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11 agosto 2024

DOMENICO, LA RESISTENZA SUI MONTI D'ALBANIA

La vicenda di Domenico Torsiello ci consente di indagare un aspetto non molto noto della Seconda guerra mondiale degli italiani: soldati che restano in Albania dopo l'8 settembre, resistono alla cattura da parte dei tedeschi e vanno in montagna a combattere al fianco della Resistenza albanese.

Domenico nasce a Valva il 13 maggio 1923, da Nicola e Virginia Torsiello. Alla visita militare, nel 1942, risulta orfano di padre.

Chiamato alle armi, vi giunge il 9 gennaio 1943, assegnato al Deposito 9° Reggimento Autieri in Macerata. Imbarcatosi a Bari, giunge a Durazzo in Albania il 29 luglio 1943, nell'auto drappello Q.G. della Divisione "Firenze".

Bandiera del Regno albanese; fonte: Wikipedia

A questo punto, sul suo foglio matricolare troviamo un'annotazione insolita:

Foglio matricolare, Archivio di Stato di Salerno
 Proviamo a trascrivere:
Sbandato per gli avvenimenti bellici e portatosi (?) in montagna, 8 settembre 1943
Rimpatriato da Durazzo, 1 giugno 1945
Sbarcato a Brindisi, 1 giugno 1945

Come al solito, tre righe riassumono quasi due anni di guerra (o di prigionia, come accade a tanti altri militari italiani in quello stesso periodo).

Il contesto però, come dicevamo, è insolito.

Dopo l'armistizio di Cassibile, la 9ᵅ Armata italiana in Albania subisce un duro colpo a causa dell'indecisione dei suoi comandanti: quattro delle sei divisioni italiane vengono catturate dai tedeschi. Tuttavia, la 151ᵅ Divisione Fanteria "Perugia" e la 41ᵅ Divisione Fanteria "Firenze" resistono. Il generale Arnaldo Azzi, che comanda la "Firenze", rifiuta di cedere le armi e si allea con l'Esercito Albanese di Liberazione Nazionale. Nasce il Comando Italiano Truppe alla Montagna (CITaM), che riunisce soldati italiani dispersi.

Sul sito ANPI leggiamo:

E' così costituito il "Comando Italiano Truppe alla Montagna" (CITaM), forte di migliaia di uomini suddivisi in alcuni comandi di zona. Risulta presto evidente che una tale massa di uomini e un simile schieramento in terra straniera non sono adatti alla guerra partigiana, e così, presto, il CITaM, sottoposto all'attacco dei tedeschi e alla difficile convivenza con le formazioni della Resistenza albanese, si sbanda. Gli italiani, costretti a cedere agli albanesi armi ed equipaggiamento, trovano rifugio e ospitalità presso la popolazione locale. Alcuni militari entreranno poi nella Resistenza albanese.  fonte

Alla fine della guerra, Domenico si imbarca a Durazzo e sbarca a Brindisi il 1° giugno 1945; il giorno dopo lo troviamo nel campo di Taranto. A giugno ottiene una prima licenza di sessanta giorni, il 25 agosto si presenta al distretto di Salerno e viene inviato in licenza straordinaria senza assegni in attesa di reimpiego. La guerra per lui è davvero finita.


Fonti consultate:

G.V.

01 agosto 2024

MICHELE E GIUSEPPE, DUE VALVESI CATTURATI LO STESSO GIORNO

Il 1° marzo dell'anno scorso abbiamo dedicato un post a Michele Cuozzo, nel giorno del centesimo anniversario della sua nascita:👉 Il prigioniero che parlava inglese con una matita tra i denti. Erano i giorni dei festeggiamenti dei cento anni di un suo coetaneo, il signor Giuseppe Feniello; nati a pochi giorni di distanza uno dall'altro, nel 1923, i due hanno avuto vicende militari abbastanza simili e ci era parso giusto ricordarli entrambi.
Ora abbiamo a disposizione altri documenti che confermano che le loro vicende militari si sono intrecciate.

Due vicende che si intrecciano
Figlio di Antonio e di Maria Michela Cecere, Michele Cuozzo è chiamato alle armi il 12 settembre 1942, nel Deposito 15.mo Reggimento Fanteria in Salerno.
Parte per l'Africa Settentrionale il 25 febbraio 1943, imbarcandosi a Castelvetrano. L'aeroporto di Castelvetrano, in Sicilia, è una delle principali basi per il trasporto di personale e materiali sulle basi africane nella Seconda guerra mondiale.
Tre giorni dopo di lui, anche Giuseppe Feniello si imbarcherà da Castelvetrano alla volta di Tunisi.
Sbarcato a Tunisi, Michele Cuozzo è assegnato al 65.mo Reggimento Fanteria "Trieste", mentre Giuseppe Feniello è nella X Compagnia marconisti.
Il 6 aprile, entrambi risultano fatti prigionieri nel fatto d'arme della Tunisia.

