Visualizzazione post con etichetta letteratura. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta letteratura. Mostra tutti i post

07 agosto 2024

ANGELANTONIO, UN IMI DAL FRONTE GRECO

Angelantonio Marciello nasce a Valva il 22 marzo 1923, figlio di Francesco (che risulta deceduto al momento della visita militare del giovane soldato) e di Grazia Figliulo.

Chiamato alle armi il 19 settembre 1942, il giorno dopo lo troviamo nel Deposito 26.mo Reggimento Artiglieria di Corpo d'Armata, a Napoli.

Il 4 novembre 1942 parte da Torre Annunziata perché è trasferito al 26.mo Reggimento Artiglieria e raggiunge la 4.a Base di Mestre.

L'11 novembre 1942 parte da Mestre a mezzo tradotta e il 15 giunge al campo sosta di Kalambaka, in Grecia, dove resta fino al 25 novembre, quando raggiunge il suo reggimento, "in territorio dichiarato in stato di guerra".

Kalambàka è considerata la porta di ingresso alla regione di Meteora, caratterizzata da speroni rocciosi sulla cima dei quali sorgono celebri monasteri ortodossi. Il 23 aprile 1943 tra gli abitanti del posto e gli italiani c'è un duro scontro, con la morte di 70 soldati. Siamo nella stessa regione di Giannina, che abbiamo incontrato nella vicenda del valvese Sabino Spiotta.

Nel suo foglio matricolare di Angelantonio troviamo un'annotazione abbastanza insolita per i soldati italiani che si trovano all'estero: "sbandatosi in seguito agli eventi sopravvenuti all'armistizio" (in genere si trova per i soldati sul fronte italiano), con la data fortemente simbolica dell'8 settembre 1943.

Nel nostro podcast Il giorno dopo abbiamo analizzato le conseguenze dell'armistizio sui soldati valvesi, anche quelli impegnati sul fronte greco-albanese.

Il 12 settembre Angelantonio risulta catturato dai tedeschi e condotto in Germania.

Purtroppo né la banca dati on-line degli Internati Militari Italiani né gli Archivi Arolsen conservano documenti relativi alla sua prigionia.

Anche diversi compaesani di Angelantonio sono fatti prigionieri sul fronte greco; i prigionieri provenienti da questo fronte indossano divise estive, inadatte all'inverno tedesco.

Quello che i documenti militari non dicono, lo possiamo immaginare dalle testimonianze e dagli studi sulle condizioni degli internati militari.

Padova, Museo dell'Internamento

Sappiamo che il 10 luglio 1945 Angelantonio rientra in Italia e si presenta al Distretto Militare di Salerno, dove viene interrogato come da prassi e poi inviato in licenza di rimpatrio di 60 giorni. Il 10 settembre viene inviato in licenza straordinaria senza assegni in attesa di impiego; infine, l'anno seguente viene ricollocato in congedo illimitato.

L'11 febbraio 1964 ad Angelantonio viene conferita la croce al merito di guerra per l'internamento in Germania e per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943 (nello specifico, però, il foglio matricolare riporta le campagne di guerra del 1943, del 1944 e del 1945).

Approfondimento

Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

👉"Spremuti come limoni": i lavori forzati degli IMI
👉Le condizioni di vita degli internati militari italiani
👉"Pacchisti e "magroni": l'ossessione della fame
👉"E' arrivato il momento di parlare 'tedesco' con queste carogne"

Vicende di altri valvesi catturati sul fronte greco:

👉Quando i racconti di zio Sabino entravano in classe
👉Col sangue, con la libertà: quei no pagati caro

Gli episodi del nostro podcast Il giorno dopo -dedicato alle conseguenze dell'8 settembre 1943 sui soldati valvesi-che si riferiscono al fronte greco:

Bibliografia

📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

27 aprile 2024

IN NOME DELL'AUTENTICO POPOLO D'ITALIA -Pagine della Resistenza in Fenoglio-

BEPPE FENOGLIO [1922-1963]

Nell'opera di Fenoglio la scelta di salire sulle "somme colline" è vista come un ritorno a una natura-madre, "al fango antico delle colline, impastato da secoli di sudore e ora di sangue", come scrive il filosofo e partigiano Pietro Chiodi.

E' celebre questa pagina del romanzo Il partigiano Johnny:

Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l'avrebbe aiutato nel suo immoto possibile [1], nel vortice del vento nero, sentendo com'è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì, si sentì investito -nor death itself would have been divestiture [2]- in nome dell'autentico popolo d'Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante era la coscienza dell'uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra.
[1] Il futuro partigiano ha l'impressione di vivere una vicenda senza tempo
[2] Nemmeno la morte avrebbe potuto privarlo dell'investitura. Fenoglio utilizza spesso parole ed espressioni tratte dall'inglese. 

