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23 ottobre 2024

FLAVIO, LIBERATO NELL'ALBA DELLA RISCOSSA EUROPEA

Abbiamo già raccontato la storia di Flavio Caldarone  e della sua  "guerra infinita": prima in Africa Settentrionale (gennaio 1941), poi in Albania (settembre 1941), quindi in Francia (novembre 1942). Catturato dopo le vicende dell'8 settembre 1943, viene liberato dagli Alleati l'8 ottobre 1944 e torna in Italia, ancora nell'esercito (il suo foglio matricolare riporta varie tappe, fino al congedo del 1946).

Una bella foto di Flavio Caldarone
Un dato in particolare colpisce la nostra attenzione: Flavio risulta liberato già nell'ottobre 1944, dunque a questa data non può che trovarsi in Francia, visto che i Lager in Germania e nei paesi occupati dai nazisti saranno liberati a partire dalla data -rimasta simbolica- del 27 gennaio 1945.

Dal foglio matricolare di Flavio Caldarone; Archivio di Stato di Salerno

Anche se dedicato all'analisi della cattura degli internati militari in altri contesti geografici, il prezioso lavoro di Maria Teresa Giusti (Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945) ci fornisce delle cifre interessanti:

In totale dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi disarmarono, su 2.000.000 di effettivi, 1.007.000 italiani. Di questi, 197 mila circa riuscirono a sfuggire alla deportazione dandosi alla fuga; dei rimanenti [...], 197.000 aderirono alla collaborazione con i tedeschi nel periodo tra la cattura e la primavera del 1944.  [...] Le reazioni delle 35 divisioni dislocate all’estero e delle 24 in Italia furono diverse: in Italia centrale e settentrionale consegnarono le armi 416 mila militari, a Roma e nel sud 102 mila, nella Francia meridionale circa 59 mila. [p.35]

Quanti hanno scelto di collaborare con i tedeschi (e con la Repubblica di Salò)?

I “fedeli all’alleanza” o i “recuperati immediatamente all’alleanza”, cioè subito dopo l’8 settembre, come li aveva definiti il comando supremo della Wehrmacht, erano circa 94.000 italiani appartenenti a tutte le forze armate. Divisi per aree geografiche, dei 94.000 che aderirono immediatamente, 13.000 circa erano sul territorio nazionale, 32.000 in Francia e 49.000 nei Balcani. Di questi approssimativamente 20.000 appartenevano alla milizia volontaria fascista; i rimanenti alle forze armate regolari [pp.72-73]

Dunque, dei 59 mila soldati italiani catturati dai tedeschi in Francia, collaborano in 32mila: oltre la  metà. Tra questi, non c'è Flavio Caldarone, che resta in Francia come internato e viene liberato nell'ottobre 1944.

La liberazione della Francia

Cerchiamo di ricostruire il contesto nel quale è avvenuta la liberazione di Flavio.

Dopo lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, Parigi è liberata il 25 agosto.

Rimangono nella storia le parole del generale De Gaulle:

Parigi! Parigi oltraggiata! Parigi spezzata, Parigi martirizzata, ma Parigi libera! Libera da sola, liberata dal suo popolo con la collaborazione degli eserciti di Francia e il supporto e la cooperazione dell'intera nazione, di una Francia che combatte, dell'unica Francia, della vera Francia, della Francia eterna.

Dopo Parigi, gli Alleati si concentrano sulla liberazione del resto della Francia e avanzano verso il Reno, barriera naturale verso la Germania. I tedeschi, in ritirata, si difendono tenacemente. Solo tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 la Francia può dirsi liberata. Il comandante delle forze Alleate, Eisenhower, scriverà: "Senza i partigiani francesi la liberazione della Francia e la disfatta del nemico in Europa occidentale si sarebbero protratte molto più a lungo e ci sarebbero costate maggiori perdite".

Un'ipotesi

Non sappiamo quale sia stato il campo di prigionia di Flavio.

Proviamo comunque a fare un'ipotesi: lo Stalag XII, che ha avuto diverse dislocazioni; dall'ottobre 1943 al novembre 1944 lo troviamo nella città francese di Forbach, al confine con la Germania (oggi nella regione del Grand Est, che ha come capoluogo Strasburgo).

E' un'ipotesi ancora da verificare, ma ci sembra plausibile perché all'epoca la città di confine è di fatto annessa alla Germania (e in effetti il foglio matricolare di Flavio non parla esplicitamente di Francia).


Per la foto, un sentito ringraziamento al nipote Antonio Caldarone.


