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13 agosto 2025

IL BERSAGLIERE MUTILATO SUL MONTE CUCCO

In un precedente post abbiamo già raccontato la vita di Martire Perna, avvolta in un alone di mistero che si sta diradando grazie all'appassionata ricerca di un suo giovane discendente, Gianluca.
Ora entriamo nel cuore della sua esperienza più drammatica e significativa: il servizio militare durante la Grande Guerra, nei Bersaglieri.
Martire, chiamato alle armi il 24 novembre 1915, entra poi a far parte del 21° Reggimento Bersaglieri, costituito il 27 aprile 1917.
Durante la Decima Battaglia dell'Isonzo, il 21° Reggimento Bersaglieri, inserito nella 60ª Divisione, è impegnato sul Monte Cucco (Kuk) è un'altura strategica a nord di Gorizia.
Il 15 maggio, insieme al 127° Reggimento Fanteria, i bersaglieri partecipano all’attacco per la conquista di quota 535, lo sperone più importante del Monte Cucco. 
La resistenza austro-ungarica è dura, ma l'esercito italiano riesce  a occupare le posizioni previste.
Il 16 maggio i bersaglieri respingono ripetuti contrattacchi nemici volti a riconquistare lo sperone. 
In questa occasione Martire riporta gravi ferite da pallottole d'arma da fuoco alla spalla sinistra e al viso, con la frattura della mascella sinistra e la perdita di sedici denti.  In seguito a queste ferite otterrà la dichiarazione di mutilato di guerra, con la quarta categoria a vita (un'invalidità che non era la più grave ma era comunque permanente e non migliorabile).
La lotta sul Monte Cucco è durissima. Il bollettino di guerra del Comando Supremo del 17 maggio 1917 riporta:
Aspra e lunga fu la lotta nella zona fra Monte Cucco e Vodice, ove forti forze nemiche, sostenute dal fuoco di numerose batterie, si lanciarono più volte contro le nostre nuove posizioni. Furono costantemente ributtate. L’intero baluardo roccioso di Monte Cucco fra Quota 611 e Quota 524 rimane in nostro saldo possesso.  fonte
Martire ottiene le decorazioni che vediamo nelle foto:
Significativa è l'espressione "Guerra per l'unità italiana"



Il precedente post dedicato a Martire Perna:
Martire il bersagliere e sua madre Arcangela- La memoria da ricucire

Anche questo post è stato possibile grazie al prezioso lavoro di Gianluca Parisi Perna, che desidera esprimere un sentito ringraziamento al signor Michele Strollo per la gentile e preziosa collaborazione.
G.V.


31 luglio 2025

NEL NOME DI GORIZIA: SOGNO PATRIOTTICO E MORTE AL FRONTE

A Valva, nel settembre del 1915 un maestro originario di Santomenna registrava la nascita di due gemelle e dava loro  nomi che portavano con sé un sogno e una speranza patriottica: Gorizia e Gradisca Italiana.
Due nomi che evocavano luoghi lontani, simboli di una terra da riconquistare.
Per Gorizia, però, sarebbe stato necessario attendere quasi un anno: la sua presa definitiva arriverà solo nell’agosto 1916. Gradisca, addiritura, sarà italiana solo alla fine della guerra.
Prima della conquista di Gorizia, migliaia di giovani soldati persero la vita nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo.
Tra questi, molti trovarono la morte o la prigionia nel piccolo villaggio di Oslavia, a pochi chilometri da Gorizia. Proprio qui, nel gennaio del 1916, morirono due valvesi, mentre un terzo rimase prigioniero.

Oslavia: la conquista difficile del fronte isontino
Oggi Oslavia è una frazione del comune di Gorizia.
Durante la Grande Guerra era un piccolo villaggio in posizione strategica e ben fortificato.
Nonostante le prime quattro battaglie dell’Isonzo — combattute tra l’estate e l’autunno del 1915 — l’esercito italiano non riuscì mai a conquistarla.
Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1916, con una violenta offensiva, le truppe italiane riuscirono finalmente a entrare a Oslavia, conquistando anche la vicina Quota 188.
Fu una vittoria effimera: il 24 gennaio un contrattacco austro-ungarico riportò Oslavia sotto il controllo nemico, infliggendo gravi perdite agli italiani.
Oslavia divenne così uno dei luoghi simbolo di una guerra logorante, combattuta metro per metro.
La conquista definitiva da parte italiana arrivò solo nell’agosto 1916, durante la Sesta battaglia dell’Isonzo, quando caddero Gorizia e l’intero sistema difensivo austro-ungarico della zona.

Le vicende dei soldati valvesi
Due valvesi risultano dispersi a Oslavia il 24 gennaio 1916: Giuseppe Fasano e Giuseppe Piramide
Un altro valvese, Michele Cozza, è invece fatto prigioniero lo stesso giorno e sarà internato a Mauthausen fino all'ottobre 1918, quando sarà rimandato in Italia perché invalido e sarà ricoverato all'ospedale di Nervi, dove morirà nell'ottobre dello stesso anno.
Racconteremo le loro vicende in un prossimo post.

Approfondimento
Il maestro di Santomenna si chiamava Pasquale Figurelli, sua moglie Lucia Anita Carmela D'Ambrosio ("gentildonna"). Le bambine risultano nate in via Santo Antonio, al numero 26.

G.V.

