26 marzo 2022

UNA LETTERA DAL FRONTE RUSSO

Una lettera può essere la chiave d'accesso al mondo di una persona e costituire un'occasione preziosa di conoscenza storica. 

In particolare, una lettera dal fronte è un documento straordinario che si presta a più livelli di lettura.

Il primo, è quello immediato: tentativi di rassicurare la famiglia, informazioni pratiche sulla corrispondenza, saluti affettuosi.

A un livello successivo, essa è anche una testimonianza: riproduce un mondo e la sua mentalità, ci dà informazioni per ricostruire il contesto in cui si sono svolti gli eventi, ci fa entrare in contatto con un passato che sentiamo lontano ma del quale ci giunge l'eco.

La lettera che pubblichiamo viene dal fronte russo, scritta da un giovane soldato della divisione Vicenza che sarebbe morto meno di due mesi dopo: Raffaele Cuozzo

Eccola, nella sua semplice essenzialità: senza trascrizione del testo, senza interpretazione delle parole meno comprensibili, senza commento o quello che con un po' di enfasi potrebbe chiamarsi apparato critico.

Nei post successivi cercheremo di interpretarla e analizzarla, ma è giusto che la prima lettura sia personale e diretta.

E' una voce che giunge dal fronte russo e parla a ciascuno di noi.





Grazie a Norma e Michelino Caldarone per aver messo a disposizione di tutti un prezioso cimelio della loro storia di famiglia.


Sulla storia di Raffaele Cuozzo:

https://radicivalvesi.blogspot.com/2022/03/raffaele-che-non-e-mai-tornato-dalla.html



G.V.

23 marzo 2022

LA PACCHIANA CHE CHIUSE DIETRO DI SÉ UN MONDO INTERO

La guerra la fa Ulisse ma non è facile essere Penelope.

Le donne la combattono nei campi, sostituendo le braccia dei mariti, dei fratelli, a volte anche dei padri; o meglio: continuando a fare il lavoro che già facevano prima ma facendolo da sole. Le donne la combattono in casa, allevando figli e tirando avanti ogni giorno, con carattere e speranza.

Le immagino così le ragazze e le donne che attendono il ritorno del loro uomo dal fronte o dalla prigionia.

Nelle lettere dal fronte, sono evocate con pudore se fidanzate, con delicatezza se sono madri, con rispetto se sono nonne, con simpatia se zie e comari. Molti soldati non sono ancora sposati. 

In guerra, scrive De André in una delle sue più celebri canzoni con parole che graffiano l'anima, "a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio". 

Morire di maggio, metafora per indicare la giovane età dei caduti.

La guerra di Ulisse e di Penelope, dunque.

Oggi voglio ricordare una donna che ha avuto il marito al fronte e che rimarrà un simbolo per tutta Valva: la nostra ultima "pacchiana", zia Pasqualina.

Zia Pasqualina Torsiello vestita da pacchiana,
con in testa lu varlirə 

Non amo il termine pacchiana usato in italiano, perché vi vedo la spia linguistica di un pregiudizio di classe. 

L'accezione negativa con la quale l'aggettivo è rimasto incagliato nelle reti della nostra lingua mi sembra ingiusta: "privo di buon gusto e di stile, vistoso, grossolano", scrive il dizionario Treccani. Sullo stesso dizionario, il termine è presentato prima come sostantivo, di area meridionale: "contadino, villano; per lo più al femminile, contadina nelle vesti tradizionali, colorate e vistose".

Quando penso al termine dialettale, invece, mi si apre un mondo straordinario, un patrimonio di cultura e di affetto. 

Le vistose e tradizionali vesti della tradizione contadina appartengono alla nostra cultura in modo profondo, costituiscono un elemento della nostra "ràdica", sono un elemento di identità non solo per le donne che le indossano e che le indossano anche quando nessun'altra lo fa: zia Pasqualina sembrava vivere in un tempo sospeso, testimoniato e reso presente.