"In nome dell'autentico popolo d'Italia": la Resistenza assume i contorni di un’avventura in cui l'azione dell'eroe è inserita in una lotta collettiva e corale; con il singolo eroe combatte simbolicamente l’intero popolo italiano. 

Gli eroi di Fenoglio sembrano incarnare valori fondamentali; sanno che il bene e la libertà saranno sempre minacciati, perché valori fragili; tuttavia, l'unico atteggiamento che ritengono possibile è quello di impegnarsi nella loro difesa. 

Beppe Fenoglio

Ecco altri significativi passi, sempre tratti dal romanzo Il partigiano Johnny.

L'acciaio delle armi gli ustionava le mani, il vento lo spingeva da dietro con una mano inintermittente, sprezzante e defenestrante, i piedi danzavano perigliosamente sul ghiaccio affilato. Ma egli amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della sua destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà.

*****

Osservando il cadavere di un partigiano giustiziato, Johnny pensa a due suoi compagni che immagina -erroneamente- caduti ("milioni di colline addietro"); poi pesa alla sua morte e alla necessità di continuare a combattere, fino alla fine:

E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull'ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l'importante: che ne restasse sempre uno.

Nel post La scelta di dir di no fino in fondo abbiamo riassunto l'episodio della conversazione tra Johnny e il fornaio.

Ecco la pagina in cui è presente l'episodio:

- Stanno facendovi cascare come passeri dal ramo. E tu, Johnny, sei l'ultimo passero su questi nostri rami, non è vero? Tu stesso ammetti d'aver avuto fortuna sino ad oggi ma la fortuna si consuma, e sarà certamente consumata avanti il 31 gennaio. Perché dunque stare ancora in giro, in divisa e con le armi, digiunando e battendo i denti? Sembrerebbe che tu lo voglia, che tu ti ci prepari a quel loro colpo di caccia.
- Giunse compostamente le sue potenti mani. - Da' retta a me, Johnny. La tua parte l'hai fatta e la tua coscienza è senz'altra a posto. Dunque smetti tutto e scendi in pianura. Non per consegnarti, Dio vieti, e  poi è troppo tardi. Ma scendi e un ragazzo come te avrà certamente parenti e amici che lo nascondano. Un nascondiglio dove stare fino a guerra finita, soltanto mangiare e dormire e godersi il calduccio e... -ridacchiò e abbassò la voce: - e ricevere la visita ogni tanto di qualche tua amica di fiducia, l'unica a conoscere il tuo indirizzo. [...]
-Che mi dici, Johnny? -Johnny alzò il catenaccio. -Mi sono impegnato a dir di no fino in fondo, e questa sarebbe una maniera di dir di sì. - No che non lo è!" -gridò il mugnaio. -Lo è, lo è una maniera di dir di sì.
    Dietro la porta la gelida notte attendeva come una belva all'agguato e la cagna gli sbatté grevemente fra le gambe. -Fa' almeno un boccone di cena con noi, -disse il mugnaio, ma Johnny era già affogato nella tenebra.
    Un vento polare dai rittani [3] di sinistra spazzava la sua strada, obbligandolo a resistere con ogni sua forza per non esser rovesciato nel fosso a destra. >Tutto, anche la morsa del freddo, la furia del vento e la voragine della notte, tutto concorse ad affondarlo in un sonoro orgoglio. - Io sono il passero che non cascherà mai. Io sono quell'unico passero! -ma tosto se ne pentì e soberized [4], come gli parve di vedere in un cerchio di luce diurna le grige, petree guance di Ivan e Luis disserrarsi appena percettibilmente in un mitemente critico, knowing [5] sorrisetto.
[3] I rittani sono valloncelli tipici delle Langhe
[4] "Tornò a pensieri più saggi"
[5] "Accorto"

 G.V.


Bibliografia

  • Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi
  • Battistini -Cremante- Fenocchio, Se tu segui tua stella, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
  • Bologna -Rocchi- Rossi, Letteratura visione del mondo, Loescher Editore

25 aprile 2024

LA SCELTA DI DIR DI NO FINO IN FONDO

Il partigiano Johnny -protagonista del celebre romanzo di Beppe Fenoglio- è riuscito a scampare ancora una volta all'appuntamento con la morte ma ancora una volta ha visto cadere due compagni.

Il mugnaio che ha condotto in città i cadaveri, e che sicuramente sarà tra i più attivi nel dar loro una dignitosa sepoltura, offre un ricovero al giovane partigiano e gli fa un"discorsetto", di realismo e "buon senso".