23 luglio 2025

IL RAGAZZO DI CASTELNUOVO CHE RIPOSA TRA LE MEMORIE

Un giovanissimo ed esile soldato di Castelnuovo di Conza (provincia di Salerno) riposa nel Sacrario di Fagarè, in una sala che ospita un piccolo museo commemorativo della Grande Guerra.
Una domenica di fine secolo
Il 23 luglio 1899 è una domenica. In Italia regna Umberto I (tra un anno esatto sarà ucciso a Monza), governa il generale Luigi Pelloux, promotore di leggi repressive; il Papa è Leone XIII. 
A Castelnuovo di Conza, in via Fontana, nasce Giuseppe Annicchiarico, figlio di Michelangelo Del Vecchio, contadino, e di Assunta Mariantonia De Rogatis. I genitori si erano sposati nel 1890; Michelangelo era orfano, mentre Assunta era figlia di Domenico (già deceduto) e di Filomena Giuliano.
Il soldatino che riposa tra le memorie della guerra
Abbiamo già raccontato la vicenda di Giuseppe, un giovane della classe '99 che muore sul Piave e ora risposa nel Sacrario di Fagarè della Battaglia, in provincia di Treviso.

La foto è stata scattata presso il Sacrario militare di Fagarè della Battaglia, come documento storico e in omaggio alla memoria di un soldato caduto durante la Prima Guerra Mondiale.  
Il loculo di Giuseppe è nella prima navata del Sacrario, dove è allestita una piccola stanza che ospita un museo. 
Si tratta di uno spazio raccolto, ma molto significativo, in cui sono esposti cimeli della Grande Guerra. Nelle teche si possono osservare uniformi, armi e munizioni originali, insieme a documenti, fotografie e oggetti personali. È come una rappresentazione tangibile del sacrificio di tanti giovani: armi italiane e austriache, oggetti di vita  quotidiana dei due fronti parlano con forza al visitatore di oggi, restituendo concretezza alle storie dei soldati e rafforzando il legame con i nomi incisi nei loculi vicini.
Ora che le armi tacciono, possiamo onorare la memoria dei caduti e, insieme, riflettere sulla tragica insensatezza della guerra.

Il foglio matricolare
In occasione del compleanno del giovane caduto, abbiamo consultato il suo foglio matricolare all'Archivio di Stato di Salerno.
Alla visita di leva Giuseppe misura 1,56 m. 
Nel 1915, la statura media dei maschi italiani registrata durante le visite di leva era di 1,66 m; questo dato proviene da una serie storica dell'Istat riferita a coscritti italiani di età compresa tra i 17 e i 20 anni. Dunque Giuseppe è di dieci centimetri più basso della media dei suoi coetanei. La circonferenza toracica del giovane è al limite minimo consentito dai regolamenti militari, ma comunque entro i parametri per l'idoneità.
Giuseppe ha i capelli castani lisci, gli occhi grigi, il colorito roseo, la dentatura sana; dichiara di essere un contadino e di non sapere né leggere né scrivere.
È arruolato come soldato di leva della terza categoria.

La prima categoria includeva coloro che risultavano pienamente idonei al servizio militare: venivano arruolati e destinati al servizio attivo. Nella seconda categoria rientravano i soggetti anch’essi idonei, ma non chiamati subito alle armi, perché eccedenti rispetto al fabbisogno; restavano in riserva e potevano essere richiamati in caso di necessità. Infine, la terza categoria comprendeva chi era esonerato dal servizio per motivi familiari o altri impedimenti, pur risultando tecnicamente idoneo. Tuttavia, in caso di guerra o mobilitazione generale, anche i soldati inizialmente assegnati alla seconda o terza categoria potevano essere richiamati e mandati al fronte.

Giuseppe viene chiamato alle armi il 13 giugno 1917, assegnato al deposito del 14° Reggimento  Fanteria, destinato alle truppe mobilitate in zona di guerra.
Nel precedente post che gli abbiamo dedicato, abbiamo riportato un'informazione tratta dall'Albo dei Caduti: Giuseppe è nel 244° Reggimento Fanteria quando risulta disperso sul Piave.
Le due notizie non sono necessariamente in contraddizione: Giuseppe Annicchiarico è amministrativamente legato al deposito del 14° Reggimento Fanteria ma operativamente è assegnato al 244° Reggimento, dove combatte fino alla scomparsa. Ricordiamo che dal "deposito" partivano i soldati che venivano assegnati al altri reparti combattenti.
L'ultima annotazione sul foglio matricolare recita: 
Disperso in guerra giusto riferimento Reali Carabinieri di Laviano. E' come dire: è disperso in guerra, lo attestano i carabinieri di Laviano.

Giovane Giuseppe, soldatino di Castelnuovo, perdonaci se ti abbiamo perso di vista.

Approfondimenti
Post dedicati alla vicenda di Giuseppe e al Sacrario di Fagarè:

La spiegazione sulle tre categorie di soldati è stata elaborata da ChatGPT, basandosi su documenti storici italiani relativi al servizio di leva durante la Prima Guerra Mondiale, tra cui fonti dell’Archivio di Stato e studi storici sul reclutamento militare in Italia.

G.V.

