30 settembre 2022

IL GIORNO DOPO NEL DODECANESO ITALIANO

In occasione della pubblicazione del decimo episodio del podcast "Il giorno dopo", dedichiamo un approfondimento all'isola di Rodi.
L'episodio "La prima Resistenza" è particolarmente ricco di informazioni ed è pertanto diviso in tre parti: ci occupiamo dei primi italiani che si oppongono ai tedeschi e cadono sul campo o sono  fatti prigionieri, su un fronte che va dai Balcani all'Egeo.
Nella terza parte dell'episodio analizziamo le conseguenze dell'8 settembre sui soldati italiani in Grecia, nel Dodecaneso italiano e in altre isole.

L'Italia a Rodi e nel Dodecaneso
I soldati italiani sono impiegati nel controllo delle isole del Dodecaneso, nell'Egeo. Queste isole sono state conquistate durante la Guerra italo-turca (1911-1912), trasformate in colonia e poi in possedimento d'oltremare, nel 1926.

Così, nel 1936, l'Enciclopedia Treccani presentava la popolazione di Rodi:

La popolazione è formata da quattro elementi diversi per lingua e per religione, per quanto tutti gli abitanti siano cittadini italiani. Gl'indigeni, però, sono privi di diritti politici ma non hanno obblighi di servizio militare. Gl'Italiani d'origine sono quasi tutti cattolici, di rito latino.  [...]

La grande maggioranza della popolazione si dedica ad attività particolari. Gli ortodossi sono dediti per lo più al commercio e alla pesca, in campagna all'agricoltura e alla pastorizia. I musulmani all'artigianato e all'agricoltura, gl'israeliti esclusivamente al commercio e alle banche. L'elemento cattolico, ossia italiano, è rappresentato, oltre che da funzionari, da contadini, da operai specializzati, da commercianti, industriali, imprenditori.

Dopo l'8 settembre
L'8 settembre 1943, il comandante delle truppe italiane in Grecia, il generale Vecchiarelli, proclama che gli italiani non rivolgeranno le armi contro tedeschi, ma reagiranno ad ogni violenza armata. 
Pressato dai tedeschi, il 9 settembre invita a cedere loro le armi. Tra i soldati c'è disorientamento. Vecchiarelli crede alle parole dei tedeschi, che promettono di riportare le truppe in Italia; accetta il disarmo, anche se gli italiani sono più numerosi dei tedeschi.
I comandanti in Grecia in maggioranza obbediscono, ma quelli delle isole no; sulle isole gli italiani sono di più e sanno che esse sono importanti per gli anglo-americani. 
Rodi ha una grande importanza strategica per il controllo dell'Egeo, ma gli Alleati non la occupano dopo l'armistizio (anche perché sono impegnati a sbarcare a Salerno). 

La caduta di Rodi
L'isola è occupata quasi subito, nonostante la superiorità delle truppe italiane. 
Anche a Rodi c'è una resistenza, con perdite tra gli italiani. 
Uno dei dispersi in battaglia è il valvese Enrico Fusella
Nato nel 1923, chiamato alle armi nel febbraio 1942, Enrico Fusella è assegnato alla Nona Compagnia sussistenza di Bari. 
Alla stessa compagnia è assegnato Amodio Cuozzo, che sempre a Rodi sarà fatto prigioniero il 25 settembre. 
Abbiamo raccontato la sua storia nel post Un uomo mite dal nome insolito.

Il diario di un valvese
Un soldato nato a Valva, Giovanni Milanese, ci ha lasciato un diario della sua prigionia da internato militare italiano, prima nella Polonia occupata dai nazisti e poi in Germania. 
Il suo "Frammenti di storia" [Palladio, 1997] ci aiuta a ricostruire le vicende di cui ci stiamo occupando ed è una testimonianza preziosissima per ricostruire le condizioni di prigionia degli internati militari italiani.
Anche lui viene catturato a Rodi. 
Ecco come racconta i giorni dopo l'8 settembre. 


    8 settembre 1943

Alle ore 20.30, a quota 99 di Ofanto, so dell'armistizio con le potenze alleate.

    9 settembre 1943 

[...] Bisogna lasciar passare i tedeschi, purché non abbiano intenzioni ostili [...]

    11 settembre 1943

[...] Alle 17 i tedeschi entrano in Rodi, facilitati dall'inerzia e fare ambiguo di molti ufficiali superiori e dall'aiuto dato da un battaglione di camicie nere esistenti sul territorio.

Alle 19 ci vien dato l'ordine di cedere le armi e di arrenderci. Grande costernazione!

