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Uno strumento di ricerca storica per ricostruire e custodire la memoria dei valvesi caduti o fatti prigionieri in guerra
03 agosto 2023
IL MISTERO DEI DUE CADUTI IN GUERRA CON LO STESSO NOME
21 settembre 2022
L'8 SETTEMBRE AL DI LA' DELL'ADRIATICO
Le conseguenze dell'armistizio reso pubblico l'8 settembre 1943 sono particolarmente drammatiche per i soldati italiani di stanza nei Balcani e nell'Egeo.
In questo post analizzeremo in particolare la situazione in Albania.
L'Italia nei Balcani
Con la guerra
italo-turca, l’Italia ha
occupato le isole del Dodecaneso e l’Epiro settentrionale, un territorio tra
Albania e Grecia, di fronte all’isola di Corfù, isola che viene occupata nel
1923.
Nel 1914 l'Italia occupa l'Albania, e dal 1917 al 1920 esercita un protettorato sul piccolo stato balcanico.
Nell’aprile 1939, dopo che Hitler ha occupato la Cecoslovacchia, Mussolini invade l’Albania.
Aprile 1939: l'Italia invade l'Albania |
L'illusione della neutralità italiana dopo l'8 settembre
Dopo l'8 settembre 1943, i soldati italiani di stanza nei Balcani e in Grecia devono decidere se consegnarsi ai tedeschi o combatterli.
Si diffonde l'illusione che l'Italia possa rimanere neutrale per evitare ritorsioni tedesche. E' un approccio che condanna le forze italiane, che non prendono iniziative a differenza dei tedeschi.
L'annuncio dell'armistizio coglie di sorpresa i soldati italiani, che non sapevano nulla delle trattative; essi non ricevono un ordine diretto di disarmare i tedeschi, a decidere son i singoli comandanti.
Alla forze nel Mar Egeo viene ordinato di disarmare i tedeschi solo in caso di "prevedibili atti di forza" da parte di questi ultimi. Nella notte dell'8 settembre, il Comando Supremo dà indicazioni di non fare atti ostili contro i tedeschi; questo determinerà un atteggiamento passivo da parte dei comandi italiani nella regione. L'11 settembre finalmente le direttive sono chiare: bisogna attaccare i tedeschi; è tardi, però: le divisioni italiane in gran parte si sono già arrese.
Mentre dall'Italia non arrivano ordini, i tedeschi occupano aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, vie di comunicazione; ancora una volta, essi si muovono seguendo un piano ben preciso. Promettono di rimpatriare le truppe italiane in cambio del disarmo, ma poi non manterranno gli impegni presi.
La situazione in Albania
Tra il 25 luglio e l'8 settembre, le forze tedesche sono state autorizzate a occupare tutti gli aeroporti. Le forze italiane sono inferiore a quelle tedesche.
Nella foto dell'Istituto Luce, una folla di albanesi a Tirana ascolta il discorso di entrata in guerra dell'Italia; fonte |
La sera dell'8 settembre arriva l'ordine di reagire ai tedeschi per non essere disarmati; non si deve però prendere l'iniziativa di atti ostili contro i tedeschi. L' 11 settembre, il comando italiano è circondato: tutti gli ufficiali sono fatti prigionieri.
I tedeschi fanno opera di propaganda: distribuiscono manifestini che promettono il ritorno in patria agli italiani. Molti soldati sperano di tornare in Italia.
Un soldato ingannato due volte
Pensiamo a un soldato di Valva catturato in Albania: Enrico Santovito.
Sappiamo che è stato catturato l'11 novembre. La sua famiglia ha raccontato un episodio relativo alla sua liberazione: fu ingannato e si trovò su un treno diretto in Unione Sovietica; a Praga si accorse dell'inganno e, dopo un mese trascorso a racimolare il denaro necessario al viaggio di ritorno, partì per l'Italia. Potrebbe essere stato ingannato dai tedeschi in Albania e dai sovietici in Germania.
Bibliografia
Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino
Podcast
Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi
G.V.
03 maggio 2022
MICHELE, TORNATO AVVOLTO NEL TRICOLORE
C'è un caduto in guerra, almeno uno, che è tornato a Valva.
Vi è tornato dopo dieci anni, accolto con onore.
A Valva era nato e si era sposato; da Valva era partito per la guerra in Grecia, ora a Valva riposa.
