27 novembre 2023

"SOLO CHI NASCE MUORE": IL REDUCE DELLA GRANDE GUERRA CHE NON AVEVA PAURA DEL TERREMOTO

Continua il nostro racconto del terremoto dell'Irpinia dal punto di osservazione di un blog dedicato ai soldati che hanno combattuto in guerra.

Questa è la storia di un uomo che la sera del 23 novembre 1980 aveva 100 anni e sei mesi. Una vittima del terremoto, anche se indiretta: morirà in ospedale il 18 dicembre.

Il Mattino ha pubblicato un'intervista a quello che ha definito "il nonno del terremoto"Ecco il post che Gozlinus ha dedicato all'intervista.

Antonio Strollo nell'articolo del Mattino
 2 dicembre 1980

Antonio Strollo era nato a Valva il 9 giugno 1880, in via Quarta San Vito, numero 1.

Il giorno seguente suo padre Francesco -pastore- va a registrarne la nascita. La madre del bambino si chiama Caterina Falcone.

Davanti all'ufficiale di stato civile, l'assessore Arcadio Grasso, sono presenti due testimoni, che non firmano perché dichiarano di non saper scrivere: il "proprietario" Michele Spiotta (di 80 anni, dunque nato nel 1800!) e Raimondo Torsiello (un pastore di 54 anni).

Nel marzo 1905 Antonio sposa Maria Macchia.

Alla visita militare nel foglio matricolare annotano che Antonio ha una cicatrice alla fronte; la sua altezza è leggermente più alta della media (nemmeno i soldati valvesi della Seconda guerra mondiale supereranno, in genere, il metro e settanta).

Il 28 giugno 1900, dopo la visita militare, è lasciato in congedo illimitato.

Un mese e un giorno dopo, re Umberto I viene ucciso a Monza.

Nel marzo 1901 Antonio è chiamato alle ami e assegnato al 10°Reggimento Artiglieria.

Durante il servizio militare (forse nel novembre 1902) Antonio riporta una ferita all'alluce del piede sinistro "in seguito a zampata di cavallo ricevuta durante il governo", come è scritto sul suo foglio matricolare.

Foglio matricolare di Antonio Strollo;
Archivio di Stato di Salerno, fondo Fogli Matricolari

Nel settembre 1903 viene mandato in congedo illimitato e gli è concessa la dichiarazione di buona condotta.

Nel giugno 1909 risulta nella Milizia mobile del Distretto di Campagna.

Il 19 agosto 1909 gli viene rilasciato il nulla osta per recarsi a New York

Egli stesso ricorderà, nel letto di ospedale, di essere stato in America.

Queste le sue parole:

Tornai al mio paese, a Valva, perché non riuscito a guadagnare abbastanza, ero pagato un dollaro e half a giornata, ero sufficiente solo per sopravvivere.

Tornato in Italia, nel 1913 Antonio è inserito nella Milizia territoriale del suo distretto.

Spieghiamo questa terminologia:

In tempo di pace, dopo il congedo si entrava a far parte della milizia mobile o della milizia territoriale. La prima comprendeva congedati in vigore fisico ma con vincoli e interessi legati alla vita privata. Durante la Grande guerra la milizia mobile rappresenterà un vero e proprio secondo esercito alle spalle della prima linea del fronte. La milizia territoriale comprendeva i più anziani: era prevalentemen-te adibita alle scorte dei prigionieri di guerra e solo in maniera eccezionale collaborava alle azioni dell'esercito.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Antonio viene richiamato alle armi e vi giunge il 26 maggio 1915.

Purtroppo qui le notizie sul foglio matricolare finiscono; sarebbero necessarie altre ricerche.

Nell'intervista citata, il signor Antonio Strollo ricorderà così quell'esperienza:

Ho fatto la guerra del '15, allora sì che temevo di poter morire, le fucilate mi hanno sfiorato sui campi di battaglia. Il terremoto non è riuscito a impaurirmi.

Dopo una vita dedicata al lavoro e agli animali, Antonio Strollo ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a letto. Ricordava di aver lavorato "fino a cinque anni fa", quando le sue gambe avevano ceduto.

Dopo la drammatica sera del 23 novembre 1980, il "nonno del terremoto" viene condotto all'ospedale di Oliveto Citra; la sua casa diroccata avrebbe reso difficili le cure.