Approfondimenti

Il precedente post dedicato alla vicenda di Flavio è il seguente: 
👉La guerra infinita: la storia di Flavio, liberato in Francia

Per le vicende della liberazione della Francia: Sulle macerie del nazismo: la liberazione di Parigi, Storica, National Geographic

Maria Teresa Giusti, Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945

G.V.

08 agosto 2024

LA GUERRA INFINITA: LA STORIA DI FLAVIO, LIBERATO IN FRANCIA

La storia di Flavio Caldarone sembra quella di una guerra infinita. Dicevano di lui che avrebbe potuto fare l'attore, per la sua bella presenza e per il carattere gioviale: allora la storia della sua vita potrebbe essere un film, in cui la dimensione allegra non cancella le scene drammatiche, vissute in pace e in guerra.
Figlio di Michele e di Giovanna Papio, Flavio nasce a Valva il 16 settembre 1921. Alla sua visita militare, nel 1940, la madre risulta già deceduta.
Chiamato alle armi, Flavio vi giunge il 12 gennaio 1941; il 13 giugno è nel Deposito Artiglieria per il 43° Reggimento Artiglieria per divisione fanteria, in Africa Settentrionale.
Il 17 settembre 1941 lo troviamo a Valona, in Albania, nel 48° Reggimento Artiglieria.
La sua divisione è impegnata in operazioni di rastrellamento e si scontra duramente con i partigiani locali, soprattutto nel febbraio-marzo 1942.
Possiamo ipotizzare che Flavio sia stato commilitone di un altro valvese, Domenico Strollo.
Entrambi vengono rimpatriati nell'agosto 1942; dopo una licenza, Flavio rientra nella sua divisione a Novi Ligure ed è trasferito in Francia il 10 novembre 1942.
La divisione è  dislocata nella zona di Alessandria-Novi Ligure per poi trasferirsi nella Francia meridionale, nei pressi di Tolone, lungo la costa nella zona di Cuers, tra Mèounes-lès-Montrieux, Pierrefeu e Carnoules: è la stessa zona in cui abbiamo già incontrato Domenico Strollo.
Catturato dai tedeschi il 10 settembre 1943, Flavio risulta liberato dagli Alleati l'8 ottobre 1944. Possiamo dunque dedurre che dopo la cattura sia stato deportato in un campo di prigionia in Francia, a differenza di Domenico Strollo (sicuramente deportato in Germania). 
Flavio torna in Italia, ottiene una licenza di un mese ed è trasferito al Deposito del 31° Reggimento Fanteria.
Nel febbraio 1945 viene aggregato al Campo affluenza complementi di Raviscanina (Caserta).
A guerra finita, il 13 maggio 1945 viene trasferito al 407°Reggimento Pionieri e pochi giorni dopo al Campo affluenza complementi di Trani.
Il foglio matricolare riporta altre tappe, compreso il ricovero in un ospedale militare. Solo nel marzo 1946 arriverà il congedo illimitato.
Negli anni successivi, Flavio si trasferisce in provincia di Bologna, dove resterà fino alla morte. 
In questa bella foto, scattata mentre era ancora a Valva nei primi anni Cinquanta, lo vediamo col suo inseparabile cappello:
Flavio è al centro, a sinistra rispetto al signore in bicicletta.
Sono presenti anche due fratelli: Luciano (il primo da sinistra) 
e Francesco (alla destra dell'uomo in bici).
Fonte: Gozlinus

Nel 1953, rientrano a Valva le spoglie di Michele Macchia, caduto sul fronte greco nell'agosto 1943.
Nella foto della cerimonia, Flavio Caldarone è il primo da sinistra; è un cugino del giovane caduto (la madre Giovanna era la sorella della signora Clelia, madre di Michele).
Per la foto si ringrazia Veronica Cuozzo
Ci occuperemo ancora della vicenda di Flavio Caldarone, perché tocca aspetti che non abbiamo approfondito molto nel nostro blog: ad esempio, le vicende degli italiani catturati dai tedeschi e internati in Francia e quelle del ricostituito esercito italiano, impegnato nella lotta di liberazione. 

Approfondimento
Ecco i post citati:
👉L'involontario artefice, la storia di Domenico Strollo
👉Michele, tornato avvolto nel tricolore, la storia di Michele Macchia
G.V.

07 agosto 2024

ANGELANTONIO, UN IMI DAL FRONTE GRECO

Angelantonio Marciello nasce a Valva il 22 marzo 1923, figlio di Francesco (che risulta deceduto al momento della visita militare del giovane soldato) e di Grazia Figliulo.

Chiamato alle armi il 19 settembre 1942, il giorno dopo lo troviamo nel Deposito 26.mo Reggimento Artiglieria di Corpo d'Armata, a Napoli.

Il 4 novembre 1942 parte da Torre Annunziata perché è trasferito al 26.mo Reggimento Artiglieria e raggiunge la 4.a Base di Mestre.