Lo invita a non sfidare oltre la sorte ("la fortuna si consuma") e a tornare in pianura. Non ha senso crepare attendendo una vittoria che verrà lo stesso, "senza e all'infuori di voi" grazie agli Alleati che risalgono la penisola.

Nella risposta di Johnny, leggiamo il senso di una scelta netta, coerente e fondante, alla quale ha deciso di rimanere fedele ogni giorno.

Mi sono impegnato a dir di no fino in fondo, e questa sarebbe una maniera di dir di sì.

L'alternativa è la morte, ma Johnny ricorda bene le parole del suo amato professore: "partigiano, come poeta, è parola assoluta, rigettante ogni gradualità".

Stefano Dionisi in una scena del film di Guido Chiesa

La scelta di aderire alla Resistenza è ribadita ogni giorno, come i resistenti francesi di cui parla Sartre, coloro che "ad ogni ora del giorno e della notte, per quattro anni, hanno detto di no".

G.V.

12 settembre 2023

SCRIVERE PER SENTIRSI ANCORA UOMO

Appuntamento con la memoria e sguardo verso il futuro al castello di Valva.


Castello di Villa d'Ayala-Valva, a Valva (foto di Valentino Cuozzo)

Nella suggestiva cornice di Villa d’Ayala-Valva si è tenuta la serata dal titolo La memoria e il futuro, che ha visto consegnare ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio comunali il libro Frammenti di storia (ed. Palladio), diario scritto dal valvese Giovanni Milanese durante la sua prigionia nei Lager nazisti dal 1943 al 1945.

Insieme al sindaco Giuseppe Vuocolo, a consegnare il libro è stato Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell'autore.

La serata è stata animata dai giovani, che hanno letto brani significativi del diario anche con un accompagnamento musicale.

L’onorevole Guido Milanese ha presentato il diario del padre e ne ha illustrato la figura, anche con aneddoti familiari.

Sono intervenuti anche: Enzo Todaro, presidente dell’Associazione Giornalisti Salernitani, che si è concentrato su alcuni aspetti della scrittura di Milanese; Pino Acocella, rettore dell’Università Giustino Fortunato, che ha inquadrato la vicenda di Milanese nel contesto drammatico del periodo dopo l’8 settembre, con la cosiddetta “morte della patria”; Antonio Landi,  presidente nazionale dell'Associazione combattenti e reduci e la presidente della sezione di Valva, Fiorenza Volturo, figlia di un soldato internato a Dachau.

Il pubblico in sala; per la foto, si ringrazia Luca Forlenza

Foto tratta dalla pagina Facebook del Comune di Valva

Il titolo della serata voleva sottolineare che la memoria è affidata ai giovani cittadini, che anche grazie ai sacrifici delle generazioni precedenti hanno ricevuto in eredità una società di diritti e democrazia: un tesoro prezioso da custodire e accrescere, ha scritto il sindaco nella lettera di invito.

Alla cerimonia erano presenti anche il Prefetto di Salerno e il Comandante provinciale dei Carabinieri.

Ecco un estratto dell'intervista realizzata dal giovane Filippo Vuocolo al nostro blog:

Prima dell’incontro, il sindaco e le autorità e gli ospiti presenti hanno deposto una corona di fiori al Monumento ai Caduti, per ricordare in particolare il sacrificio della Divisione Acqui, nell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, dove due valvesi sono stati dichiarati dispersi in combattimento e un terzo è stato fatto prigioniero dai tedeschi.

G.V.

Approfondimento

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:


Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

09 settembre 2023

LA MEMORIA E IL FUTURO

La memoria e il futuro è il titolo della serata in programma a Valva domenica 10 settembre alle ore 18 al piano nobile del castello di Villa d'Ayala-Valva.

Villa d'Ayala -Valva, Ingresso al giardino del castello;
foto di Valentino Cuozzo

Ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio comunali sarà donato il libro Frammenti di storia- Diario di guerra e di prigionia 1943-1945 (ed. Principato), diario scritto dal valvese Giovanni Milanese durante la sua prigionia nei Lager nazisti dal 1943 al 1945.

Il libro sarà consegnato dal sindaco Giuseppe Vuocolo e da Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell'autore.

Castello di Villa d'Ayala-Valva, Salone al piano nobile
foto di Valentino Cuozzo

Alcuni giovani leggeranno brani significativi del diario e ricostruiranno il dramma degli internati militari italiani, inquadrandolo nel contesto storico della Seconda guerra mondiale; racconteranno anche le vicende degli internati valvesi.

Castello di Villa d'Ayala-Valva, Sala delle armi
foto di Valentino Cuozzo

Sarà presente l'Associazione combattenti e reduci, con il presidente nazionale Antonio Landi e con la presidente della sezione valvese, Fiorenza Volturo, figlia di un internato militare.