Il capitano di fanteria Romeri [...] va dal colonnello Manna per pregarlo di prendere qualche iniziativa ma il colonnello Manna risponde che si è combattuto fino allora coi tedeschi e bisogna continuare a combattere a loro fianco.

    12 settembre 1943
Si attendono ordini.

    13 settembre 1943
Si attendono ordini.

    15 settembre 1943
Ci ritiriamo a Calitea [frazione di Rodi].



La caduta di Coo
A Coo e in altre isole gli inglesi riescono a far sbarcare piccoli contingenti, ma non si riesce a evitare l'occupazione tedesca. Coo viene occupata il 4 ottobre: 600 inglesi e 2500 italiani sono fatti prigionieri. 
Tra i prigionieri condotti nei campi di internamento in Germania c'è il nostro Settimo Fasano, catturato il 4 ottobre. Suo fratello Ottavo è già morto nell'Africa Settentrionale italiano, da quasi tre anni. Abbiamo raccontato la loro storia nel post Settimo ha un fratello di nome Ottavo, ma non è una fiaba.
Uno storico inglese ha scritto:

Gli italiani fiduciosi che si erano uniti agli inglesi dopo abbondanti promesse di aiuti britannici, si trovarono abbandonati da tutti [...] Agli occhi degli inglesi non erano importanti; agli occhi dei tedeschi non erano altro che traditori dell'Asse.

[P.C. Smith e E. Walker, War in the Aegean, London, 1974; citato in: Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, Il Mulino]


Per le foto del Sacrario italiano a Rodi ringraziamo il signor Michele Tammaro per la gentilissima collaborazione.

🔍Approfondimenti

Per la ricostruzione storica, fondamentale il seguente testo:

- Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando -8 settembre 1943, il Mulino, 2003

🎧 Podcast



G.V.

25 settembre 2022

LA MEGLIO GIOVENTU'

Il nostro podcast "Il giorno dopo", dedicato alle conseguenze dell'armistizio del settembre 1943, negli episodi pubblicati in questi giorni si occupa delle vicende in Jugoslavia, Albania, Grecia e Dodecaneso dopo l'8 settembre.

Abbiamo ritenuto di dividere in tre parti l'episodio dal titolo "La prima Resistenza".

Il titolo cita un post pubblicato dal nostro blog, dedicato a tre soldati valvesi caduti a Cefalonia, Corfù e Rodi.

La decisione dei soldati italiani che rifiutano di consegnare le armi ai tedeschi è a tutti gli effetti una forma di resistenza, proprio negli stessi giorni in cui viene fondato il Comitato di Liberazione Nazionale (proprio il 9 settembre).

I tedeschi approfittano dell'immobilità dell'esercito italiano -in attesa di ordini, nel caos nato l'8 settembre- e occupano punti strategici, seguendo un piano ben preciso.

La prima Resistenza, prima parte

Qui trovate la prima parte dell'episodio: 👉

L'episodio inizia con un'introduzione storica dedicata all'espansionismo italiano nei Balcani: Guerra italo-turca degli anni 1911-12, prima spedizione in Albania nel 1914, occupazione di Corfù nel 1923, occupazione dell'Albania del 1939; vengono analizzate poi le vicende dell'invasione della Grecia (ottobre 1940-aprile 1941) e della Jugoslavia (aprile 1941).

Sbarco di truppe italiane in Albania nella primavera del 1939
(foto Corriere della Sera Illustrato); fonte

La campagna italiana in Grecia -il cui governo con fierezza rifiuta l'ultimatum dell'Italia fascista- si rivela un fallimento; solo l'intervento tedesco nell'aprile del 1940 costringerà alla resa la resistenza greca.

A questa guerra risale il celebre canto della brigata alpina "Julia", Sul ponte di Perati.

Ecco alcuni significativi versi: 

Sul ponte di Perati, bandiera nera:
L'è il lutto degli alpini che fan la guera
L'è il lutto degli alpini che fan la guera
La meglio zoventù che va sottoterra. 

[...]

Quelli che son partiti, non son tornati:
sui monti della Grecia sono restati.

Il brano sarà prima censurato e poi proibito dal fascismo, perché considerato disfattista. Per questo episodio del nostro podcast ne abbiamo scelto una struggente versione  del gruppo bellunese Al Tei.

Nei Balcani cadono quattro soldati valvesi:

Francesco Feniello, in Albania, il 13 marzo 1941
Francesco Torsiello, in Croazia, il 27 febbraio 1942
Giuseppe Macchia, in Grecia, il 1 agosto 1943
Michele Macchia, in Grecia, il 17 agosto 1943

Domenica del Corriere, 3 novembre 1940: notizia dell'invasione italiana della Grecia

Abbiamo raccontato la storia di Michele Macchia nel post "Michele, tornato avvolto nel Tricolore".

Siamo alla ricerca di notizie relative agli altri tre soldati.

L'episodio analizza poi le prime conseguenze dell'8 settembre 1943.

L'annuncio dell'armistizio coglie di sorpresa la maggioranza dell'esercito italiano, mentre quello tedesco reagisce con prontezza: occupa aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, vie di comunicazione; dimostra di agire seguendo piani già pronti. Intanto, gli Alleati sbarcano a Salerno.

Salerno, applausi al passaggio di un carro armato britannico, dopo lo sbarco alleato del 9 settembre, fonte

Come abbiamo  visto nel post "Il giorno in cui nacquero gli IMI", già a partire dal 10 settembre 1943 la Germania emana durissime direttive sul trattamento da riservare ai soldati italiani.

In sintesi: chi accetta di combattere al loro fianco, viene trattato come un soldato tedesco; chi rifiuta, viene fatto prigioniero; chi si schiera al fianco dei partigiani viene fucilato (se è un ufficiale), impiegato come forza lavoro (se è un semplice soldato). 

Il 20 settembre 1943 viene utilizzata per la prima volta la definizione di “internati militari”, allo scopo di sottrarre i prigionieri di guerra italiani alle convenzioni internazionali. 

In mancanza di ordini, molti generali e ufficiali fuggono, mentre diversi soldati vengono consegnati nelle caserme, dove sono poi catturati dai tedeschi; in molti casi, essi sono invitati a "sbandarsi" e a tornare a casa. 

🔍Approfondimenti

Ecco alcuni dei brani che abbiamo scelto per il commento musicale del podcast:

-  Ludovico Einaudi, Le Onde (Le Onde, BMG Ricordi, 1996)
- Francesco de Gregori - Giovanna Marini, Sento il fischio del vapore (Il fischio del vapore, Caravan, 2002)
- Sul ponte di Perati, canto della brigata alpina "Julia" (nella versione del gruppo Al Tei)

Per la ricostruzione storica, fondamentale il seguente testo:

- Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando -8 settembre 1943, il Mulino, 2003

Sulla guerra in Grecia:


🎧 Podcast


G.V.

24 settembre 2022

TRE VALVESI CATTURATI IN JUGOSLAVIA

Continua la nostra analisi delle conseguenze dell'8settembre 1943; in questo post ci occupiamo delle vicende dei soldati italiani, e valvesi, di stanza in Jugoslavia.

Nella foto dell'Istituto Luce, una postazione di guardia  in una zona di confine
(probabilmente tra Italia e Regno di Jugoslavia); fonte


L'Italia in Jugoslavia

L'Italia dichiara guerra alla Grecia nell'ottobre 1940 ma nella prima fase è in difficoltà; si rende decisivo l'intervento dell'alleato tedesco: con l'operazione "Castigo", nell' aprile 1941 la Germania attacca Grecia e Jugoslavia. 

I tedeschi bombardano Belgrado, avanzano in Croazia e Serba, occupano la Grecia. 

L'esercito italiano avanza verso Lubiana, ma la maggior parte delle città della Dalmazia e del Montenegro conquistate dall'Italia lo saranno solo dopo la resa jugoslava. 

Come si vede nella cartina, l'Italia controlla la Slovenia meridionale, la fascia costiera adriatica, il Kosovo, il Montenegro e alcune zone della Macedonia.

La cartina è tratta dal sito www.valigiablu.it; fonte

Dopo l'8 settembre in Jugoslavia

I soldati italiani in Jugoslavia apprendono alla radio la notizia dell'armistizio.

Quando il 9 settembre mattina arrivano gli ordini, c'è un'espressione decisiva: "senza spargimento di sangue". Altre direttive nei giorni successivi confermano.

La vicenda più tragica che riguarda i soldati in Jugoslavia è quella della divisione di fanteria Bergamo: 1500 soldati si uniscono ai partigiani jugoslavi, sia per evitare di essere catturati dai tedeschi sia per poter mangiare.

Quando i tedeschi conquistano Spalato, cominciano rastrellamenti e rappresaglie.

Stiamo verificando un'ipotesi: il soldato valvese Angelantonio Marciello, catturato il 12 settembre e deportato militare in Germania, risulta catturato sul fronte greco. In realtà, essendo arruolato nel 26.mo Reggimento fanteria, quello chiamato Bergamo, è possibile che il fronte sia proprio quello jugoslavo.

In Croazia, il 9 settembre risulta catturato Giovanni Falcone, arruolato nel 52.mo Reggimento fanteria a Spoleto. Il reggimento è impiegato in operazioni di polizia: presidio e controguerriglia. Dopo l'8 settembre, si scioglie nella zona di Lubiana. 

Giovanni Falcone sarà prigioniero nello Stalag IX-C, con quartier generale vicino a Bad Sulza (in Turingia) e molti sottocampi.

Il 9 settembre viene catturato anche un altro soldato valvese: Pasquale Volturo

Già nell'aprile 1941 ha partecipato alle operazioni di guerra alla frontiera italo-jugoslava; è arruolato nel 23.mo settore di copertura della Guardia di Frontiera, con il quale prenderà parte ad altre operazioni di guerra nei Balcani, per quasi due anni (fino all'8 settembre 1943). 

Non sappiamo dove sia avvenuto l'arresto; sappiamo che il suo settore di copertura interessava una zona dell'attuale Slovenia.

Pasquale Volturo sarà prigioniero a Dachau.


21 settembre 2022

L'8 SETTEMBRE AL DI LA' DELL'ADRIATICO

Le conseguenze dell'armistizio reso pubblico l'8 settembre 1943 sono particolarmente drammatiche per i soldati italiani di stanza nei Balcani e nell'Egeo. 

In questo post analizzeremo in particolare la situazione in Albania.

L'Italia nei Balcani

Con la guerra italo-turca, l’Italia ha occupato le isole del Dodecaneso e l’Epiro settentrionale, un territorio tra Albania e Grecia, di fronte all’isola di Corfù, isola che viene occupata nel 1923.

Nel 1914 l'Italia occupa l'Albania, e dal 1917 al 1920 esercita un protettorato sul piccolo stato balcanico.

Nell’aprile 1939, dopo che Hitler ha occupato la Cecoslovacchia, Mussolini invade l’Albania.

Aprile 1939: l'Italia invade l'Albania

L'illusione della neutralità italiana dopo l'8 settembre

Dopo l'8 settembre 1943, i soldati italiani di stanza nei Balcani e in Grecia devono decidere se consegnarsi ai tedeschi o combatterli.

Si diffonde l'illusione che l'Italia possa rimanere neutrale per evitare ritorsioni tedesche. E' un approccio che condanna le forze italiane, che non prendono iniziative a differenza dei tedeschi.

L'annuncio dell'armistizio coglie di sorpresa i soldati italiani, che non sapevano nulla delle trattative; essi non ricevono un ordine diretto di disarmare i tedeschi, a decidere son i singoli comandanti. 

Alla forze nel Mar Egeo viene ordinato di disarmare i tedeschi solo in caso di "prevedibili atti di forza" da parte di questi ultimi. Nella notte dell'8 settembre, il Comando Supremo dà indicazioni di non fare atti ostili contro i tedeschi; questo determinerà un atteggiamento passivo da parte dei comandi italiani nella regione. L'11 settembre finalmente le direttive sono chiare: bisogna attaccare i tedeschi; è tardi, però: le divisioni italiane in gran parte si sono già arrese. 

Mentre dall'Italia non arrivano ordini, i tedeschi occupano aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, vie di comunicazione; ancora una volta, essi si muovono seguendo un piano ben preciso. Promettono di rimpatriare le truppe italiane in cambio del disarmo, ma poi non manterranno gli impegni presi. 

La situazione in Albania

Tra il 25 luglio e l'8 settembre, le forze tedesche sono state autorizzate a occupare tutti gli aeroporti. Le forze italiane sono inferiore a quelle tedesche. 

Nella foto dell'Istituto Luce, una folla di albanesi a Tirana
ascolta il discorso di entrata in guerra dell'Italia; fonte

La sera dell'8 settembre arriva l'ordine di reagire ai tedeschi per non essere disarmati; non si deve però prendere l'iniziativa di atti ostili contro i tedeschi. L' 11 settembre, il comando italiano è circondato: tutti gli ufficiali sono fatti prigionieri. 

I tedeschi fanno opera di propaganda: distribuiscono manifestini che promettono il ritorno in patria agli italiani. Molti soldati sperano di tornare in Italia.  

Un soldato ingannato due volte

Pensiamo a un soldato di Valva catturato in Albania: Enrico Santovito. 

Sappiamo che è stato catturato l'11 novembre. La sua famiglia ha raccontato un episodio relativo alla sua liberazione: fu ingannato e si trovò su un treno diretto in Unione Sovietica; a Praga si accorse dell'inganno e, dopo un mese trascorso a racimolare il denaro necessario al viaggio di ritorno, partì per l'Italia. Potrebbe essere stato ingannato dai tedeschi in Albania e dai sovietici in Germania.


Bibliografia

Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino

Podcast

Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi


G.V.

20 settembre 2022

IL GIORNO IN CUI NACQUERO GLI IMI

Come già avvenuto dopo il 25 luglio, gli italiani interpretano la firma dell’armistizio come la fine della guerra; subentra però subito la preoccupazione: cosa faranno i tedeschi? Gli angloamericani sbarcheranno ancora?

La risposta arriva subito: i tedeschi occupano le città, applicando un piano già pronto; gli angloamericani sbarcano a Salerno già il 9 settembre.

Quando i tedeschi capiscono che ci sarà uno sbarco nell’Italia del Sud, il comando tedesco dà un ultimatum all’Italia, presentando alcune richieste e minacciando l’immediato disarmo delle truppe italiane. 

La maggioranza dell’esercito italiano viene colta di sorpresa, quello tedesco è invece già preparato.

Le direttive "criminali" sui prigionieri italiani

Il 10 e il 12 settembre vengono emanate dalla Germania alcune direttive che uno storico tedesco in un suo libro sugli internati militari nei campi di concentramento in Germania ha definito “criminali”.

Quale trattamento si deve riservare ai soldati italiani?

Chi aderisce alla proposta di combattere al fianco della Germania, può conservare le armi e viene trattato come un soldato tedesco.

Chi non vuole collaborare, deve essere inviato nei campi di internamento in Germania o in altri paesi alleati, come prigioniero di guerra.

Chi si schiera apertamente al fianco dei partigiani, viene fucilato se è un ufficiale, impiegato come forza lavoro nei territori dell’est Europa se è un semplice soldato.

In questa prima fase nelle direttive tedesche si parla di prigionieri di guerra; soltanto il 20 settembre 1943, su ordine di Hitler, agli italiani catturati viene attribuita la denominazione di internati militari: in questo modo, essi non sono tutelati dalle convenzioni internazionali, anche se è una decisione del tutto arbitraria dal punto di vista del diritto internazionale.

Un appello all'aperto, nel mese di gennaio 1944.
La foto è tratta da: Ho scelto la prigionia, di Vittorio Vialli (il Mulino); fonte

Lo sbando

Tra l'8 il 9 settembre i tedeschi prendono possesso di aeroporti, stazioni ferroviari, centrali dei telefoni e delle poste; cercano di controllare le principali vie di comunicazione; entrano nelle caserme italiane e chiedono il disarmo delle truppe.

In mancanza di ordini precisi da parte del Comando italiano, molti generali e ufficiali fuggono; diversi soldati vengono consegnati nelle caserme, dopo sono poi catturati dai tedeschi, In altri casi, sono invitati a "sbandarsi" e a tornare a casa.

Il "colpo grosso"

Il disarmo degli italiani viene definito a Berlino "il colpo grosso": l'ultima vittoria militare tedesca prima della fine della guerra, scrive lo storico Nicola Labanca.

Su un milione di soldati italiani, solo qualche decina di migliaia sceglie la strada dell'adesione alla Wehrmacht o addirittura alle SS: una via che sembra garantire il ritorno in Italia.

Come scrive lo stesso Labanca,

dalla Francia, dai Balcani, dall'Italia, lunghi treni, spesso piombati, portarono in poche settimane centinaia di migliaia di militari nei vasti territori del Reich, dai confini con la Francia alla Polonia. Chiusi a decine in vagoni senza servizi, senza o con poco cibo, senza indicazioni sul logo di destinazione, non di rado ingannati (a molti in servizio nei Balcani era stato detto che sarebbero stati portati in Italia), sottoposti a violenze e perfino uccisi alla minima resistenza, il viaggio dal luogo di cattura a quello di prima detenzione [...] fu sempre ricordato dai soldati italiani internati come un incubo, come il precipitare in un abisso senza speranza.

fonte

Bibliografia

Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino

Nicola Labanca, Prigionieri, internati, resistenti- Memorie dell' "altra Resistenza", Editori Laterza


Podcast

Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi


G.V.

17 settembre 2022

I VALVESI NELLO SBANDO ITALIANO

 

Il 9 settembre 1943 è il giorno dopo: è questo il titolo che abbiamo scelto per il nostro podcast dedicato alle conseguenze dell'armistizio in particolare sui soldati valvesi.

La notizia dell’armistizio con gli anglo-americani ha un effetto destabilizzante sull’esercito e sulle istituzioni. I soldati che si trovano in Italia si liberano delle divise, indossano abiti civili e cercano di tornare a casa.


Alberto Sordi in una scena del film "Tutti a casa", di Luigi Comencini 

Sarebbe interessante raccogliere le testimonianze dei soldati valvesi in fuga, quelli che nei documenti militari vengono definiti “sbandati”.

In particolare, è estremamente interessante ricostruire la fuga, dalla Francia, del soldato Michele CecereL’8 settembre lascia la Francia, il 9 è già in Piemonte, ospitato da una "famiglia borghese" a Pianfei, in provincia di Cuneo. Resterà in Piemonte e dal luglio 1944 alla fine del conflitto prenderà parte alla lotta partigiana.

Nella situazione caotica all'indomani dell'8 settembre, i soldati italiani devono scegliere se stare con i tedeschi o no.

I soldati più a rischio sono quelli dislocati nei Balcani (in particolare sul fronte greco-albanese), e nelle isole del Dodecaneso.

Lo dimostrano le vicende dei soldati valvesi: tre di loro cadono a Rodi, Cefalonia e Corfù proprio all’indomani dell’8 settembre, nei giorni dello scontro con l’esercito tedesco; altri sono fatti prigionieri dai tedeschi in Croazia, Albania, Grecia e nelle isole dell’Egeo che costituivano il possedimento italiano.


A questa data, alcuni di loro sono già morti.

Tre sono morti in Africa, nell’ Africa Settentrionale e nel Corno d’Africa.

Ottavo Fasano è il primo soldato valvese morto durante la Seconda GM: è caduto già il 9 dicembre 1940; Michele Cuoco è sepolto ad Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Non siamo ancora riusciti a ricostruire data e luogo di morte.

Di recente, un nostro lettore ha segnalato la presenza presso l’Ufficio informazioni vaticano per i prigionieri di guerra della scheda relativa al fante valvese Michele Cuozzo, prigioniero in Egitto, deceduto in seguito a una ferita di scheggia al torace; il 13 luglio 1943 la notizia della morte è arrivata al padre Antonio tramite un telegramma inviato al parroco: possiamo ipotizzare che il soldato valvese sia rimasto ferito nelle ultime fasi della guerra in Africa, condotto in un campo di prigionia in Egitto e lì deceduto in seguito alla ferita riportata.

 Scheda proveniente dall'archivio dell'Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra

Tra i valvesi che combattevano in Africa, molti di loro alla data del 9 settembre sono prigionieri degli alleati in Africa.

In effetti, molti sono stati prigionieri in Africa e tra questi uno è ancora vivo oggi; è il signor Giuseppe Feniello, classe 1923.

Il nostro lavoro di ricerca sulle vicende militari che riguardano il fronte africano è ancora a uno stadio iniziale, ma possiamo ipotizzare che la data spartiacque sia la battaglia di El Alamein, conclusa a inizio novembre 1942.

Alcuni fogli matricolari sono già giunti al blog “la ràdica”: citiamo ad esempio il caso di Donato Vacca, che è stato prigioniero in Africa ed è riuscito a fuggire.

Due soldati sono morti in Russia: Prospero Annunciata (nel novembre 1942) e Raffaele Cuozzo (nel gennaio 1943, durante la ritirata). Risultano ufficialmente dispersi.

Il tenente Annunciata era un ufficiale sanitario (ospedale da campo divisione Pasubio), il fante Cuozzo apparteneva alla 156 Divisione Vicenza.

Alcuni soldati valvesi sono sopravvissuti alla campagna di Russia e alla drammatica ritirata; è possibile ipotizzare che nel settembre 1943 non siano ancora tornati a casa.

Alla data dell’8 settembre due soldati risultano già morti sul fronte balcanico e due in Grecia.

Francesco Feniello risulta caduto in Albania il 13 marzo 1941, Francesco Torsiello in Croazia il 27 febbraio 1942.

Sul fronte greco, due valvesi cadono nell’agosto 1943:

Giuseppe Macchia, il 1 agosto, e Michele Macchia il 17 agosto. I resti di Michele Macchia sono tornati a Valva dieci anni dopo la sua morte, il 24 maggio 1953.


Aggiornamento

Il signor Giuseppe Feniello è deceduto nel maggio 2023, dopo aver raggiunto il traguardo dei cento anni.

09 settembre 2022

IL GIORNO DOPO

Nei giorni 8 e 9 settembre il nostro blog ha pubblicato due numeri del podcast IL GIORNO DOPO, dedicato proprio alle vicende dei soldati valvesi in quei giorni.

Gli episodi hanno dei titoli a nostro avviso significativi:

- L'ORA GRAVE DELLA NOSTRA STORIA

- LO SBANDO

In questo post proviamo a fare una sintesi dei due episodi e a mettere in evidenza alcuni punti che riguardano i soldati valvesi.

L'annuncio dell'armistizio

Alle 19.42 dell'8 settembre 1943, il Capo del Governo italiano, il Maresciallo Pietro Badoglio, pronuncia questo drammatico comunicato:


La riscoperta dolente della patria

Dall'episodio LO SBANDO riportiamo queste parole di Natalia Ginsburg:

“Le strade e le piazze delle città, teatro un tempo della nostra noia di adolescenti e oggetto del nostro altezzoso disprezzo, diventarono i luoghi che era necessario difendere. Le parole «patria» e «Italia», che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall'aggettivo «fascista», perché gonfie di vuoto, ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D'un tratto alle nostre orecchie risultarono vere. Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava.

La morte della patria?
Dello stesso episodio, segnaliamo questa scena di un celebre film dedicato all'8 settembre 1943:
Tutti a casa, di Luigi Comencini, 1960

Vicende dei valvesi

Dopo l’8 settembre iniziano alcune settimane di assenza di autorità e di ordini chiari: i soldati italiani si trovano così costretti a scegliere se combattere al fianco dei tedeschi o no.

I soldati più a rischio sono quelli dislocati nei Balcani (in particolare sul fronte greco-albanese), e nelle isole del Dodecaneso.

Lo dimostrano le vicende dei soldati valvesi: tre di loro cadono a Rodi, Cefalonia e Corfù proprio all’indomani dell’8 settembre, nei giorni dello scontro con l’esercito tedesco; altri sono fatti prigionieri dai tedeschi in Croazia, Albania, Grecia e nelle isole dell’Egeo che costituivano il possedimento italiano.

Ecco i loro nomi:

Alfonso Feniello, 32 anni

Giuseppe Macchia, 32 anni

Enrico Fusella, 21 anni

A loro nei mesi scorsi abbiamo dedicato il post La prima resistenza.

In questa prima fase dello scontro tra italiani e tedeschi, un soldato valvese viene fatto prigioniero a Vercelli, il 10 settembre: è Giuliano Strollo, di Erberto, classe 1921.

Un altro valvese sarà fatto prigioniero a Trieste, ma qualche giorno più tardi, il 14: Michele Perna di Martire, classe 1923: aveva da poco compiuto vent’anni.

Michele Cecere l'’8 settembre lascia la Francia, il 9 è già in Piemonte, ospitato da una famiglia borghese a Pianfei, in provincia di Cuneo, come riporta il suo foglio matricolare. Resterà in Piemonte e dal luglio 1944 al giugno 1945 prenderà parte alla lotta partigiana.

A Michele Cecere abbiamo dedicato il post Il partigiano di Valva.

Il ritorno degli "sbandati"

Dopo l'annuncio dell'armistizio, i soldati dislocati in Italia si tolgono la divisa e scappano, per raggiungere casa; spesso sono aiutati da civili, che offrono loro abiti per la fuga.

Sarebbe interessante ricostruire le tappe del ritorno a casa dei soldati valvesi dopo l'8 settembre.

Confondiamo nella memoria orale: i racconti dei nostri soldati sono stati affidati ai figli e poi ai nipoti. Riportarli alla luce potrà essere utile a ricostruire un momento importante della nostra storia nazionale e locale. 

G.V.


04 settembre 2022

TIMIDI SONO GLI EROI

Enrico Santovito se ne è andato il primo settembre.

La bandiera che lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio ha salutato l'ultimo internato militare valvese e il penultimo soldato della Seconda Guerra Mondiale.

Un mondo che ha ancora da insegnare

Nel saluto di cordoglio a lui rivolto, il sindaco e l'amministrazione comunale hanno ricordato zio Enrico con queste parole:

[...] una figura cara a tutti noi, che simbolicamente rappresenta un mondo che si sta chiudendo ma che ha ancora tanto da insegnarci. Anche se per un'inesorabile legge naturale la sua voce si è spenta, siamo certi che i suoi racconti resteranno nella memoria di tutti noi, il suo esempio sarà un punto di riferimento, i valori che egli ha testimoniato e contribuito a trasmettere saranno per noi uno stimolo a custodirli e a trasmetterli a nostra volta, perché questo è il modo migliore per salutare i nostri anziani che se ne vanno: farli rivivere rendendo attuali i loro insegnamenti e il loro esempio.

Croce al Merito di Guerra, Repubblica Italiana
(fonteautore della foto)


La responsabilità della Memoria come eredità

La presidente dell'Associazione Combattenti e Reduci, Fiorenza Volturo, ha scritto:

Zio Enrico lascia un'eredità importante da gestire e l'impegnativa responsabilità della Memoria. [Egli] fu uno dei militari catturati dopo l'8 Settembre ed internato nei lager nazisti per essere rimasto fedele alla sua Patria. Gli eroi sono così: persone semplici, umili, quasi timidi e delle loro gesta narrano come se fossero azioni ordinarie, del tutto normali.

La presidente Volturo ha ricordato che era stata predisposta la documentazione per la medaglia al valore del Presidente della Repubblica e ha aggiunto:

Il tempo non ci è stato amico, ma il mio impegno sarà quello che il suo onore venga riconosciuto in memoria dalla più alta carica dello Stato.

Il soldato, il prigioniero

Nei mesi scorsi, sul nostro blog abbiamo pubblicato un documento proveniente dall'Archivio Arolsen, dal quale emerge che il giovane soldato Enrico Santovito, appartenente alla cavalleria dell'esercito italiano, venne catturato in Albania l'11 novembre 1943 e condotto in Germania come internato militare.

Il 24 settembre 1944 fu trasferito al lavoro civile perché gli internati militari italiani passarono allo stato giuridico di lavoratori civili: anche se in genere questo comportò un miglioramento delle loro condizioni, non venne concesso loro di tornare in Italia.

In Germania, Enrico Santovito è stato sicuramente nel campo di lavoro denominato Arbeitskommando 1131, a Bobeck - Stadtroda.

Lo capiamo da questo foglio, in cui leggiamo le parole abbreviate Arb Kdo, il numero 1131 e le due località della Turingia (Germania centrale).



Le due date del marzo 1945 evidenziate in alto potrebbero riferirsi a un trasferimento da un campo all'altro.

Non abbiamo documenti sul tipo di occupazione del prigioniero né sappiamo in quali campi sia stato prima di essere nell' Arbeitskommando 1131. Sappiamo che molti prigionieri lavoravano nelle miniere di potassio della zona.

Nel suo foglio matricolare leggiamo che Enrico Santovito è stato liberato l'8 maggio 1945 ed è stato trattenuto dalle Forze Alleate.

Rientrato in Italia, si è presentato al distretto Militare di Salerno il 30 luglio, quando ha ottenuto una licenza di rimpatrio di due mesi.

L'odissea

Cosa ha fatto Enrico Santovito dall'8 maggio al 30 luglio?

Del travagliato ritorno in patria non abbiamo documenti e il ricordo di questa esperienza è affidato a quello che ha raccontato in famiglia.

Ecco come la nipote Rosanna ricostruisce la vicenda:

Ingannato dai russi, prese un treno in direzione Est Europa, convinto di tornare in Italia. Giunto in Cecoslovacchia, improvvisò un dialogo con un sacerdote su un treno, riuscì a capire il senso delle parole del suo interlocutore e scese a Praga, dove restò quasi un mese. Non riuscì a tornare subito in Italia: era senza forze e senza soldi. Riuscì a partire solo dopo quasi un mese e arrivò in Italia dopo un lungo viaggio, denutrito e pieno di pidocchi.

Nel marzo 1963, Enrico Santovito ha ottenuto due Croci al Merito di Guerra, come testimoniano queste immagini:


Croce al Merito di Guerra, seconda concessione


Cento anni

Il 9 marzo 2022 Enrico Santovito ha compiuto cento anni.

Vogliamo ricordarlo con una foto della bella festa con la quale parenti e amici, alla presenza del sindaco e dell'amministrazione comunale, gli hanno reso omaggio. 


Zio Enrico se ne è andato in silenzio, umile come gli eroi quasi timidi che ci passano accanto.

Rinnoviamo il nostro abbraccio alla famiglia di zio Enrico e ringraziamo la nipote Rosanna per la gentile collaborazione.

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Altri post dedicati a Enrico Santovito

  1. I cento anni di un cavaliere 👉
  2. Arbeitskommando 1131, prigioniero Santovito  👉
  3. In memoria di zio Enrico 👉

G.V.

02 settembre 2022

IN MEMORIA DI ZIO ENRICO




In memoria di
Enrico Santovito
1922-2022

Soldato della Seconda Guerra Mondiale
nel Reggimento "Cavalleggeri Guide"
fatto prigioniero sul fronte albanese l'11 novembre 1943
internato militare in Germania
liberato dalle Forze Alleate l'8 maggio 1945.



Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia di zio Enrico.