L'11 novembre 1942 parte da Mestre a mezzo tradotta e il 15 giunge al campo sosta di Kalambaka, in Grecia, dove resta fino al 25 novembre, quando raggiunge il suo reggimento, "in territorio dichiarato in stato di guerra".

Kalambàka è considerata la porta di ingresso alla regione di Meteora, caratterizzata da speroni rocciosi sulla cima dei quali sorgono celebri monasteri ortodossi. Il 23 aprile 1943 tra gli abitanti del posto e gli italiani c'è un duro scontro, con la morte di 70 soldati. Siamo nella stessa regione di Giannina, che abbiamo incontrato nella vicenda del valvese Sabino Spiotta.

Nel suo foglio matricolare di Angelantonio troviamo un'annotazione abbastanza insolita per i soldati italiani che si trovano all'estero: "sbandatosi in seguito agli eventi sopravvenuti all'armistizio" (in genere si trova per i soldati sul fronte italiano), con la data fortemente simbolica dell'8 settembre 1943.

Nel nostro podcast Il giorno dopo abbiamo analizzato le conseguenze dell'armistizio sui soldati valvesi, anche quelli impegnati sul fronte greco-albanese.

Il 12 settembre Angelantonio risulta catturato dai tedeschi e condotto in Germania.

Purtroppo né la banca dati on-line degli Internati Militari Italiani né gli Archivi Arolsen conservano documenti relativi alla sua prigionia.

Anche diversi compaesani di Angelantonio sono fatti prigionieri sul fronte greco; i prigionieri provenienti da questo fronte indossano divise estive, inadatte all'inverno tedesco.

Quello che i documenti militari non dicono, lo possiamo immaginare dalle testimonianze e dagli studi sulle condizioni degli internati militari.

Padova, Museo dell'Internamento

Sappiamo che il 10 luglio 1945 Angelantonio rientra in Italia e si presenta al Distretto Militare di Salerno, dove viene interrogato come da prassi e poi inviato in licenza di rimpatrio di 60 giorni. Il 10 settembre viene inviato in licenza straordinaria senza assegni in attesa di impiego; infine, l'anno seguente viene ricollocato in congedo illimitato.

L'11 febbraio 1964 ad Angelantonio viene conferita la croce al merito di guerra per l'internamento in Germania e per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943 (nello specifico, però, il foglio matricolare riporta le campagne di guerra del 1943, del 1944 e del 1945).

Approfondimento

Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

👉"Spremuti come limoni": i lavori forzati degli IMI
👉Le condizioni di vita degli internati militari italiani
👉"Pacchisti e "magroni": l'ossessione della fame
👉"E' arrivato il momento di parlare 'tedesco' con queste carogne"

Vicende di altri valvesi catturati sul fronte greco:

👉Quando i racconti di zio Sabino entravano in classe
👉Col sangue, con la libertà: quei no pagati caro

Gli episodi del nostro podcast Il giorno dopo -dedicato alle conseguenze dell'8 settembre 1943 sui soldati valvesi-che si riferiscono al fronte greco:

Bibliografia

📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

08 luglio 2024

I DUE BISNONNI DI GIANLUCA NELLO STESSO CAMPO DI PRIGIONIA

Gianluca è un giovane che vive in Germania, dove è nato da genitori italiani, entrambi originari di Valva. Ama molto l'Italia e fin da bambino ogni anno torna a Valva, dai nonni e dagli amici. Quando ha letto il nostro post dedicato al suo bisnonno Angelo Michele Cecere, sopravvissuto alla ritirata di Russia, ci ha contattato per segnalarci che altri due suoi bisnonni hanno condiviso la prigionia nello stesso Lager tedesco, come internati militari italiani: glielo raccontavano da bambino a Valva.

E' bastato un rapido controllo nel Lessico Biografico IMI per confermare questo suo ricordo d'infanzia.

Infatti, Michele Perna e Giovanni Falcone -entrambi classe 1923- risultano prigionieri nello Stalag IX C; nel caso di Michele Perna,  questo è il secondo campo, visto che egli è stato prigioniero anche nello Stalag III C, mentre il foglio matricolare di Giovanni Falcone riporta la dizione "campo di concentramento IV C".

Lo Stalag III C è quello di Alt Drewitz, vicino a Berlino. 
Lo Stalag IV C è situato a Wistritz, vicino a Dresda e non lontano dalla Cecoslovacchia occupata dai nazisti. 

Come abbiamo già osservato analizzando un documento relativo alla prigionia del valvese Enrico Santovito, per Stalag IX C probabilmente si intende il campo principale, in Turingia: attorno al quartier generale di Bad Sulza c'erano tanti sottocampi.