"Forse non ha resistito alla minestrina in ospedale ed è morto senza la soddisfazione di fumare il suo ultimo mezzo sigaro e il suo buon bicchiere di vino", ricorda il pronipote Michele.


Grazie ai pronipoti Michele e Pompeo per la preziosa collaborazione.


G.V.

23 novembre 2023

ANTONIO, PRIGIONIERO A MAUTHAUSEN, VITTIMA DEL TERREMOTO DELL'IRPINIA

Continua il nostro approfondimento sul terremoto del 1980: stiamo cercando di raccontare le intersezioni tra le vicende delle vittime valvesi e il tema della guerra.
Antonio Del Monte, nato il 27 settembre 1894, muore la sera del 23 novembre 1980.
Figlio di Michele e di Cuozzo Maria, è il fratello di Domenico, soldato della Prima guerra mondiale caduto nel novembre 1915. 
Ecco il post che abbiamo dedicato a Domenico: 👉Domenico, dall'insanguinata frontiera.
Anche Antonio ha combattuto la guerra.
Congedato nell'aprile 1914, è stato richiamato alle armi nell'agosto dello stesso anno, nel 22.mo Reggimento Fanteria.
Nel maggio 1915 arriva in territorio dichiarato in stato di guerra.
Il 29 novembre 1915 viene fatto prigioniero e internato a Mauthausen.
Foto presso io Museo del Risorgimento di Bologna; fonte
In questa cittadina, che diventerà tristemente nota nella Seconda guerra mondiale, gli austriaci hanno costruito un campo di prigionia per sfruttare una cava di granito, utilizzato per pavimentare le strade di Vienna.
Circa 1800 prigionieri italiani vi persero la vita.
Non abbiamo altre notizie sulla prigionia di Antonio Del Monte e non conosciamo nemmeno la data della liberazione.
Nel foglio matricolare troviamo una notizia curiosa: Antonio ottiene un congedo straordinario nel gennaio 1919 in quanto dipendente dell'azienda del marchese D'Angelo (sic!), nome che sarà da intendersi come d'Ayala.
La stessa licenza straordinaria viene concessa a un reduce della Grande guerra, che morirà nel 1921: Giuseppe Marciello.

G.V

22 novembre 2023

LE FERITE DELLA TERRA E DEGLI UOMINI

Il 23 novembre 1980 un violento terremoto ha colpito una vasta area della Campania e della Basilicata, in particolare le province di Avellino, Salerno e Potenza. 

Valva, Corso Vittorio Veneto ripreso dal Monumento ai Caduti, 
foto di Vito Falcone; fonte

Circa tremila vittime, centinaia di miliaia gli sfollati; paesi sbriciolati, da ricostruire in un'ottica di rispetto per il passato e di nuove esigenze di sviluppo: la sfida, non sempre ma in gran parte persa, della ricostruzione. E storie, tante storie.

Il blog "la ràdica" ha già raccontato una storia che intreccia terremoto e guerra, ricostruendo la vicenda della signora Maria D'Amato, morta a Castelnuovo di Conza inseme a suo marito Vincenzo Spatola e al suocero Serafino

Maria, valvese, era una cugina del soldato italo-americano Henry Porcelli, che dopo lo sbarco di Salerno è venuto a Valva a conoscere la nonna. 

Ecco il post dedicato alla sua vicenda: 👉Storie come strade

Tra le vittime del terremoto c'è un soldato della Prima guerra mondiale, prigioniero a Mauthausen: Michele Del Monte, classe 1894. Racconteremo la sua storia in un prossimo post.

Una vittima del terremoto, anche se indiretta, è un centenario di Valva, definito "il nonno del terremoto" in un articolo del Mattino del 2 dicembre 1980. 

Ecco il post che Gozlinus ha dedicato all'intervista.

Antonio Strollo, classe 1980, era ricoverato in ospedale, dove si sarebbe spento il 18 dicembre. Il signor Antonio è stato emigrante negli Stati Uniti, poi è tornato a Valva e ha combattuto la Grande guerra. Racconteremo anche la sua storia.

G.V.


15 novembre 2023

LE FOTO DELLA GUERRA DI GELSOMINO

Il nostro 👉primo post dedicato a Gelsomino Cuozzo partiva dall'amara constatazione che di lui non conoscevamo neppure il campo di prigionia.