Interverranno anche  Enzo Todaro, presidente dell'Associazione Giornalisti Salernitani e Pino Acocella, rettore dell’Università Giustino Fortunato. 

La locandina dell'evento

Il futuro visto da Giovanni Milanese

Ci siamo occupati più volti del diario di Giovanni Milanese.

Ora scegliamo alcuni brani sul tema del futuro, che egli vede in maniera abbastanza negativa, come notiamo da alcune sue riflessioni nei giorni dopo la liberazione (aprile 1945).

Assiste a comportamenti che condanna con decisione: alcuni ex prigionieri mangiano in maniera vorace quello che trovano nelle villette requisite, altri si danno a veri e propri atti di razzia.

Il 29 aprile 1945 scrive:

Ci vorranno molti anni per rifare l'esercito italiano, in particolare la classe degli ufficiali.
Ci sono fra noi dei colleghi che forse starebbero bene in una stalla. 

Il primo maggio nota che dalle case requisite i soldati italiani portano via  carrettini, carrozzelle per bambini e bagagli di ogni genere. Commenta con amarezza:

Forse sarà anche naturale in un paese d'occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna.
Bisogna rifare l'Italia, ma prima c'è da forgiare l'italiano nuovo.

Qualche giorno più tardi, scrive parole molto dure:

Penso con terrore all'Italia di domani.
Penso quello che sarà quando rientrerà la massa dei nostri soldati abituati ora a predare, a mangiare a crepapelle senza lavorare.
Quando invece saranno costretti a lavorare e sodo per mangiare un tozzo di pane, cosa succederà? 

 Dire NO, nonostante tutto

Il 14 luglio, riportando le parole del colonnello Bruni (appena rientrato dall'Italia), Milanese scrive:
Ha aggiunto che è molto più facile fare gli eroi sul campo di battaglia, nella mischia, che languire e combattere disperatamente e costantemente con la fame e con la morte in un lager, quando si risponde nella maniera più decisa no mentre tutto un complesso di sofferenze fisiche e morali ti impongono di dire .

E' una riflessione molto significativa, perché in essa troviamo quasi la chiave per interpretare il senso della lunga prigionia dell'internato militare Giovanni Milanese e degli oltre seicentomila soldati italiani che, come lui, hanno continuato a pronunciare il loro no nonostante tutto.

Nei mesi precedenti si era rifiutato di andare a lavorare: il suo modo di opporsi ai tedeschi.

Ad esempio, scriveva:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.
Resistere, dicendo no quando sarebbe più comodo dire sì.
Resistere, incrociando le braccia quando sarebbe più comodo lavorare (visto che chi lavora viene nutrito di più).
Resistere, confidando a un diario i propri sogni e i propri timori.
Resistere, per sentirsi ancora uomo.

Castello di Villa d'Ayala-Valva
foto di Valentino Cuozzo


Approfondimento

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:


G.V.

25 aprile 2023

SONO DI NUOVO UN UOMO E NON PIU' UN NUMERO

Mentre nell'aprile 1945 si compiva la liberazione italiana dal nazifascismo e dall'occupazione tedesca, altri italiani ottenevano la libertà, in Germania.

Uno di quest è Giovanni Milanese, sottotenente internato militare prima a Siedlce (in Polonia), poi a Bramekford e infine, dal novembre 1944, nel campo di Wietzendorf, un campo in cui è attestata la presenza di alcuni internati illustri, come lo scrittore Giovannino Guareschi e il futuro segretario del PCI Alessandro Natta.

Campo di Wietzendorf; fonte

La gioia incontenibile, poi il timore che tutto sia un'illusione o una manovra dei tedeschi, il sentirsi sospesi in una situazione di incertezza: sono molti gli stati d'animo che Giovanni Milanese vive nelle ultime due settimane dell'aprile del 1945 che porteranno alla liberazione del campo di Wietzendorf.

Possiamo seguire i sentimenti e le attese del militare prigioniero leggendo le parole del suo diario, pubblicato dall'editore Palladio con il titolo di Frammenti di storia.

Vi presentiamo alcuni brani relativi ai giorni della liberazione del campo. In queste pagine emergono la mitezza di Giovanni Milanese e la sua lucidità nel descrivere alcune situazioni, pur caotiche; non manca un tentativo di analizzare il futuro dell'Italia e dell'esercito.

13-4-45 
E' la più bella giornata della mia vita. I tedeschi se ne sono andati. Siamo soli.  
Vorrei scrivere tante cose, ma la gioia e l'emozione me lo impediscono. Vorrei vestirmi a festa, ma non posso farlo perché sono ridotto a brandelli. 
Ci si incontra e ci si bacia. 
Iddio ci ha fatto la grazia. Dia lodato. Oggi è venerdì. 

