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16 gennaio 2024

"SPREMUTI COME LIMONI": I LAVORI FORZATI DEGLI IMI

Con la trasformazione dei prigionieri italiani in internati militari, Hitler ha a disposizione un ingente "bottino di guerra" (rappresentato anche dai prigionieri degli altri paesi occupati) come forza lavoro nelle fabbriche, nei campi e nelle miniere, in assenza dei tanti uomini tedeschi sotto le armi.

Vittorio Vialli, La lunga coda per l'acqua (Fondo Vialli) fonte

Nel suo recente e preziosissimo Schiavi di Hitler, nel capitolo dal titolo Lavori forzati (pp.110-124) il prof. Mimmo Franzinelli sottolinea che l'economia tedesca ha bisogno dei prigionieri italiani. Dopo solo tre settimane, ad esempio, un piano delle autorità tedesche ipotizza un fabbisogno di 421mila unità. Nel novembre del 1943 sono quasi 383mila gli IMI al lavoro, a metà febbraio 1944 sono 428mila, a metà maggio 437mila.

Si assiste a una "gara contro il tempo" tra i reclutatori di manodopera e gli emissari fascisti che cercano adesioni alla Repubblica Sociale Italiana.

Sono gli stessi funzionari fascisti a testimoniare le condizioni massacranti degli internati italiani, con un orario giornaliero che oscilla dalle 12 alle 14 ore, "debilitati dalla fame e prostrati da insulti e percosse".

fonte

Settori di impiego degli IMI, "spremuti come limoni"

Franzinelli analizza dati del febbraio 1944: gli internati militari italiani vengono impiegati nell'industria mineraria (56%), in vari settori produttivi (35%) e nell'agricoltura (6%). Molti sono impegnati anche nello sgombero delle macerie (un numero in aumento visto che i bombardamenti sulle città tedesche si intensificano). L'orario settimanale risulta in media di 57-58 ore, con un solo giorno di riposo.

Significativo il commento dello storico:

L'atteggiamento dei tedeschi -gerarchi, militari e civili- è caratterizzato da una sorta di schizofrenia: da un lato trattano gli italiani come degli animali e con ostentato disprezzo li vogliono distruggere sul piano morale, dall'altro pretendono una resa produttiva esemplare, senza rendersi conto della contraddizione tra le due condotte. Gli IMI vengono spremuti come limoni.   [op. cit., pp. 112-113]

Un'ordinanza di Hitler (28 febbraio 1944) precisa che il vitto deve essere in relazione alla produttività; se questa è insoddisfacente, il vitto va ridotto a tutta l'unità di lavoro.

Chi non regge ai ritmi della miniera o della fabbrica diventa un convalescente-bracciante: viene destinato alle aziende agricole, dove il lavoro è meno logorante e le razioni alimentari sono generalmente migliori di quelle dei Lager. Non mancano, però, testimonianze di internati impegnati nelle aziende agricole che denunciano dure condizioni di lavoro.

La "civilizzazione" coatta

Nell'estate del 1944 agli IMI viene proposta la trasformazione in "liberi lavoratori": così avevano previsto Mussolini e Hitler nel loro incontro del 20 luglio.

Gli internati non credono alle promesse. Come testimonia Carlo Bargaglia (rinchiuso in un Lager in Baviera), gli italiani ritengono di essere stati trasformati in lavoratori civili solo per essere impiegati più facilmente.

Vari imprenditori giungono nei Lager e selezionano gli italiani.

Nonostante la Convenzione di Ginevra lo vieti, anche gli ufficiali sono sottoposti al lavoro coatto.

Drammatica la testimonianza del tenente colonnello Pietro Testa, dal campo di Wietzendorf:

Gli ufficiali spesso venivano convocati a teatro, sotto la luce di proiettori e sottoposti alla scelta di impresari e contadini tedeschi che palpavano loro gli arti, guardavano in bocca come se fossero delle bestie. Gli ufficiali che si rifiutavano di partire venivano portati fuori dal campo con sentinelle armate di fucile e baionetta.   [op. cit., p.118]

Ci siamo già occupati di un internato militare a Wietzendorf che rifiuta di lavorare durante la prigionia. E' il valvese Giovanni Milanese, che così scrive nel suo diario Frammenti di storia. Diario di guerra e di prigionia 1943-1945:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
29-11-44
Mi richiamano. Non ci vado di nuovo
.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.

Il cappellano militare Bernardino Pavese scrive queste significative parole, che il professor Franzinelli pone a conclusione del capitolo dedicato ai lavori forzati:

Gli IMI hanno lavorato. Tutti hanno lavorato. Sempre hanno lavorato. Lavori forzati. E lavorano duramente: 12 ore al giorno, con un turno di un giorno di riposo al mese e...con molta fame. Hanno per questo collaborato? Ognuno s'ingegno per sabotare (nella massa, quanto sabotaggio!) e a proprio rischio e pericolo, e sotto gli occhi e nelle meni del nemico! [op. cit., p.124]

Approfondimento
Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:
👉Il pranzo di Natale con le patate risparmiate
👉Il ritratto di Michelina per tre razioni di pane
👉L'unico amore del prigioniero Giovanni
👉Fare la guardia alla dignità di italiano
👉Sono di nuovo un uomo e non più un numero
👉Scrivere per sentirsi ancora uomini


Bibliografia
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

30 dicembre 2023

ANGELO MICHELE, L'ARTIGLIERE INTERNATO IN GERMANIA

Nella silenziosa sala di consultazione dell'Archivio di Stato di Salerno, incontro la storia di un mio concittadino che non era nel mio elenco.

Non era nell'elenco degli internati militari italiani e la sua storia mi dimostra che occorre cercare ancora.

Angelo Michele Strollo, nato a Valva il 5 settembre 1909 da Antonio e Maria Macchia; un mulattiere dal naso greco, che speva leggere e scrivere.

Leggo il suo foglio matricolare e subito mi colpisce un'informazione: catturato dai tedeschi e condotto in Germania l'8 settembre 1943

È stato catturato in Grecia, dove era giunto il 18 febbraio 1943, nel 353° Batteria del 26° Artiglieria Corpo d'Armata.

Artiglieria; la foto proviene dall'archivio dell'internato militare
Gelsomino Cuozzo

Il 18 febbraio mi ricorda qualcosa. Penso alla nascita De André e al suo antimilitarismo (uno zio del noto cantautore è stato internato militare), ma Faber quel giorno compiva tre anni. 

Ecco: il 18 febbraio 1943 a Monaco la Gestapo arrestava Sophie e Hans Scholl insieme ad altei membri del movimento Rosa Bianca, un'organizzazione di studenti cristiani che si opponevano al nazismo. 

La resistenza al nazismo è però debole e gli eventi dell'estate del 1943 dimostreranno che l'esercito tedesco è ancora forte. Ne faranno le spese gli oltre seicentomila soldati italiani fatti prigionieri dopo l'8 settembre, i caduti di Cefalonia e delle altre isole, le vittime degli eccidi civili.

Dopo la fine della guerra in Europa, il 18 maggio 1945 Angelo Michele viene liberato; trattenuto dagli Alleati fino al 16 giugno,  rientra in Italia e si presenta al Distretto Militare di Salerno per essere sottoposto all'interrogatorio di rito.

Leggo anche che ha ottenuto la croce al merito di guerra (due concessioni) per la partecipazione alle operazioni di guerra in Balcania, nei teritori greci e albanesi.

Uno dei due artiglieri dovrebbe essere il valvese Gelsomino Cuozzo

Sul foglio matricolare, alla voce distinzioni e servizi speciali leggo servente: un militare addetto con diversi incarichi al funzionamento di un'arma da fuoco o da lancio.

Di lui non so altro, ma da oggi so che è stato soldato, è stato prigioniero, ha detto no ai tedeschi.

G.V.

29 dicembre 2023

IL PRESEPE DEGLI INTERNATI MILITARI

Gli internati militari italiani a Wietzendorf avevano il loro presepe clandestino, realizzato per il Natale 1944 dal milanese Tullio Battaglia, con stracci e ricordi dei singoli prigionieri.

Dopo la liberazione, Tullio Battaglia riuscì a portare con sé il presepe e lo donò alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano, dove ancora oggi si trova.

Mancava una sola statuina, quella del bue, che era stata smarrita. Era rimasta a Wietzendorf, raccontava lo stesso Tullio Battaglia qualche anno fa, "a vegliare sui compagni morti".

Quest'anno un'associazione culturale di Wietzendorf ha fatto realizzare una statuina del bue e l'ha consegnata alla basilica di Sant'Ambrogio, come gesto di pace e di riconciliazione.

Ora il presepe della prigionia in Sant'Ambrogio è di nuovo completo.

Ecco come un bell'articolo di Luca Frigerio (1944: il presepe nel lager, dalla Germania a Milano, sito della Diocesi di Milano) racconta la creazione del presepe: 

Così, con un coltellino da scout (miracolosamemte scampato ad ogni perquisizione), una forbicina robusta, un cardine di una porta come martello, alla luce del lumino che ognuno conteibuì ad alimentare togliendo una piccola parte alla microscopica razione di margarina, nacque questa sacra rappresentazione. 
La nostalgia per la propria terra spinse Tullio ad ambientare la scena in un angolo di una tipica cascina lombarda, dove un'umile contadina s'avvicinava al Bambin Gesù, stretto tra le braccia della Vergine Maria. Attorno ci sono i Re Magi, la tessitrice che confeziona la [...] bandiera tricolore,  lo zampognaro abruzzese e il pastore calabro, presenze poetiche del presepe e "rappresentanti" degli sventurati compagni di prigionia, di ogni parte d'Italia.  fonte 

Due personaggi sembrano avere un valore particolarmente significativo dal punto di vista simbolico: l'internato militare italiano e il guerriero longobardo; il primo sembra quasi intimorito ad avvicinarsi alla mangiatoia e resta un po' in disparte, "nella sua divisa lacera ma dignitosa", il secondo depone le sue armi ai piedi del Bambino.

I pannelli informativi che presentano il presepe in Sant'Ambrogio ci aiutano a comprendere la difficoltà della realizzazione dell'opera. Ad esempio, leggiamo che per le parti in legno (teste, mani, piedi, telaio, cornamusa) sono state usate le assicelle sulle quali si dormiva, per gli scheletri delle statue è stato usato il filo spinato cui sono state tolte le spine con le mani. I vestiti sono stati realizzati con i ricordi dei prigionieri, ad esempio i pizzi sono tagliati dai fazzoletti donati dalle fidanzate ai soldati partiti perr la guerra. Armature, corone e doni sono ritagliati da vecchie lattine.

In primo piano, il bue appena aggiunto al presepe

Il campo di Wietzendorf sarà liberato dagli inglesi il 16 aprile 1945; ecco un plastico che lo ricostruisce: 
Museo Nazionale dell'Internamento, Padova


Un cordiale ringraziamento a Vinicio Sesso per le foto del presepe e per averci messo a disposizione le informazioni riportate sui pannelli informativi.

Approfondimenti
Qui trovate il video di Luca Frigerio, pubblicato sul sito della Diocesi di Milano: 👉📹

Il blog "la ràdica" da citato in alcuni post il campo di Wietzendorf, che ha ospitato il valvese Giovanni Milanese, autore del diario Frammenti di storia- Diario della guerra e della prigionia.
Al diario abbiamo dedicato i seguenti post:

G.V.

13 settembre 2023

QUANDO I RACCONTI DI ZIO SABINO ENTRAVANO IN CLASSE

Le vicende di Sabino Spiotta mi accompagnano dai banchi delle elementari, quando un suo omonimo nipote era decisamente il più preparato di tutti noi sulla Seconda guerra mondiale e lo citava -a ragione- come una fonte autorevole. 

All'epoca non davo ai racconti degli anziani il peso che darei loro oggi, se fossero ancora qui.

Oggi farei più attenzione, ne sono certo; prenderei appunti, farei domande anche su come corteggiavano le ragazze o sull'origine del loro soprannome (zio Sabino era orgoglioso del suo, mi dice un nipote); farei domande non solo sugli avvenimenti della loro vita ma su come li hanno vissuti.

Ad esempio, se ora ne avessi la possibilità chiederei a zio Sabino di dirmi cosa ha provato il 12 settembre 1943, quando è stato catturato a Giannina, in Grecia, per essere internato il 4 ottobre nel campo di concentramento di Hannover, l'XI B nella fredda nomenclatura tedesca.