LA MASCHERA ANTIGAS, IL TELEGRAFO: LA GUERRA DI ARCADIO

Nuovo capitolo del nostro "La musa valvese. Il romanzo della famiglia Grasso". In questo episodio ci occupiamo di un soldato, pittore e autore di canzoni d'amore e religiose.
Il 12 febbraio 1898 Giacinto Grasso, quarantaseienne negoziante di Valva, davanti al sindaco Paolo D'Urso dichiara la nascita di un bambino, in via Sant'Antonio, al quale dà il nome di Arcadio Rodolfo Maria.
Testimoni sono due dipendenti comunali: il messo Donato Vacca e la guardia campestre Michele Cuozzo.
Alla visita militare, nel febbraio 1917, Arcadio dichiarerà di essere telegrafista.
Dal suo foglio matricolare apprendiamo che Arcadio è molto alto per l'epoca: 1,75m. Naso aquilino, mento regolare, occhi castani, colorito pallido, dentatura sana.
Viene arruolato come soldato di leva nella prima categoria e, venti giorni dopo, è chiamato alle armi.
È assegnato al deposito del 3° Reggimento Genio Telegrafisti.
E' arruolato come soldato di leva nella prima categoria.
Venti giorni dopo è chiamato alle armi.
Lo troviamo nel deposito del 3°Reggimento Genio Telegrafisti.
All’inizio del conflitto, il Reggimento mobilitò 24 compagnie telegrafisti: alcune assegnate direttamente al Comando Supremo, altre alle Armate e ai Corpi d’Armata, inclusi plotoni dislocati nelle fortezze di frontiera. Erano inoltre presenti sezioni radiotelegrafiste e compagnie di milizia mobile, oltre a una compagnia treno per il supporto logistico.
Durante la guerra, il numero delle compagnie crebbe progressivamente: nel 1916 e 1917 le sezioni telefoniche divisionali divennero vere e proprie compagnie telegrafiste, fino a raggiungere complessivamente 68 compagnie telegrafiste entro la fine del conflitto.
Tra i volontari di rilievo si annovera Guglielmo Marconi, che prestò servizio come ufficiale nel Reggimento, contribuendo all’impiego strategico delle comunicazioni radiotelegrafiche.
Il 23 dicembre 1917 Arcadio è mandato in licenza straordinaria di convalescenza di giorni ottanta. Il motivo non è indicato.
A marzo rientra, ad agosto avrà un'altra licenza di quattro mesi.
Da un prezioso post di Gozlinus, che si fonda su testimonianze raccolte nella famiglia Grasso, sappiamo che Arcadio è rimasto gravemente ferito dall'iprite, conosciuta come "gas mostarda", che provoca gravi ustioni alla pelle e danni all'apparato respiratorio.
Museo, Sacrario di Fagarè della Battaglia

Le armi chimiche nella Grande Guerra 
La Prima guerra mondiale rappresentò il primo grande conflitto in cui le armi chimiche vennero utilizzate in modo sistematico e su vasta scala, trasformando i campi di battaglia in veri e propri laboratori di morte. I gas venefici furono messi a punto da alcuni tra i più autorevoli scienziati dell’epoca, tra cui Fritz Haber, premio Nobel e figura chiave nello sviluppo del gas cloro a fini bellici.
Il 22 aprile 1915, durante la Seconda battaglia di Ypres, l’esercito tedesco impiegò per la prima volta il cloro gassoso, segnando un momento cruciale e inquietante nella storia della guerra moderna. Il gas, entrando in contatto con le mucose respiratorie, provocava gravi difficoltà respiratorie e spesso portava alla morte per edema polmonare.
Successivamente, furono introdotti agenti ancora più pericolosi:
  • Fosgene, un gas quasi inodore e difficile da individuare, che fu responsabile di circa l’85% delle vittime causate da armi chimiche.
  • Iprite, o gas mostarda, utilizzato a partire dal 1917, non provocava una morte immediata ma generava lesioni cutanee, cecità e danni polmonari; inoltre, contaminava l’ambiente circostante, rendendo inaccessibili trincee e materiali.
Nel complesso, le armi chimiche provocarono oltre un milione di intossicazioni e circa 100.000 decessi. Anche l’effetto psicologico fu devastante: molti soldati temevano l’arrivo del gas più dei proiettili, anche perché le maschere antigas spesso non offrivano una protezione efficace, e i sintomi dell’esposizione erano angoscianti.
L’orrore suscitato da questi nuovi strumenti di distruzione portò infine alla reazione della comunità internazionale: nel 1925 fu firmato il Protocollo di Ginevra, che proibiva l’uso delle armi chimiche in guerra, pur non vietandone la produzione o lo stoccaggio.

Il foglio matricolare presenta alcune incongruenze nelle date. 
In linea di massima, comunque, possiamo affermare che l'esperienza militare di Arcadio è stata sicuramente caratterizzata da frequenti licenze dovute a motivi di salute, come dimostra anche l'annotazione finale: riformato l'8 gennaio 1919.

Museo, Sacrario di Fagarè della Battaglia
Questo apparecchio telefonico da campo è esposto nella sala museo all'interno del Sacrario di Fagarè della Battaglia, in provincia di Treviso.
Era utilizzato dai militari per garantire le comunicazioni tra le diverse postazioni sul fronte. Realizzato in legno e dotato di una cornetta collegata tramite cavi, permetteva il collegamento diretto attraverso linee telefoniche cablate. 
Sul pannello frontale sono presenti selettori e comandi per impostare i canali di comunicazione, mentre il tasto telegrafico annesso consentiva l’invio di messaggi in codice Morse. 
Era uno strumento essenziale per il coordinamento tattico durante le operazioni belliche.
Tornato in casa, Arcadio vivrà in precarie condizioni di salute e morirà il 4 aprile 1929, a trentuno anni.
Davanti al cavaliere Antonio Masi si presentano due calzolai: Pietro Nicola Falcone e Michele Falcone; dichiarano che alle sei del mattino è morto Arcadio Grasso, di anni trentuno, possidente.
Arcadio risulta ancora residente in via Sant'Antonio; i genitori sono ancora in vita.
I due testimoni sono Angelantonio Porcelli, muratore,  e Giacomo Feniello, fotografo.
Gozlinus ha pubblicato l'elegante timbro che il fotografo-pittore apponeva sul retro delle sue foto:

fonte: Gozlinus
Concludiamo il racconto della vita di Arcadio Grasso con questo piccolo segno di bellezza, quasi un omaggio a un valvese la cui gioventù è stata portata via dalla guerra ma la cui sofferenza è stata certamente alleviata da uno spirito poetico, che gli suggeriva di scrivere canzoni d'amore, come quella che abbiamo cercato di analizzare nel post 👉 Il pudore romantico di Arcadio: tra canzone e preghiera.
Nel repertorio di Arcadio giunto fino a noi c'è anche un canto sacro, un'Ave Maria. Cercheremo di dedicare un post anche a questo testo.