Wadi Akarit
Per capire in cosa consista il "fatto d'arme", seguiamo le vicende del reggimento di Michele.
La Trieste è impegnata nella battaglia di Wadi Akarit, una valle in Tunisia; la parola wadi indica il letto di un fiume in genere asciutto ma che può riempirsi d'acqua durante al stagione delle piogge. 
Durante la Campagna di Tunisia il wadi Akarit è un'importante linea difensiva per le forza dell'Asse, a causa della sua posizione strategica: un luogo ideale di difesa contro l'avanzata degli Alleati.
La battaglia di Wadi Akarit si svolge il 6 e 7 aprile, con le forze Alleate che cercano di sfondare le difese dell'Asse per avanzare verso Tunisi.
Soldati britannici in Tunisia; fonte: Wikipedia
La battaglia è vinta dall'Ottava armata britannica (che comprende  anche unità americane e francesi). Non è però una vittoria facile, come dimostrano le parole del generale Alexander, che definisce quei combattimenti come "i più accaniti e selvaggi che avessimo sostenuti dopo El Alamein", aggiungendo che "gli attacchi ed i contrattacchi si susseguirono sulle colline ed i tedeschi come gli italiani dettero prova di un'intrepida determinazione e di un morale senza uguali".
Il generale Montgomery con alcuni soldati britannici; fonte: Wikipedia
La fanteria della Trieste è ridotta a tre battaglioni incompleti. L'Ottava Armata conta quasi 1300 perdite e 32 carri distrutti o danneggiati, ma alle ore 22 del 6 aprile ha già fatto 5350 prigionieri, in gran parte italiani (e almeno due di questi sono valvesi).

Il destino dei prigionieri
Secondo lo storico Flavio Giovanni Conti

I prigionieri fatti tra El Alamein e la battaglia di Akarit, catturati per lo più dall'Ottava Armata inglese, furono nella stragrande maggioranza inviati in Inghilterra, mentre pochi rimasero in Egitto". I prigionieri catturati dagli inglesi vennero divisi tra i territori del Commonwealth; nell'ultima fase della Campagna d'Africa, i prigionieri italiani e tedeschi catturati dagli angloamericani ammontano a circa 250mila. Alla fine della guerra in Africa il numero dei prigionieri italiani è complessivamente di circa 300mila.  fonte

Come è avvenuta la cattura?
Rileggiamo le parole che il signor Giuseppe Feniello ha rilasciato in un'intervista raccolta dalla nipote Gerardina:
Fummo circondati dagli inglesi mentre marciavamo e ci trovammo di fronte un carrarmato, per questo il plotone dovette cedere. Consegnammo le armi e ci portarono nel campo di prigionia. Da prigionieri avevamo avuto anche l'ordine di chiudere l'otturatore, prenderlo e buttarlo via per evitare di consegnarlo al nemico.

Verso la libertà
Dopo la liberazione dalla prigionia, Michele giunge al Centro Alloggio di Fuorigrotta il 27 luglio 1946, due settimane prima di Giuseppe.
Michele viene inviato in licenza di rimpatrio di 60 giorni; sul suo foglio matricolare leggiamo che nessun addebito può essere elevato in merito alle circostanze della cattura e al comportamento tenuto durante la prigione di guerra.
Il congedo illimitato arriva il 26 settembre 1946; il suo foglio matricolare riporta anche la data dell'espatrio: 25 maggio 1947: la località estera in cui si reca è indicata con il codice 4987 (sappiamo essere la Francia).
Giuseppe ha raccontato così i giorni dopo la liberazione:

Sono stato liberato e portato a Porto Said il 9 agosto 1946, dove ci siamo imbarcati sulla nave che ci ha portato a Napoli.
In Italia sono arrivato il 7 settembre e a casa, a Valva, il 20. Sono arrivato con il treno fino a Contursi  e Angelino che mi aveva visto ha avvisato la mia famiglia del mio arrivo e sono venuti incontro i miei  fratelli Michele e Vitantonio. 
È stato un momento commovente. Anche quando sono rientrato a casa, io che ero un gran bevitore, figlio di un altro grande bevitore, mio padre mi ha detto: "Se sei ancora il mio Peppino finisci questo fiasco di vino". Io l'ho bevuto anche se mi ha dato alla testa.

Molto ricca la voce di Wikipedia dedicata alla Campagna del Nord Africa

Altri post
Le nostre due interviste al signor Giuseppe Feniello:

Il post dedicato al signor Michele Cuozzo:

La storia di Michael Strollo, figlio di emigrati valvesi negli Stati Uniti:

Approfondimenti
Per la ricostruzione del contesto storico, si suggerisce questa puntata di  Passato e presente

G.V.

08 luglio 2024

I DUE BISNONNI DI GIANLUCA NELLO STESSO CAMPO DI PRIGIONIA

Gianluca è un giovane che vive in Germania, dove è nato da genitori italiani, entrambi originari di Valva. Ama molto l'Italia e fin da bambino ogni anno torna a Valva, dai nonni e dagli amici. Quando ha letto il nostro post dedicato al suo bisnonno Angelo Michele Cecere, sopravvissuto alla ritirata di Russia, ci ha contattato per segnalarci che altri due suoi bisnonni hanno condiviso la prigionia nello stesso Lager tedesco, come internati militari italiani: glielo raccontavano da bambino a Valva.

E' bastato un rapido controllo nel Lessico Biografico IMI per confermare questo suo ricordo d'infanzia.

Infatti, Michele Perna e Giovanni Falcone -entrambi classe 1923- risultano prigionieri nello Stalag IX C; nel caso di Michele Perna,  questo è il secondo campo, visto che egli è stato prigioniero anche nello Stalag III C, mentre il foglio matricolare di Giovanni Falcone riporta la dizione "campo di concentramento IV C".

Lo Stalag III C è quello di Alt Drewitz, vicino a Berlino. 
Lo Stalag IV C è situato a Wistritz, vicino a Dresda e non lontano dalla Cecoslovacchia occupata dai nazisti. 

Come abbiamo già osservato analizzando un documento relativo alla prigionia del valvese Enrico Santovito, per Stalag IX C probabilmente si intende il campo principale, in Turingia: attorno al quartier generale di Bad Sulza c'erano tanti sottocampi.

Sappiamo che molti prigionieri lavoravano nelle miniere di potassio della zona.

Bad Sulza, Stalag IX C: entrata del campo poco dopo la liberazione
 fonte Croce Rossa

Organizzazione dello Stalag IX; fonte

Wikipedia ci informa che il campo fu aperto nel febbraio 1940 per recludervi i soldati polacchi dopo l'invasione tedesca. Il campo fu evacuato il 29 marzo 1945: i prigionieri furono costretti a marciare verso est prima dell'offensiva americani; i prigionieri rimasti nel campo furono liberati dagli americani. 

Michele Perna nasce a Valva il 5 giugno 1923, figlio di Martire e di Maria Michela Torsiello; è chiamato alle armi e vi giunge l'8 gennaio 1943, assegnato al Deposito 24 Reggimento Fanteria in Gradisca, in provincia di Gorizia. 

Il 22 febbraio è trasferito al 23.mo Reggimento Fanteria  mobilitato (zona di Gorizia); il 31 marzo giunge in territorio jugoslavo.

Il suo reggimento ha compiti di presidio e controguerriglia; viene sciolto dopo l'8 settembre. 

Michele Perna viene catturato il 14 settembre, a Trieste.

Michele Perna

Giovanni Falcone nasce a Valva il 5 dicembre 1923, figlio di Antonio e Filomena Vuocolo; chiamato alle armi, vi giunge il 6 gennaio 1943, assegnato al Deposito 52.mo Reggimento Fanteria in Spoleto. 

Il 15 marzo 1943 è trasferito al 192.mo Reggimento Fanteria mobilitato in Croazia. Viene fatto prigioniero il 9 settembre, in Croazia.

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone viene liberato il 5 aprile 1945 e trattenuto dalle forze armate alleate.

Il 13 aprile viene liberato Michele Perna, dagli americani.

Giovanni rientra in Italia il 18 agosto 1945, mentre Michele è rimpatriato il 5 settembre; sottoposto a interrogatorio presso il Distretto Miliare di Salerno, è inviato in licenza straordinaria.

Alle spalle, i due giovani soldati hanno quasi 600 giorni di prigionia, una parte dei quali trascorsa almeno con la consolazione di un volto conosciuto, di un compaesano col quale poter parlare nello stesso dialetto delle stesse persone.

Non sanno ancora che il figlio di Michele e la figlia di Giovanni un giorno diventeranno marito e moglie.

🙏Un caloroso ringraziamento a Gianluca Parisi e alla mamma Filomena Perna per la collaborazione e le foto fornite.

G.V.


25 giugno 2024

LA MASSERIA CON L'ALBERO DI TIGLIO: ZIA DUNETTA RICORDA IL TEMPO DELLA GUERRA

Zia Dunetta ha 88 anni, è piccola e minuta ma ancora piena di energia; cura il suo piccolo orto e le sue galline, dà una mano al figlio veterinario a badare alle pecore: vedova di un pastore, ha fatto questo lavoro tutta la vita, anche prima di sposarsi.

Mostra ancora straordinaria abilità quando quaglia il latte, la generosità di sempre quando offre un assaggio di ricotta o di formaggio.

La nostra preziosa collaboratrice Lucia Farella le ha chiesto se ricordava qualcosa sulla guerra; mentre Lucia le dava una mano a girare la ricotta, lei si è seduta su una sediolina di paglia, si è messa con le mani conserte e ha iniziato a raccontare.

La 'massaria' alle pendici della montagna
Nel 1943 avevo sette anni. Ricordo che andavamo in contrada Elice, dove c'erano dei terreni sui quali pascolavamo le pecore; i terreni appartenevano alla famiglia Masi. C'era una grande massaria con quattro stanze al piano superiore, due delle quali avevano anche l'astr'c e al piano inferiore noi tenevamo le pecore. Davanti alla masseria c'era un grande tiglio.
L'astr'c è un pavimento lastricato, probabilmente in cemento; Lucia nota che zia Dunetta pronuncia la parola con grande stupore. Inoltre, quando parla del tiglio (usando il genere femminile, come è bello per indicare una pianta) fa un gesto con la mano portandola al naso, per sottolineare il grande profumo dell'albero.

Quello che resta della masseria Masi. 
La strada accanto è via Elice e conduce alla grotta di San Michele.
Foto di Valentino Cuozzo.

Il maiale rubato dai soldati 
Nel periodo della guerra anche altre famiglie si sono rifugiate in quella casa. Mio padre il giorno andava sempre in località Cappaio, mentre mio fratello e un suo amico pascolavano le pecore e dormivano per terra, nei pressi della proprietà di una famiglia alla quale i soldati rubarono un maiale. 

Il rumore degli aerei e le lacrime delle bambine 
Io e le mie sorelle andavamo a raccogliere la legna per il fuoco. La sera andavamo incontro al veterinario Tamburro e alla figlia Maria, che di giorno stavano in paese e la sera venivano da noi. La bambina stava con noi e quando sentivamo gli aerei ci buttavamo a terra. Mia sorella Maria gridava per la paura e faceva piangere anche questa bambina. Ricordo che un signore che era con noi le sgridava quando le sentiva piangere. 

Nella foto si nota il tentativo di recupero edilizio
effettuato nel periodo dopo il terremoto; foto di Valentino Cuozzo

Le caramelle dei soldati 
Quando sono passati i soldati, molti erano a piedi; noi siamo scesi verso il paese e lungo la strada noi bambini gridavamo "Caramelle, caramelle!" e loro ce le gettavano. 

Brutti tempi 
Che brutti tempi sono stati! La guerra è una brutta cosa. Che dici, possono tornare quei tempi? 

Forse -come suggerisce Lucia- una possibile risposta alla domanda di zia Dunetta potrebbe essere nelle parole di Kant: "La guerra è un male, perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo".

🙏 Rinnoviamo il nostro ringraziamento a Lucia Farella, che ha raccolto anche questa preziosa testimonianza. 
🙏Grazie a Pietro Vuocolo per la gentile collaborazione.
🙏Grazie a Valentino Cuozzo, che ha individuato e fotografato i resti della masseria Masi. 

Approfondimenti


Gozlinus ha pubblicato il 👉biglietto postale che il veterinario di Valva, il dottor Ciro Tamburro spedì nel 1947 per tentare di fare luce sulla morte improvvisa di sette galline.

G.V.


24 giugno 2024

MICHELE, SOPRAVVISSUTO ALL'INFERNO DI GHIACCIO RUSSO

Il 27 ottobre 1921 le bare di dieci caduti della Grande Guerra, che non è stato possibile identificare, vengono traslate da Gorizia alla basilica di Aquileia, in vista della solenne cerimonia del giorno dopo. Uno di essi diventerà il Milite Ignoto.

Quel giorno, a Valva nasce Angelo Michele Cecere, figlio di Giuseppe e di Antonia Fasano.

Per tutti, l'avvocato

La provincia di Udine tornerà nella vita di Angelo Michele, che in paese chiamano solo Michele e -tra un po'- sarà ancora più noto come l'avvocato: anzi, per i suoi concittadini diventerà l'avvocato per antonomasia, pur avendo solo la quarta elementare. Non sarà un soprannome ironico, ma il riconoscimento di un certo stile e di un bel portamento giovanile, con immancabile giacca e una bella parlantina.

La guerra

Il 9 maggio 1941 Michele è dichiarato rivedibile alla visita militare e lasciato in congedo provvisorio; quando viene chiamato alle armi, il 17 gennaio 1942, non parte subito perché è ammalato (il mese prima, tra l'altro, è deceduto il padre Peppino).

Giunge al distretto militare il 6 marzo e il giorno dopo lo troviamo nell'11.ma Compagnia Sanità di Udine.

Nel settembre '42 viene trasferito alla 4.a Compagnia Sanità in Verona e il 27 dello stesso mese parte per la Russia, "perché destinato a far parte del capo di spedizione italiano", recita il suo foglio matricolare.

In Russia, tra i feriti
In Russia risulta assegnato all'Ospedale militare di riserva 8 mobilitato.

Abbiamo chiesto a Renza Martini cosa fossero gli ospedali di riserva.

Gli ospedali di riserva, situati nelle retrovie, erano delle strutture destinate a militari per i quali era previsto un sicuro recupero (disponevano di mille posto letto, che potevano aumentare in caso di bisogno). Gli ospedali di riserva 6 e 8 erano compresi nel Centro ospedaliero di Karkov (o Har'kov).
Dal luglio 1941 al maggio 1943 sono stati operativi sette ospedali di riserva. 
I primi soccorsi venivano forniti dagli ospedali da campo, mentre i soldati più gravi venivano mandati agli ospedali di riserva che li valutavano e li trasferivano nei convalescenziari o li rimpatriavano in Italia con treni ospedali. 
Negli ospedali di riserva hanno prestato la loro opera anche 45 infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, oltre a personale femminile locale (addetto alla cucina, alla pulizia dei locali, alla lavanderia).

Sul foglio matricolare di Angelo Michele Cecere c'è un vuoto: la successiva informazione risale al 26 marzo 1943, quando leggiamo "Partito dalla Russia per rimpatrio".

Sei mesi: ecco la durata di questo vuoto in un documento burocratico; sei mesi in Russia, compresi i terribili giorni della ritirata dal gennaio 1943. Quello che il documento non ci dice, papà Michele lo ha raccontato ai figli e da nonno ai nipoti;  sicuramente molto ha tenuto per sé, perché ci sono esperienze terribili che non diventano racconto.

Un dettaglio dei suoi racconti è rimasto impresso nella memoria del nipote Luigi: tra i feriti c'era chi lo pregava di tagliargli le orecchie e i piedi, i primi arti a congelare.

Possiamo ipotizzare le tappe della ritirata, ancora grazie alla consulenza di Renza Martini e del prezioso volume I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo (1941-'43), a cura dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

Alla fine del gennaio 1943, nelle strutture ospedaliere di Karkov erano ricoverati circa duemila degenti italiani, che furono sgomberati con treni ospedale (sia italiani che tedeschi); con l'arretramento del Corpo d'Armata, giunsero in città tremila nuovi feriti. 
Dopo la battaglia di Nikolajevka, gli spostamenti vennero fatti in treno verso Gomel (per gli illesi) e verso Karkov per i feriti. 
Dall'8 febbraio 1943, il personale ospedaliero e il materiale sanitario vennero trasferiti prima a Kiev, poi a Leopoli e infine a Kolomyja (una città che oggi si trova in Ucraina ma all'epoca si trovava in Polonia).

Carri armati sovietici entrano nel centro di Char'kov, il 16 febbraio 1943;
fonte

Il ritorno a casa
Michele giunge in Italia il 1 aprile 1943; è aggregato al Comando Tappa di Falconara per trascorrere il periodo contumaciale. 

I campi contumaciali erano già diffusi nella Prima guerra mondiale: in essi i soldati -o i prigionieri- trascorrevano un periodo di quarantena, per scongiurare il pericolo della diffusione di malattie infettive.

Il 15 aprile cessa il periodo contumaciale ed è inviato in licenza speciale di trenta giorni, più il viaggio.

Non sappiamo se in questo periodo Michele riesca a tornare a Valva; sappiamo però che il 15 giugno rientra dalla licenza, cessa di essere mobilitato e viene trasferito alla 4.a Compagnia Sanità di Verona. L'8 luglio lo troviamo nella 6.a Sezione Sanità.

Dopo l'8 settembre 1943, leggiamo che Michele si sottrae alla cattura in territorio occupato dai nazi fascisti e rientra a Valva.

Le date indicate sul foglio matricolare sono 9 e 20 settembre 1943, periodo nel quale va considerato in "licenza straordinaria in attesa di disposizioni". 

Qui troviamo un dettaglio molto significativo.

Nell'intervista che le abbiamo fatto, dal titolo L'abbraccio del soldato, la sorella Gerardina ha raccontato che quando Michele è tornato dalla guerra aveva i vestiti strappati e ha aggiunto: "ha raccontato che glieli avevano dati delle persone lungo il tragitto di ritorno".

Zia Gerardina ricorda che quando il fratello è tornato il resto della famiglia era ancora in contrada Elice, dove si era nascosto perché in quelle settimane del 1943 a Valva si scontrano tedeschi e americani.

Il ricordo di zia Gerardina è confermato dal foglio matricol,are, come possiamo vedere qui:

Il soldato Angelo Michele Cecere, con gli abiti malandati, è rientrato a Valva a metà settembre 1943, mentre sua madre, le cinque sorelle e suo fratello si erano rifugiati in montagna.

🙏Grazie a Renza Martini per la consueta e gentile disponibilità nella consulenza storica.
🙏Grazie alla famiglia Cecere per la foto e la collaborazione.
G.V.

22 giugno 2024

SETTEMBRE 1943: UN DOCUMENTARIO SUI CIVILI NASCOSTI NELLA GROTTA DI SAN MICHELE

Un documentario dedicato al settembre 1943, dopo lo sbarco alleato a Salerno.
All'ombra delle tue ali raccoglie testimonianze di valvesi relative al settembre 1943
Gli Americani risalgono il corso del fiume Sele.
A Valva, i tedeschi hanno il loro comando nella Villa d'Ayala-Valva.
All'arrivo degli Americani, i civili si rifugiano nelle grotte della montagna e della stessa villa d'Ayala.
In particolare, un nutrito gruppo di persone trova rifugio nella grotta di San Michele Arcangelo.
Foto di Valentino Cuozzo
Il primo episodio ha un titolo che viene dalla liturgia: INTROIBO.
È la prima parola di un breve rito di ingresso nella messa in latino: Mi accosterò all'altare del Signore. La parola assume il valore di "introduzione". 
L'episodio introduttivo ha due sorprese: la prefazione scritta da don Lorenzo Cuozzo e l'audio del canto tradizionale valvese dedicato a San Michele -dal titolo Il principe forte- cantato da un gruppo di donne e registrato dall'allora parroco mons. Domenico Cruoglio.
Ecco un brano tratto dalla prefazione:

In questo scenario tremendo anche la nostra piccola comunità venne sconvolta. Per sfuggire ai possibili bombardamenti aerei molti dei nostri compaesani salirono alla grotta di San Michele e nelle grotte adiacenti nella convinzione di trovare maggiore sicurezza rispetto al centro abitato.

Questa situazione che vide ospitati tanti valvesi nella «casa» del loro Protettore non ha davvero eguali nella storia della nostra comunità.

Foto di Valentino Cuozzo

Oltre ai racconti raccolti dai testimoni di quei giorni, nei prossimi episodi pubblicheremo altre strofe dell'inno a San Michele. Un piccolo omaggio alla tradizione culturale e religiosa di Valva.

G.V.

18 giugno 2024

L'ABBRACCIO DEL SOLDATO

La signora Gerardina Cecere ha 89 anni e vive ormai da tempo a Bellizzi, anche se è rimasto forte il suo legame con Valva e con i tanti nipoti della numerosa famiglia Cecere.

Abbiano chiesto a sua nipote Lucia di raccoglierne la testimonianza sul periodo della guerra e in particolare i ricordi relativi al settembre 1943, quando Valva ha visto lo scontro tra tedeschi e americani.

"Ho chiesto a zia se se la sentiva di raccontare dove erano, dove sono andati e come hanno vissuto quei momenti così difficili; lei ha fatto un cenno con la testa e ha iniziato il suo racconto", ci dice Lucia.

Ecco il suo racconto:

Abitavamo in paese, papà era già morto; io avevo più o meno otto anni. Siamo andati via portando poche cose. Eravamo io, mamma, le tre sorelle più grandi [lei le chiama r guagliott, le ragazze], mia sorella Maria che era piccola e mio fratello Bruno. Michele, l'altro fratello, non era con noi: era partito per fare il soldato e poi si è trovato a fare la guerra.

In questa foto del 1957, zia Gerardina è la donna in alto a destra. 
Accanto a lei, il fratello Michele e la sorella Carmela.
Davanti a zia Gerardina, sua madre Antonia Fasano.
La donna al centro è la signora Angela, sorella di Antonia.
In basso da sinistra, Maria Giuseppa (che indossa un segno di lutto) e Maria.
Mancano la sorella Annita (già emigrata in Argentina) e il fratello Bruno.

Uno scorcio di via Pistelli sotto Chiesa, dove abitava la famiglia;
fonte
Nel 1943, la sorella più piccola, Maria, aveva due anni: la mamma di Lucia, che ha raccolto questa testimonianza. 

Ci siamo trovati con altre famiglie, tra cui una con cui eravamo molto legati: la famiglia di Carmela Torsiello.

Carmela Torsiello è la signora che ci ha raccontato i suoi ricordi del tempo di guerra nel post Quando la montagna è un rifugio. Ci siamo occupati anche della vicenda di suo zio Francesco, morto nella Grande Guerra combattendo con l'esercito americano. 

Ci siamo rifugiati in contrada Elice; eravamo in tanti ma noi siamo stati sempre con questa famiglia. C'era una grande masseria ma molti erano accampati anche fuori, nei terreni e nel fango. Ricordo i tanti animali, anche i maiali. Di giorno gli uomini andavano nei campi e tornavano la sera, portando i viveri che riuscivano a trovare.

Non ricordo di preciso quando mio fratello Michele è tornato, ma ricordo che noi eravamo ancora all'Elice; quando è tornato aveva i vestiti tutti rotti e strappati, ha raccontato che glieli avevano dati delle persone lungo il tragitto di ritorno.

Il fratello Michele Cecere:
ha partecipato alla spedizione in Russia
ed è riuscito a sopravvivere alla tragica ritirata

Come trascorrevi le giornate?

Ricordo che stavo sempre con un bambino -un fratello di Carmela- che aveva più o meno la mia età; badavamo agli animali e quando sentivamo gli aerei sopra di noi scappavamo. 

Quando siamo tornati dall'Elice, prima di tornare a casa nostra siamo rimasti ancora un po' con questa famiglia. Alla fine della guerra [dopo che i tedeschi si erano ritirati], io e il mio amico scendevamo sempre in strada perché passavano i soldati e ci davano caramelle e biscotti. Li aspettavamo ogni giorno. 

Ricordo che una volta eravamo in prossimità della contrada Piro Verde; eravamo seduti su un muro, un soldato è sceso dal camion, si è lavato la faccia alla fontana e ha bevuto, poi mi ha guardato, mi ha abbracciata e mi ha detto che aveva a casa una figlia piccola come me.

Un po' più a valle c'erano anche degli accampamenti dei soldati, con tante tende. Le mie tre sorelle maggiori, Maria Giuseppa, Carmela e Annita, andavano a lavare i panni a questi soldati alla fontana della Pedina, in cambio di viveri. 

Il ricordo dell'accampamento militare è confermato da altri racconti. Ad esempio, l'avvocato Michele Gaudiosi ricorda quello tedesco nella zona di campagna Ortaglio, subito alla fine dell'abitato, e in contrada Pantanito: in effetti sono le zone che anche la zia Gerardina ricorda.  

Dopo un po' di tempo siamo tornati a casa nostra, in paese. La nostra vita è ripresa: io badavo a tua madre che era piccola, mamma e le sorelle più grandi lavoravano nei campi, i miei fratelli andavano anche a giornata nelle terre del marchese.

Una foto che non c'è più

Il terremoto del 1980 tra le altre cose s'è portato via una foto della famiglia Cecere fatta -come si usava al tempo- nel monumento ai caduti in guerra. Nella foto c'era ancora papà Peppino ma non ancora la figlia più piccola, Maria: possiamo dunque ipotizzare che sia stata scattata nel 1940. 

Era stata scattata perché la famiglia aveva il progetto di trasferirsi in Africa (verosimilmente in Libia): una scelta sicuramente suggerita dalla propaganda del regime fascista, che vedeva nella "quarta sponda" una possibile risposta all'atavica mancanza di terra dei contadini italiani, in questo caso meridionali. 

Nella foto, una ragazza con la "tovaglia" in testa (il fazzoletto tradizionalmente indossato dalle contadine); secondo Lucia -che ricorda bene la foto e da bambina ne ha sentito raccontare la storia- sotto quella tovaglia c'era un volto malinconico, perché la ragazza non voleva partire, visto che era fidanzata.

L'anno dopo papà Peppino sarebbe morto e tutti i progetti sarebbero cambiati.

La ragazza che non voleva partire sarebbe diventata mia nonna.

🙏Un ringraziamento speciale a Lucia Farella per la sua preziosissima collaborazione.

Approfondimenti
La testimonianza della signora Michela Feniello: Ricordo ancora il dolce di quelle caramelle
I ricordi dell'avvocato Michele Gaudiosi: GozlinusValva, 1943 

G.V.

18 aprile 2024

IL PRIGIONIERO INNAMORATO DELLA JUVE

Quando ha compiuto i cento anni ha ricevuto gli auguri anche dal sito ufficiale della Juventus, al quale ha rivelato di essere diventato tifoso bianconero negli anni della sua prigionia in Sudafrica, durante la Seconda guerra mondiale.

"Il segreto della mia longevità? Il tifo per la Juventus", spiegava Pierino Vacca, classe 1914.

fonte Repubblica Torino,
(foto pubblicata dal sito www.juventus.com)

Proprio alla sua passione calcistica è legata una bella esperienza televisiva: ospite della trasmissione "C'è posta per te", ha avuto la sorpresa di conoscere Gigi Buffon, da poco arrivato alla Juve.

fonte Repubblica Torino,
(foto pubblicata dal sito www.juventus.com)
La guerra di Pierino
Alla visita militare, Pierino Vacca dichiara di essere calzolaio e di sapere andare in bicicletta. 
Chiamato alle armi nel 1940, sbarca in Libia il 5 giugno.

Viene assegnato alla 15.ma sezione di Sanità mobilitata, con il compito di "portaferiti".
fonte Repubblica Torino,
(foto pubblicata dal sito www.juventus.com)

Il 23 gennaio 1941 risulta prigioniero di guerra in seguito agli avvenimenti di guerra in A.S. (Africa Settentrionale).
In un nostro precedente post dedicato alla sua vicenda, abbiamo ricostruito il contesto bellico della Libia👉Pierino, il calzolaio prigioniero in Sudafrica.
A dicembre gli inglesi, dopo aver ottenuto rinforzi e truppe fresche, iniziano a infliggere gravi perdite agli italiani.  A gennaio cade la piazzaforte di Bardia, non lontana da Tobruch: molti soldati italiani sono fatti prigionieri. 
Ipotizziamo che Pierino Vacca sia stato uno degli oltre ventimila soldati italiani fatti prigionieri a Tobruch
Di certo, il suo destino nei giorni e negli anni successivi è simile a quello di tanti soldati italiani: una lunga marcia a piedi lungo la via Balbia, fino al porto di Sollum; poi, l'imbarco sulle navi per Alessandria d'Egitto e i campi di smistamento sul Canale di Suez.

Prigionieri trattati come uomini
Da lì, la maggior parte dei prigionieri italiani viene inviata nel campo di Zonderwater, in Sud Africa.
"Erano uomini e uomini italiani e condividevano fatica, coraggio e soprattutto la dignità del momento", dice il celebre storyteller sportivo Federico Buffa in questo breve video in cui presenta il suo racconto tratto dal libro "I diavoli di Zonderwater. 1941-1947" di Carlo Arnese: la storia dei prigionieri italiani in Sudafrica, "che sopravvissero alla guerra grazie allo sport".
Ecco un breve estratto della presentazione del libro, sul sito della casa editrice Sperling & Kupfer:

Li aveva accolti un altipiano brullo disseminato di tende: alla loro partenza, sei anni più tardi, lascarono una vera città. Fu un capo illuminato, il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, a capire che a quei giovani uomini doveva prima di tutto restituire una vita normale. Così scelse lo sport come alleato: promosse gare di scherma, atletica, ginnastica, oltre a un campionato di calcio vissuto con tale passione da trasformare in divi i più bravi fra i prigionieri".

Almeno uno di quei prigionieri, Pierino Vacca, decise che avrebbe tifato per una squadra di calcio con la maglietta bianconera. Non avrebbe mai cambiato idea.

🙏Un sentito ringraziamento alla figlia Giuseppina Vacca per la gentile collaborazione e per le foto inedite.

Per approfondire
Repubblica Torino, Ha centouno anni il più anziano tifoso della Juve

G.V.