha raccontato che la sua famiglia aveva un capanno sotto la montagna, in contrada Elice, che servì da rifugio. 

Contrada Elice, una "carcara" (forno per ridurre le pietre in calce);
foto di Valentino Cuozzo
Anche il parroco di Valva, don Lorenzo Spiotta era con loro e la signora ricorda ancora il dettaglio della tonaca strappata.
Zia Carmela ha poi raccontato un pericolo corso mentre scendeva dalla montagna a dorso dell'asino.
La sua intervista è nel post 👉Quando la montagna è rifugio: i ricordi di zia Carmela.

I civili salvati parlando in inglese
C'è un episodio che torna in due racconti raccolti in queste settimane. I protagonisti sono diversi, ma l'azione è la stessa e identico è il risultato del loro intervento, per fortuna positivo.
Gli americani sono insospettiti dal fumo che si leva dalla montagna, in più punti. Un valvese che conosce l'inglese parla con i soldati e spiega che nelle grotte in montagna non ci sono tedeschi nascosti ma solo civili spaventati dalla guerra.
La signora Marietta ricorda che l'intervento provvidenziale è stato di Vito Iannuzzi, che viveva in America. 
Valentino Cuozzo ricorda che la madre, la signora Margherita Mastrolia, gli raccontava un episodio simile: in un posto chiamato "le grotticelle", al di sopra della grotta di San Michele e di quella di Paulo, suo padre Michele -che era stato in America nei primissimi anni del Novecento- aveva fatto la stessa cosa.
Non vedo contraddizione nei due racconti: nulla toglie che possano essere entrambi corretti; in un contesto in cui gruppi di famiglie si rifugiavano dove potevano, non si può escludere che una stessa situazione si sia presentata in modalità simili, con protagonisti diversi. 
Ricordiamo che già negli anni Ottanta dell'Ottocento è attestato un notevole flusso migratorio negli Stati Uniti e che alcune famiglie avevano poi fatto ritorno a Valva, con bambini nati in America.

I tedeschi a Valva nei racconti di Aristide
Marco Cuoco ci rivela questo episodio che gli ha raccontato suo padre Aristide:

Mio padre mi raccontava che i tedeschi andavano tra le masserie in cerca di ragazze; egli stesso fu testimone di una richiesta molto esplicita fatta da uomini del comando tedesco a una persona di loro fiducia, di Valva; questa persona indicò due ragazze. In quel periodo la loro famiglia  si era trasferita dal paese in contrada Bosco; mio padre corse ad avvisare la madre delle ragazze, che subito fece scappare le figlie in montagna o comunque in un posto sicuro. I tedeschi effettivamente andarono a casa a cercare le ragazze e non le trovarono.

A quel tempo Aristide aveva già perso suo padre, Michele Cuoco, caduto in guerra nell'Africa Orientale. Riposa ad Addis Abeba.
Aristide raccontava al figlio anche altri episodi relativi a quel periodo; uno mi colpisce particolarmente perché fonde cronaca e leggenda, a dimostrazione di come alcuni episodi cruenti possano condizionare l'immaginario collettivo e dare origine a episodi di suggestione:

In contrada Arenale alcuni tedeschi furono uccisi e sepolti proprio nei pressi della fontana che si trova lì. I corpi vennero successivamente recuperati dai tedeschi, ma è rimasto il racconto secondo cui in un particolare momento dell'anno da quelle parti si sentiva un plotone marciare, con passi pesanti di soldati.

L'abbattimento dell'aereo americano ha impressionato molto i valvesi ed è rimasto a lungo nei loro racconti; è comprensibile che ne esistano più varianti. 
Nel primo episodio di questo nostro viaggio nel settembre 1943 a Valva abbiamo riportato la testimonianza -raccolta da Salvatore Cuozzo- del signor Antonio Falcone
Ecco come il signor Aristide raccontava l'episodio al figlio:
L'aereo americano fu abbattuto sulla zona dei Lagarielli. Mio padre si era nascosto come gli altri valvesi nelle grotte, ma essendo un ragazzino durante il giorno andava un po' in giro e si spingeva fin sopra il "Rutunno", un punto  pericoloso ma panoramico; da lì lui e i suoi amici si sporsero e videro il bombardiere americano abbattuto.  
Mio padre ricordava che i piloti furono arsi vivi e finiti con le forche.