Musa valvese: il romanzo della famiglia Grasso

Il blog Gozlinus ha dedicato questi interessanti post alla figura di Arcadio Grasso

Approfondimenti storici presenti nel post:
Gli approfondimenti storici contenuti in questo post sono stati elaborati con il supporto di ChatGPT (OpenAI), che ha sintetizzato e rielaborato informazioni tratte da fonti storiche accreditate, tra cui:
Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano
Antonio Sema, La guerra chimica 1915-1918
Sito ufficiale del Sacrario di Fagarè della Battaglia
Dietrich Stoltzenberg, Fritz Haber: Chemist, Nobel Laureate, German, Jew
Protocollo di Ginevra del 1925 (documentazione ONU)
G.V.

19 luglio 2025

VINCENZO SPATOLA, IL DESTINO IN UN NOME

Caduto nella Grande Guerra, il suo nome rivive in un nipote scomparso nel terremoto del 1980 e in un altro nato in America.

Vincenzo Spatola nasce a Valva il 31 gennaio 1891, da Michele e Francesca Torsiello.
Ha tre fratelli più grandi: Salvatore (classe 1884), Prospero (classe 1886) e Serafino (classe 1888).
Gli Spatola sono una famiglia di fabbri e maniscalchi; Vincenzo alla visita militare dichiara però di essere sarto.
Una curiosità: dal 1844 al 1913, nei registri delle liste di leva conservati all'Archivio di Stato di Salerno risultano nove soldati con il cognome Spatola nati a Valva; di otto di loro è indicata la professione e ben cinque sono fabbri ferrai o maniscalchi.
Soldato di leva di prima categoria, Vincenzo è lasciato in congedo illimitato nell'aprile 1911. È chiamato alle armi nell'ottobre dello stesso mese, quando è "inviato in congedo provvisorio con l'obbligo di presentarsi alle armi entro un mese dal congedamento del fratello Serafino, richiamato della classe 1888". 

Il tamburino 
Vincenzo arriva quindi alle armi "in seguito al congedamento del fratello", l'8 maggio 1912; il giorno dopo viene assegnato al 22° Reggimento Fanteria.
L'anno seguente lo troviamo tamburino nello stesso reggimento.
Il ruolo del tamburino, solitamente riservato a soldati giovani, consiste nel segnalare ordini con strumenti a percussione (come il tamburo); un compito importante per la comunicazione nei reparti.

La ferita in Libia
Il 4 giugno 1913 Vincenzo è nell'87° Reggimento Fanteria, il 9 giugno parte per la Libia e si imbarca a Napoli.
Rientra in Italia e sbarca a Palermo già il 12 luglio, a causa di una "ferita d'arma da fuoco alla regione sopraclavicolare sinistra con permanenza di proiettile", riportata nel combattimento avvenuto il 1 luglio a Safsaf (nei documenti indicato anche come Saf Saf).
In questo scontro in Cirenaica, il Regio Esercito italiano affronta i guerriglieri senussi (una confraternita islamica organizzata militarmente). Una colonna di italiani cade in un'imboscata e viene accerchiata; Vincenzo è uno dei 105 soldati italiani feriti. Tra morti e dispersi, le perdite italiane sono di circa 100 uomini.
L’episodio si colloca tra le prime sconfitte italiane dopo la guerra italo-turca, all’interno della più ampia Campagna di Libia, segnata dalla resistenza armata delle popolazioni locali contro l’occupazione italiana.
Il contesto storico e militare
La guerra italo-turca (1911–1912) fu un conflitto tra il Regno d’Italia e l’Impero Ottomano, volto alla conquista della Tripolitania e della Cirenaica, allora territori ottomani. Dopo la dichiarazione di guerra, il 29 settembre 1911, l’Italia occupò rapidamente le zone costiere. Il conflitto si concluse con il Trattato di Losanna (18 ottobre 1912), che sancì la cessione formale dei territori all’Italia.
Questa guerra segnò l’inizio della più lunga e complessa Campagna di Libia (1912–1931), nella quale l’Italia cercò di consolidare il proprio dominio, incontrando però una forte resistenza, soprattutto in Cirenaica, da parte dei Senussi. Il conflitto si sviluppò in forme di guerriglia, insurrezioni e repressioni, fino alla conquista definitiva dell’entroterra. La campagna si concluse con l’impiccagione di Omar al-Mukhtar nel 1931, simbolo della resistenza libica.
La Grande Guerra 
Vincenzo giunge nuovamente alle armi in un giorno fortemente significativo per la storia italiana: il 24 maggio 1915
È assegnato al 65° Reggimento Fanteria. Poco più di un anno dopo, nel giugno 1916, risulta inquadrato nel 18° Reggimento Fanteria, parte della Brigata Acqui.
In quei mesi si combatte duramente sul fronte dell'Isonzo: le truppe italiane, dopo la conquista di Gorizia (9 agosto 1916), tentano di sfondare le linee austro-ungariche sulle alture orientali, tra cui la quota 305, nota come posizione di Santa Caterina.
L’11 agosto 1916, mentre infuria la battaglia per quella posizione strategica, Vincenzo risulta disperso. Non è certo che il suo reggimento fosse direttamente coinvolto nell’attacco principale a Santa Caterina, ma è probabile che si trovasse nei pressi, impegnato in manovre di rinforzo, pattugliamento o supporto. 
Nel caos della guerra, molte perdite vengono registrate come "dispersi", senza certezza sulle circostanze.
Colonna di fanteria italiana in marcia
verso il vallone del Carso; fonte
Santa Caterina
Durante la Sesta battaglia dell’Isonzo, l’esercito italiano attacca la collina di Santa Caterina, vicino a Gorizia, fortemente difesa da truppe austro-ungariche. L’offensiva è condotta dalla 45ª Divisione italiana ma, nonostante vari tentativi e un fuoco preparatorio, tutti gli attacchi vengono respinti.
L’operazione fa parte del tentativo italiano di consolidare le posizioni attorno a Gorizia, conquistata pochi giorni prima (9 agosto 1916), puntando a superare le fortificazioni a est, tra cui Santa Caterina e San Gabriele. La battaglia evidenzia le grandi difficoltà nel superare difese ben organizzate, anche dopo un avanzamento.
È leggendaria, anche se poco verificabile, la testimonianza di mitraglieri austro-ungarici “incatenati” alle loro armi, riportata nei resoconti della Brigata Benevento.