Giorno di festa

Queste vesti sono un elemento di identità anche per la comunità intera, perché il modo di vestire è una delle prime cose che notiamo in una persona e che ricordiamo di lei quando non c'è più; sono un elemento di identità collettiva perché un abito tradizionale (non amo definirlo costume: non siamo a teatro, non siamo a Carnevale, siamo nella vita vera delle persone e delle storie) ci ricorda da dove veniamo e, dunque, anche un po' chi siamo.


Zia Pasqualina con un vivace maccaturə

Zia Pasqualina se ne è andata, coi suoi vestiti da pacchiana, il 23 marzo del 2010.

Ci sono persone, scrive Erri De Luca, che morendo chiudono dietro di loro un mondo intero. A distanza di anni se ne accetta la perdita solo concedendo che in verità morirono in tempo.

Ecco perché zia Pasqualina appartiene a tutti noi.


Un grazie alla nipote Stefania per l'affettuosa collaborazione


G.V.

19 marzo 2022

RAFFAELE, CHE NON E' MAI TORNATO DALLA RUSSIA

A maggio non compirà cento anni, perché quando ancora non ne aveva ventuno è risultato disperso in Russia, durante la ritirata.

Raffaele Cuozzo, di Michele e Spiotta Maria Michela, è nato a Valva il 13 maggio 1922.

Il 9 maggio 1941, insieme a molti suoi concittadini, viene dichiarato abile e arruolato; nel gennaio del 1942 è chiamato alle armi. 


Al comune di Valva risulta disperso in Russia il 23 gennaio 1943, mentre nella banca dati del Ministero della Difesa la data è il 31 gennaio, in una località ignota. Anche il documentato sito dell'Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia riporta la data del 31 gennaio.

Entrambe le date, comunque, rientrano nel periodo della ritirata dell'armata italiana.

La campagna di Russia

Nell'estate del 1941 il corpo di spedizione italiano in Russia parte per il fronte; è impiegato in territorio ucraino.

Nella primavera del 1942 arriva in Russia l'Ottava Armata, chiamata ARMIR (Armata Italiana in Russia).

Raffaele Cuozzo che fa parte del 156.mo Battaglione Mitraglieri; la sua compagnia è distaccata a Cervignano, in provincia di Udine, come dimostra questa cartolina da lui inviata alla famiglia.

Dal timbro postale vediamo che nel giugno 1942 Raffaele è ancora in Italia. 

Alle truppe italiane in Russia viene affidata la difesa del fronte sul Don. 

La ritirata 

La controffensiva russa inizia nell'agosto 1942.

Pochi giorni prima del Natale del 1942 viene dato alle truppe italiane l'ordine di ripiegare: inizia così la drammatica ritirata dell'Amir. 

A metà gennaio 1943, sul Don avviene lo sfondamento decisivo da parte delle truppe russe: il Corpo d'Armata alpino e la Divisione Vicenza si sfasciano; sono costretti ad attendere nelle loro posizioni perché l'ordine di ripiegamento, che deve giungere dal comando tedesco, non arriva. 

Nei durissimi scontri di Varvàrovka, il 156.mo Battaglione Mitraglieri subisce perdite molto gravi, insieme al 156.mo Battaglione Misto Genio e al 278.mo Reggimento Fanteria della Divisione (quasi completamente annientato). 

Il 26 gennaio, in piena ritirata, avviene la sanguinosa battaglia di Nikolajewka: muoiono dai quattro ai seimila soldati. 

La rotta si conclude il 31 gennaio, quando la Divisione Tridentina raggiunge i primi avamposti tedeschi a Sebekino. 

Le cifre ufficiali delle perdite durante la battaglia sul Don e la ritirata parlano di quasi 85 mila militari indicati come "dispersi", oltre a 30 mila feriti e congelati che riuscirono a rientrare. 

Dei dispersi, solo diecimila faranno ritorno in Italia dopo la guerra. 

Ritirata, fonte

Nei prossimi post torneremo sulla Campagna di Russia, che ha visto un altro valvese disperso, Prospero Annunciata, e alcuni reduci. 