16-4-45  
[...] Ordine del giorno della liberazione del Col. Pietro Testa comandante del Campo Italiano.  
Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani del Campo di Wietzendorf. 
- Siamo liberi-. 
Le sofferenze di 19 mesi di un internamento peggiore di mille prigionie sono finite.
Siamo degni di ricostruire
Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani ricordiamo i morti di stenti ma fieri nelle face sparute, sotto gli abiti a brandelli, con una fede inchiodata alta come una bandiera.  
Salutiamo la Patria che risorge, che noi dobbiamo far risorgere.
W il Re. W l'Italia. W le Nazioni alleate.
Ten. Col. Pietro Testa.

18-4-45
Qui non si può essere mai  sicuri di niente. Solo nell'aiuto di Dio bisogna sperare ed io in quello fido moltissimo.
[...] Quindi noi siamo ancora completamente nelle mani dei tedeschi, sebbene non sorvegliati.
In questi giorni si sta mangiando moltissimo.

Milanese aggiunge che quasi tutti nel campo hanno la diarrea; anche lui è stato male per una scorpacciata di patate. Ritiene un bene non tornare a casa subito perché, con tutta la fame che hanno, rischierebbero di morire mangiando con avidità "roba di sostanza e condita".

19-4-45
Stanotte si son sentiti molti colpi in giro, però gli inglesi ancora non si vedono.
Ho riavuto con gran piacere la tessera ferroviaria.
[...] Son molto preoccupato per la stasi di questi giorni. Sembra già tutto finito. Invece!...
Siamo ancora fra "coloro che son sospesi".
Voglia Iddio che un giorno di questi non ci riservi la sgraditissima sorpresa di vederli ritornare nel campo.  

21-4-45
Stamattina presto c'è stato il rapporto.
Domattina alle 7 si parte. Il col. Duluc fu chiamato ieri sera dal col. tedesco, comandante del settore di combattimento, il quale gli comunicò che dovevamo partire per andare dagli inglesi.
E' mai possibile? Io non ho mai capito niente in questa guerra, ma ora si raggiunge il limite del credibile.
Al comando ci assicurano che realmente si va dagli inglesi. Che i tedeschi non giochino uno dei loro soliti tiri? [...]
Io in questi giorni non sto vivendo più.
Madonna mia aiutami. 

22-4-45
Che giornata meravigliosa!
Tutti i miei dubbi sono risolti.
Alle 9,13 abbiamo varcato l'ultima porta del reticolato, alle 11,50 abbiamo attraversato la prima linea (c'è stata una tregua per farci passare) ed abbiamo trovato gli autocarri alleati che ci hanno trasportati a Bergen.
Alle 16 circa siamo sistemati nelle villette requisite dove troviamo di tutto: farina, latte, birra...insomma tutto.
Anche scatole di carne, ciliegie allo spirito.
Finalmente son sicuro di essere libero.
Sono di nuovo un uomo e non più un numero. 
Molti si sono dati alla razzia insieme ai russi e francesi. Rompono tutto nelle case: piatti, bicchieri, lampadari.

Gli ormai ex prigionieri vengono alloggiati in abitazioni requisite; alcuni mangiano con imprudente voracità quello che trovano (subendone conseguenze intestinali), altri si danno ad atti di vandalismo e di razzia, ma non Giovanni Milanese, che condanna con decisione questi comportamenti.

In particolare, Milanese parla di "orde di russi" che rubano tutto; considera queste bande "il castigo peggiore che Iddio ha voluto dare al popolo che ha sconvolto con una guerra inutile e disumana tutto il mondo". 

Nei giorni seguenti aggiunge che anche francesi e italiani si sono dati alle razzie e rivela "Io odio per natura i tedeschi, ma questa situazione mi fa tanto male". Confessa inoltre: "Visto che l'unico a non mangiare bene sono io, anch'io ho preso qualcosa nei limiti della mia coscienza".

Particolarmente interessante le riflessioni che Milanese affida alla pagina del 29 aprile:

Ci vorranno molti anni per rifare l'esercito italiano, in particolare la classe degli ufficiali.
Ci sono fra noi dei colleghi che forse starebbero bene in una stalla. In quattro hanno aggredito un camion che trasportava latte per i francesi, asportando qualche bidone. Un ufficiale di marina raccattava mozziconi nella piazza principale del paese. Un altro si lavava il viso in uno scolo di fognatura.

Il primo maggio torna a Wietzondorf e con tristezza nota che dalle case requistite i soldati italiani arrivano ai camion trascinando carrettini, carrozzelle per bambini e bagagli di ogni genere. Commenta amaro e profetico:

Forse sarà anche naturale in un paese d'occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna.
Bisogna rifare l'Italia, ma prima c'è da forgiare l'italiano nuovo.