L'Isonzo con sullo sfondo Gorizia; fonte
Il cammino di un nome 
Il nome del soldato caduto rivivrà in uno dei figli di suo fratello Serafino: nato nel 1923, Vincenzo Spatola sposerà la cugina del soldato americano Henry Porcelli (alla storia del quale abbiamo dedicato diversi post). 
In questa foto, verosimilmente scattata proprio da Henry, vediamo al centro Vincenzo e sua moglie Maria D'Amato. Siamo a Valva, in zona San Vito, dopo lo sbarco alleato a Salerno (dunque nell'autunno del 1943):
Vincenzo e Maria si sono sposati nel luglio 1942. 
Troveranno la morte insieme al padre di lui, Serafino, a Castelnuovo di Conza la sera del terremoto del 23 novembre 1980.
Anche Prospero Spatola, emigrato negli USA nel 1906, darà a uno dei figli il nome di Vincenzo. 

Dal prezioso archivio di Gozlinus, due foto della famiglia Spatola:
Adriano, Michele e Vicenzo Spatola; fonte
Michele Spaola e suo figlio Serafino; fonte

Dalla polvere del deserto libico, al fango delle trincee, poi alla polvere delle strade americane attraversate a gran velocità dal progresso,  fino a quella delle macerie di una domenica sera di novembre: il nome Vincenzo Spatola sembra segnare le tappe di un destino che si ripete. 
Due  tragedie -la guerra e il terremoto- e l'epopea, a tratti eroica e a tratti drammatica dell'emigrazione: momenti che nel Novecento hanno profondamente segnato la comunità di Valva.

Approfondimenti

Abbiamo già parlato di Vincenzo Spatola e Maria D'Amato in questo post:
👉Storie come strade

Ecco i post dedicati alla storia di Henry Porcelli: 
👉Dopo lo sbarco a Salerno un soldato americano visita la nonna a Valva
👉Sulle tracce del soldato Porcelli
👉Il suo nome era Henry Porcelli
👉Storie come strade
👉La storia di Henry diventa un fumetto
👉L'aviatore valvese che spiccò l'ultimo volo dal Colorado

Alla partecipazione dei valvesi alle guerre combattute in Africa abbiamo dedicato inseguenti post: 
👉I valvesi alla guerra in Africa
👉Due soldati valvesi sul bel suol d'amore

G.V.

13 luglio 2025

GIUSEPPE, UN RAGAZZO DEL '99 CADUTO SUL PIAVE

Sacrario di Fagarè della Battaglia, provincia di Treviso.
Luglio.
Sono venuto qui alla ricerca della sepoltura di tre miei concittadini,  ma nemmeno nel grande registro cartaceo trovo i loro nomi. Ho sempre la speranza che in un registro di carta ci sia una nota, magari scritta a matita, o un foglio ingiallito e piegato male con un elenco aggiuntivo che risolva un mistero.
Nessuna sorpresa, ma non mi arrendo: riproverò in un altro sacrario.

Ho però trovato la sepoltura di un soldato di Castelnuovo di Conza: Giuseppe Annicchiarico.
Era un ragazzo del '99, caduto sul Piave nel giugno 1918, quando ancora non aveva compiuto diciannove anni.
Basta questo pensiero a dare senso ai miei tentativi, un po' disorganizzati, di individuare le sepolture dei soldati del mio paese.

Un soldato tipo
Se dovessi scrivere un racconto o realizzare un corto su un soldato italiano della Grande Guerra, al protagonista darei tre caratteristiche: un nome molto diffuso, ad esempio Giuseppe; lo immaginerei della classe '99, uno dei ragazzi che vanno al fronte quando ormai la guerra è nella fase decisiva; lo immaginerei contadino del Sud che muore sul Piave, mandato a combattere una guerra lontana dalla sua terra perché -come è scritto sul Sacrario di Fagarè- così volle la Patria, amor che vince ogni altro amore. Lo immaginerei caduto sul Piave, perché è questo il fiume per eccellenza del martirio della gioventù italiana.
Dunque, la storia di Giuseppe ne racchiude tante altre simili: ognuna di queste merita di essere ricostruita, raccontata, trasmessa.
La storia di Giuseppe
Non ho molti mezzi per raccontare quella di Giuseppe, ma ci provo.
Giuseppe nasce a Castelnuovo in via Fontana il 23 luglio 1899, figlio di Michelangelo fu Giuseppe e fu Margherita Del Vecchio, contadino di 34 anni, e di Assunta Mariantonia De Rogatis (ma nell'atto di matrimonio risulta De Rogato). 