Per fortuna ora lo conosciamo e la gentile disponibilità del figlio Angelo ci consente anche di pubblicare alcune foto che sono una testimonianza preziosa della guerra di Gelsomino.

Prima fascista, poi monarchico
Nel maggio del 1934 Gelsomino Cuozzo si iscrive alla Gioventù Italiana del Littorio, come vediamo in questa tessera di alcuni anni più tardi: siamo infatti nell'anno XVI dell'era fascista (1937):
La Gioventù italiana del Littorio era nata da poco: nell'ottobre di quell'anno; prendeva il posto dei Fasci giovanili di combattimento (18-21 anni); in essa era confluita anche l'Opera nazionale Balilla (6-18 anni).
Sul retro della tessera leggiamo anche la formula del giuramento, che il giovane prestava nelle mani del segretario politico del Fascio (come stabilito dal Regio Decreto 27 ottobre 1937):
Foto dalla guerra
Nel maggio 1940, richiamato alle armi, Gelsomino è assegnato al 91.mo Reggimento Artiglieria.
Nel novembre 1942 è trasferito alla 268 Batteria artiglieria controaereaCreta.
E' molto probabile che proprio a questo periodo risalgano le seguenti foto:






Di sicuro al periodo a Creta risale questo documento, che ci consente di ricostruire un momento della sua vita sotto le armi: 
Gelsomino risulta sergente: sul suo foglio matricolare leggiamo che è diventato sergente in detto proprio nel novembre 1942, appena arrivato a Creta.
Non conosciamo la data, ma sappiamo che il sergente Cuozzo con questa bassa passa in sussistenza.
Due annotazioni di lessico militare: la bassa è un documento che giustifica l'allontanamento di un soldato dal proprio reparto; la sussistenza si occupa del vettovagliamento dell'esercito.

Torneremo a occuparci delle testimonianze del periodo di guerra e di prigionia di Gelsomino Cuozzo, anche per consentire alla sua giovanissima pronipote di parlare di lui a scuola con i compagni e riflettere insieme sull'importanza della memoria, dei documenti e dei ricordi storici dei nostri antenati che hanno combattuto e sofferto la prigionia.

Approfondimento
Ai preziosi cimeli della guerra e della prigionia di Gelsomino Cuozzo abbiamo dedicato anche il post 👉 Il museo di un internato, in una cartelletta rossa
G.V.

10 novembre 2023

IL MUSEO DI UN INTERNATO, IN UNA CARTELLETTA ROSSA

Una cartelletta rossa, di quelle da ufficio con la copertina rigida e l'elastico.
La apro pensando di trovare documenti militari e magari qualche informazione più precisa di quelle che ho su Gelsomino Cuozzo, ma mi bastano pochi secondi per capire che in mano ho molto di più.
È un piccolo museo della guerra e della prigionia in un Lager tedesco a Vienna.
Vedo e tocco con mano testimonianze che avevo visto solo dietro a una teca al museo.
Mi colpiscono innanzitutto gli esemplari di Lagergeld, la valuta dei Lager (e dei ghetti) nazisti.




 

Così gli storici Marco Avagliano e Marco Palmieri, nel loro I militari italiani nei Lager nazisti-Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, presentano il tema della moneta all'interno dei campi:

Quanto al salario, laddove riconosciuto, è pari a circa il 60% di quello percepito dai lavoratori non qualificati tedeschi, ma di solito è pagato in moneta spendibile solo nei campi e negli spacci aziendali (Lagermark o Lagergeld) che valgono la metà della valuta corrente. Oltre la metà del compenso inoltre viene versata dal datore di lavoro al lager di appartenenza del prigioniero per le spese di mantenimento, di alimentazione e di custodia. Sono poi previste trattenute per tasse, assistenza e copertura previsenziali pari a un altro 20%. Quel poco che resta può essere speso dagli internati per acquistare beni come birra, saponette e in qualche caso sigarette, ma non cibo, tant'è vero che "non si riesce nemmeno" -annota il soldato Saverio Barletta [...] - a spendere tutti i soldi".  [Avagliano-Palmieri, op. cit., pag. 203]

Trovo anche una fotocopia non molto chiara, ma comunque leggibile; è probabilmente una targhetta col nome del Lager: Stalag XVII A, nei pressi di Vienna.
Dal sito del museo dello Stalag di Kaisersteinbruch ricaviamo queste notizie sulla storia del Lager XVII A e le due foto che pubblichiamo:
Il Lager XVII A è quello di Kaisersteinbruch nel distretto di Neusiedl/See.
Prima ospita prigionieri francesi, ai quali si aggiungono, poi i russi e -dal settembre 1943- gli italiani.
Nel settembre 1944 il Lager raggiunse il numero più alto di internati militari italiani: oltre 15.500.
Nel 1945 la Croce Rossa Internazionale registrerà oltre 26mila prigionieri totali (nel gennaio 1941 il campo aveva raggiunto la sua capacità massima: 73.583 soldati, 970 ufficiali e 220 civili).
La fede per resistere
Ecco una foto che documenta una celebrazione liturgica:
A proposito di preghiera, nella cartelletta museo di Gelsomino Cuozzo troviamo un'immaginetta di Sant'Antonio:


Il "Breve di S. Antonio" è un'invocazione che secondo alcune biografie sarebbe stata dettata dal Santo a una donna, per superare le tentazioni diaboliche, compreso il suicidio. Papa Sisto V la fece scolpire alla base dell'obelisco che si trova in piazza San Pietro.  fonte
Possiamo immaginare che questa breve invocazione abbia fatto compagnia a Gelsomino e a tanti suoi commilitoni e compagni di prigionia.
Nel recente e preziosissimo lavoro dello storico Mimmo Franzinelli, Schiavi di Hitler (Mondadori), leggiamo questa testimonianza di padre Silvino Azzolini, cappellano degli italiani nella zona di Vienna:
Dopo essere stati disarmati venivano trasportati in vagoni di bestiame con scarsissimo vitto nei campi  concentramento centrali, denominati Stammlager, o più brevemente Stalag, ove venivano spogliati di ogni cosa personale, persino delle catenelle e dei ricordi più cari della famiglia.
Brutalmente trattati senza alcuna osservanza delle leggi internazionali per i prigionieri, venivano spesso sottoposti a stringenti interrogatori perché aderissero al nuovo governo. Ma pochissimi cedettero a simili richieste, anche se minacciati di battiture e di digiuni. [...]
In un primo tempo veniva anche lor assolutamente proibito qualsiasi conforto religioso. Moltissime e assai frequenti furono le loro richieste per avere un cappellano, ma il rifiuto era persistente. Solo dopo alcuni mesi un certo numero di cappellani prigionieri internati furono messi a disposizione dei diversi campi di concentramento.   [Mimmo Franzinelli, op. cit., pagg. 234-35]
L'apostolato dei cappellani si esercitò quasi esclusivamente tra gli ufficiali; in molti Lager per soldati, infatti, si vieta la permanenza di cappellani nel timore che possano orientare in senso antifascista gli internati militari italiani. Ad esempio, padre Guido Cinti lamenta che è vietato parlare con i soldati: può solo celebrare la messa domenicale, sotto il controllo di un interprete tedesco.
Particolarmente significativa ci sembra questa riflessione di Mimmo Franzinelli:
La fede religiosa può conferire una forza interiore che rinsalda lea decisione di tener testa alle persecuzioni e continuare a resistere. [Mimmo Franzinelli, op. cit., pag. 233]


Un sentito ringraziamento al signor Angelo Cuozzo, che ci ha consentito questo viaggio nei ricordi di suo padre Gelsomino. 


Approfondimento
Alla vicenda di Gelsomino Cuozzo abbiamo dedicato il post Gelsomino, da Creta alla prigionia in Germania

G.V.




08 novembre 2023

"HO MANDATO UN GIOVANE, E' TORNATO IN UNA CASSA DI SAPONE": I CENTO ANNI DALLA NASCITA DI MICHELE MACCHIA

Cento anni fa nasceva Michele Macchia.

L'anno 1923, addì nove di novembre a ore antimeridiane dieci nella Casa Comunale.  
Avanti di me Valletta Vincenzo, sindaco ed Uffiziale dello Stato Civile del Comune di Valva è comparso Macchia Sabato, di anni quarantanove, pastore, domiciliato in Valva, il quale mi ha dichiarato che alle ore antimeridiane cinque e minuti trenta del dì otto del corrente mese, nella casa posta in Corso Vittorio Veneto al numero quarantuno, da Papio Clelia, sua moglie, contadina, seco lui convivente, è nato un bambino di sesso mascolino che egli mi presenta e a cui dà il nome di Michele.
A quanto sopra e a questo atto sono stati presenti quali testimoni Tagliamuro Pasquale, di anni quarantadue, medico condotto, e Spiotta Michele, di anni sessantotto, guardia campestre, entrambi residenti in questo Comune.
Letto il presente atto tutti gl'intervenuti, l'hanno questi meco sottoscritto.
(Seguono le firme) 
Era giovedì 8 novembre 1923, una data che sarebbe passata alla storia per il fallito tentativo di colpo di stato organizzato da Adolf Hitler in una birreria di Monaco.
Michele non poteva saperlo, ma in qualche modo la sua giovane vita sarebbe stata influenzata anche da quel leader austriaco, naturalizzato tedesco.
Michele morirà infatti nella Seconda guerra mondiale, in Grecia, il 17 agosto 1943: dunque di questi cento anni la vita gliene ha concessi meno di venti.
Il fratello Cesare
Anche suo fratello Cesare (classe 1915) è stato in guerra sul fronte greco-albanese, ma nell'agosto del '43 è a casa: per lui la guerra è infatti finita.
E' stato volontario in Spagna negli ultimi mesi della guerra civile (dal febbraio al maggio 1939), nel 1° Raggruppamento Fanteria d'assalto Littorio.
Allo scoppio del conflitto mondiale è stato richiamato alle armi nel novembre 1940 ed è giunto in Albania il 1 gennaio 1941.
Il 25 gennaio è stato ferito in combattimento: ferita da arma da fuoco al braccio destro con frattura dell'omero e congelamento dei piedi. 
Ricoverato in un ospedale militare da campo, è stato poi trasferito in Italia (negli ospedali militari di Imola e Napoli). 
A riposo dall'agosto 1941, è stato collocato in congedo assoluto nel novembre 1942.
Michele ed Esterina
Il 4 ottobre 1943 Michele sposa Esterina Strollo, sua coetanea, figlia di Vito e di Antonia Feniello; il matrimonio è celebrato dal parroco don Lorenzo Spiotta, che si firma  "dottore", e trascritto al comune il 15 dello stesso mese dal podestà Emilio Foselli.
La guerra
Due mesi dopo, Michele è chiamato alle armi: vi giunge il 12 gennaio 1943.
Partito per il fronte greco-albanese, con la sua Divisione di Fanteria è impegnato in attività di difesa costiera e di controguerriglia (la Grecia e l'Albania sono infatti sotto l'occupazione italiana).
Il giovane Michele cadrà il 17 agosto 1943 ad Almyros, in Tessaglia (Grecia), come è scritto anche nell'epigrafe funeraria conservata nel cimitero di Valva. 
Michele e la madre
Dieci anni dopo, le sue spoglie tornano a Valva: è il 24 maggio 1953.
E' la domenica di Pentecoste. 
Proprio in quella data  papa Pio XII pubblica un'enciclica per gli ottocento anni dalla morte di San Bernardo di Chiaravalle. Mi colpiscono queste parole del mistico, riportate dal Pontefice:

[...] staremo saldi e combatteremo fino alla morte, se sarà necessario, per la nostra madre, con le armi che ci si addicono [...]

Se infatti siamo stati compagni nella fatica, lo saremo anche nella consolazione. E' stato doveroso collaborare con la nostra madre, unirci alla sua passione.

Sono parole riferite alla lotta del cristiano a sostegno della Chiesa, ma mi piace interpretarle come un omaggio al sacrificio di un giovane soldato, per la sua Italia e per sua madre.
A Valva ancora ricordano le parole di lamento della madre Clelia: "Ho mandato un giovane e ora torna in una cassa di sapone".
Nella foto con la famiglia Macchia riunita attorno alle spoglie di Michele, notiamo al centro Cesare; alla sua sinistra i genitori Clelia e Sabato.

Ecco una foto del giovane Michele:



Epigrafe conservata al cimitero di Valva

Un sentito ringraziamento a don Lorenzo Falcone, che ha segnalato la frase della signora Clelia; gli è stata raccontata, insieme a vari episodi ed aneddoti valvesi, dalla signora Gerardina Falcone, emigrata in Emilia; la signora Gerardina era presente alla cerimonia funebre al rientro dei resti di Michele Macchia e ha ricordato per tutta le vita la commozione di quel giorno.

Rinnoviamo il ringraziamento a Veronica Cuozzo, che ha chiesto alla nonna Michela (nipote del soldato caduto) notizie e foto.


Approfondimento
Alla storia di Michele Macchia abbiamo dedicato anche il post:



G.V.

06 novembre 2023

IO AMO LA VITA: I RICORDI DI ZIA ROSINA

IO AMO LA VITA
intervista di Lucia Farella

Io amo la vita è il ricordo della guerra di una bambina di 9 anni, Rosa Torsiello, vedova Valletta, oggi ultranovantenne, una signora elegante nei modi e nel portamento.                

Zia Rosina, cosa ricordi della guerra?     
Ero una bambina di nove anni, ricordo che sentivo e vedevo gli aerei volare basso, mio padre diceva che erano aerei tedeschi. Abitavo con la mia famiglia in località Piano dei salici. Ogni volta che li sentivo quando ero all'aperto mi nascondevo sotto agli alberi dalla paura. 
Quando avete capito che bisognava scappare?
Un giorno ero sola in casa perché il resto della famiglia era nei campi. Quando sentii il rumore degli aerei sempre più vicino corsi a nascondermi in soffitta, scesi solo quando non li sentii più; al rientro mio padre disse che era arrivato il momento di scappare e di andare a nasconderci in montagna: così andammo ad Acquafredda

Acquafredda, foto di Valentino Cuozzo

Cosa avete portato con voi?
Prima di lasciare la nostra casa i miei genitori scavando un grande fosso, poco distante da casa, ci nascosero quello che avevamo.
Ricordo una macchina da cucire Singer (mia madre con quella ci cuciva gli abiti, anche la biancheria intima), il corredo, alcuni viveri, poi ricoprirono tutto con la terra. Poi raccolsero tutto il bestiame, caricarono l'asino con i viveri da portare e partimmo, le bestie davanti, le pecore, le mucche e all'incirca più di venti tacchini, non ricordo se portammo anche le galline e noi dietro con l'asino. 
Come vi siete organizzati in montagna?
Quando arrivammo ad Acquafredda mio padre arrangiò una capanna e lì siamo stati, non ricordo per quanto tempo, ricordo solo che era estate, per fortuna. Eravamo in molti, era come un paese, altri erano più sopra, presso il Sierro delle rose, ricordo che per prendere l'acqua alla fontana bisognava fare la fila.
La fontana di Acquafredda; foto di Valentino Cuozzo
Quando finivano i viveri necessari, i grandi scendevano in paese a recuperare qualcosa, compreso quello che lasciavano gli americani presso località Bosco. Scatolette, pane scuro, pasta e il rancio (delle scatole più grandi delle scatolette con dentro carne mista) e poi le caramelle! E noi a vederle, io e la mia sorella gemella che purtroppo è morta qualche anno fa (qui la signora Rosa si ferma un poco, il suo volto si rattrista)... abbiamo provato tanta gioia. 

Cappellina dedicata alla Madonna, Sierro delle rose;
foto di Valentino Cuozzo
Zia Rosina, come erano quelle caramelle? Buone? 
Magnifiche! Le abbiamo divise io e mia sorella, gli altri fratelli erano tutti più grandi. Dopo che passarono gli americani siamo tornati a casa, abbiamo sistemato e recuperato la roba sottoterra. 
Ricordo che passavano gli sfollati, persone scappate dalla guerra, brave persone, qualcuno rimase per un periodo a garzone presso famiglie di Valva.
Parlavano una lingua che non comprendevo. 
Questo è  tutto quello che ricordo...       
Vorrei chiederti una considerazione su quello che hai vissuto, anche pensando a quello che sta succedendo oggi nel mondo..
Abbiamo patito tanto, c'era tanta miseria, ma abbiamo reagito e siamo andati avanti, fino ad oggi, spero che queste guerre finiscano e che nessuno possa più patire...
Valva, 2 novembre 2023

Post scriptum
Due parole sul titolo.
Lo ha scelto Lucia: le è sembrato quello giusto per riassumere le lezioni di saggezza che le dà la signora Rosa, che spesso conclude i suoi racconti dicendo: "Io amo la vita".
Amare la vita, anche nelle difficoltà, nel pericolo, nella fuga per mettersi in salvo.
Amare la vita e ricominciare. Sempre.


Un abbraccio alla signora Rosa e un doveroso ringraziamento a Lucia Farella, autrice dell'intervista.
G.V.



04 novembre 2023

UN EROE CITTADINO D'ITALIA -Il Milite Ignoto

Dopo la Grande Guerra, molti Paesi scelsero una sepoltura simbolica per rappresentare tutti i caduti in guerra: il Milite Ignoto.
In Italia, l'idea della sepoltura solenne di un soldato non identificabile venne proposta dal generale Giulio Douhet, che scrisse:

Nel giorno in cui la sacra Salma trionfalmente giungerà al suo luogo di eterno riposo, in quel giorno tutta l'Italia deve vibrare all'unisono, in una concorde armonia d'affetti. [...] Tutti i cittadini debbono far ala alla via trionfale, unendosi in un unanime senso di elevazione ideale nel comune atto di reverenza verso il Figlio e il Fratello di tutti, spentosi nella difesa della Madre comune.    

Il Dovere, 24 agosto 1920; fonte


Il ministro Guerra Giulio Rodinò presentò un disegno di Legge intitolato "Onoranze al soldato ignoto".
Lo presentò con queste parole:
[...] benché non individuato da nessun nome, una qualsiasi di quell salme, scelta a caso fra quella muta e inerte folla ignota, ha la virtù di un simbolo e di un monito; perché rappresenta da sola l'eroismo del soldato italiano che con la propria morte, con la soppressione della propria individualità, ha contribuito ad assicurare la vita ed il prestigio della Patria, ad imporre il nome di essa al rispetto ed all'ammirazione del mondo.                                                    fonte
La legge 11 agosto 1921, n. 1075, stabilì la sepoltura in Roma, sull'Altare della Patria, della salma di un soldato ignoto caduto in guerra; ecco cosa prevedeva l'articolo 1:
II 4 novembre 1921, nel terzo compleanno della Vittoria, alla salma non riconosciuta di un soldato caduto in combattimento nella guerra 1915-1918, sarà data, a cura dello Stato, solenne sepoltura in Roma sull'Altare della Patria. 
Dopo l'approvazione della legge, il Ministero della guerra nominò una commissione che scelse undici salme, una per ognuna di queste zone: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, tratto da Castegnevizza al mare. 
I corpi vennero trasportati nella basilica di Aquileia.
La scelta della salma venne affidata a Maria Bergamas, una donna il cui figlio era disperso in guerra.

Maria Bergamas era di Gradisca d'Isonzo (che apparteneva all'impero austro-ungarico). Suo figlio Antonio, arruolatosi sotto falso nome nell'esercito italiano, era caduto in combattimento nel 1916. Successivamente, un tiro di artiglieria sconvolse l'area dove era stato sepolto e, non potendosi più riconoscere la sepoltura, il soldato fu dichiarato disperso.
Nella solenne cerimonia del giorno 28 ottobre 1921, la donna scelse il decimo feretro, sul quale si lasciò cadere.
La bara prescelta venne caricata su un affusto di cannone, che poi venne collocato su questo vagone ferroviario:

Il convoglio ferroviario si mosse sulla linea Aquileia-Venezia-Bologna-Firenze e giunse a Roma il 2 novembre.
Al passaggio in ogni stazione si assiste a una commossa partecipazione popolare.
Così scrive il corrispondente del Corriere della sera, il 30 ottobre:

[...] dove il treno passava rapido, gruppi fermi ai passaggi a livello salutavano, agitando i fazzoletti. Pareva che salutassero un essere caro tanto atteso.

Il 4 novembre 1921 il Milite Ignoto fu tumulato all'Altare della Patria.

Gli venne concessa la medaglia d'oro, con questa motivazione:

Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglia e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria.

In occasione del centesimo anniversario del Milite Ignoto, oltre tremila comuni italiani gli hanno conferito la cittadinanza onoraria. 


G.V.

03 novembre 2023

UN EBOOK DEDICATO AI CADUTI IN GUERRA

In occasione della ricorrenza del 4 Novembre, il blog "la ràdica" ha realizzato un eBook dedicato ai Caduti in guerra valvesi.

Eccolo: 👉clicca qui:


Alcuni suggerimenti

Per una visualizzazione ottimale, è preferibile utilizzare il computer.

Si può scegliere di visualizzare le pagine in coppia, in questo modo:

Ecco, ad esempio, come si visualizzerà la dedica:

Indice dell'eBook

Pima Guerra Mondiale 1915-1918

Dispersi
Caduti 
Ufficiali caduti sul campo
Soldati caduti sul campo
Soldati morti per la guerra

Seconda Guerra Mondiale 1940-1945

Caduti e dispersi

La guerra dei soldati valvesi- Cronologia

1915
1916
1917
1918
Dopo il 1918

Ci sono link a post del blog "la ràdica" e foto

Ci sono anche video

Approfondimenti

Valmorbia [Eugenio Montale]
La leggenda del Piave [E.A.Mario] testo e analisi
Quel mazzolin di fiori testo e analisi

Testo, foto, audio

Buona lettura, buon ascolto, buona visione.

G.V.


02 novembre 2023

IL SOLDATO TEDESCO CHE CERCAVA I "CHICCHIRICHÌ"

Con zia Maria ho un legame particolare.

Ero con lei la mattina del terremoto del 1980, a raccogliere castagne. Escludo che il mio contributo sia stato determinante per riempire il  secchio, ma mi piace credere di sì.

Ora la montagna torna, mentre mi parla di località che non ho mai sentito nominare, con nomi dialettali divertenti e suggestivi: Cierr di Pintillo, Pietra di Cantone, Chian d' Barbariell (dove c'erano molte persone, precisa). 

Nella foto di Valentino Cuozzo si intravede "Valva vecchia".
Una delle località citate da zia Maria dovrebbe essere alle sue spalle.

Sono da lei per chiederle di raccontarmi il settembre 1943 vissuto dai valvesi, tra tedeschi e americani. Aveva undici anni, compiuti proprio in quei giorni.

"Eravamo tre famiglie: la nostra e quelle delle mie zie. Mio zio Antonio Cuozzo ci portava acqua e cibo, insieme alle notizie dal paese. Dormivamo in pagliai costruiti con i 'cuorm' [steli]. Al passaggio degli aerei ci nascondevamo", racconta.

Zia Maria ricorda che alla notizia dell'arrivo degli americani scesero dalla montagna rapidamente; le più veloci furono lei e la sorella piccola, piene di entusiasmo.

Pensando che il pericolo fosse finito, a casa prepararono un bel  piatto di fusilli ma dalle colline di Oliveto Citra sentirono dei colpi di artiglieria e  andarono a nascondersi di nuovo.

Ricorda un pericolo corso da suo padre.

I tedeschi volevano requisire provviste e lo minacciavano con un fucile, intimandogli di consegnare i "chicchirichì"; erano convinti che le galline fossero nascoste nel terreno.

"Mio padre invocò San Michele, il soldato scivolò e lui riuscì a scappare", aggiunge zia Maria piena di entusiasmo: sembra quasi sorprendersi ancora, a ottanta anni esatti di distanza.

I tedeschi si accontentarono di patate, cipolle e zucche, portandole in paese. 

Per la verità, qualcosa nascosto nel terreno c'era: una cassa con i panni, che però in seguito avrebbero trovato rovinati.

Zia Maria ricorda la vicenda di Aurelio, il sedicenne morto su una mina. Ricorda due caduti in guerra: Giacomo Cuozzo, che lasciò moglie e figli, e Ottavo Fasano.

Penso a quelle giovani esistenze spezzate, una in Spagna e l'altra in Africa, come a promesse non mantenute dalla vita.

Penso che fino a quando ci sarà qualcuno in grado di ricordare il giorno in cui un soldato è tornato dalla guerra o dire "erano tutti bassi quei fratelli", il passato non sarà passato del tutto e continuerà a essere radice del presente.

È l'ennesima lezione che ricevo da zia Maria. 

Un cerro ("quercus cerris"); fonte

Un cordiale ringraziamento alla figlia Michelina Mastrolia.
G.V.