Qualche giorno più tardi, scrive parole molto dure:

Penso con terrore all'Italia di domani.
Penso quello che sarà quando rientrerà la massa dei nostri soldati abituati ora a predare, a mangiare a crepapelle senza lavorare.
Quando invece saranno costretti a lavorare e sodo per mangiare un tozzo di pane, cosa succederà?
Io sono sicurissimo che molti non vorranno sottostare a quella che è una legge più che umana, divina: lavorare per mangiare.
Prevedo che la massa aderirà all'idea comunista.

G.V

Approfondimento
Al diario di Giovanni Milanese, Frammenti di storia- Diario di guerra e di prigionia 1943-1945, Principato, abbiamo dedicato i seguenti post:


26 gennaio 2023

UN GIORNO DI GLORIA CHE HA DATO VALORE A UN'INTERA VITA: IL GIORNO DI NIKOLAJEWKA

26 gennaio

Giornata nazionale della memoria 

e del sacrificio degli Alpini

Con la battaglia di Nikolajewka gli Alpini riescono a sfondare l'accerchiamento sovietico; fonte

La legge del 5 maggio 2022, n.44, ha istituito la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, allo scopo di tenere vivo il ricordo dell'eroismo dimostrato nella battaglia di Nikolajewka, combattuta dagli alpini il 26 gennaio 1943, e di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell'interesse nazionale nonché dell'etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano, come recita l'articolo 1.

Una rappresentazione della battaglia di Nikolajewka; fonte

Il nostro blog ha dedicato alle vicende della guerra in Russia e della drammatica ritirata alcuni post.

Ci siamo occupati della vicenda di Raffaele Cuozzo, dichiarato disperso il 31 gennaio 1943, con questi post:

Anche un altro valvese risulta disperso in Russia, già nel novembre 1942: è il tenente medico Prospero Annunciata:
👉Il medico disperso nella neve

In questo post abbiamo cercato di ricostruire gli eventi degli ultimi giorni del gennaio 1943, scegliendo le testimonianze di Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern per illuminare l'umanità sofferente della Ritirata di Russia:
👉Tutti i vivi all'assalto!  

Con la battaglia di Nikolajewka le truppe italiane, pur equipaggiate con armi insufficienti e munizioni scarse, riuscirono a sfondare le linee di difesa sovietiche e a conquistare la ferrovia, fondamentale per la ritirata.

Ecco come Rigoni Stern, nel suo celebre Il sergente nella neve, conclude il ricordo della battaglia:

E allora avanti! Una massa di sbandati va incontro alla sua ora di gloria. Si passa, si passa! Attraversano Nikolajewka lastricandola di morti perché ci sono 48 sotto zero e se ti pigliano sei morto. Alle 5 è tutto finito: ci contiamo, siamo qua, siamo vivi ma siamo pochi. Chi non è passato con la prima ondata non passerà più. Persa la Cuneense, persa la Vicenza, persa buona parte della Julia, ma noi, noi ce l'abbiamo fatta. Un giorno di gloria che ha dato valore ad una intera vita. Questo fu il 26 gennaio 1943. Questa fu la battaglia di Nikolajewka.                                               

Alla memoria dei caduti in Russia e di tutti i caduti del corpo degli Alpini dedichiamo questa struggente versione della celebre canzone Sul ponte di Perati, interpretata dal gruppo Al Tei.



G.V.

24 gennaio 2023

IL SOGNO DEL PRIGIONIERO

 GIORNATA DELLA MEMORIA

Art. 1  La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.       
[Legge n. 211, 20 luglio 2000]

Scritta all'ingresso del campo di Buchenwald, "A ciascuno il suo"

IL SOGNO DEL PRIGIONIERO

Albe e notti qui variano per pochi segni.

Il zigzag degli storni sui battifredi             torri di guardia
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d'aria polare;
l'occhio del capoguardia dallo spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolio dalle cave, girarrosti                      forni
veri o supposti -ma la paglia è oro,        
la lanterna vinosa è focolare                         di luce rossastra
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
può salvarsi da questo sterminio d'oche;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce        critica  
e vende carne d'altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel paté
destinato agl'Idii pestilenziali.

Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull'impiantito,                                 schiaccia sul pavimento
coi kimoni cangianti delle luci
sciorinate all'aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,                                ciambelle dolci
mi son guardato attorno, ho suscitato     ho immaginato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo è il minuto-

e i colpi si ripetono ed i passi
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L'attesa è lunga,
il mio sogno di te  non è finito.