I suoi genitori si sono sposati nel 1890. Dal registro dei matrimoni ricaviamo alcune informazioni anagrafiche: i genitori di Michelangelo, Giuseppe e Margherita Del Vecchio, risultano già deceduti; i genitori di Assunta sono Domenico (deceduto) e Filomena Giuliano. 
Nel 1894 nasce Giuseppe,  morto a soli tre mesi; nel 1895 nasce la sorella  Amalia. 
Giuseppe partecipa alla Grande Guerra inquadrato nel 244° Reggimento Fanteria 'Cosenza', unità impegnata sul fronte del Piave, dove combatte nella decisiva "Battaglia del Solstizio", quando il reggimento merita la Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Il 16 giugno 1918, mentre austriaci e italiani combattono lungo le teste di ponte aperte sul Montello, il Reggimento Fanteria Cosenza viene probabilmente impiegato nelle azioni di contenimento e contrattacco che costringeranno il nemico alla ritirata. 
E' questo il giorno in cui Giuseppe cade in battaglia. 
Dal registro che consulto, risulta che la sua prima sepoltura è stata il cimitero La Fossa, tomba 295.

Quest'anno Castelnuovo di Conza celebra i cento anni del suo monumento ai caduti e dunque rivolgo un pensiero ai suoi giovani morti in guerra, alcuni dei quali così vicini ai miei compaesani nella sepoltura lungo la linea del Piave come lo furono in vita, contadini, pastori o artigiani dalle parti del Sele.

La foto storica del monumento di Castelnuovo di Conza è tratta dalla pagina Facebook dell'ex sindaco Francesco De Geronimo, recentemente scomparso. Questo post è dedicato alla sua memoria.

Approfondimento
Al monumento di Castelnuovo di Conza abbiamo dedicato il seguente post:

Al Sacrario di Fagarè della Battaglia stiamo dedicando una serie di post; ecco il primo:

G.V.

07 settembre 2024

UN NOME CADUTO IN DUE GUERRE: LA STORIA DI UNO ZIO E DI UN NIPOTE

Questa è la storia di uno zio e di un nipote che non si sono mai conosciuti ma che hanno in comune il nome e la morte in guerra.

Il nome è Pietro, i conflitti sono la Prima e la Seconda guerra mondiale, il comune di nascita è Laviano, nell'Alta Valle del Sele.

Pietro Grande vi nasce il 28 giugno 1894, vigilia della festa di san Pietro: è probabile che sia questo il motivo del nome. I suoi genitori si chiamano Antonio e Fusella Maria. 
Pietro è biondo, con i capelli ricci e gli occhi grigi; dal suo foglio matricolare possiamo ricavare due segni particolari: ha una cicatrice alla fronte e la sua dentatura non è sana. 
Il 2 aprile 1914, alla visita militare della leva della classe 1894 il giovane estrae il numero 90.

Fino al 1907, l'estrazione a sorte dettava l'ordine dei coscritti alla "prima categoria", fino a raggiungere il numero previsto dalla legge per il contingente che quel determinato distretto era chiamato a fornire. Gli altri arruolati erano assegnati alla "seconda categoria";  quelli che si trovavano in alcune condizioni giuridiche particolari, generalmente di famiglia, o fisiche erano assegnati alla "terza categoria".
Una legge del 1907 stabilisce che "tutti i cittadini idonei sono arruolati nel Regio Esercito ed assegnati alla prima categoria ove non abbiano diritto all'assegnazione alla seconda o alla terza categoria per ragioni di famiglia nei casi previsti dalla legge". L'estrazione a sorte venne comunque mantenuta, allo scopo di determinare quale parte dei soldati di "prima categoria" dovesse essere lasciata in congedo perché eccedente il numero di uomini che, in base alla legge di bilancio, possono essere trattenuti alle armi ogni anno. 

Pietro è lasciato in congedo illimitato.
Il giorno del suo ventesimo compleanno, una pallottola cambia la storia del Novecento: è l'attentato di Sarajevo, anticamera della Grande Guerra.
Successivamente, il 7 settembre 1914 Pietro è rinviato in congedo illimitato provvisorio in attesa del "congedamento "(oggi diremmo congedo) del fratello Nicola, della classe 1889, "per presentarsi alle armi otto giorni dopo il congedamento del fratello".
Il 5 novembre 1914 Pietro giunge alle armi, essendosi congedato il fratello. Il 9 novembre 1914 è arruolato nel 70° Reggimento Fanteria.
Giunge in territorio dichiarato in stato di guerra in un giorno particolarmente importante per la storia italiana: il 24 maggio 1915.
Di lui il foglio matricolare non riporta altre notizie se non l'ultima, in data 11 luglio 1916: "Morto nel 238° Reparto someggiato, in seguito a ferite riportate per fatto di guerra".

Per ipotizzare i luoghi e le circostanze del ferimento letale, possiamo seguire le vicende del suo Reggimento.
Il contesto è quello dell'offensiva austriaca e della controffensiva italiana nel Trentino: è la cosiddetta "Battaglia degli Altipiani". L'offensiva austriaca è conosciuta con il termine di "Spedizione punitiva". 
La battaglia dura dal 15 maggio 1916 al 27 luglio 1916; a metà giugno inizia la controffensiva italiana. Si stima che le perdite italiane ammontino a quasi 150mila uomini.
Il 70° Reggimento Fanteria costituisce insieme al 69° la Brigata Ancona (Campagna risulta tra le sedi di reclutamento).
Ipotizzando che Pietro sia deceduto pochi giorni dopo la ferita in combattimento, potrà essere utile sapere che il 23 giugno la brigata si trasferisce nel settore del Pasubio e partecipa alla controffensiva italiana, avanzando fino a Valmorbia e concorrendo alla riconquista di Monte Trappola. 
Dal 22 giugno al 31 dicembre la Brigata è nella zona di Vallarsa-Settore Pasubio-Monte Corno- Altipiano Col Santo.
Dunque Pietro muore quando è in cura nel reparto someggiato della 38.ma sezione Sanità.