Sappiamo che molti prigionieri lavoravano nelle miniere di potassio della zona.

Bad Sulza, Stalag IX C: entrata del campo poco dopo la liberazione
 fonte Croce Rossa

Organizzazione dello Stalag IX; fonte

Wikipedia ci informa che il campo fu aperto nel febbraio 1940 per recludervi i soldati polacchi dopo l'invasione tedesca. Il campo fu evacuato il 29 marzo 1945: i prigionieri furono costretti a marciare verso est prima dell'offensiva americani; i prigionieri rimasti nel campo furono liberati dagli americani. 

Michele Perna nasce a Valva il 5 giugno 1923, figlio di Martire e di Maria Michela Torsiello; è chiamato alle armi e vi giunge l'8 gennaio 1943, assegnato al Deposito 24 Reggimento Fanteria in Gradisca, in provincia di Gorizia. 

Il 22 febbraio è trasferito al 23.mo Reggimento Fanteria  mobilitato (zona di Gorizia); il 31 marzo giunge in territorio jugoslavo.

Il suo reggimento ha compiti di presidio e controguerriglia; viene sciolto dopo l'8 settembre. 

Michele Perna viene catturato il 14 settembre, a Trieste.

Michele Perna

Giovanni Falcone nasce a Valva il 5 dicembre 1923, figlio di Antonio e Filomena Vuocolo; chiamato alle armi, vi giunge il 6 gennaio 1943, assegnato al Deposito 52.mo Reggimento Fanteria in Spoleto. 

Il 15 marzo 1943 è trasferito al 192.mo Reggimento Fanteria mobilitato in Croazia. Viene fatto prigioniero il 9 settembre, in Croazia.

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone viene liberato il 5 aprile 1945 e trattenuto dalle forze armate alleate.

Il 13 aprile viene liberato Michele Perna, dagli americani.

Giovanni rientra in Italia il 18 agosto 1945, mentre Michele è rimpatriato il 5 settembre; sottoposto a interrogatorio presso il Distretto Miliare di Salerno, è inviato in licenza straordinaria.

Alle spalle, i due giovani soldati hanno quasi 600 giorni di prigionia, una parte dei quali trascorsa almeno con la consolazione di un volto conosciuto, di un compaesano col quale poter parlare nello stesso dialetto delle stesse persone.

Non sanno ancora che il figlio di Michele e la figlia di Giovanni un giorno diventeranno marito e moglie.

🙏Un caloroso ringraziamento a Gianluca Parisi e alla mamma Filomena Perna per la collaborazione e le foto fornite.

G.V.


08 giugno 2024

GUARESCHI CELEBRA LA FESTA DELLO STATUTO NEL LAGER

Due giorni prima dello sbarco in Normandia, domenica 4 giugno 1944, anche gli internati militari italiani celebrano la festa dello Statuto. 

Nel campo di Sandbostel c'è un internato militare d'eccezione, citato in questo breve ricordo scritto da Giovanni Milanese nel suo diario:

Il Ten. Guareschi ed il cap. Salvadori hanno commemorato con molta passione l'anniversario dello Statuto.

La bandiera sventola nel Lager, Fondo Vittorio Vialli; fonte

Non conosciamo il testo della commemorazione, ma conosciamo bene uno dei due autori: il tenente è Giovannino Guareschi, il noto scrittore che nel suo "Diario clandestino" dedicherà molte pagine alla vita in questo campo.

La festa dello Statuto si celebrava la prima domenica di giugno e non era stata abolita dal fascismo, che pure aveva "annichilito" lo Statuto, come scrive il Dizionario di Storia dell'Istituto Treccani:

Negli anni dell'edificazione del regime fascista, l'organizzazione dei poteri dello Stato e la fisionomia degli organi costituzionali stabilite dallo Statuto albertino subirono una trasformazione radicale di segno autoritario e antiparlamentare. [...] Questo svuotamento del significato normativo dello Statuto albertino palesa l'intrinseca fragilità di una costituzione sprovvista di garanzie: la mancata statuizione di un procedimento speciale di revisione costituzionale e di un organo di controllo giurisdizionale della costituzionalità delle leggi consentì al potere politico di legiferare in piena e assoluta discrezionalità.

Ci siamo occupati più volte di Giovanni Guareschi.

Di lui, ad esempio, abbiamo riportato queste significative parole, un vero e proprio manifesto all' "altra Resistenza" costituita dagli IMI:

Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente...sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi che non sono meno micidiali delle palle di schioppo...Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano. 

G.V. 