Eugenio Montale, Il sogno del prigioniero, da La bufera e altro

Memoriale della Shoah, Berlino

Questa poesia di Montale è l’ultimo componimento della raccolta La bufera e altro; la bufera è un’allegoria della Seconda guerra  mondiale e della stessa condizione umana: un'immagine concreta (la bufera, appunto) che sia in grado di rappresentare simbolicamente una realtà più complessa.

Anche Il sogno del prigioniero rappresenta la condizione umana attraverso i pensieri di un prigioniero, che potrebbe essere il prigioniero di un campo di concentramento (si parla di forni), il prigioniero di un gulag sovietico (si parla di purghe); potrebbe essere anche un internato militare, un prigioniero militare in Germania, visto che Montale scrive: chi abiura e sottoscrive può salvarsi; chi obiurga -cioè chi critica- se stesso, chi rinnega le cose in cui credeva, tradisce…e vende carne d'altri.

Il sogno del prigioniero è dunque l’allegoria della condizione umana e la figura positiva è qui rappresentata da Clizia, una  donna idealizzata che rappresenta la salvezza, lo spiraglio che consenta all’uomo di superare la propria condizione in questo caso di prigionia e dunque Clizia è la libertà; in altri testi di Montale, Clizia rappresenta la luce del sole, che può indicare una via d'uscita dalla realtà negativa in cui viviamo, può guidare alla salvezza.

Monumento alle vittime Sinti e Rom, Berlino

Vediamo in sintesi il contenuto del testo.

Il prigioniero parla in prima persona.
L’alba e la notte hanno poche differenze qui nella mia cella; vedo i movimenti degli uccelli nei giorni di battaglia; avverto il vento freddo, sento il rumore di noci schiacciate, lo sfrigolio dell’olio dalle cucine.
Ma la paglia per me è oro, la lanterna per me è un focolare se quando dormo mi immagino ai tuoi piedi, dice il prigioniero rivolto alla donna-angelo.
La purga dura da sempre senza un perché: ecco l’assurdità della guerra, del male, della violenza nella storia.
Dicono che chi abiura e sottoscrive, cioè firma qualche dichiarazione, può salvarsi da questo sterminio di oche.
Chi tradisce, afferra il mestolo: afferrare il mestolo vuol dire avere un ruolo non più di vittima; gli altri finiscono nel paté, pasticcio di fegato e carne, preparato per gli dei pestilenziali, come li chiama Montale.
La metafora dello sterminio di oche (attenzione alla parola sterminio) indica che i prigionieri sono considerati come carne da macello; il prigioniero di Montale dice: ci stanno sterminando come oche per cucinare un paté da offrire agli dei della pestilenza, un’immagine che indica la presenza del male, come se gli dei fossero dei cannibali che stanno per mangiare il paté fatto di carne umana.

Forni crematori, Buchenwald
Ferito dal letto pungente su cui dormo, sono diventato un tutt’uno con la tarma che io schiaccio con la scarpa sul pavimento, sono diventato un tutt’uno con le luci che sembrano dei kimoni giapponesi quando all’aurora arrivano riflessi di luce, ho annusato nel vento il bruciaticcio delle ciambelle, ho immaginato guardando le ragnatele che lì ci fossero degli arcobaleni e che le inferriate della mia cella fossero piene di fiori.
Nell’ultima strofa il prigioniero afferma di non sapere se al banchetto sarà il cuoco oppure il cibo.
L’attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito: nei versi finali notiamo la contrapposizione tra l’aggettivo lunga e la voce verbale non è finito.
Il sogno accompagnerà l'attesa, durerà quanto l'attesa: è il sogno che aiuta ad accettare la condizione di prigionia in cui mi trovo.
I binari di Buchenwald
Mi viene da immaginare i nostri prigionieri confortati non dalla complessa figura di Clizia ma da una figura femminile meno astratta, più concreta, più vicina alla loro vita: la mamma, la fidanzata, un’amica…in senso più ideale, il proprio paese, il nostro paese.
Penso che possa essere stata questa la forza che ha spinto i nostri prigionieri, i tanti prigionieri, ad andare avanti.

 G.V.


23 gennaio 2023

TUTTI I VIVI ALL' ASSALTO!

Raffaele Cuozzo era un mitragliere del 156 Battaglione della Divisione Fanteria Vicenza; risulta disperso in Russia in data 31 gennaio 1943. 

