Sono trascorsi ottanta anni.
E' il 24 marzo 1944. Il convoglio è partito la sera prima da Siedlce, località della Polonia occupata dai tedeschi. Arrivati in stazione, hanno tolto loro gli spaghi delle scarpe e le cinghie dei pantaloni. Al testimone che scrive, hanno tolto l'impermeabile.
Sono gli internati militari che stanno lasciando un Lager diretti in un altro Lager, questa volta in Germania: Sandbostel.
Campo di Sandbostel; fonte |
Lui è Giovanni Milanese, autore di un preziosissimo diario della prigionia.
Ecco come descrive la giornata del 24 marzo:
Alle 6.30 siamo a Varsavia. Alle 7 siamo a Plome. Alle 9.30 a Boza Vola ed alle 13.30 a Kudico. Alle 24 a Francoforte.Siamo sistemati in 40 per ciascun carro bestiame dove c'è a terra torba ed una cassetta in un angolo per i bisogni personali. Come si prevedeva non ci aprono mai la porta. Che disastro!...
Padova, Museo dell'Internamento |
Milanese annota la presenza di una cassetta per i bisogni personali, "in un angolo".
Per quanto drammatica, la situazione sembra migliore di quella descritta da Primo Levi nel suo I sommersi e i salvati, nel capitolo "La violenza inutile".
Scrive Levi:
Neppure pensò a munire ogni vagone di un recipiente che fungesse da latrina, e questa dimenticanza si dimostrò gravissima: provoco un’afflizione assai peggiore della sete e del freddo. Nel mio vagone c’erano parecchi anziani, uomini e donne: tra gli altri, c’erano al completo gli ospiti della casa di riposo israelitica di Venezia. Per tutti, ma specialmente per questi, evacuare in pubblico era angoscioso o impossibile: un trauma a cui la nostra civiltà non ci prepara, una ferita profonda inferta alla dignità umana, un attentato osceno e pieno di presagio; ma anche il segnale di una malignità deliberata e gratuita. Per nostra paradossale fortuna (ma esito a scrivere questa parola in questo contesto), nel nostro vagone c’erano anche due giovani madri con i loro bambini di pochi mesi, e una di loro aveva portato con sé un vaso da notte: uno solo, e dovette servire per una cinquantina di persone. Dopo due giorni di viaggio trovammo chiodi confitti nelle pareti di legno, ne ripuntammo due in un angolo, e con uno spago e una coperta improvvisammo un riparo, sostanzialmente simbolico: non siamo ancora bestie, non lo saremo finché cercheremo di resistere. Primo Levi, I sommersi e i salvati, Giulio Einaudi editore, 1986, Torino
"Evacuare in pubblico è un trauma a cui la nostra civiltà non ci prepara, una ferita profonda inferta alla dignità umana", scrive Levi. Anche se Giovanni Milanese non ne fa cenno in questa pagina del suo diario, possiamo comunque ipotizzare che in un vagone con quaranta deportati non sia stato semplice fare i propri bisogni, nonostante la presenza della "cassetta".
Padova, Museo dell'Internamento |
E' possibile che nello stesso convoglio sia stato presente anche il tenente Guareschi di cui Giovanni Milanese parla in una pagina del suo diario, datata 4 giugno: il tenente Guareschi e il capitano Salvatori "hanno commemorato con molta passione l'anniversario dello statuto". Poche parole ma significative, a dimostrazione di quanto fosse vivo l'amor di patria negli internati militari.
Il tenente Guareschi diventerà poi l'autore della fortunata saga dei romanzi di Don Camillo e Peppone: Giovannino Guareschi.
G.V.