06 giugno 2024

LE BARCHETTE DEGLI INTERNATI PER CELEBRARE LO SBARCO IN NORMANDIA

Si è diffusa nel campo la notizia del tanto aspettato sbarco alleato.
Fosse vero!... 

E' martedì 6 giugno 1944, campo di Sandbostel. 

A scrivere è Giovanni Milanese: è arrivato nel campo da poche settimane, proveniente da Siedlce, località della Polonia occupata dai tedeschi.

Dopo aver appreso dello sbarco alleato in Normandia, gli internati militari italiani a Sandbostel varano delle barchette nel cosiddetto "laghetto", una pozza di raccolta per l'acqua piovana.

Vittorio Vialli, Riflessi sull'acqua del "laghetto"; fonte

Vittorio Vialli, Il laghetto ghiacciato; fonte

Tra gli internati di Sandbostel ci sono anche radiotecnici, che sono riusciti a riparare e anche a realizzare radioricevitori di fortuna, per seguire le vicende della guerra. Possiamo immaginare che siano stati loro a diffondere la notizia dello sbarco in Normandia, evento decisivo per le sorti della Seconda guerra mondiale.
Vittorio Vialli, Ufficiali addetti alla "Caterina", la radio clandestina da campo

Segnaliamo l'interessante sito Radio Caterina, dedicato ai radioricevitori realizzati o nascosti nei campi di prigionia, che prende il nome della celebre radio nata proprio nel 1944 a Sandbostel.

Il sito riporta anche un articolo di Giovanni Guareschi che ricorda Radio Caterina, "occhio segreto nel Lager" (pubblicato su Oggi nel 1946).

Fonti
Le foto di Vittorio Vialli provengono dal Fondo Valli del sito del Museo della Resistenza di Bologna.

Su Radio Caterina, consultare il sito https://www.radio-caterina.org/

G.V.

17 aprile 2024

IL RAGAZZO SOPRAVVISSUTO ALL'ECCIDIO DI CEFALONIA E INTERNATO IN GERMANIA

Il 17 aprile 1924 era il Giovedì Santo; negli Stati Uniti veniva fondata la storica casa di produzione cinematografica Metro-Goldweyn-Mayer, celebre per il leone ruggente.

Quel giovedì di cento anni fa, a Valva nasceva Pasquale Cappetta, figlio di Giuseppe e di Francesca Strollo.

Abile e arruolato in seguito alla visita del 4 settembre 1942, Pasquale viene chiamato alle armi il 12 maggio 1943 e assegnato al Deposito del 33.mo Reggimento Artiglieria: è la famosa Divisione Acqui.

Dopo la Prima guerra mondiale, il reggimento viene ricostituito nel 1939, in tre gruppi aggregati alla 33.ma Divisione di fanteria "Acqui". Nella Seconda guerra mondiale il reggimento viene schierato sul fronte greco-albanese; dopo la resa della Grecia, tutta la divisione ha l'incarico di presidiare le Isole Ionie. Il reggimento d'artiglieria viene dislocato a Cefalonia, con un gruppo distaccato a Corfù.  fonte

La divisione Acqui
Dopo la proclamazione dell'armistizio, la Divisione Acqui è chiamata a una scelta drammatica. 
Gli ordini che giungono sono contraddittori: prima si autorizza l’uso  delle armi in caso di attacco da parte dei tedeschi, poi la sera del 9 settembre il comandante dell'XI Armata, Vecchiarelli, emana l'ordine di resa ai tedeschi in tutta la Grecia; il comandante della Divisione, Antonio Gandin, però prende tempo: considera l’ordine in contrasto con la dichiarazione dell’armistizio (le truppe italiane sarebbero in balìa di quelle tedesche). 
Gandin inizia le trattative con il comandante tedesco cercando di rinviare la resa. 
A Corfù il comandante italiano Lusignani rifiuta nettamente ogni trattativa con i tedeschi. 
Dopo vari tentativi falliti di contattare telefonicamente il governo italiano, solo il 13 settembre arriva dal Comando Supremo italiano, che si trova a Brindisi dopo la fuga, l'ordine di resistere alle forze tedesche, che devono essere considerate nemiche. 
Quando giunge l'ultimatum tedesco accade qualcosa di inedito: una consultazione fra le truppe italiane; ai soldati viene chiesto se consegnare le armi o combattere contro i tedeschi, quasi tutti decidono di combattere. 
Cefalonia, il 15 settembre inizia la battaglia. 
Tante testimonianze ricordano il forte spirito di corpo e la determinazione mostrata dai soldati italiani contro i tedeschi. 
Le truppe tedesche, grazie ai rinforzi giunti dall'entroterra e soprattutto grazie all'appoggio aereo, hanno la meglio sui soldati italiani dopo circa una settimana di combattimenti. 
Gli italiani si arrendono il 22 settembre, ma questo non ferma il massacro; il 24, le salme degli ufficiali trucidati nella "Casetta rossa" vengono gettate in mare, i corpi dei soldati bruciati. 
Nei tre giorni seguenti, i massacri si ripetono a Corfù, dove i tedeschi sono sbarcati il 24 settembre. 
La tragedia della Divisione Acqui non finisce a Cefalonia e a Corfù. 
Tre navi che trasportano i prigionieri vengono affondate, causando oltre mille morti (tremila, secondo altre fonti). Circa seimila sopravvissuti iniziano un viaggio di oltre un mese verso i campi di prigionia nell'Europa dell'Est. 

La cattura
Pasquale viene catturato dai tedeschi: diventerà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A

Pasquale Cappetta in una foto risalente al periodo
in cui era emigrante in Germania
 
Come abbiamo riportato in altri nostri post, di lui gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte

Come leggiamo nel sito memorieincammino.it, il registro del campo raggiunse la quota di 48600 uomini. Solo una parte di questi erano alloggiati nel campo principale, perché gli altri lavoravano nelle tante fabbriche dislocate nella regione del Brandeburgo.

fonte Wikipedia

Pasquale Cappetta risulta liberato l'8 maggio 1945, praticamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Tornerà in Germania, come emigrante, a Darmstadt; lo testimoniano anche da alcune foto nell'Archivio di Gozlinus.
Questa foto è scattata nel 1965 a Rossdorf: ritrae emigrati di Valva e del vicino comune di Colliano; lavorano in un'impresa specializzata nell'estrazione di rocce basaltiche:
fonte Gozlinus
La foto è particolarmente significativa per il blog la ràdica, perché insieme a Pasquale Cappetta ci sono i figli di due internati militari di cui ci siamo occupati. Proprio davanti a lui, infatti, c'è il figlio del signor Enrico Santovito, mentre il secondo della fila centrale, da sinistra, è il figlio del signor Domenico Strollo. Inoltre, accanto a Pasquale c'è il signor Lazzaro Del Plato, che ha combattuto in guerra, meritando la Croce al merito.
In quest'altra foto, scattata a Darmstadt, Pasquale si prende una meritata pausa:
Pasquale è in piedi; fonte


Approfondimento
Sulla Divisione Acqui si vedano i post:
 

G.V.

16 gennaio 2024

"SPREMUTI COME LIMONI": I LAVORI FORZATI DEGLI IMI

Con la trasformazione dei prigionieri italiani in internati militari, Hitler ha a disposizione un ingente "bottino di guerra" (rappresentato anche dai prigionieri degli altri paesi occupati) come forza lavoro nelle fabbriche, nei campi e nelle miniere, in assenza dei tanti uomini tedeschi sotto le armi.

Vittorio Vialli, La lunga coda per l'acqua (Fondo Vialli) fonte

Nel suo recente e preziosissimo Schiavi di Hitler, nel capitolo dal titolo Lavori forzati (pp.110-124) il prof. Mimmo Franzinelli sottolinea che l'economia tedesca ha bisogno dei prigionieri italiani. Dopo solo tre settimane, ad esempio, un piano delle autorità tedesche ipotizza un fabbisogno di 421mila unità. Nel novembre del 1943 sono quasi 383mila gli IMI al lavoro, a metà febbraio 1944 sono 428mila, a metà maggio 437mila.

Si assiste a una "gara contro il tempo" tra i reclutatori di manodopera e gli emissari fascisti che cercano adesioni alla Repubblica Sociale Italiana.

Sono gli stessi funzionari fascisti a testimoniare le condizioni massacranti degli internati italiani, con un orario giornaliero che oscilla dalle 12 alle 14 ore, "debilitati dalla fame e prostrati da insulti e percosse".

fonte

Settori di impiego degli IMI, "spremuti come limoni"

Franzinelli analizza dati del febbraio 1944: gli internati militari italiani vengono impiegati nell'industria mineraria (56%), in vari settori produttivi (35%) e nell'agricoltura (6%). Molti sono impegnati anche nello sgombero delle macerie (un numero in aumento visto che i bombardamenti sulle città tedesche si intensificano). L'orario settimanale risulta in media di 57-58 ore, con un solo giorno di riposo.

Significativo il commento dello storico:

L'atteggiamento dei tedeschi -gerarchi, militari e civili- è caratterizzato da una sorta di schizofrenia: da un lato trattano gli italiani come degli animali e con ostentato disprezzo li vogliono distruggere sul piano morale, dall'altro pretendono una resa produttiva esemplare, senza rendersi conto della contraddizione tra le due condotte. Gli IMI vengono spremuti come limoni.   [op. cit., pp. 112-113]

Un'ordinanza di Hitler (28 febbraio 1944) precisa che il vitto deve essere in relazione alla produttività; se questa è insoddisfacente, il vitto va ridotto a tutta l'unità di lavoro.

Chi non regge ai ritmi della miniera o della fabbrica diventa un convalescente-bracciante: viene destinato alle aziende agricole, dove il lavoro è meno logorante e le razioni alimentari sono generalmente migliori di quelle dei Lager. Non mancano, però, testimonianze di internati impegnati nelle aziende agricole che denunciano dure condizioni di lavoro.

La "civilizzazione" coatta

Nell'estate del 1944 agli IMI viene proposta la trasformazione in "liberi lavoratori": così avevano previsto Mussolini e Hitler nel loro incontro del 20 luglio.

Gli internati non credono alle promesse. Come testimonia Carlo Bargaglia (rinchiuso in un Lager in Baviera), gli italiani ritengono di essere stati trasformati in lavoratori civili solo per essere impiegati più facilmente.

Vari imprenditori giungono nei Lager e selezionano gli italiani.

Nonostante la Convenzione di Ginevra lo vieti, anche gli ufficiali sono sottoposti al lavoro coatto.

Drammatica la testimonianza del tenente colonnello Pietro Testa, dal campo di Wietzendorf:

Gli ufficiali spesso venivano convocati a teatro, sotto la luce di proiettori e sottoposti alla scelta di impresari e contadini tedeschi che palpavano loro gli arti, guardavano in bocca come se fossero delle bestie. Gli ufficiali che si rifiutavano di partire venivano portati fuori dal campo con sentinelle armate di fucile e baionetta.   [op. cit., p.118]

Ci siamo già occupati di un internato militare a Wietzendorf che rifiuta di lavorare durante la prigionia. E' il valvese Giovanni Milanese, che così scrive nel suo diario Frammenti di storia. Diario di guerra e di prigionia 1943-1945:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
29-11-44
Mi richiamano. Non ci vado di nuovo
.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.

Il cappellano militare Bernardino Pavese scrive queste significative parole, che il professor Franzinelli pone a conclusione del capitolo dedicato ai lavori forzati:

Gli IMI hanno lavorato. Tutti hanno lavorato. Sempre hanno lavorato. Lavori forzati. E lavorano duramente: 12 ore al giorno, con un turno di un giorno di riposo al mese e...con molta fame. Hanno per questo collaborato? Ognuno s'ingegno per sabotare (nella massa, quanto sabotaggio!) e a proprio rischio e pericolo, e sotto gli occhi e nelle meni del nemico! [op. cit., p.124]

Approfondimento
Sull'argomento, il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:
👉Il pranzo di Natale con le patate risparmiate
👉Il ritratto di Michelina per tre razioni di pane
👉L'unico amore del prigioniero Giovanni
👉Fare la guardia alla dignità di italiano
👉Sono di nuovo un uomo e non più un numero
👉Scrivere per sentirsi ancora uomini


Bibliografia
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

G.V.

30 dicembre 2023

ANGELO MICHELE, L'ARTIGLIERE INTERNATO IN GERMANIA

Nella silenziosa sala di consultazione dell'Archivio di Stato di Salerno, incontro la storia di un mio concittadino che non era nel mio elenco.

Non era nell'elenco degli internati militari italiani e la sua storia mi dimostra che occorre cercare ancora.

Angelo Michele Strollo, nato a Valva il 5 settembre 1909 da Antonio e Maria Macchia; un mulattiere dal naso greco, che speva leggere e scrivere.

Leggo il suo foglio matricolare e subito mi colpisce un'informazione: catturato dai tedeschi e condotto in Germania l'8 settembre 1943

È stato catturato in Grecia, dove era giunto il 18 febbraio 1943, nel 353° Batteria del 26° Artiglieria Corpo d'Armata.

Artiglieria; la foto proviene dall'archivio dell'internato militare
Gelsomino Cuozzo

Il 18 febbraio mi ricorda qualcosa. Penso alla nascita De André e al suo antimilitarismo (uno zio del noto cantautore è stato internato militare), ma Faber quel giorno compiva tre anni. 

Ecco: il 18 febbraio 1943 a Monaco la Gestapo arrestava Sophie e Hans Scholl insieme ad altei membri del movimento Rosa Bianca, un'organizzazione di studenti cristiani che si opponevano al nazismo. 

La resistenza al nazismo è però debole e gli eventi dell'estate del 1943 dimostreranno che l'esercito tedesco è ancora forte. Ne faranno le spese gli oltre seicentomila soldati italiani fatti prigionieri dopo l'8 settembre, i caduti di Cefalonia e delle altre isole, le vittime degli eccidi civili.

Dopo la fine della guerra in Europa, il 18 maggio 1945 Angelo Michele viene liberato; trattenuto dagli Alleati fino al 16 giugno,  rientra in Italia e si presenta al Distretto Militare di Salerno per essere sottoposto all'interrogatorio di rito.

Leggo anche che ha ottenuto la croce al merito di guerra (due concessioni) per la partecipazione alle operazioni di guerra in Balcania, nei teritori greci e albanesi.

Uno dei due artiglieri dovrebbe essere il valvese Gelsomino Cuozzo

Sul foglio matricolare, alla voce distinzioni e servizi speciali leggo servente: un militare addetto con diversi incarichi al funzionamento di un'arma da fuoco o da lancio.

Di lui non so altro, ma da oggi so che è stato soldato, è stato prigioniero, ha detto no ai tedeschi.

G.V.

29 dicembre 2023

IL PRESEPE DEGLI INTERNATI MILITARI

Gli internati militari italiani a Wietzendorf avevano il loro presepe clandestino, realizzato per il Natale 1944 dal milanese Tullio Battaglia, con stracci e ricordi dei singoli prigionieri.

Dopo la liberazione, Tullio Battaglia riuscì a portare con sé il presepe e lo donò alla basilica di Sant'Ambrogio a Milano, dove ancora oggi si trova.

Mancava una sola statuina, quella del bue, che era stata smarrita. Era rimasta a Wietzendorf, raccontava lo stesso Tullio Battaglia qualche anno fa, "a vegliare sui compagni morti".

Quest'anno un'associazione culturale di Wietzendorf ha fatto realizzare una statuina del bue e l'ha consegnata alla basilica di Sant'Ambrogio, come gesto di pace e di riconciliazione.

Ora il presepe della prigionia in Sant'Ambrogio è di nuovo completo.

Ecco come un bell'articolo di Luca Frigerio (1944: il presepe nel lager, dalla Germania a Milano, sito della Diocesi di Milano) racconta la creazione del presepe: 

Così, con un coltellino da scout (miracolosamemte scampato ad ogni perquisizione), una forbicina robusta, un cardine di una porta come martello, alla luce del lumino che ognuno conteibuì ad alimentare togliendo una piccola parte alla microscopica razione di margarina, nacque questa sacra rappresentazione. 
La nostalgia per la propria terra spinse Tullio ad ambientare la scena in un angolo di una tipica cascina lombarda, dove un'umile contadina s'avvicinava al Bambin Gesù, stretto tra le braccia della Vergine Maria. Attorno ci sono i Re Magi, la tessitrice che confeziona la [...] bandiera tricolore,  lo zampognaro abruzzese e il pastore calabro, presenze poetiche del presepe e "rappresentanti" degli sventurati compagni di prigionia, di ogni parte d'Italia.  fonte 

Due personaggi sembrano avere un valore particolarmente significativo dal punto di vista simbolico: l'internato militare italiano e il guerriero longobardo; il primo sembra quasi intimorito ad avvicinarsi alla mangiatoia e resta un po' in disparte, "nella sua divisa lacera ma dignitosa", il secondo depone le sue armi ai piedi del Bambino.

I pannelli informativi che presentano il presepe in Sant'Ambrogio ci aiutano a comprendere la difficoltà della realizzazione dell'opera. Ad esempio, leggiamo che per le parti in legno (teste, mani, piedi, telaio, cornamusa) sono state usate le assicelle sulle quali si dormiva, per gli scheletri delle statue è stato usato il filo spinato cui sono state tolte le spine con le mani. I vestiti sono stati realizzati con i ricordi dei prigionieri, ad esempio i pizzi sono tagliati dai fazzoletti donati dalle fidanzate ai soldati partiti perr la guerra. Armature, corone e doni sono ritagliati da vecchie lattine.

In primo piano, il bue appena aggiunto al presepe

Il campo di Wietzendorf sarà liberato dagli inglesi il 16 aprile 1945; ecco un plastico che lo ricostruisce: 
Museo Nazionale dell'Internamento, Padova


Un cordiale ringraziamento a Vinicio Sesso per le foto del presepe e per averci messo a disposizione le informazioni riportate sui pannelli informativi.

Approfondimenti
Qui trovate il video di Luca Frigerio, pubblicato sul sito della Diocesi di Milano: 👉📹

Il blog "la ràdica" da citato in alcuni post il campo di Wietzendorf, che ha ospitato il valvese Giovanni Milanese, autore del diario Frammenti di storia- Diario della guerra e della prigionia.
Al diario abbiamo dedicato i seguenti post:

G.V.