Ritirata italiana in Russia; fonte

Renza Martini, esperta delle vicende della spedizione in Russia e della tragica ritirata, riassume così le vicende della Divisione Vicenza, nel gennaio '43:

La Vicenza era priva di artiglieria perché fu inviata con servizi nelle retrovie, controllo prigionieri e antipartigiani e si trovò invece ad essere spostata in prima linea al posto della Julia, che era stata a sua volta spostata a sud e decimata dagli attacchi dei russi a metà dicembre. 
Possiamo dunque ipotizzare che Raffaele Cuozzo sia caduto nell'ultima parte della ritirata, nell'ultimo combattimento in uscita dalla sacca, a Valujki.

E' possibile che Raffaele sia caduto davvero il 31 gennaio oppure è una data approssimativa?

Se Raffaele è caduto il 31 gennaio, vuol dire che il suo battaglione era fuori dalla sacca del Don, mentre nei giorni precedenti era ancora in marcia. Le colonne, per evitare l'accerchiamento, erano state costrette ad aprirsi la strada combattendo prima a Nikitowka (il 25 gennaio), alcuni elementi si erano diretti con la Tridentina verso Nikolaevka (26 gennaio) ma la maggioranza  è stata intrappolata a Valujki il 27 gennaio, costretta alla resa dai reparti del 7 Corpo di cavalleria sovietico. 

Rotta degli alpini nel gennaio 1943. In evidenza, le località di Valujki e di Nikolaevka; fonte

Cosa accade ai corpi dei soldati caduti durante la ritirata?

I morti del ripiegamento, a causa delle circostanze eccezionali in cui i nostri soldati vennero a trovarsi, vennero lasciati insepolti. Giunto il disgelo, fu la popolazione locale a scavare fosse comuni in cui i morti vennero inumati.
Il fante Raffaele Cuozzo

La strada del davai

A Valujki inizia quella che Nuto Revelli, ufficiale degli alpini in Russia e poi protagonista della Resistenza nel Cuneese, ha definito "la strada del davai", parola che in russo significa "avanti, cammina!".

Revelli ha raccolto storie degli alpini della Cuneese, facendo emergere lo sfacelo dell'esercito e la tragedia di uomini gettati allo sbaraglio. Idealmente, però, è come se desse la parola a tutti gli alpini e a tutti i soldati impegnati nel fronte russo perché, come egli stesso osserva, gli alpini erano una minoranza (circa un quarto) del corpo di spedizione: "Non dimenticare vuol dire ricordare tutti".

Ecco una sua significativa descrizione degli eventi del gennaio 1943; il ritmo concitato del racconto esprime bene la concitazione degli eventi:

Con il gennaio 1943 inizia la corsa verso casa. Le notti all'addiaccio, la fame, il freddo, la pazzia, in una terra dove ogni isba ricorda una forza, un eccidio, un deportato, un prigioniero russo assassinato. Chi scappa, chi combatte, chi butta i gradi, chi soccorre un ferito, chi muore di fame, chi mangia e ingrassa, chi viaggia come un baule su una slitta rubata, chi spoglia i morti e chi li copre con pietà. Ogni uomo è nudo, molti uomini sono bestie. [...] Più di duecento tradotte, nell'estate del 1942, avevano portato in Russia il corpo d'armata alpino: diciassette brevi tradotte, nella primavera del 1943, riportarono in Italia i feriti e i congelati, e i quattro muli usciti dalle sacche.

Tutti i vivi all'assalto!

La Divisione Vicenza, alla quale apparteneva Raffaele Cuozzo, è citata anche in questa pagina del Sergente nella neve, il celebre racconto autobiografico che Mario Rigoni Stern ha dedicato alla Ritirata di Russia:

"Vestone, quanti siete?". Troppi pochi. Val Chiese, Tirano, Edolo, ci siete? Morbegno, dov'è il Morbegno? Non c'è Il Morbegno, non c'è più, è rimasto indietro. E gli altri, dove sono? La Julia, la Vicenza, la Cuneense? La Julia c'è, è là: 4000 son rimasti appena ma gli altri dove sono? Non ci sono. Radunarsi, allora, munizioni, baionette, e i feriti? Anche loro, anche i feriti servono. Tutti quelli che camminano, tutti quelli che possono sparare, tutti. E così, sono le 15.30 in quel villaggio dimenticato da dio, che nasce l'ultimo ordine del Generale Reverberi: “TUTTI I VIVI ALL’ASSALTO!”.

Un grazie particolare a Renza Martini, appassionata e disponibilissima esperta dell'argomento e competente custode della memoria degli italiani caduti e dispersi in Russia. 

G.V.


🔍Approfondimenti

Ecco alcuni post dedicati alla guerra in Russia:


La storia di Raffaele Cuozzo è pubblicata anche sul sito www.divisionevicenza.it 
Un sentito ringraziamento ai pronipoti Norma e Michelino Caldarone.
Per la storia di Prospero Annunciata, un sentito ringraziamento alla pronipote Veronica Cuozzo.