Il cosiddetto "Rutunno" (la punta in alto a sx),
foto di Valentino Cuozzo, con adattamento

Dai racconti che ho raccolto in paese emerge anche un altro dettaglio: uno dei piloti sarebbe stata una donna. 
Non ho trovato altri riscontri di questo elemento -certamente significativo- ma capisco che possa essersi sedimentato nella memoria. 
Me lo conferma Matteo Pierro, dell'Associazione Salerno 1943: la storia di una donna pilota è molto frequente nei racconti legati agli abbattimenti aerei. "Su oltre 40 crash site che abbiamo investigato -continua- questa storia ricorre in almeno una ventina di essi. Si tratta di distorsioni legate alla trasmissione orale dei racconti".
Credo che la storia non sia solo costituita da fatti suffragati da documenti; anche analizzare i meccanismi della trasmissione dei racconti e della formazione della memoria collettiva -e forse individuale- merita la massima attenzione.

Leggo che le cosiddette WASP [Piloti del servizio femminile dell'aeronautica] avevano principalmente l'incarico di trasportare gli aerei appena costruiti dal luogo di fabbricazione al punto di decollo, ma alcune di loro parteciparono anche all'addestramento dei piloti e altre furono addirittura istruttrici; inoltre, trasportarono personale e merci militari e fecero diversi voli di prova.  fonte 1
Le WASP non erano considerate militari a tutti gli effetti e i corpi di quelle cadute venivano riportati a casa a spese della famiglia, senza onori militari e senza nemmeno la bandiera sulla bara.  fonte 2

Lo scampato pericolo della famiglia Freda 
Un post del blog "Gozlinus" del dicembre 2020 riporta la bella 👉testimonianza di Antonio Freda:

C'era ancora il pericolo di subire bombardamenti e questa eventualità spinse le persone a rifugiarsi in luoghi ritenuti più sicuri della propria casa. Molti ripararono nelle grotte del parco [di Villa d'Ayala, ndr.]; noi ci sistemammo nella cantina della casa di mio nonno paterno, ubicata tre piani sottostanti la strada. 
Il silenzio, che almeno in quel momento regnava, fu violentemente rotto da un'insistente bussata. Quando mio padre aprì il portone si ritrovò fra le braccia un giovane tedesco completamente insanguinato. A pochi passi dall'ingresso della nostra casa c'era il castello che ospitava i tedeschi: che fare? Papà non aveva altra possibilità che portarlo presso i suoi compatrioti. Dopo uno scambio infruttuoso di spiegazioni, gli intimarono di seguirli nel parco; adagiato su un muretto, a torso nudo, vide il giovane tedesco, al quale stavano disinfettando le ferite, che lo salutò agitando la mano. Successivamente appurammo che era stato gravemente ferito a Colliano dallo scoppio di una bomba a mano, le cui schegge si erano conficcate nella sua schiena.
Papà tornò dopo ore. Ci abbracciammo piangendo prima e dopo il suo racconto e sorbimmo un bel caffè d'orzo per brindare allo scampato pericolo.
 
Un cordiale ringraziamento alle persone che hanno collaborato a questo post, rendendolo possibile grazie ai loro ricordi e alla loro consulenza.
Un pensiero rispettoso alle persone citate nel post e non più con noi.

***2- Continua***

Approfondimenti
Ecco la prima parte di  questa ricostruzione del settembre 1943 vissuto a Valva:
👉All'ombra delle tue ali: la grotta di San Michele rifugio dei valvesi nel settembre 1943 

G.V.

27 settembre 2023

ALL'OMBRA DELLE TUE ALI: LA GROTTA DI SAN MICHELE RIFUGIO DEI VALVESI NEL 1943 (prima parte)

Quando si salgono gli ultimi scalini che portano alla Grotta di San Michele e guardi verso il cielo, la volta rocciosa sembra abbracciarti.

Sono parole dell'autore di questa foto, Valentino Cuozzo, e ne costituiscono una bella didascalia.

Quell'abbraccio i valvesi lo hanno cercato nel settembre 1943, quando dal cielo e dalla terra arrivavano i colpi della guerra. 