Durante la Grande Guerra furono mobilitate 89 sezioni di sanità; ciascuna era divisibile in un reparto carreggiato (con uso di carreggio) e due reparti someggiati (con uso di muli), contraddistinti da numerazione espressa in centinaia, con il numero della sezione nelle unità (poi decine) e il progressivo nelle centinaia (nel nostro caso, 38 sezione di sanità, 238 reparto someggiato; l'altro reparto someggiato era il 138). fonte
Cinque mesi dopo, il 22 dicembre 1916, sua sorella Concetta -moglie di Francesco Borriello- dà alla luce un bambino al quale dà il nome di Pietro.
Quando nel maggio 1937 viene dichiarato rivedibile alla visita di leva, forse Pietro Borriello pensa che non diventerà un soldato; l'anno dopo, però, è chiamato alle armi il 25 marzo e lo stesso giorno lo troviamo nel 31° Reggimento Fanteria.
Pietro Borriello è abbastanza alto per l'epoca, ha i capelli lisci castani, il viso lungo e il mento sporgente, come riporta il suo foglio matricolare. 
Anche nel suo caso, viene annotato che la dentatura è guasta: è un elemento molto ricorrente nei fogli matricolari dei soldati delle due guerre, un chiaro indizio delle condizioni difficili in cui vivevano i giovani che si presentavano alla visita di leva. 
Pietro sa leggere e scrivere, come vediamo nel retro della foto:

Ancora non sa che subirà lo stesso destino dello zio da cui ha preso il nome.
Evidentemente Pietro è  in gamba, visto che già nel mese di luglio è nominato fante scelto; il 15 agosto è promosso col grado di caporale.
Il 25 settembre 1939 è trattenuto alle armi e il 28 gennaio 1940 è inviato in licenza straordinaria senza assegni di un mese, a Laviano; rientra al reparto il 27 febbraio.
Il 1 marzo 1940 lo troviamo nel 32° Reggimento Fanteria, Divisione Siena, con sede a Caserta.
Lo troviamo ricoverato proprio all'ospedale militare di Caserta dal 16 al 26 aprile; successivamente, è inviato in licenza di convalescenza.
L'11 giugno 1940 lo troviamo in territorio dichiarato in stato di guerra: Benito Mussolini ha da pochi giorni annunciato che l'Italia è entrata in guerra.
Il reggimento, che era dislocato in Piemonte con compiti di riserva, partecipa alla campagna contro la Francia.
Il 1 luglio Pietro parte dal territorio dichiarato in stato di guerra e il 20 settembre si imbarca a Bari; sbarca d Durazzo, in Albania, il 22 settembre.
Il 32° Reggimento è alle dipendenza del Corpo d'Armata della Ciamuria: viene schierato nella parte meridionale dello scacchiere di guerra, in Epiro.
Il 28 ottobre troviamo Pietro "in zona di operazioni": è una data importante, perché proprio in questo giorno in cui ricorre l'anniversario della marcia su Roma Mussolini decide di attaccare la Grecia, dall'Albania. 
In questa data il suo reggimento riceve l'ordine di preparare la partenza verso in confine greco-albanese.
La successiva informazione presente sul foglio matricolare di Pietro Borriello è la seguente: Tale deceduto in seguito a ferite riportate in combattimento, il 5 dicembre 1940.

🙏Un fratello di Pietro, Giovanni, chiamerà uno dei figli come il giovane soldato caduto in guerra. 
Proprio oggi il signor Pietro Borriello, che ha collaborato a questo post con le informazioni e le foto, compie ottanta anni. 
A lui il nostro ringraziamento per la collaborazione e un fervido augurio di buon compleanno.

Approfondimento
Sulle vicende sul fronte greco-albanese, si veda il post: 
👉 La meglio gioventù

Ai caduti in guerra di Laviano abbiamo dedicato tre post, in occasione dei cento anni dall'inaugurazione del monumento che li ricorda:
👉I cento anni del monumento ai caduti di Laviano- Un secolo di memoria
👉Dalla gleba oscura- I caduti di Laviano
👉All'ombra solitaria dei monti nativi -Le storie dei caduti lavianesi

Le notizie sulla Brigata Ancona sono tratte da www.storiaememoriadibologna.it

G.V.

22 agosto 2024

LA MEMORIA È LIBERTÀ -Il monumento ai caduti di Calabritto (parte 1)

Stamattina volevo iniziare il mio giro tra i monumenti dell'Alto Sele da Santomenna, ma la mia tendenza a girare senza un piano rigidamente scandito e il mio discutibile senso di orientamento mi hanno portato prima a Castelnuovo. Ora supero il fiume e per logica dovrei cominciare da Caposele: ecco che invece mi trovo a Calabritto e poi tornerò al comune nel quale nasce il fiume che dà nome alla valle.

Non è un problema, mi dico. L'importante è ricordare tutti i caduti della zona in cui sono nato, dei comuni che posso abbracciare con lo sguardo dal balcone di casa, quelli da cui provengono le persone che trovo sul pullman quando ritorno a Valva. L'ordine logico di un percorso lo lascio a quelli più precisi di me (quasi il resto dell'umanità, forse).

Dunque, Calabritto: il comune che quando ero bambino mio nonno mi presentava come il comune in cui la ricostruzione post terremoto era più avanzata. 