Anche nei comuni della Valle del Sele ci sono stati diversi dispersi in Russia. Ad esempio, Carmine Vernino di Colliano Rufolo Gerardo di Oliveto Citra erano nello stesso reparto di Raffaele e risultano dispersi lo stesso giorno.

Approfondimenti

Orrore bianco -La campagna di Russia 1942-1943, documentario di Agostino Pozzi, prodotto da Rai Storia

Una puntata di Passato e presente dedicata alla ritirata di Russia

Ritorno sul Don: la campagna di Russia raccontata dai reduci, articolo di Focus.it https://www.focus.it/cultura/storia/ritorno-sul-don-la-campagna-di-russia-raccontata-dai-reduci


Un sentito ringraziamento alla nipote Norma Caldarone, che ha fornito materiale prezioso.

G.V.


17 marzo 2022

Valva e l'Unità d'Italia

Il corteo reale all'apertura del Parlamento del Regno d'Italia; fonte

Mi piace pensare che Lorenzo Cuozzo fosse il nonno di mio nonno.

Sicuramente un mio trisavolo si chiamava così, ma quello che ho in mente io è nato il 26 febbraio 1861, di professione pastore; suo padre si chiamava Francesco, sua madre Domenica Strollo.

Penso a lui oggi perché dalle liste di leva dell'Archivio di Stato di Salerno risulta l'ultimo valvese maschio nato prima della proclamazione ufficiale del Regno d'Italia, avvenuta il 17 marzo 1861.

Un mio antenato, nato prima che l'Italia fosse.

Michele Spiotta, di Giovanni e Raffaela Falcone, è invece il primo maschio nato a Valva nel Regno d'Italia.

All'Unità d'Italia anche Valva ha dato il suo contributo di sangue; cinque morti prima del 1861, altri ventiquattro nella Seconda e Terza guerra di indipendenza.

Da un post di Gozlinus, ricaviamo la seguente lista di valvesi caduti durante le tre guerre del Risorgimento italiano:

Campagna del 1860 (conquista del Sud da parte di Garibaldi)

1. Civo Francesco di Felice                            Soldato

2. Feniello Giuseppe di Luigi                         Soldato

3. Gigantiello Rocco di Vitale                        Soldato

4. Marcelli Ludovico di Saverio                     Soldato

5. Strollo Michele                                           Appuntato

Campagna del 1866 (Terza Guerra d’Indipendenza)

1. Alfano Saverio                                              Tamburino

2. Corona Martino di Vito                                Soldato

3. Cozza Francesco di Pasquale                         Soldato

4. Cuozzo Antonio di Giuseppe                        Soldato

5. Cuozzo Domenico di Orazio                        Soldato

6. Cuozzo Donato di Pietro                              Soldato

7. Del Giglio Antonio                                       Soldato

8. Falcone Giuseppe di Amato                          Soldato

9. Falcone Giuseppe di Vito                             Soldato

10. Feniello Alfonso di Giacomo                        Soldato

11. Feniello Antonio di Francesco                      Soldato

12. Feniello Michele di Pasquale                        Soldato

13. Figliulo Michelangelo                                  Soldato

14. Grippo Donato di Carmine                          Soldato

15. Spatola Michele di Onofrio                          Appuntato

16. Spiotta Angelo di Raffaele                            Appuntato

17. Spiotta Antonio di Giacomo                        Appuntato

18. Spiotta Michele di Alessandro                      Appuntato

19. Strollo Mario di Pietro                                 Appuntato

20. Strollo Pasquale                                            Appuntato

21. Torsiello Michele                                         Caporale

22. Torsiello Michele di Pietro                           Soldato

Campagna del 1870 (detta anche Campagna di Roma, che si chiuse con l’annessione della città allo Stato italiano)

1. Spiotta Orazio di Giovanni                          Appuntato

2. Strollo Giovanni Battista*                            Appuntato

* Partecipò anche alla campagna del 1866


La fonte consultata da Gozlinus è il volume Combattenti per l'Indipendenza Italiana della Provincia di Salerno, a cura di Romolo Amilcarella.