La popolazione civile -anche con qualche sfollato che veniva da altri centri- si  rifugia sui monti, in particolare nelle grotte.

La montagna sacra 

I valvesi nel 1943 non potevano vedere lo scorcio come appare in questa foto recente, ma anche essi hanno sicuramente avuto un'impressione di maestosa potenza:

foto di Valentino Cuozzo

Non sapevano che anche la montagna si sarebbe scrollata di dosso un po' del suo peso, meno di quaranta anni dopo, la sera del terremoto del 1980 (nella seconda, fortissima scossa, quella della notte).

La montagna di San Michele, montagna sacra, ne conosce di storie. 

Ricavata nella roccia del monte Eremita, la grotta dedicata a San Michele è legata all'opera di evangelizzazione dei monaci basiliani, già prima dell'anno Mille. 

Grotta di San Michele, facciata; foto di Valentino Cuozzo

Il santo -è noto- è rappresentato come un guerriero e per questo è stato considerato come protettore dai Bizantini, dai Longobardi e dai Normanni.

Grotta di San Michele, cappelletta con altare;
datata 1933, è 
stata restaurata di recente
(foto di Valentino Cuozzo)

Il contesto militare del 1943 nella Valle del Sele

Dopo l'annuncio dell'armistizio l'8 settembre e lo sbarco degli Alleati a Salerno il giorno seguente, la guerra tra tedeschi e americani arriva anche nella Valle del Sele, dove i tedeschi fanno azioni di guerriglia per rallentare l'avanzata della 45.ma Divisione di Fanteria alleata, che ha da poco occupato Eboli, poi Contursi Terme e si dirige verso Avellino, passando per l'Ofantina.

Il castello della Villa d'Ayala a Valva diventa per qualche giorno sede del comando di Albert Kesserling, comandante delle forze tedesche in Italia.

Secondo la testimonianza di Antonio Freda -raccolta da Gozlinus- il generale aveva fatto esporre sul tetto una enorme croce rossa, "ingannevole simbolo di solidarietà umana".

Kesserling comandò con notevole efficacia flotte aeree nel corso dell'invasione della Polonia, della campagna di Francia, della battaglia d'Inghilterra e dell'operazione Barbarossa.
Dall'estate del 1943 assunse il comando supremo delle forze tedesche in Italia e condusse la campagna difensiva contro gli Alleati. Represse il movimento di Resistenza e fu responsabile di numerosi crimini contro i partigiani e contro la protezione civile.  
Nel marzo 1945 comandò le forze germaniche sul fronte occidentale. 
Al processo di Venezia fu condannato a morte da un tribunale militare britannico per la responsabilità dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma la sentenza fu poi commutata in ergastolo. Nel 1952 sarà rilasciato, senza peraltro aver mai rinnegato la sua lealtà al nazismo.

A Valva fa una visita lampo Wihelm Keitel, comandante dell'Oberkommando della Wehrmacht.

Wihelm Keitel nel 1942

Keitel sarà uno dei principali imputati al processo di Norimberga, dove sarà condannato a morte perché giudicato colpevole di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. 

Così è apparso il castello ai generali tedeschi: 

Il castello e l'oleificio visti da via San Biagio, Anni Trenta; fonte

I tedeschi restano nella Valle del Sele fino al 23-24 settembre, ci dice Pasquale Capozzolo, presidente dell'Associazione Avalanche 1943.

Il 22 settembre c'è uno scontro con gli americani a Oliveto Citra, durante il quale si assiste all'eroismo di Ernest Childersun nativo americano Creek dell'Oklahoma, Secondo Tenente della 45a Divisione di Fanteria. 

Childers sarà poi premiato con la Medaglia d'Onore per la sua azione eroica a Oliveto Citra. 

Esposto al fuoco di mitragliatrice, insieme a otto uomini attaccò il nemico. Nonostante una frattura al piede, Childers ordinò il fuoco di copertura e avanzò sulla collina, uccidendo da solo due cecchini che facevano fuoco da una casa nelle vicinanze; si mosse contro i nidi di mitragliatrice e uccise tutti gli occupanti di quello più vicino; continuò verso il secondo e lanciò delle pietre all'interno; quando i due occupanti del nido si alzarono, ne ucciso uno, mentre l'altro fu ucciso da uno degli otto soldati. Continuò la sua avanzata verso una casa più in alto sulla collina e, da solo, catturò un osservatore di mortai nemico.

Con queste parole si conclude la citazione della Medaglia d'Onore: 

La leadership eccezionale, l'iniziativa, la calma sotto il fuoco e lo straordinario eroismo dimostrato dal Secondo Tenente Childers furono una fonte di ispirazione per i suoi uomini.   fonte 

fonte

L'aereo abbattuto a Valva

Intanto, a Valva -in località Lappito- la contraerea tedesca abbatte un aereo americano di questo modello:

L'associazione Salerno 1943 negli anni scorsi ha condotto alcune ricerche in contrada Lappito, di cui ha dato notizia il blog Gozlinus in tre post (5 e 18 settembre 2016, 26 settembre 2021); sono stati recuperati diversi pezzi dell'aereo.  

Nel 2016, il compianto Salvatore Cuozzo ha raccolto questa testimonianza di Antonio Falcone di Luigi, pubblicata sul blog Gozlinus:

Mentre stavo seduto con la mia famiglia davanti casa (contrada Lagarielli, ndr) sentimmo un forte rumore e vedemmo passare, a pochi metri dal tetto, (da ovest verso est, ndr) un aereo militare che perdeva fumo e si vedevano delle fiamme… Dopo pochi secondi vedemmo del fumo alzarsi da dietro la collina. Io incuriosito, nonostante i richiami dei miei genitori, corsi in direzione del fumo e in pochi minuti raggiunsi il punto dell’impatto (contrada Lappito, ndr). A pochi metri mi fermai, un po’ intimorito dalla scena del disastro e anche dalla presenza di alcuni soldati tedeschi vicino all’aereo in fiamme. I soldati, vedendomi, mi chiamarono facendomi segno di avvicinarmi a loro, cosa che feci ed ebbi modo di vedere … che il pilota era steso a terra vicino all’aereo morto e stava bruciando con la parte superiore del corpo avvolta nelle fiamme. I tedeschi, un po’ a parole, un po’ a segni   mi chiesero di trovare un bastone o un forcone…  Al mio ritorno, con il bastone portato da me, un soldato tedesco spinse nel fuoco ciò che rimaneva del corpo del pilota cremandolo definitivamente.    

Ecco alcuni resti della fusoliera dell'aereo:




*** 1- Continua***


Post scriptum
Mi è gradita l'occasione per ricordare Salvatore Cuozzo, appassionato di storia e di storia locale. Se il destino non avesse deciso diversamente, con molta probabilità l'ottantesimo anniversario degli eventi dell'estate 1943 lo avrebbe visto impegnato in un lavoro di ricerca migliore di questo che avete appena letto.

Approfondimenti
Stiamo ricostruendo le vicende vissute dalla popolazione civile a Valva nel 1943 attraverso alcuni post; ecco quelli già pubblicati:
👉"Tu sai la storia e io i fatti": la guerra vissuta a Valva nei racconti di una testimone"
👉La divisa del sabato e gli ordigni bellici: la guerra  della piccola Marietta
Per approfondire, si rimanda a questi post di Gozlinus:
👉Ricordi del nostro passato
👉Valva 1943: storia di uno scampato pericolo

Segnaliamo due interessanti testi della sezione Ricordi del blog Gozlinus:
👉Michele Gaudiosi, Valva 1943 
👉Mario Valletta, Valvesi doc 

 G.V.

09 settembre 2023

I VALVESI DELLA DIVISIONE ACQUI

 In memoria di

ALFONSO FENIELLO e GIUSEPPE MACCHIA

Divisione Acqui- Cefalonia e Corfù

Dispersi il 9 settembre 1943


Hanno l'impercettibile sussurro, 
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.

Giuseppe Ungaretti, Non gridate più



Oggi sono a Verona perché dovevo essere qui, davanti al Monumento Nazionale alla Divisione Acqui, i martiri di Cefalonia e Corfù. Le prime vittime della resistenza ai nazisti, che rifiutarono di consegnare le armi per non tradire il giuramento fatto al Re, anche se il Vittorio Emanuele III era in fuga e dal governo arrivavano comandi incerti e a volte contraddittori.

I valvesi nella Divisione Acqui
In particolare, sono qui perché due miei concittadini - soldati appartenenti al Battaglione mitraglieri di corpo d’armata della Divisone Acqui- risultano dispersi in combattimento il 9 settembre 1943.

Alfonso Feniello, dall'Africa Orientale a Cefalonia
Nasce a Valva il 2 agosto 1911, da Nicola a Maria Alfano. Da civile esercita il mestiere di mulattiere.
In occasione della guerra di Etiopia, il 5 novembre si arruola nella 140.ma legione in A.O.I. e viene assegnato al 4.o Battaglione Camicie Nere d'Africa con la ferma biennale.
Il 28 gennaio 1937 si imbarca a Napoli col piroscafo "Colombo" e il 5 febbraio sbarca a Massaua.
Il 18 agosto 2939 si imbarca a Mogadiscio per l'Italia, ma in seguito alla sospensione del rimpatrio sbarca a Massaua il 28 agosto e viene aggregato al 170.mo Reggimento Camicie Nere Asmara.
Finalmente il rimpatrio arriva e Alfonso può imbarcarsi a Massaua alla volta dell'Italia: sbarca a Napoli il 31 agosto 1939.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Alfonso è richiamato alle armi il 6 dicembre 1940, nel 110 Reggimento Mitraglieri autocarrati: è la Divisione Acqui.
Sbarca a Valona il 5 gennaio 1941 come aggregato alla Divisione Acqui  ed è a Cefalonia nel febbraio 1941.
Poi non abbiamo altre notizie di lui.
È ritenuto disperso a Cefalonia il 9 settembre 1943 per eventi bellici, come da atto notorio rilasciato dal Comune di Valva il 5 febbraio 1947. Verrà dichiarato “morto presunto a Cefalonia” da una sentenza del tribunale di Salerno nel 1956.  

Giuseppe Macchia 
Giuseppe Macchia nasce a Valva il 27 ottobre 1911, figlio di Giacomo e di Francesca Torsiello.

Dopo il servizio militare, viene richiamato alle armi il 12 febbraio 1935 e giunge al 39.mo Reggimento Fanteria 2.a Compagnia Richiamati. 
Parte per l'Eritrea col 3.o Battaglione speciale del 39.mo Fanteria mobilitato in A.O.I. Imbarcatosi a Napoli, sbarca a Massaua il 21 agosto 1935. E' inserito nel 4.o gruppo salmerie e carreggio d'intendenza, poi nel 17.mo Battaglione speciale intendenza A.O.
Nell'aprile 1937 si conclude la sua prima esperienza di guerra: infatti rientra è collocato in congedo illimitato e riceve il premio di smobilitazione.
Nel dicembre 1940 viene richiamato alle armi e giunge nel Deposito del 15.mo Reggimento Fanteria per passare nel 110 Battaglione mitraglieri: è la Divisione Acqui
Si imbarca a Bari e giunge a Valona l'11 dicembre.
Partecipa alle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera greco albanese  fino al 23 aprile 1941 (data in cui la Grecia firma la resa). 
Il 23 settembre 1942 è inviato in licenza straordinaria di 15 giorni per gravi motivi di famiglia.
Al rientro, partecipa alle operazioni di guerra in Balcania, nei territori greco e albanese dal 18 novembre 1942 all'8 settembre 1943.
Poi, un'annotazione aggiunta anni dopo ci informa che Giuseppe Macchia è stato ritenuto disperso in Corfù per eventi bellici il 9 settembre 1943, come da atto notorio rilasciato dal comune di Valva l'11 luglio 1947.

Un post di Gozlinus del giugno 2019 parla della loro vicenda e mostra anche le loro (rare) foto.
Della divisione Acqui fa parte anche Pasquale Cappetta, chiamato alle armi a maggio e fatto prigioniero a settembre. Sarà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A.  
Pasquale Cappetta in una foto risalente al periodo
in cui era emigrante in Germania; fonte: Gozlinus
Come abbiamo riportato in altri nostri post, di lui gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte


Approfondimento
Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sula Divisione Acqui: