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20 agosto 2025

LA CAMICIA NERA PRIGIONIERA DEI TEDESCHI E DEI PARTIGIANI JUGOSLAVI

La storia di Scipione Marciello è emblematica: racconta la complessità della guerra, la rapidità dei cambiamenti, il disorientamento che ha colpito giovani uomini che avevano creduto nel regime fascista e nel valore della lotta; lascia intuire, inoltre, lo scontro ideologico che attraversava il conflitto.
Scipione Marciello nella sua divisa di guardia comunale
Foto di Michele (Foto Falco) Falcone, fonte Gozlinus
La sua carriera militare ha due fasi molto diverse tra loro.
Nato a Valva il 19 gennaio 1910, fino al 1932 non presta alcun servizio alle armi, in quanto dispensato dal compiere la ferma e lasciato in congedo illimitato.

In Libia
Poi inizia una seconda fase, ricca di avvenimenti.
Il 16 settembre 1939 lo troviamo mobilitato nel 140° Reggimento della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, la cosiddetta Legione Aquila, con sede a Salerno.

Era un reparto della MVSN, composto in prevalenza da volontari. Aveva compiti di deposito e di addestramento. La MVSN era una milizia politica, una forza armata volontaria e uno strumento di controllo del territorio; i suoi compiti spaziavano dall'ordine pubblico alla partecipazione diretta ai conflitti.
Il 10 ottobre Scipione si imbarca a Napoli per la Libia. Viene rimpatriato e smobilitato il 24 maggio 1940.

La disciplina della Milizia
La carriera militare di Scipione registra una pausa di due anni, almeno a leggere il suo foglio matricolare. 
Il 26 luglio 1942 infatti è richiamato alle armi, nella stessa 140ª legione delle Camicie Nere. Lo stesso giorno lo vediamo destinato al Battaglione Smistamento 143, del campo di Pietrelcina in provincia di Benevento. Nel mese di agosto viene trasferito al 162° Reggimento delle Camicie Nere, al Comando Truppe n. 8 per essere avviato alle operazioni oltremare.
La sede del comando truppe n.8 è il Policlinico di Bari: Scipione stava attendendo di essere imbarcato verso la sua destinazione operativa. Dal suo foglio matricolare possiamo ipotizzare che il Policlinico di Bari fosse utilizzato come sede logistica e amministrativa militare, visto che leggiamo la dicitura "Tappa n. 8-Policlinico di Bari". Le tappe erano strutture militari che gestivano i movimenti di personale e materiali.
La disciplina all'interno della Milizia è molto rigida: i comandi enfatizzano l'ordine, la gerarchia e la lealtà a Mussolini. Di conseguenza, anche assenze brevi ma ingiustificate vengono punite e possono anche compromettere il futuro del milite.
Il 10 settembre 1942 lo troviamo presso il 162° Battaglione Camicie Nere. 

In Jugoslavia: guerra e prigionia
Fino al 31 agosto 1943 Scipione prende parte alle operazioni di guerra in Balcania, più precisamente in Jugoslavia con 162° Reggimento Camicie Nere nel 10° gruppo.
Il 1 settembre 1943 Scipione viene trasferito all'84° Reggimento Fanteria, 1° Battaglione  Compagnia.
A questo punto sul foglio matricolare di Scipione Marciello troviamo due voci assai stringate, che racchiudono un periodo sicuramente terribile per il giovane soldato.
Il 21 ottobre 1943 viene catturato dai tedeschi e "ristretto in campo di concentramento in Iugoslavia"
Il 10 settembre 1944 risulta "prigioniero dei partigiani Iugoslavi".
La sintesi burocratica non può restituire il contesto storico degli eventi nella regione balcanica, ma ci fa intuire l'instabilità del periodo: da alleati d'acciaio, i tedeschi diventano i principali nemici dell'Italia; i partigiani jugoslavi lottano contro i tedeschi, ma rappresentano comunque un destino incerto per chi finisce nelle loro mani.

Il contesto balcanico
Nel periodo tra il 1943 e il 1944 la Jugoslavia è teatro di intensi combattimenti tra i partigiani titini e le truppe di occupazione dell'Asse. 
Dopo l'8 settembre, molti soldati italiani vengono catturati dalle forze tedesche e inviati in Germania come internati militari; anche in Jugoslavia ci sono campi di concentramento: uno dei più noti è il campo di Jasenovac, gestito dal regime ustascia croato, che ospitava principalmente detenuti civili e politici.
Alcuni italiani vengono  catturati dai partigiani jugoslavi, che in molti casi li trattano come prigionieri di guerra o li utilizzano come forza lavoro forzata.
Nel settembre 1944, la liberazione dei campi di concentramento nazisti in Jugoslavia è ancora in una fase iniziale. I partigiani, guidati dal maresciallo Tito, nella loro azione sono sostenuti dall'Armata Rossa.
 
Un'ipotesi su Scipione
Ipotizziamo che Scipione Marciello, dopo essere stato liberato dai partigiani jugoslavi, sia stato trattato come prigioniero di guerra, a differenza degli altri italiani liberati nella primavera del 1945 dalle Forze Alleate. 
A confermare la nostra ipotesi potrebbe essere la data del rimpatrio: alla fine del 1946, ovvero un anno e mezzo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Infatti, Scipione viene rimpatriato solo il 28 novembre 1946, quando risulta assegnato al Centro Alloggio di Bari.


Dal foglio matricolare di Scipione Marciello siamo riusciti a ricostruire vicende che ci ricordano quanto fossero complesse le scelte dei giovani soldati in quegli anni e quanto fosse alto il prezzo della fedeltà alla patria, servita da volontario. 
Una vicenda individuale che fa comprendere le contraddizioni e le tragedie di un’intera epoca.
G.V.



08 agosto 2025

UNA GIORNATA PER GLI IMI: MEMORIA CONDIVISA O MEMORIA FRAMMENTATA?

In questo quarto approfondimento che “la ràdica” dedica alla nuova legge istitutiva della Giornata nazionale degli Internati Militari Italiani, ripercorriamo le critiche che ci sembrano più significative emerse nel dibattito pubblico e accademico dopo l’approvazione della norma.
Padova, Museo nazionale dell'internamento; fonte

L'antifascismo dimenticato?

Tra le riflessioni più lucide e argomentate, spicca l’intervento pubblicato il 28 luglio 2024 sul quotidiano Domani, a firma di Orlando Materassi (ex presidente di Anei) e dello storico Daniele Susini dal titolo 👉 La proposta di Mulè dimentica l'antifascismo degli internati militari.
Gli autori rivendicano il valore della scelta compiuta da circa 600.000 soldati italiani catturati dopo l’8 settembre 1943, definita “una Resistenza condotta nei lager” e soprattutto “una scelta antifascista”: un gesto collettivo che per decenni è stato trascurato o rimosso dalla memoria pubblica.
Tuttavia, il loro articolo solleva alcune critiche alla legge e ne evidenzia rischi e ambiguità, che qui proviamo a sintetizzare.
Mancanza di consultazione 
Secondo gli autor, l’ANEI (Associazione Nazionale ex Internati nei Lager nazisti) non è stata coinvolta nella stesura della proposta; lamentano una “totale assenza di comunicazione” da parte del promotore Giorgio Mulè.
Sovrapposizione e ridondanza
Gli autori ricordano che l’esperienza degli IMI è già riconosciuta dalla legge del 2000, che istituisce il Giorno della Memoria (27 gennaio) e cita esplicitamente i “deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Introdurre una giornata separata rischia quindi di essere superfluo.
Isolamento e frammentazione della memoria 
Gli autori paventano il rischio che la nuova ricorrenza possa isolare la vicenda degli IMI dalla più ampia narrazione della Resistenza e della Liberazione, celebrata il 25 aprile. La moltiplicazione delle giornate commemorative rischia di indebolire il senso di unità e coerenza della memoria collettiva.
Assenza del termine “antifascismo” nel testo di legge 
L'articolo considera grave che la legge non  attribuisca esplicitamente la qualifica di “scelta antifascista” alla decisione degli IMI. Il termine compare solo per descrivere le associazioni coinvolte, non i protagonisti della vicenda, segno – secondo gli autori – di una “scarsa attenzione della politica”.
Incoerenze politiche 
L'articolo denuncia anche ambiguità tra alcuni promotori della legge, appartenenti a partiti che -secondo gli autori- faticano ad assumere una posizione netta sul fascismo. In particolare, viene citata una dichiarazione di Ignazio La Russa che avrebbe ridotto la scelta degli IMI a “una prigionia di comodo”, senza riconoscerne la natura etica e politica. Gli autori auspicano un impegno più deciso da parte del governo nel rifiutare ogni ambiguità sull'antifascismo.
In conclusione, l’articolo definisce la proposta Mulè come “velleitaria”, priva di una chiara “logica storica e di memoria”, e auspica che ci sia un ripensamento o almeno un dibattito più consapevole e inclusivo.

La risposta di Giorgio Mulè

Il giorno dopo, "Domani" ha ospitato la replica di Giorgio Mulè, in un articolo dal titolo 👉 La proposta di legge per la giornata degli internati militari è sincera e condivisa.
Mulè respinge le critiche di Materassi e Susini, difendendo con decisione la proposta e chiarendo alcuni aspetti centrali.
Una proposta nata da una necessità storica
Mulè si dichiara dispiaciuto per la definizione di proposta “velleitaria” e priva di “logica storica e di memoria”, affermando invece che nasce dalla necessità di colmare un vuoto a lungo ignorato e di restituire dignità e onore agli Internati Militari Italiani.
Il riconoscimento della scelta antifascista
Mulè sottolinea che la legge cita esplicitamente la Repubblica di Salò e che è animata da un’ispirazione antifascista. Ricorda che gli IMI “scelsero consapevolmente di rifiutare qualsiasi collaborazione con nazisti e fascisti” e li definisce “eroi civili e militari”, il cui sangue è alle fondamenta della Repubblica italiana come quello di chi cadde nella Resistenza.
Un clima di concordia
A sostegno della proposta, Mulè richiama il messaggio del Presidente Mattarella sull’importanza di una “memoria condivisa” e sottolinea che la legge è stata approvata all’unanimità alla Camera, rappresentando una “bellissima pagina” di concordia tra le forze politiche.
Il nodo della consultazione
L'autore della proposta di legge rivendica di essersi ispirato al lavoro dell’ANRP e dell’ANEI, e dichiara di aver già incontrato la presidente dell’ANEI, Anna Maria Sambuco, che avrebbe espresso dissenso verso le critiche di Materassi e Susini, con un ulteriore incontro in programma.
Un rifiuto netto delle accuse
Respinge la richiesta di “ripudio del fascismo”, definendola un’offesa alla sua storia, al suo impegno politico e alla sua coscienza, e accusa gli autori dell’articolo di superficialità, dichiarando di non perdonarla, “a maggior ragione da chi si fregia del titolo di ‘storico’”.

Frammentare la Resistenza non serve

A pochi mesi dal primo intervento critico, Orlando Materassi e Daniele Susini sono tornati sull’argomento con un nuovo articolo pubblicato il 7 dicembre 2024 su Domani, dal titolo 👉 Perché “frammentare” laResistenza non aiuta a conoscere la nostra storia.
Nel frattempo, il disegno di legge Mulè ha proseguito il suo iter: approvato all’unanimità dalla Camera dei Deputati il 19 settembre, è passato in Commissione al Senato nel mese di ottobre.
Il secondo intervento degli autori conferma e approfondisce i punti già espressi, ampliando la riflessione sulle implicazioni storiche, politiche e simboliche della legge.
Una memoria "depotenziata"?
Materassi e Susini temono che una giornata dedicata agli IMI, anziché valorizzarne la memoria, contribuisca a frammentarla, in un contesto già affollato di commemorazioni che rischiano di indebolire la coerenza del racconto storico collettivo.
I due studiosi citano come esempio le numerose giornate dedicate a categorie diverse di vittime (civili innocenti, lavoratori coatti, stragi nazifasciste), che rischiano di trasformare la memoria in un elenco disgiunto anziché in una narrazione coerente e condivisa. 
Una mescolanza forzata?
Gli autori criticano anche la scelta del legislatore di accomunare militari e civili, nonostante le profonde differenze tra le rispettive esperienze di deportazione. Questa “mescolanza di destini” viene giudicata fuorviante e poco rispettosa della complessità delle vicende storiche.
Una scelta antifascista, morale e politica
Al centro dell’analisi resta la natura della decisione degli Internati Militari Italiani: una scelta morale, ideologica e, per certi versi, politica, che rappresenta – secondo gli autori – una completa negazione del ventennio fascista. La loro fu a tutti gli effetti una scelta antifascista, e come tale dovrebbe essere pienamente integrata nella memoria della Resistenza plurale. Viene citato lo storico Giorgio Rochat, che ha definito il comportamento degli IMI un esempio di “straordinario valore politico-morale”.
Riconoscimenti già esistenti e lacune della nuova legge
Materassi e Susini ricordano che gli IMI sono già equiparati ai partigiani dal 1977 e 1983: di conseguenza, il loro ricordo dovrebbe trovare spazio il 25 aprile. Criticano inoltre l’assenza del termine “antifascismo” nel testo di legge, un'omissione che conferma – a loro avviso – la debolezza simbolica e politica della norma.

Rischi pratici e simbolici
Vengono sollevate anche criticità di ordine pratico e simbolico: la data del 20 settembre, troppo vicina all’inizio dell’anno scolastico, rende difficili le attività educative, mentre l’assenza di fondi dedicati rischia di limitarne l’impatto. 
Infine, la scelta di consegnare in quella data le Medaglie d’Onore è considerata inadeguata, perché sottrae agli IMI il riconoscimento istituzionale che meriterebbero in ricorrenze più solenni.

I testi sono sintetizzati a fini di commento e informazione,  con l’obiettivo di alimentare il dibattito su un tema centrale per il nostro blog
Gli articoli completi sono disponibili sul sito del quotidiano "Domani", da cui sono stati tratti e sintetizzati. Gli articoli citati hanno un link che rimanda direttamente alla fonte.

Per concludere

Il confronto tra voci diverse è essenziale per dare profondità alla memoria collettiva. Solo attraverso il dialogo tra prospettive storiche, culturali e civili possiamo cogliere la complessità di scelte simboliche come l’istituzione di una nuova giornata nazionale.
Torneremo presto sul tema, con nuovi spunti e riflessioni.

G.V.


05 agosto 2025

"SCUSATE IL RITARDO": IL PARLAMENTO UNITO NELLA MEMORIA DEGLI INTERNATI ITALIANI

Nel giugno del 1944, in un rapporto riservato, si leggeva:
“I prigionieri si trovano al gradino più basso nella scala degli oppressi... Alcuni si direbbero spettri viventi... L'impressione destata da questi uomini, ridotti a così mal partito, è quanto di più avvilente si possa mai provare.”
Padova, Museo nazionale dell'Internamento; fonte
Con queste parole, tratte da un documento d’epoca, l’onorevole Giorgio Mulè, primo firmatario e relatore della proposta di legge per l’istituzione di una giornata nazionale dedicata agli Internati Militari Italiani (IMI), ha aperto il suo intervento alla Camera durante il voto finale.
L'onorevole Giorgio Mulè
La sua proposta di legge ha ottenuto l'unanime approvazione del Parlamento: la Giornata sarà celebrata il 20 settembre di ogni anno, per ricordare i 650mila soldati italiani deportati nei Lager dopo l'8 settembre 1943 a causa del loro rifiuto di aderire al nazifascismo.
Come abbiamo già ricordato nei nostri precedenti post, la data scelta ha un valore simbolico: il 20 settembre 1943 Hitler dichiarò i militari italiani "internati militari" e non più "prigionieri di guerra", per escluderli dalla protezione della Convenzione di Ginevra.
In Aula si sono alternate voci diverse, dei vari schieramenti politici, unite nel riconoscimento del sacrificio degli internati militari.
L’onorevole Mulè ha sottolineato il valore unitario della legge affermando che, in questa occasione, tutte le forze politiche hanno messo da parte le appartenenze di partito per ritrovarsi attorno a una memoria condivisa, fondamento dei valori repubblicani.
 
Il dibattitto alla Camera
Diamo conto del dibattito alla Camera raggruppando gli interventi per ambiti tematici. 
Quando il “no” diventa memoria
Mulè ha citato la testimonianza di Michele Montagano:
Ho detto sempre “no”. Sono stato due anni a dire sempre “no”. Ci trattavano come traditori, ci comandavano a bastonate dalla mattina alla sera, tutti i mezzi erano buoni per abbatterci. Ho fatto la Resistenza più che la prigionia. Mi sono sempre sentito resistente. Il mio più grande amore è l'Italia.
Mulè ha infine concluso il suo intervento affermando: "Scusate il ritardo. Con questa legge l'Italia si inchina all'esempio e al sacrificio dei 650.000 soldati".
Nel corso del dibattito, la memoria è emersa anche attraverso le storie personali. 
Ad esempio, l’onorevole Maria Elena Boschi (Italia Viva) ha condiviso un ricordo familiare: suo nonno Gloriano, giovane contadino toscano, fu uno degli IMI. Tornò dalla Germania a piedi, segnato dalla prigionia e dalla malattia.
Boschi ha sottolineato la lezione morale da trarne:
Io credo che giornate come questa ci tengano dritta la barra sui valori autentici su cui abbiamo fondato la nostra Repubblica.
Il valore morale del rifiuto
L’onorevole Pino Bicchielli (Noi Moderati) ha affermato:
Ci sono atti, nella storia di una Repubblica, che meritano di essere ricordati quanto quelli di chi, alla propria stessa vita, antepone il rifiuto ad assoggettarsi all'occupazione straniera. Vi è in esso il senso stesso della patria, della fedeltà ad essa e della libertà di comunità che si rivendica, pur sapendo di perdere quella personale.
Per l’onorevole Marco Pellegrini (M5S) è importante specificare la motivazione del rifiuto:
La precisazione inequivocabile che sancisce e afferma in maniera netta che i militari italiani furono deportati e internati perché si rifiutarono di collaborare con lo Stato nazionalsocialista e con la Repubblica Sociale Italiana, con i fascisti della Repubblica Sociale Italiana.
Le tante facce della Resistenza
L’ onorevole Andrea De Maria (Partito Democratico) ha ribadito l'unità delle diverse forme di Resistenza:

Il fatto che la scelta degli internati militari italiani fu una scelta di resistenza e che, quindi, c'è un'unità nelle diverse forme di resistenza: quella armata nel Paese, i civili che sostennero i partigiani, appunto, la scelta che fecero gli internati militari italiani.

Il ruolo della società civile e delle associazioni 
L’ onorevole Laura Cavandoli (Lega) ha riconosciuto il ruolo delle associazioni:

Associazioni che ci hanno preceduto e ci hanno stimolato per questa proposta legislativa, hanno fatto da guida, essendo già attive da tempo nella promozione per la diffusione di questi alti valori che hanno ispirato i nostri predecessori, che ancora oggi possiamo chiamare eroi o anche martiri.

Questo dibattito in Aula ha avuto luogo tra il 16 e il 19 settembre 2024, quando c’è stata la votazione finale: 256 favorevoli su 256 votanti.
 
“Un seme di democrazia e libertà”: anche il Senato approva
Nella seduta n. 259 del giorno 8 gennaio 2025, in Senato c’è stata l’approvazione definitiva del disegno di legge.
Nel corso del dibattito finale, la senatrice Petrenga -relatrice- ha evidenziato l'obiettivo di 
conoscenza del valore storico, militare e morale della vicenda degli internati e di ricordo delle sofferenze da loro patite in violazione di tutte le leggi di guerra e dei diritti inalienabili della persona, nonché quale messaggio di pace rivolto alle giovani generazioni.
La senatrice Raffaella Paita (Italia Viva) ha definito l’iniziativa “giusta e opportuna” e ha concluso sottolineando l'unità dell'Aula:
Questa è una bellissima giornata perché... oggi potremo essere tutti uniti nel riconoscere una centralità anche a queste persone e per restituire loro dignità e orgoglio.
Il lungo oblio degli IMI
Il senatore Zanettin (Forza Italia) ha ricordato l’amaro dopoguerra degli IMI:

Il rientro a casa degli IMI fu estremamente complicato per la mancanza di un efficace coordinamento da parte dello Stato italiano" e come la loro tragedia fosse stata "interpretata, nel migliore dei casi, come sfortunato corollario della guerra o letta  come prova di vigliaccheria e rifiuto di combattere.

Il senatore Paganella (Lega) ha messo in luce la marginalità vissuta da questi soldati –“veri e propri eroi della Resistenza”- nel secondo dopoguerra, quando che si sentirono "emarginati, messi da parte, considerati quasi rappresentanti di una Resistenza di serie B".
Ha inoltre messo in luce la scelta di coscienza degli internati italiani:

I combattenti italiani si erano trovati senza una guida, soli davanti alla loro coscienza" e che seppero "conservare la dignità anche in un momento altamente drammatico della storia nazionale.

Il senatore Lucio Malan (FdI) ha condiviso il ricordo del padre internato. Si è soffermato sulle condizioni degli internati, costretti al lavoro coatto, minacciati, malnutriti e alloggiati in luoghi inadeguati.
La loro fu una forma silenziosa ma concreta di Resistenza: scelsero di non aderire alla Repubblica Sociale Italiana né di collaborare con il regime nazista, pagando un prezzo altissimo per difendere la propria dignità.
Ha inoltre parlato  di una memoria finora rimasta fuori dalla narrazione ufficiale e ha concluso: 
Ora questa legge rimedia all’oblio al quale queste centinaia di migliaia di italiani erano stati sottoposti.
Una memoria che parla ai giovani
Il senatore Marton (M5S) ha utilizzato un’immagine potente:

La loro resistenza silenziosa è un seme piantato nel terreno della democrazia e della libertà che noi oggi continuiamo a coltivare.

Ha concluso con un monito per le future generazioni:

Non dimentichiamo che la storia si ripete solo quando si perde la memoria. Non dimentichiamo che la libertà non è mai scontata. Non dimentichiamo che ognuno di noi, oggi come allora, può essere chiamato a scegliere tra il giusto e il comodo.

La Resistenza in tutte le sue forme
Come aveva fatto alla Camera il suo collega De Maria, il senatore Dario Parrini (PD) ha proposto il concetto di “tante resistenze”:

Quella in armi dei partigiani, quella silenziosa e coraggiosissima di tantissimi cittadini... la Resistenza degli IMI che, senza armi, hanno detto no alla collaborazione con Hitler e Mussolini.

Parrini ha inoltre rimarcato la complementarietà della Giornata del 20 settembre con il Giorno della Memoria (27 gennaio) e la Festa della Liberazione (25 aprile), vedendola come "un evento simbolo di una delle tante forme di Resistenza al nazifascismo".
 
Prima alla Camera, poi al Senato.
A ottant’anni dal loro rientro – per chi è riuscito a tornare – il “No” di 650.000 soldati italiani è diventato un “Sì” della Repubblica.
Il Parlamento ha riconosciuto il valore di quel rifiuto: un atto di Resistenza, una scelta morale.
Ora la memoria è legge e la legge un impegno per il futuro.

Fonti

G.V.

04 agosto 2025

20 SETTEMBRE, LA GIORNATA DEGLI INTERNATI MILITARI

 Legge 13 gennaio 2025, n. 6

Istituzione della “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale” 
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 2025

Il 13 gennaio 2025 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge che istituisce il 20 settembre come “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale”.
Approvata all’unanimità, la legge riconosce ufficialmente questa data per onorare la memoria degli italiani – militari e civili – che furono deportati e costretti al lavoro forzato nei lager nazisti, dopo aver rifiutato di collaborare con il regime nazifascista in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Lo scopo è promuovere la conoscenza di questa tragica vicenda storica, specialmente tra le giovani generazioni, in continuità con il Giorno della Memoria (27 gennaio) e con la Festa della Liberazione (25 aprile).
Padova, Museo nazionale dell'Internamento- Tricolore dal Lager di Mittelbau-Dora, 
donato dal cav. Sisto Santin

Proponiamo una sintesi dei quattro articoli della legge, anche attraverso una serie di domande e risposte.

Articolo 1 – Istituzione e finalità della Giornata

Perché il 20 settembre?
È il giorno in cui, nel 1943, Hitler modificò arbitrariamente lo status dei militari italiani catturati dopo l’armistizio: da prigionieri di guerra a internati militari. Questo li privò delle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e li espose a trattamenti disumani.
Padova, Museo nazionale dell'internamento
Qual è l’obiettivo della Giornata?
La Giornata vuole conservare la memoria degli italiani deportati nei campi di concentramento, dove subirono violenze e furono costretti al lavoro coatto per aver rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e al regime nazista.
La Giornata vuole anche onorare i militari uccisi per quel rifiuto, trasformando il ricordo in un messaggio di pace rivolto alle nuove generazioni.

Qual è il contesto storico in cui si inserisce la vicenda degli internati italiani?
Dopo l’8 settembre 1943, circa 800.000 italiani furono deportati nel Terzo Reich. Di questi, oltre 650.000 furono Internati Militari Italiani (IMI): scelsero la prigionia al collaborazionismo. Circa 50.000 morirono per fame, malattia, esecuzioni o bombardamenti.
Padova, Museo nazionale dell'internamento

Quali iniziative sono previste il 20 settembre?
Province ed enti locali possono promuovere cerimonie commemorative (anche presso l’Altare della Patria a Roma); il conferimento della medaglia d’onore; incontri, dibattiti, mostre, ricerche, pubblicazioni; momenti di riflessione per diffondere il valore storico e morale della vicenda degli internati.

Qual è il rapporto con le altre ricorrenze?
Le celebrazioni del 20 settembre si affiancano a quelle del 27 gennaio (Giorno della Memoria) e del 25 aprile (Liberazione).

Medaglia d’onore
In occasione della Giornata, è conferita la medaglia d’onore prevista dalla legge finanziaria del 2006, destinata a internati e deportati (militari e civili) nei lager nazisti e ai loro familiari.

Gustavo Antonelli, La catena per il trasporto del ranciofonte
Articolo 2 – Coinvolgimento delle istituzioni e delle associazioni
I Ministeri dell’Istruzione, Università, Cultura, Difesa e Interno stabiliranno le linee guida per il coinvolgimento di scuole e università, di amministrazioni pubbliche.
Il tutto nel rispetto dell’autonomia scolastica e universitaria, con l’obiettivo di promuovere il valore storico ed educativo della Giornata.

Associazioni coinvolte
Attraverso un protocollo d’intesa con i ministeri, partecipano alla Giornata le seguenti associazioni: ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti), ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati nei Lager Nazisti), ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, Internamento e Guerra di Liberazione).
L’ANRP assume anche funzioni di coordinamento tramite il proprio centro studi.

Padova, Museo nazionale dell'internamento

Articolo 3 – Natura della Giornata
Il 20 settembre non è considerato solennità civile: non comporta orario ridotto negli uffici pubblici né obbligo di imbandieramento degli edifici.
Padova, Museo nazionale dell'internamento
Articolo 4 – Copertura finanziaria
L’attuazione della legge non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: tutte le attività saranno realizzate con risorse già disponibili.

La legge che istituisce la "Giornata degli internati italiani" è sicuramente un passo decisivo per la difesa di una memoria ancora poco conosciuta in Italia, ma fondamentale per la Resistenza.
Più volte il nostro blog ha citato queste parole di un internato italiano celebre, lo scrittore Giovannino Guareschi. Le ripetiamo, perché ci sembrano una significativa sintesi del valore della scelta degli IMI, una scelta incentrata sulla dignità come forma  silenziosa ma incrollabile di resistenza:

Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente...sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi che non sono meno micidiali delle palle di schioppo...Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano. 
Giovanni Guareschi, Diario clandestino 

Approfondimento




G.V.

20 luglio 2025

I 25 ANNI DELLA LEGGE SUL "GIORNO DELLA MEMORIA": UN CONFRONTO CON LA LEGGE SUGLI IMI

Venticinque anni fa, il 20 luglio 2000, veniva promulgata la Legge n. 211, che istituiva il Giorno della Memoria.
Questa ricorrenza, che si celebra ogni 27 gennaio, è nata con l’obiettivo di ricordare la Shoah (lo sterminio del popolo ebraico); 

ricordare le leggi razziali e la persecuzione italiana contro i cittadini ebrei

commemorare gli italiani deportati, imprigionati e uccisi nei campi nazisti, inclusi i deportati militari e politici

Padova, Museo Nazionale dell'Internamento
onorare coloro che, anche in contesti e schieramenti diversi, si opposero al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, salvarono perseguitati e innocenti.
Padova, Giardino dei Giusti del Mondo

La legge promuove l’organizzazione di cerimonie, iniziative e momenti di riflessione pubblica, in particolare all’interno delle scuole di ogni ordine e grado.

La legge dedicata agli internati italiani
Il 13 gennaio 2025 è stata promulgata la Legge 6/2025, che istituisce la Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda guerra mondiale, da celebrarsi ogni anno il 20 settembre.
La scelta della data non è casuale: il 20 settembre 1943 Adolf Hitler decise di privare i militari italiani catturati dello status di prigionieri di guerra, classificandoli come Internati Militari Italiani (IMI). Questo significò l’esclusione dalle tutele previste dalle convenzioni internazionali e l’inizio di una prigionia durissima e a volte anche letale.
La legge si propone di conservare e valorizzare la memoria di quanti, dopo l’8 settembre 1943, rifiutarono di collaborare con le forze tedesche e la Repubblica Sociale Italiana, venendo deportati nei campi nazisti. Questo rifiuto collettivo è stato definito un “plebiscito antifascista”, una forma di resistenza non armata. 

Padova, Museo Nazionale dell'Internamento
Altri obiettivi della legge sono quelli di  riconoscere il valore morale e civile della loro scelta e di ricordare anche i militari italiani uccisi per essersi rifiutati di combattere a fianco dei nazisti, con riferimento, tra gli altri, all’eccidio di Cefalonia.
La Giornata degli Internati è esplicitamente definita "complementare" rispetto al Giorno della Memoria (27 gennaio) e alla Festa della Liberazione (25 aprile), a conferma che la memoria della Resistenza è unica e indivisibile.
Per attuare questi obiettivi, la legge prevede cerimonie, iniziative e manifestazioni commemorative su tutto il territorio nazionale; il coinvolgimento di pubbliche amministrazioni, istituzioni scolastiche e universitarie; l’incentivazione del conferimento di medaglie d’onore; la deposizione di una corona commemorativa presso l’Altare della Patria a Roma, per sottolineare il carattere nazionale della ricorrenza; il coinvolgimento attivo di associazioni combattentistiche e d’arma.
Padova, Museo Nazionale dell'Internamento

La legge è stata approvata in Parlamento con un pieno consenso trasversale, a testimonianza di una unità nazionale nel riconoscere e valorizzare questa memoria.

Un confronto tra le due leggi
Entrambe le leggi condividono l’obiettivo di trasmettere la memoria dei tragici eventi del Novecento alle nuove generazioni. Tuttavia, si differenziano per ambito specifico, data di commemorazione e finalità: il Giorno della Memoria guarda all’insieme delle vittime e delle responsabilità del nazifascismo in Europa mentre la Giornata degli Internati Militari Italiani riconosce in modo specifico il sacrificio di migliaia di soldati italiani che, con il loro “no” non armato, pagarono con la prigionia, la sofferenza o la vita il rifiuto di aderire al nazifascismo. Una forma di resistenza civile e morale ancora troppo poco conosciuta e riconosciuta.

Ci occuperemo ancora della Legge 6 del 13 gennaio 2025, presentandone l'iter parlamentare e analizzandone gli articoli.
Due leggi, due date, due memorie che si intrecciano e diventano occasioni per riflettere.

Le foto di Auschwitz-Birkenau sono di Beatrice Colotto, che ringraziamo per la preziosa collaborazione. 

                                                                                                                        G.V.

21 dicembre 2024

PORTARE IL MIO NOME FUORI DALLA GUERRA -Monologo di un internato militare-

Un nome può nascondere un destino, dicono.
Io non ci credo molto, per la verità, ma quando penso al mio beh...qualche dubbio mi viene. 
Mi chiamo come mio zio: Onofrio Mastrolia.
Mi chiamo come mio cugino: Onofrio Mastrolia.
Mi chiamo come un nostro parente americano, credo un cugino di mio padre: Onofrio Mastrolia.
Mio zio ha combattuto l'altra guerra, era sergente, è caduto sul Grappa nel '17.
Ho visto una foto di alcuni soldati valvesi...una dozzina. Era il giorno del suo funerale, nel mese di dicembre.
Secondo me, hanno saputo della sua morte e hano chiesto una licenza...chi lo sa...un compaesano si va a salutare, si deve fare scosì.  Anche in guerra, se possibile.
Erano giorni duri, quelli. 
Il generale Diaz stava riorganizzando l'esercito, dopo Caporetto.
"Rifaremo l'esercito", diceva (almeno così ci raccontava la maestra Bebè).
E ci è riuscito, il generale Diaz: l'esercito è rinato, la guerra è stata vinta ma mio zio non c'era più.
Ora il suo nome, che è anche il mio,  è al monumento ai caduti del nostro paese.
Poi c'è il parente americano.
Mi hanno detto che c'era anche lui alla grande serata di beneficenza, vicino a Nuova York, quando hanno raccolto i soldi da mandare a Valva per costruire il monumento.
Se riesco a tornare sano e salvo, me ne vado in America e vado a conoscerlo.
Ance mio cugino si chiama come me, ma ora non so dov'è. È più giovane di me, non so se hanno chiamato anche lui a combattere.
So dove si trova mio fratello Michele: è prigioniero degli americani, combatteva in Africa, lui. 
Ma gli americani ora sonoi nostri alleati, forse lo hanno rilasciato...non lo so, non ho più notizie. È da quando lo hanno catturato in Albania che non so più nulla di lui.
So che ci sono altri compaesani con lui, mentre alcuni sono morti. 
Ricordo Ottavo Fasano, Michele Cuoco, Michele Cuozzo: tutti morti in Africa.
Hanno qualche anno più di me, anzi: avevano, avevano  ahimé...ma in fondo a Valva quasi tutti hanno qualche anno più di me, tra noi che siamo in guerra. 
Da qualche mese, sono diventato un lavoratore civile. 
Secondo alcuni dovrei ritenermi fortunato, ma proprio non ci riesco.
I tedeschi ci fanno uscire dal campo per andare a lavorare, la sera dobbiamo però tornare per dormire.
Non possiamo espatriare, naturalmente.
Mi sono iscritto alla cassa mutua, non mi pagano più come prima con la moneta del campo di prigionia: ora mi danno dei marchi, marchi veri finalmente.
Lavoro in un ingrosso di legnami, ad Hannover.
Ho imparato l'indirizzo, Hamelnstrasse 44, ma non serve a niente: non scrivo lettere e non ne ricevo, nemmeno corro il rischio di smarrire la strada, visto che ci muoviamo tutti insieme.

Guadagno 200 marchi al mese, lordi.
Come? Una bella paga? Sì, ma 100 se li trattengono...Kost und Logis...per vitto e alloggio, dicono; 50 se li prendono di tasse e altre spese, quelli che avanzano si possono spendere, ma solo negli spazi che dicono loro e ogni tanto si inventano pure una nuova multa.

Non vedo l'ora di portare finalmente il mio nome fuori dalla guerra.

G.V.

Immagini create da ChatGPT sul testo del blog "la ràdica"


10 dicembre 2024

L'ASSE -Monologo di un internato militare-

In memoria di Settimo e Ottavo


Ai figli si danno i nomi, poi a un certo punto iniziano i numeri.
Quinto, sesto, settimo, ottavo.
I miei genitori hanno iniziato a contare quando sono arrivato io: sono Settimo, mio fratello si chiama Ottavo.
Veramente, si chiamava.
Ora il suo nome è nel telegramma che abbiamo ricevuto dall'Africa Settentrionale.
È stato il primo valvese a cadere in questa guerra.
Lui combatteva in Africa, io in Italia.
In Italia, sì, perché l'isola di Coo si trovava nel Dodecaneso italiano.
Una colonia italiana, abitata da tanti italiani.
Quando sono arrivato ho notato subito le case ricostruite dagli italiani dopo il terremoto del '33. È bello ricostruire dopo una sciagura, chissà se riusciremo a ricostruire anche l'Italia dopo questo flagello della guerra.
Mi trovo qui, prigioniero a Stargad, da quando l'isola è stata invasa dai tedeschi.
Ci siamo opposti come potevamo, ma eravamo soli.
Aspettavamo i rinforzi inglesi, pensavamo che sarebbero venuti ad aiutare i loro che erano già con noi.
Ci siamo sentiti abbandonati, forse per loro non eravamo importanti.
Per i tedeschi…non ne parliamo…traditori dell'Asse, ci dicevano.
Prima per me l'asse era una parte dell'ingranaggio di un orologio.
L'asse è in acciaio, è una ruota dentata che ingrana in una ruota più grande.
Io lo so, perché  ho imparato da mio padre la precisione paziente di chi aggiusta orologi. Ora che lui non c'è più, quello che ho imparato da lui lo metto in pratica e i valvesi lo sanno.
Oppure l'asse per me era solo un piano di legno lungo e stretto, che si ottiene tagliando un tronco nella sua lunghezza. Ho aiutato tante volte mio fratello Alfonso, che è falegname. 
Poi a un certo punto ci hanno detto che l'alleanza con i tedeschi si chiamava Asse…
E i tedeschi mi hanno fatto prigioniero, il 4 ottobre, insieme a 2500 italiani e a 600 inglesi.
Pensavo che era arrivata la fine, poi due giorni dopo ho saputo che i tedeschi hanno ucciso oltre cento soldati italiani e mi sono sentito fortunato…
Ora devo resistere, cercare di rimanere in vita e di non perdere la mia dignità di soldato italiano.
Nel campo vedo tanta sofferenza e tante malattie.
Secondo me, nel mondo c'è una malattia ancora più grande, si chiama ignoranza.
I popoli non farebbero le guerre, se no.
Se esco di qui e ho la fortuna di avere dei figli, farò di tutto per farli studiare.
Da grandi, devono aiutare gli altri, guarendoli dalle malattie e dall'ignoranza.
G.V.

Immagine
Simboli di Resilienza e Libertà, Creazione generata con l'aiuto di DALL-E, ispirata al racconto storico del blog "la ràdica".