Gli chiederei con quale stato d'animo lavorava nella miniera Emilia Schach, a estrarre ferro fino al giorno della liberazione, avvenuta ad opera degli Americani il 10 aprile 1945.

In un documento degli Archivi Arolsen il suo nome,  scritto male, risulta in un elenco di internati che lavorano in un'azienda in Bassa Sassonia, insieme a  prigionieri polacchi, ucraini, olandesi.

La guerra

Alla guerra, Sabino Spiotta aveva preso parte subito, fin dall'11 giugno 1940, quando risulta in territorio dichiarato stato di guerra.  

E' nel 41.mo Reggimento Fanteria, con sede a Imperia; è impegnato nelle operazioni di guerra alla frontiera alpina occidentale con la Francia fino al 25 giugno.

Successivamente si imbarca a Bari per l'Albania, sbarcando a Valona. Dal 19 novembre 1940 al 23 aprile 1941 è impegnato nelle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera greco-albanese.

Nel 1941 il 41.mo Reggimento combatte in Albania e Grecia; ad esempio, sul Golico (Albania), in Valle Desnizza (da dove inizia l'offensiva italiana contro la Grecia) e nella Val Vojussa, fiume reso celebre dalla canzone Sul ponte di Perati, che lo cita in questi versi:  

Sui monti della Grecia 
c'è la Vojussa,  
del sangue della Julia
s'è fatta rossa.

Nel 1942 il 41.mo Reggimento rimane in Albania e Grecia con compiti di presidio. In seguito  all'8 settembre 1943 viene sciolto in Epiro. fonte 

Dal 18 novembre 1942 all'8 settembre 1943, Sabino Spiotta è impegnato nelle operazioni di guerra in Balcania, nei territori greco-albanesi.

Dopo la notizia della cattura, il suo foglio matricolare reca  tre informazioni molto interessanti, che spesso mancano negli altri. 

Innanzitutto, troviamo il nome del campo di concentramento.

Inoltre, troviamo una testimonianza della cosiddetta "civilizzazione degli IMI": alla data del 15 settembre 1944 leggiamo che diventa un "privato al servizio al lavoro". Dal punto di vista giuridico, gli IMI sono trasformati in lavoratori civili, ma per loro il cambiamento di status non ebbe effetti concreti.

Il cambiamento venne annunciato alla fine di luglio e il 3 agosto l’OKW [Comando supremo della Wehrmacht] diramò ai propri comandi l’ordine del mutamento di status: gli internati avrebbero dovuto firmare un foglio e dichiarare di essere disposti a lavorare come civili nel Reich fino alla fine delle ostilità. Contrariamente alle attese tedesche gran parte dei soldati e sottoufficiali rifiutarono di sottoscrivere un impegno formale. I motivi erano molteplici: gli Imi temevano di poter essere accusati al ritorno di collaborazionismo, o di perdere in Italia i propri diritti economici; un ruolo importante giocava anche la paura per i propri congiunti, specie se residenti nell’Italia meridionale. Inoltre il trattamento che il Reich aveva loro riservato spingeva gli internati a diffidare delle proposte tedesche e repubblicane. Le difficoltà incontrate nell’attuazione del provvedimento furono tali che il 4 settembre ’44 l’OKW rese operativa d’ufficio la civilizzazione degli Imi abolendo la clausola della firma. 
 Sabrina Frontera, I militari italiani negli Oflag e negli Stalag del Terzo Reich 

Infine, il foglio matricolare riporta l'interrogatorio dell'ex prigioniero: rientrato in patria il 4 agosto, cinque giorno dopo viene interrogato presso il distretto militare di Salerno e viene mandato in licenza straordinaria.

A Sabino Spiotta è stata concessa la Croce al Merito di Guerra: prima e seconda concessione per la partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943, terza concessione per internamento in Germania.

Un doveroso ringraziamento al nipote Gerardo Spiotta per la preziosissima collaborazione.

G.V.

12 settembre 2023

SCRIVERE PER SENTIRSI ANCORA UOMO

Appuntamento con la memoria e sguardo verso il futuro al castello di Valva.


Castello di Villa d'Ayala-Valva, a Valva (foto di Valentino Cuozzo)

Nella suggestiva cornice di Villa d’Ayala-Valva si è tenuta la serata dal titolo La memoria e il futuro, che ha visto consegnare ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio comunali il libro Frammenti di storia (ed. Palladio), diario scritto dal valvese Giovanni Milanese durante la sua prigionia nei Lager nazisti dal 1943 al 1945.

Insieme al sindaco Giuseppe Vuocolo, a consegnare il libro è stato Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell'autore.

La serata è stata animata dai giovani, che hanno letto brani significativi del diario anche con un accompagnamento musicale.

L’onorevole Guido Milanese ha presentato il diario del padre e ne ha illustrato la figura, anche con aneddoti familiari.

Sono intervenuti anche: Enzo Todaro, presidente dell’Associazione Giornalisti Salernitani, che si è concentrato su alcuni aspetti della scrittura di Milanese; Pino Acocella, rettore dell’Università Giustino Fortunato, che ha inquadrato la vicenda di Milanese nel contesto drammatico del periodo dopo l’8 settembre, con la cosiddetta “morte della patria”; Antonio Landi,  presidente nazionale dell'Associazione combattenti e reduci e la presidente della sezione di Valva, Fiorenza Volturo, figlia di un soldato internato a Dachau.

Il pubblico in sala; per la foto, si ringrazia Luca Forlenza

Foto tratta dalla pagina Facebook del Comune di Valva

Il titolo della serata voleva sottolineare che la memoria è affidata ai giovani cittadini, che anche grazie ai sacrifici delle generazioni precedenti hanno ricevuto in eredità una società di diritti e democrazia: un tesoro prezioso da custodire e accrescere, ha scritto il sindaco nella lettera di invito.

Alla cerimonia erano presenti anche il Prefetto di Salerno e il Comandante provinciale dei Carabinieri.

Ecco un estratto dell'intervista realizzata dal giovane Filippo Vuocolo al nostro blog:

Prima dell’incontro, il sindaco e le autorità e gli ospiti presenti hanno deposto una corona di fiori al Monumento ai Caduti, per ricordare in particolare il sacrificio della Divisione Acqui, nell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, dove due valvesi sono stati dichiarati dispersi in combattimento e un terzo è stato fatto prigioniero dai tedeschi.

G.V.

Approfondimento

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:


Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

09 settembre 2023

I VALVESI DELLA DIVISIONE ACQUI

 In memoria di

ALFONSO FENIELLO e GIUSEPPE MACCHIA

Divisione Acqui- Cefalonia e Corfù

Dispersi il 9 settembre 1943


Hanno l'impercettibile sussurro, 
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.

Giuseppe Ungaretti, Non gridate più



Oggi sono a Verona perché dovevo essere qui, davanti al Monumento Nazionale alla Divisione Acqui, i martiri di Cefalonia e Corfù. Le prime vittime della resistenza ai nazisti, che rifiutarono di consegnare le armi per non tradire il giuramento fatto al Re, anche se il Vittorio Emanuele III era in fuga e dal governo arrivavano comandi incerti e a volte contraddittori.

I valvesi nella Divisione Acqui
In particolare, sono qui perché due miei concittadini - soldati appartenenti al Battaglione mitraglieri di corpo d’armata della Divisone Acqui- risultano dispersi in combattimento il 9 settembre 1943.

Alfonso Feniello, dall'Africa Orientale a Cefalonia
Nasce a Valva il 2 agosto 1911, da Nicola a Maria Alfano. Da civile esercita il mestiere di mulattiere.
In occasione della guerra di Etiopia, il 5 novembre si arruola nella 140.ma legione in A.O.I. e viene assegnato al 4.o Battaglione Camicie Nere d'Africa con la ferma biennale.
Il 28 gennaio 1937 si imbarca a Napoli col piroscafo "Colombo" e il 5 febbraio sbarca a Massaua.
Il 18 agosto 2939 si imbarca a Mogadiscio per l'Italia, ma in seguito alla sospensione del rimpatrio sbarca a Massaua il 28 agosto e viene aggregato al 170.mo Reggimento Camicie Nere Asmara.
Finalmente il rimpatrio arriva e Alfonso può imbarcarsi a Massaua alla volta dell'Italia: sbarca a Napoli il 31 agosto 1939.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Alfonso è richiamato alle armi il 6 dicembre 1940, nel 110 Reggimento Mitraglieri autocarrati: è la Divisione Acqui.
Sbarca a Valona il 5 gennaio 1941 come aggregato alla Divisione Acqui  ed è a Cefalonia nel febbraio 1941.
Poi non abbiamo altre notizie di lui.
È ritenuto disperso a Cefalonia il 9 settembre 1943 per eventi bellici, come da atto notorio rilasciato dal Comune di Valva il 5 febbraio 1947. Verrà dichiarato “morto presunto a Cefalonia” da una sentenza del tribunale di Salerno nel 1956.  