G.V.

09 marzo 2022

I CENTO ANNI DI UN CAVALIERE

Un cognome che testimonia la stagione in cui l'azienda agricola del marchese d'Ayala attirava a Valva lavoratori stagionali che spesso provenivano dalla Puglia.

Santovito è un cognome tarantino, uno di quelli che sono rimasti in paese anche dopo la stagione dei marchesi.

Finita la Prima guerra mondiale, nella quale aveva combattuto nei "Cavalleggeri di Saluzzo", Cosimo Santovito sposò Pasqualina Cuozzo: il cognome più diffuso a Valva che si intrecciava a uno dei "forestieri".

Cosimo e Pasqualina sono i genitori di Enrico Santovito, che oggi compie cento anni.

Una foto di zio Enrico militare, a Pinerolo (1942)

Nell'atto di nascita di zio Enrico troviamo una curiosità, segno d'altri tempi. E' l'annotazione di un errore: il cognome della madre risulta Falcone, ma "deve leggersi ed intendersi per Cuozzo", come stabilito dal tribunale di Laviano nell'agosto 1947, poche settimane prima del matrimonio dei giovani Enrico e Rosina.

E' nato un bambino di sesso mascolino che egli mi presenta e a cui dà il nome di Enrico
(Atto di nascita)

Tra la nascita e il matrimonio, la dura esperienza della guerra in Albania e quella della prigionia, di cui parleremo nei prossimi post.

Ne parleremo perché quando le esperienze diventano racconto arricchiscono un'intera comunità, ma oggi è il giorno della festa, questo è il momento degli auguri a uno degli ultimi soldati della Seconda guerra mondiale ancora viventi: la sua voce ancora riesce a trarre dalle pagine del romanzo della sua vita frammenti di ricordi, che ha donato tante volte ai figli, ai nipoti, agli amici.

Tre valvesi soci dell'Associazione Arma di Cavalleria
deceduti nel 1971 (Cosimo Santovito è nella foto centrale)

Come frasi augurali, gli dedichiamo il motto delle "Guide", il suo reggimento, e quello dei "Cavalleggeri di Saluzzo", nei quali ha combattuto suo padre: Alla vittoria ed all'onor son guida e Quo fata vocant (Dove chiama il destino).

Perché ci sono cavalieri che lo sono non solo per aver combattuto nei Cavalleggeri.


Un grazie riconoscente alla nipote Rosanna per la preziosa collaborazione.

G.V.





05 marzo 2022

"Pacchisti" e "magroni": l'ossessione della fame

Oggi dopo aver mangiato una consueta orribile "sbobba" di cavolo rapa mi sono deciso ad iniziare a scriverti questa lettera per parlarti un po' della mia vita perché tu sappia un giorno, quando capirai, quanto e come papino abbia sofferto nella sua lunga e durissima via crucis. Questa descrizione oltre a non essere completa (ci vorrebbe troppo tempo e carta per dirti tutto) non ti darà neppure una pallida idea della vita bestiale da me vissuta dall'11 settembre '43 in poi, perché solo chi l'ha vissuta può veramente comprendere.

La distribuzione della "sbobba" in baracca; fonte

Così inizia il diario di un internato italiano.
Da lettere e diari capiamo che una delle principali sofferenze patite dagli IMI, nei lager come al lavoro coatto, è la denutrizione.

Anche le testimonianze dei prigionieri valvesi sottolineano spesso la fame patita e il fatto di essere tornati a casa ormai diventati magrissimi.

In diversi casi le calorie giornaliere sono meno di 1000.              

Il pasto principale è la Suppe, detta "sbobba", una brodaglia di rape (in alcune lettere viene chiamata "acqua sporca"), con l'aggiunta o l'alternativa di un po' di pane di segala, 20-25 grammi di margarina, un cucchiaio di marmellata, 25 grammi di zucchero, 500 grammi di patate ogni due o o tre giorni, crauti crudi, un mestolo di brodo nero detto caffè e poche altre varianti.

