09 ottobre 2025

LE RADICI E LA GUERRA - La famiglia D'Arcangelo, tra la Puglia e il mondo

Ogni famiglia ha le sue radici e a volte queste radici si intrecciano con altre storie, in terre lontane.
I D’Arcangelo, contadini della Masseria Accetta a Statte, Taranto, sono un esempio di resilienza: dalle campagne pugliesi a Valva, al servizio del marchese; dal lavoro nella mezzadria in una grande fattoria fino alle dure vicende della Seconda guerra mondiale - con due cugini prigionieri- e poi quelle dell'emigrazione in Argentina.
Questo è un racconto di terra e di guerra, di difficoltà e di forza.
Durante la Seconda guerra mondiale, due cugini – entrambi chiamati Donato D’Arcangelo – furono fatti prigionieri. 
Uno, figlio di Michele (classe 1917), catturato dagli inglesi in Africa e condotto prigioniero in Australia. L’altro, figlio di Pietro (classe 1919), catturato sul fronte greco e  poi internato militare in Germania.
Ci occuperemo delle loro vicende, ma prima facciamo un passo indietro e ripercorriamo le vicende della famiglia D'Arcangelo, da Taranto a Valva.

Un nome che porta a Taranto
Se inseguiamo il nome Donato D'Arcangelo a ritroso nel tempo arriviamo in Puglia.
Il 2 gennaio 1860 è un lunedì.
A Massafra, in provincia di Taranto, Pietro D'Arcangelo -contadino di 37 anni- e sua moglie Vitantonia Giuliana diventano genitori di un bambino, che chiamano Donato.
In una domenica di un altro inverno, il 20 gennaio 1884, a Crispiano, Donato sposa Vita Maria Magazzino, figlia di Giovanni e di Maria Rosaria Marzella, pastori.

Crispiano è diventato comune a sé nel 1881; prima dipendeva da Statte, dove nel 1859 è stato aperto un ufficio sezionale di Stato Civile. In un documento dell'azienda agricola del marchese di Valva, sul quale torneremo, Statte compare come il comune di nascita di Donato. Possiamo ipotizzare che la confusione sia dovuta al fatto che Donato si è trasferito a Statte per lavoro.

Nelle pubblicazioni di matrimonio leggiamo che gli sposi "da un anno a oggi [sono] residenti a Taranto". Firmano l'atto sia Donato sia Pietro.
Nell'atto di matrimonio, lo sposo e i suoi genitori risultano residenti in Masseria Accetta, a Statte.
La Masseria Accetta Grande è una storica masseria fortificata risalente al XVI secolo. In origine era un' azienda agricola con torre difensiva, magazzini e case di paglia. 
Più che un semplice luogo produttivo, essa rappresentava un piccolo mondo autonomo, organizzato attorno ai ritmi dell’agricoltura e della pastorizia, ma anche capace di ospitare la vita quotidiana di una comunità, con i suoi spazi per abitare, lavorare e pregare.
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

Già a partire dal Settecento, grazie a una serie di interventi promossi dalla congregazione degli Olivetani, la masseria iniziò a prendere forma come un complesso articolato, con corti, magazzini, stalle, frantoi e alloggi per i lavoratori. Ma fu soprattutto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che il complesso raggiunse il suo massimo sviluppo. 
In questo periodo, la Masseria Accetta Grande assunse le sembianze di un vero centro organizzativo della vita agricola locale

Veduta della Masseria Accetta
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi
L'ambiente era ordinato e funzionale. Da una parte, il cuore produttivo: i frantoi (tra cui un trappeto ipogeo), i magazzini per grano e sementi, il palmento per la vinificazione, le stalle e i recinti per gli animali. Dall’altra, gli ambienti destinati alla vita quotidiana: la residenza del massaro, le camerate per i braccianti stagionali — separate tra uomini e donne — e una piccola cappella dedicata a San Benedetto, situata poco fuori dall’abitazione principale. Ogni angolo aveva una funzione precisa e tutto concorreva a garantire l’autosufficienza e l’efficienza del sistema agricolo. 
Una stalla
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

Il trappeto
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

I “contadini residenti” erano coloro che vivevano stabilmente nella masseria, lavorando la terra come mezzadri o braccianti agricoli. Il proprietario forniva terra e strumenti, mentre i contadini coltivavano e dividevano i raccolti: un sistema che creava un forte legame di comunità e appartenenza.
Residenze dei lavoratori
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

           Fonti: 

👉Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi, "Masseria Accetta Grande, Un ecomuseo delle masserie nel territorio delle gravine, per un ritorno sostenibile alla terra", Università degli Studi di Torino
👉Cosimo Mottolese, "La masseria di Accetta"
La vita sembra sorridere a Donato e a Vita Maria: un lavoro in una grande azienda agricola, un bambino in arrivo.
Dieci mesi dopo il matrimonio, il 5 novembre 1884, nasce Pietro.
A denunciarne la nascita è una filatrice cinquantenne di nome Candelora Paciulli, "per avere assistito al parto di Maria Vita Magazzino, ed in luogo del marito che non ha potuto denunciarla perché assente dal villaggio".
Nell'atto Donato risulta "trainiere, di Statte".
Il trainiere conduceva carri trainati da animali per il trasporto di merci o persone, soprattutto su lunghe distanze.
Il manto gelido del destino
A questo punto però il destino decide di non sorridere più.
Tredici giorni dopo, il 18 novembre alle 7.35 del mattino, Vita Maria muore, forse a causa di complicazioni post partum. Già un’ora e mezza dopo, due testimoni si presentano al comune per denunciarne il decesso: Donata Lanzi e Angelo D’Arcangelo, probabilmente un parente di Donato.
L'inverno cala il suo manto gelido sulla giovane famiglia in maniera ancora più crudele. Nella notte del 1° dicembre si spegne anche il piccolo Pietro. A comunicarne la morte è Giovanni Magazzino, registrato come "contadino": possiamo comunque ipotizzare che sia il nonno materno.

In due settimane Donato ha perso la moglie e il figlio.
Forse, col pensiero rivolto a Vita Maria e al piccolo Pietro, entra per una breve preghiera in questa cappellina della Masseria Accetta:
La cappella
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi
Poi raccoglie le sue cose, ne fa un fagotto e parte insieme ai genitori, per ricominciare altrove. Nel suo cuore, la speranza di una nuova primavera.

1- continua

🙏Un sentito ringraziamento alle dottoresse Silvia Palmisano e Marianna Rita Parisi, che hanno concesso l'utilizzo delle informazioni e delle foto contenute nella loro tesi.
A loro, il blog "la ràdica" rivolge l'augurio di realizzare l'obiettivo che la tesi si pone: promuovere il territorio della “Terra delle Gravine” e farlo riconoscere come ecomuseo, con al centro la Masseria Accetta.

🙏Grazie a Gina D'Arcangelo, che con generosità ha condiviso ricordi, aneddoti e volti della sua famiglia. Il suo contributo è stato determinante per dare vita a questo nostro “romanzo familiare”, che continueremo a raccontare nei prossimi post.

Per approfondire
Oltre alla tesi e all'articolo citati, ecco un video, consultabile su YouTube, dedicato alla Masseria Accetta Grande.
Gli atti tratti dai registri anagrafici sono stati consultati su www.antenati.cultura.gov.it

G.V.

04 ottobre 2025

ZIO CICCHIELLO, MAESTRO DEL COMMERCIO

Avevo dodici anni e portavo la croce.
Non in senso metaforico, per fortuna; era quella di metallo che portavamo ai funerali.
Era metà settembre. Pochi giorni prima, un paese sconvolto aveva salutato un giovane operaio morto sul lavoro.
Ora ero lì, nel prefabbricato vicino alla chiesa, insieme a don Domenico. Mentre attendevo, mi colpì un quadro, esposto all'ingresso, con l'orgoglio di un antico mercante. A distanza di decenni, lo ritrovo grazie ai nipoti e ammetto che è come se ritrovassi un frammento della mia infanzia, vissuta nei prefabbricati dopo il terremoto:
Francesco Miranda era morto a novanta anni. 
Era nato il 3 novembre 1898, terzo figlio di Ferdinando e di Rosa
Ripercorriamone la vita, tra le armi, il commercio e la famiglia.

In divisa
Francesco alla visita militare dichiara di svolgere la professione di carrettiere; in un'annotazione leggiamo che sa scrivere.
È chiamato alle armi il 22 marzo 1917; tre mesi dopo risulta allievo nella scuola Bombardieri. 
La scuola Bombardieri era un reparto di addestramento dell’Esercito Italiano durante la Prima guerra mondiale, dove i soldati venivano istruiti all’uso di bombe a mano, mortai leggeri e altri ordigni da campo.
A metà luglio Francesco giunge in territorio dichiarato in stato di guerra e per un breve periodo è caporale. Il 22 settembre è nel 21° Reggimento Artiglieria da campagna.
Era un'unità specializzata nell’artiglieria da campo. I suoi soldati manovravano cannoni leggeri e medi, utilizzati per sostenere la fanteria sul fronte, bombardare posizioni nemiche e proteggere truppe e fortificazioni. 
A novembre è nel Deposito Bombardieri.
Nel giugno 1919, dunque a guerra finita, Francesco viene ricoverato nell'ospedale militare n. 11 a Chioggia e poi inviato in licenza di convalescenza per 90 giorni, fino a settembre.
Nel mese di ottobre è inviato in congedo illimitato, dopo aver ricevuto il pacco in stoffa
Il pacco in stoffa serviva per il rientro nella vita civile: dopo la guerra, il soldato che tornava a casa poteva confezionarsi un vestito. Sicuramente nella famiglia Miranda avranno valutato con i loro occhi esperti la qualità della stoffa ricevuta dall'Esercito Italiano.
Nell'agosto del 1920 Francesco risulta caporale nell'8°Artiglieria di campagna. 
Ottiene la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e aver servito con fedeltà e onore.

Francesco ed Elvira
Francesco ("negoziante") sposa Elvira Sica il 7 aprile 1932 (l'orario è preciso e curioso: 16 e 40). Elvira è figlia di Francesco e di Rosa Falcone. 

La seconda guerra mondiale
Pochi giorni prima dell'entrata in guerra dell'Italia, Francesco Miranda è richiamato alle armi dal Comando del XVII Corpo d'armata di Napoli.
Il 3 giugno 1940 lo troviamo però ricoverato nell'ospedale militare di Napoli; tre giorni dopo viene dimesso perché riconosciuto non idoneo e inviato in licenza di convalescenza di 90 giorni. Nel mese di ottobre viene ricollocato in congedo.
Tecnicamente, sia pure per pochi giorni, ha partecipato anche alla Seconda guerra mondiale.

Tra famiglia e commercio
Seguendo le orme del padre, Francesco dedicherà la sua vita al commercio dei tessuti, portando il suo carro di paese in paese nella Valle del Sele.
Se questa ruota potesse parlare, racconterebbe tutte le strade polverose che ha percorso, ancora prima dell'asfalto. A chi sa ascoltarla, parla comunque: della fatica, della dedizione al lavoro, dell'abnegazione che hanno accompagnato ogni viaggio, nelle giornate di lavoro che idealmente si concludevano nel momento in cui Cicchiello -come lo chiamavano tutti a Valva- con il suo carro, svoltava la curva in località Serre e la moglie Elvira capiva che era l'ora di mettere la pentola sul fuoco. 
Nella famiglia Miranda non mancano i momenti difficili. Uno, terribile, è la morte della piccolissima Clara.
Una ferita che continuerà a sanguinare nel cuore dei genitori è sicuramente la morte della figlia Michelina (nata il 27 aprile 1940), in seguito ad un'operazione chirurgica affrontata nella speranza di guarire da un problema al piede. 
I valvesi la ricordano come una ragazzina molto bella, sempre con le trecce.
Di lei abbiamo trovato la pagella scolastica, datata 3 luglio 1948 e firmata dal maestro Teodorico Corona.
Una scena di vita quotidiana d'altri tempi ci viene restituita dai ricordi che abbiamo raccolto. 
La stalla del cavallo è in zona Pistelli sotto Chiesa, vicino alla casa del cosiddetto "Cunticcje".  
Quando portano al cavallo la crusca da mangiare, Ferdinando (figlio di Francesco) e Michele (figlio di Rosa, cugina di Ferdinando) ogni tanto mangiano le "suscelle", il frutto del carrubo, un baccello dolce e nutriente. In un piccolo gesto c'è il sapore della festa di paese: le "suscelle" infatti erano vendute alle bancarelle ed erano molto amate.

Gli ultimi anni
Francesco ed Elvira trascorreranno in serenità l'ultimo periodo della loro vita.
Eccoli posare con dignità e orgoglio nel loro prefabbricato, in una foto degli anni Ottanta:
In questa altra foto di pochi anni prima, nel periodo immediatamente successivo al terremoto del 1980, zio Cicchiello sembra indicare la strada per la rinascita:
Un filo che unisce le generazioni dei Miranda
Idealmente, il carro di zio Cicchiello si collega a quello con il quale suo padre Ferdinando alla fine dell'Ottocento era arrivato a Valva, per stabilirvisi insieme alla moglie Rosa.
Da quella decisione sarebbe nata una famiglia che avrebbe dato vita a una piccola epopea di mercanti, percorrendo le vie e i mercati della Valle del Sele.
A questa famiglia abbiamo dedicato il nostro piccolo romanzo, in tre capitoli; i due precedenti pubblicati nel nostro blog sono stati: Il carro del mercante: l'arrivo dei Miranda a Valva, dedicato al capostipite Ferdinando e a sua moglie Rosa; Eugenio, la stoffa del mercante, dedicato al figlio maggiore.
La ricerca  condotta per realizzare questo nostro piccolo omaggio ci ha permesso di reperire materiale prezioso, che potrà servire per raccontare altre storie legate a Corso Umberto I e alla zona nota come "Pistelle sotto Chiesa".
Può valere come esempio questa bella foto, scattata a pochi metri dalla casa di Francesco, in cui vediamo la compianta figlia Irma:
Le strade e la polvere, il mercato e il ritorno a casa, le gioie che riempiono il cuore e il dolore che non passa. Quasi un forziere di esperienze che resta nella memoria della famiglia Miranda e, attraverso di essa, in quella di Valva.

Un caloroso ringraziamento alla nipote Isabelle per la sua costante e appassionata collaborazione: oltre a fornirci informazioni e foto della famiglia Miranda, ha coinvolto le cugine Maria Grazia ed Elvira, insieme agli zii Ferdinando e Carmela, permettendo di arricchire ulteriormente il nostro racconto con preziosi dettagli e ricordi.
G.V.