Giuseppe Macchia 
Giuseppe Macchia nasce a Valva il 27 ottobre 1911, figlio di Giacomo e di Francesca Torsiello.

Dopo il servizio militare, viene richiamato alle armi il 12 febbraio 1935 e giunge al 39.mo Reggimento Fanteria 2.a Compagnia Richiamati. 
Parte per l'Eritrea col 3.o Battaglione speciale del 39.mo Fanteria mobilitato in A.O.I. Imbarcatosi a Napoli, sbarca a Massaua il 21 agosto 1935. E' inserito nel 4.o gruppo salmerie e carreggio d'intendenza, poi nel 17.mo Battaglione speciale intendenza A.O.
Nell'aprile 1937 si conclude la sua prima esperienza di guerra: infatti rientra è collocato in congedo illimitato e riceve il premio di smobilitazione.
Nel dicembre 1940 viene richiamato alle armi e giunge nel Deposito del 15.mo Reggimento Fanteria per passare nel 110 Battaglione mitraglieri: è la Divisione Acqui
Si imbarca a Bari e giunge a Valona l'11 dicembre.
Partecipa alle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera greco albanese  fino al 23 aprile 1941 (data in cui la Grecia firma la resa). 
Il 23 settembre 1942 è inviato in licenza straordinaria di 15 giorni per gravi motivi di famiglia.
Al rientro, partecipa alle operazioni di guerra in Balcania, nei territori greco e albanese dal 18 novembre 1942 all'8 settembre 1943.
Poi, un'annotazione aggiunta anni dopo ci informa che Giuseppe Macchia è stato ritenuto disperso in Corfù per eventi bellici il 9 settembre 1943, come da atto notorio rilasciato dal comune di Valva l'11 luglio 1947.

Un post di Gozlinus del giugno 2019 parla della loro vicenda e mostra anche le loro (rare) foto.
Della divisione Acqui fa parte anche Pasquale Cappetta, chiamato alle armi a maggio e fatto prigioniero a settembre. Sarà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A.  
Pasquale Cappetta in una foto risalente al periodo
in cui era emigrante in Germania; fonte: Gozlinus
Come abbiamo riportato in altri nostri post, di lui gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte


Approfondimento
Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sula Divisione Acqui:

LA MEMORIA E IL FUTURO

La memoria e il futuro è il titolo della serata in programma a Valva domenica 10 settembre alle ore 18 al piano nobile del castello di Villa d'Ayala-Valva.

Villa d'Ayala -Valva, Ingresso al giardino del castello;
foto di Valentino Cuozzo

Ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio comunali sarà donato il libro Frammenti di storia- Diario di guerra e di prigionia 1943-1945 (ed. Principato), diario scritto dal valvese Giovanni Milanese durante la sua prigionia nei Lager nazisti dal 1943 al 1945.

Il libro sarà consegnato dal sindaco Giuseppe Vuocolo e da Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell'autore.

Castello di Villa d'Ayala-Valva, Salone al piano nobile
foto di Valentino Cuozzo

Alcuni giovani leggeranno brani significativi del diario e ricostruiranno il dramma degli internati militari italiani, inquadrandolo nel contesto storico della Seconda guerra mondiale; racconteranno anche le vicende degli internati valvesi.

Castello di Villa d'Ayala-Valva, Sala delle armi
foto di Valentino Cuozzo

Sarà presente l'Associazione combattenti e reduci, con il presidente nazionale Antonio Landi e con la presidente della sezione valvese, Fiorenza Volturo, figlia di un internato militare.

Interverranno anche  Enzo Todaro, presidente dell'Associazione Giornalisti Salernitani e Pino Acocella, rettore dell’Università Giustino Fortunato. 

La locandina dell'evento

Il futuro visto da Giovanni Milanese

Ci siamo occupati più volti del diario di Giovanni Milanese.

Ora scegliamo alcuni brani sul tema del futuro, che egli vede in maniera abbastanza negativa, come notiamo da alcune sue riflessioni nei giorni dopo la liberazione (aprile 1945).

Assiste a comportamenti che condanna con decisione: alcuni ex prigionieri mangiano in maniera vorace quello che trovano nelle villette requisite, altri si danno a veri e propri atti di razzia.

Il 29 aprile 1945 scrive:

Ci vorranno molti anni per rifare l'esercito italiano, in particolare la classe degli ufficiali.
Ci sono fra noi dei colleghi che forse starebbero bene in una stalla. 

Il primo maggio nota che dalle case requisite i soldati italiani portano via  carrettini, carrozzelle per bambini e bagagli di ogni genere. Commenta con amarezza:

Forse sarà anche naturale in un paese d'occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna.
Bisogna rifare l'Italia, ma prima c'è da forgiare l'italiano nuovo.

Qualche giorno più tardi, scrive parole molto dure:

Penso con terrore all'Italia di domani.
Penso quello che sarà quando rientrerà la massa dei nostri soldati abituati ora a predare, a mangiare a crepapelle senza lavorare.
Quando invece saranno costretti a lavorare e sodo per mangiare un tozzo di pane, cosa succederà? 

 Dire NO, nonostante tutto

Il 14 luglio, riportando le parole del colonnello Bruni (appena rientrato dall'Italia), Milanese scrive:
Ha aggiunto che è molto più facile fare gli eroi sul campo di battaglia, nella mischia, che languire e combattere disperatamente e costantemente con la fame e con la morte in un lager, quando si risponde nella maniera più decisa no mentre tutto un complesso di sofferenze fisiche e morali ti impongono di dire .

E' una riflessione molto significativa, perché in essa troviamo quasi la chiave per interpretare il senso della lunga prigionia dell'internato militare Giovanni Milanese e degli oltre seicentomila soldati italiani che, come lui, hanno continuato a pronunciare il loro no nonostante tutto.

Nei mesi precedenti si era rifiutato di andare a lavorare: il suo modo di opporsi ai tedeschi.

Ad esempio, scriveva:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.
Resistere, dicendo no quando sarebbe più comodo dire sì.
Resistere, incrociando le braccia quando sarebbe più comodo lavorare (visto che chi lavora viene nutrito di più).
Resistere, confidando a un diario i propri sogni e i propri timori.
Resistere, per sentirsi ancora uomo.

Castello di Villa d'Ayala-Valva
foto di Valentino Cuozzo


Approfondimento

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:


G.V.

29 agosto 2023

GIUSEPPE, DALLA RUSSIA AL LAGER

La storia di Giuseppe Falcone sembra scritta da uno sceneggiatore che sottoponga il suo personaggio a una sequela di peripezie fino al limite dell'inverosimile.
Giuseppe fa parte del Corpo di spedizione italiano in Russia, riesce a rientrare in Italia dopo la drammatica ritirata; dopo il ricovero in provincia di Udine, nel settembre 1943 si trova a Milano, dove viene catturato dai tedeschi: diventa un internato militare italiano. Torna a casa, ma muore nel 1952, a trentasette anni.
Questa però non è la trama di un film: è la vita drammatica di un uomo.

Da San Biagio a San Vito
Giuseppe nasce a Valva il 7 novembre 1915, da Francesco e Filomena Del Plato, nella loro casa in via San Biagio. A sottoscrivere l'atto di nascita sono Serafino Falcone (sarto) e Antonio Freda (calzolaio); anche papà Francesco appone la sua firma: fatto ancora abbastanza raro.
Giuseppe perde la madre da piccolo; suo padre si risposa.
Il 10 ottobre 1940 Giuseppe sposa Domenica Vuocolo, nella chiesa parrocchiale di Colliano.
Nel foglio matricolare, all'atto dell'arruolamento -quando il giovane non è ancora sposato- l'indirizzo risulta via San Vito. Dopo il matrimonio, Giuseppe e Domenica vanno a vivere nella casa di via San Biagio dove egli era nato.

In Russia
Dopo il servizio militare negli anni 1937-38, nel maggio 1940 Giuseppe risulta richiamato alle armi nel 15.mo Reggimento Fanteria in Salerno. 
Nel novembre lo troviamo assegnato al 77 Battaglione costiero.
Nel 1942, dopo alcuni problemi di salute (risultano un ricovero in un ospedale militare e una licenza di un mese per la convalescenza), nel mese di novembre è inviato in Russia con la Divisione Pasubio, 90.mo Reggimento Fanteria: così leggiamo nel suo foglio matricolare. 
A dir la verità, il 90.mo Reggimento fa parte della Divisione Cosseria, non della Pasubio. E' possibile ipotizzare un errore di chi ha compilato il foglio matricolare: forse la divisione era la Cosseria o, in alternativa, il soldato era nell'80.mo Reggimento (meno probabile).

Giuseppe Falcone è il primo a sinistra, in piedi

A questo punto, lo sceneggiatore da noi evocato all'inizio sembra abbia voluto usare quella che tecnicamente si chiama un'ellissi: omette di raccontare un pezzo della storia, attuando un salto nella narrazione per conferirle un ritmo sostenuto. 
Infatti, il foglio matricolare di Giuseppe riprende con questa voce, alla data del 25 aprile 1943:

Rientrato in Italia e giunto

Non racconta quello che Giuseppe ha vissuto in Russia in quei mesi, non parla del gelo, non dice nulla della penosa ritirata.
Possiamo però immaginare, anche grazie al racconto di chi ha vissuto le stesse esperienze; penso a Mario Rigoni Stern, anche lui in Russia e poi internato militare in Germania.
Il 26 aprile è trasferito al campo contumaciale di Osoppo, in provincia di Udine: è un campo in cui i soldati sono in isolamento sanitario.
Il 10 maggio è con il 90 Reggimento Fanteria a Milano.

La prigionia
Il 12 settembre è catturato dai tedeschi.
Altra ellissi dello sceneggiatore: si passa direttamente al 26 ottobre, quando -rientrato in Italia- si presenta al Distretto di Salerno, dove è inviato in licenza di 60 giorni.

Nella scheda a lui dedicata nel Lessico Biografico IMI, Giuseppe risulta catturato il 25 settembre, mentre la data di rientro risulta il 24 ottobre.  

E in mezzo? Oltre due anni, 775 giorni da internato militare.
Nel Lessico Biografico IMI, Giuseppe Falcone risulta nello Stalag V C. 
Lo Stalag V C si trova nella zona di Baden-Baden ed è in funzione dal febbraio 1940; due anni dopo, la nuova sede diventa Offenburg, non lontano da Stoccarda. C'è anche un sub-campo a Strasburgo.

Accanto al suo nome troviamo la sigla Arb. Kdo 12500: è l'acronimo di Arbeitskcommando, campi che spesso si trovavano vicino ai luoghi di lavoro e ospitavano i prigionieri destinati al lavoro coatto.
Dagli Archivi Arolsen affiora un documento che riporta il nome della località tedesca presso la quale Giuseppe Falcone lavorava:

Giuseppe Falcone è il numero 284; Kr. Gef. significa "prigioniero di guerra"
Dal documento risulta che Giuseppe ha lavorato da questa azienda dall'11 novembre 1944 al 20 aprile 1945, data nella quale verosimilmente è stato liberato.
Come accade a tutti gli internati militari, il rientro a casa è lento perché le Forze Alleate devono occuparsi di milioni di prigionieri.
Nel dicembre del 1945, Giuseppe Falcone sarà ricollocato in congedo illimitato.

Giuseppe non vivrà a lungo: muore infatti a Valva nel dicembre 1952, lasciando due figli maschi e la moglie incinta; pochi mesi dopo, nascerà sua figlia, chiamata Giuseppina in suo onore. Purtroppo la bambina morirà a soli dieci anni.
Lo sceneggiatore non ha proprio voluto un lieto fine.


Un cordiale ringraziamento alla nipote Antonietta e a suo marito Raffaele.

Grazie alla gentilissima Renza Martini, sempre disponibile a chiarire dubbi e a fornire informazioni sulla campagna italiana di Russia.

Fonti

Lessico Biografico IMI

Arolsen Archives


G.V.