Bella questa vittoria alata "come donna vestita all'antica", leggo nel Catalogo generale dei beni culturali. Mi verrebbe da chiedere cosa significhi di preciso "all'antica" e come potrebbe mai essere vestita una statua femminile che sia l'allegoria della vittoria, ma oggi sento che sono qui per fare domande più che per ottenere risposte.

Oltre a persone a me care che qui hanno preso il cognome, noto un elemento che in qualche modo mi avvicina a questo luogo, che accomuna questo monumento a quello da cui è partita l'idea del mio blog: il monumento di Valva.

Entrambi, infatti, sono sorti grazie al contributo degli emigrati nella città di Newark

New Jersey: nel 1924 la raccolta fondi dei valvesi, nel 1928 quella dei calabrittani (almeno è questa la data che leggo incisa sul monumento).


Società patria Libertà e lavoro.

È comprensibile che un gruppo di italiani emigrati in America abbia scelto questo nome per un'associazione di mutuo soccorso.

Liberando dal bisogno, il lavoro riconosce e valorizza la dignità umana. Forse questa è anche una definizione della memoria. Ricordare -nella verità e nella corretta contestualizzazione storica- libera dal rancore e dal fanatismo; ricordare -nella consapevolezza che la verità storica è sempre una conquista fragile e mai assoluta- libera dalla boria e dalla tentazione di fare della storia un tribunale morale in servizio permanente.  

A cento anni di distanza, non si avvertono più il profumo dell'incenso e l'eco della retorica, ma restano i nomi di giovani caduti in guerra e le loro età fissatesi per sempre in un numero inaccettabilmente piccolo. 

Questo blog non cerca eroi, ma radici; non si propone di celebrare vite inimitabili d'una eletta stirpe guerriera, ma di raccontare semplici vicende umane spezzate dalla guerra, che ha sottratto tanti giovani ai campi o a un lavoro da artigiano, alla vita nella famiglia e nella comunità.

Spesso seguiamo la traccia delle radici anche fuori dall'Italia, lungo i percorsi dell'emigrazione. Abbiamo dedicato un episodio del documentario Di radici e di sangue all'associazionismo italiano negli Stati Uniti. 

Proprio dalla biblioteca di Newark emergono foto di emigranti di Calabritto. Ritratti di famiglia che hanno varcato l'oceano nel fagotto degli emigranti, foto di processioni di epoca fascista direttamente da Calabritto, come queste:

fonte: Internet Archive

La scritta alla parete non è completa, ma possiamo ricostruirla sulla scorta di scritte simili: Il ricordo delle antiche prove freme nei nostri cuori così come l'impeto verso il futuro.

Oggi queste parole ci appaiono senz'altro come un indizio di fascistizzazione della memoria della guerra, con un accenno fallace a un futuro di potenza. Con la distanza temporale che abbiamo a disposizione, possiamo ricostruire il clima culturale ed emotivo nel quale sono sorti monumenti e sono state scritte queste frasi.

Si noti il patriottismo che emerge da questa foto, con la scritta W il Re sullo sfondo di una processione con molte statue (come un tempo si usava il giorno della festa patronale):

fonte: Internet Archive
Altre frasi della propaganda fascista sono leggibili in questa foto:
fonte: Internet Archive

In queste altre foto vediamo la processione della Madonna della Neve e di San Giuseppe negli Stati Uniti:

fonte: Internet Archive

fonte: Internet Archive

Un altro elemento mi porta in America. A pochi metri dal monumento ai caduti, infatti, vedo una fontana con la statua di Umberto I. L'epigrafe è vergata con la retorica di inizio Novecento:

Lo stesso busto lo ritrovo in una cronaca dell'Illustrazione italiana (celebre settimanale illustrato), dell'ottobre 1904:
fonte: Internet Archive

Il signor Alfonso Monaco, emigrato negli Stai Uniti, dona al suo paese natale un monumento al "re martire", con un pensiero che l'articolo definisce "geniale": "se dall'America partì il regicida, anche dall'America si mostrasse il valore dei calabritti ivi emigrati".
Credo che la fine della monarchia abbia suggerito di ricollocare il busto. Anche la memoria deve fare i conti col vento che cambia. 

Il mio senso dell'orientamento mi ha portato in America; per parlare del monumento di Calabritto occorre un secondo post. Confido nella vostra pazienza. 

Le foto delle processioni vengono dalla Gerard Zanfini and Michael D. Immerso First Ward Italian collection, presso: Charles F. Cummings New Jersey Information Center, Newark Public Library.

Newark, Newark

Il monumento di Calabritto è legato alla città americana di Newark.
Segnaliamo queati due episodi del documentario Di radici e di sangue:
L'episodio numero 4 ha come titolo 👉Patrie-Tra identità e integrazione.
Presenta le attività delle associazioni di mutuo soccorso, che nascono non solo dalla necessità di fornire assistenza agli iscritti ma anche da quella di costituire un punto di riferimento per persone che vivono in un mondo così diverso da quello nel quale sono cresciute. 
Queste associazioni sono fondamentali anche per l'integrazione degli emigrati negli Stati Uniti, oltre che a mantenere viva la loro identità, il legame con le radici.
Il quinto episodio si intitola 👉Come al paese -Una piccola Valle del Sele in America.
Si concentra sui circoli degli emigranti della Valle del Sele (Valva, Caposele), con particolare attenzione alla dimensione religiosa (ad esempio, la processione di San Gerardo a cura della comunità di Caposele). 

Approfondimento

Il nostro viaggio tra i monumenti ai caduti nei comuni dell'Alto Sele ha già fatto tappa a Castelnuovo di Conza e a Santomenna:

Monumenti ai caduti dell'Alto Sele, 3 continua

G.V.