Sua madre come tutte le madri avrebbe voluto stringerlo a sé, come aveva fatto quando gli aveva fatto le sue raccomandazioni prima della partenza, ma lo ha dovuto piangere; ne ha atteso il suo ritorno, ma lo ha visto tornare avvolto in una bandiera, dieci anni dopo la morte.
Michele Macchia nasce l'8 novembre 1923; è figlio di Sabato e di Clelia Papio. La famiglia Macchia è numerosa, come dimostra la foto che pubblichiamo. Michele ha quattro sorelle e due fratelli.
Dichiarato abile e arruolato il 9 maggio 1942, Michele è chiamato alle armi e vi giunge il 12 gennaio 1943.
Nell'ottobre 1942 ha sposato Esterina Strollo.
Assegnato al 41.mo Reggimento Fanteria con sede in Imperia, parte per la guerra: fronte greco-albanese.
Il Reggimento confluisce nella Divisione fanteria Modena, che nell'estate del 1943 è inquadrata nel XXVI Corpo d'Armata. Fino all'8 settembre tutte le unità sono impegnate nell'Epiro e nelle isole dello Jonio in attività di difesa costiera e di controguerriglia. Ricordiamo che in questo periodo la Grecia e l'Albania sono sotto occupazione italiana.
Molti soldati valvesi sono impiegati sul fronte greco-albanese. Tre di loro cadono in battaglia dopo l'8 settembre 1943, combattendo contro i tedeschi (a Cefalonia e nelle altre isole del Dodecaneso), altri sono fatti prigionieri e diventeranno internati militari italiani.
Nei mesi del 1943 che precedono l'Armistizio con gli Alleati, si intensificano gli scontri tra gli italiani e i gruppi della resistenza greca e albanese.
Non siamo in grado, al momento, di formulare ipotesi precise sulla morte del giovane soldato valvese. Sappiamo che Michele Macchia muore il 17 agosto del 1943, ad Almyros, in Tessaglia (Grecia); i familiari ricordano che quando è stato colpito si trovava in una sartoria e che la notizia del suo decesso è giunta alla famiglia tramite il sacerdote dell'epoca.
Il suo reggimento sarà sciolto dopo circa un mese, in seguito all'armistizio dell'8 settembre.
Il rientro nella sua terra nativa di un caduto in guerra riapre una ferita ma è anche un modo per adempiere il dovere verso un defunto, così come la religione e la pietà popolare hanno tramandato nei secoli. Compiuti i riti, anche nei poemi omerici la vita può riprendere; prima, però, l'intera comunità ha il dovere civile e morale di offrire gli onori funebri a chi ha sacrificato la propria vita per la patria.
In tempo di pace, scriveva Erodoto, i figli seppelliscono i genitori; in tempo di guerra, invece, i genitori seppelliscono i figli: l'ordine della natura è stravolto dalla guerra.
I coniugi Sabato e Clelia hanno avuto il mesto e pietoso conforto di abbracciare l'urna che custodiva i resti del figlio. In quella domenica di Pentecoste del 1953, essi hanno idealmente abbracciato tutte le salme dei soldati che non sono tornati più a casa, riassumendo nei loro gesti quelli che gli altri genitori non hanno potuto compiere verso i loro figli caduti.
Ecco una foto della cerimonia: il corteo avanza verso la chiesa di San Giacomo Apostolo.
Il corteo funebre è guidato da due sacerdoti: dovrebbero essere don Giuseppe Alfano e don Lorenzo Spiotta |
Da quel giorno, Michele Macchia riposa nel cimitero di Valva, dove è ancora presente la lapide che si vede nella foto con la famiglia accanto ai reati del giovane soldato:
Un doveroso ringraziamento a Veronica Cuozzo, che ha inviato le fotografie storiche e ha raccolto dalla nonna Michela (la bambina indicata nella foto con il numero 10) le informazioni che hanno reso possibile questo post.
G.V.
13 febbraio 2022
DA NEWARK A VALVA PER LA GUERRA E POI IL RITORNO
Per approfondire
Sulla serata di raccolta fondi organizzata dai valvesi a Newark nel 1924, si veda questo bel post di Gozlinus (e la bibliografia in esso citata):
- Ellis Island Fundation: https://www.statueofliberty.org/ellis-island/
- Family search: https://www.familysearch.org/en/