Mancano del tutto carne, verdura e frutta fresca: questo incide drasticamente sull'assunzione di vitamine e favorisce malattie come pleuriti, tubercolosi e tifo esantematico.
Il cibo è scadente, a volte perfino avariato, spesso trattato senza il rispetto delle più elementari norme igieniche.

Gli internati militari italiani non possono avere l'assistenza della Croce rossa, a causa del loro status giuridico. Di conseguenza, l'unico vero aiuto arriva dalle famiglie attraverso i pacchi alimentari, ma questo avviene per i militari originari delle regioni del Nord Italia sotto il controllo dei tedeschi e della Repubblica di Salò, tanto che tra i prigionieri nasce una discriminazione tra i cosiddetti "pacchisti" e i "magroni".

Un prigioniero siciliano scrive:

I settentrionali ricevono pacchi e (Dio mio!) si allontanano da noi. La nostra miseria li fa appartare.

La "sbobba" è una specie di pastone come quello che si dà ai maiali; una mezza gavetta di acqua con pezzi di cavolo rapa, una specie che gli italiani non hanno mai visto fino ad ora.

Un soldato la descrive nei dettagli: 

Nella minestra o "sbobba" trovi ogni ben di Dio, gli ingredienti vengono lessati così come vengono dalla madre terra e cioè con fango, terriccio, sabbia, pietruzze, parti legnose e putride e piene di vermi. Per parecchio tempo questo luridume ci è stato somministrato senza sale e perciò più nauseabondo. Non potrai immaginare mai e poi mai come sia ributtante questa roba fino a che lo stomaco non si abitua a questa specie di alimentazione. 

La distribuzione della sbobba avviene in modo faticoso e umiliante. 

Un prigioniero racconta che per mangiare la fila dura anche sei o sette ore: migliaia di prigionieri al freddo e affamati, che cercano di sostenersi l'uno con l'atro per stare in piedi, mentre le guardie se vedono che qualcuno si sposta leggermente lo colpiscono con uno stiletto sulle gambe o gli aizzano contro i cani.

Al momento della distribuzione gli internati fanno la massima attenzione e a volte sorgono accese discussioni, per fare in modo che il cibo sia ripartito senza imbrogli e favoritismi.

Spesso alla sbobba vengono aggiunti disinfettanti e purganti.

Un internato militare prigioniero a Dachau scrive che questi hanno effetti fastidiosi debilitanti: "Qui quello che va più stitico va sedici volte al giorno. C'è un giro di diarrea che ci porta via tutti quanti".

Pur di mangiare, i prigionieri sembrano disposti a tutto, anche a dare la caccia ai topi; spesso si accontentano degli scarti alimentari nell'immondizia (e a volte si gettano nella melma del letamaio per prendere carote marce, mentre i tedeschi ridono).

Un internato militare valvese a Dachau, Pasquale Volturo, è protagonista di un significativo episodio legato al tema del cibo, così raccontato dalla figlia Fiorenza:

Il cibo era scarso e pessimo; come tanti, di notte, approfittava del buio per andare dietro alle ricche mense dei tedeschi e cercare tra i rifiuti una buccia di carota, di rapa, o, con maggiore fortuna, qualche patata. Fu proprio furante una di quelle notte che un militare tedesco lo soprese a "rubare cibo" e gli pianto la punta della sua baionetta nel polpaccio sinistro. Lui ce la fece a scappare e nascondersi. Si salvò. Da quell'episodio e da quella vita, che vita non era, aveva preso l'abitudine di raccogliere sempre le briciole dalla tavola apparecchiata e portarla alla bocca: era il suo marchio [...] di un soldato italiano fedele alla sua Patria.


Per approfondire
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

Citazioni
Le informazioni e le citazioni contenute in questo post sono tratte dalle pagine 237-246 del libro di Avagliano e Palmieri

La testimonianza di Fiorenza Volturo relativa al padre Pasquale è tratta da questo suo articolo: