La festa di San Vito è ricca di significati antropologici,
anche legati alla tradizione religiosa valvese.
Un noto proverbio diffuso nel Sud Italia dice:
A San Vito ogni mugliera vatte ‘o marito
(A San Vito ogni moglie picchia il marito)
È un proverbio d’ispirazione carnevalesca; mi fa pensare alla 'libertas Decembris', che nell’antica Roma caratterizzava i 'Saturnalia': nei giorni dal 17 al 23 dicembre, infatti, in ricordo dell'età dell'oro veniva lasciata allo schiavo la libertà di prendere in giro il padrone, impartendogli ordini per un giorno.
Era una sospensione temporanea dell’ordine abituale della società, in cui le regole abituali venivano sovvertite per un giorno, per poi tornare alla normalità il giorno successivo. Una "libertà controllata", quasi una valvola di sfogo collettiva.
In una sua satira, il poeta Orazio dice al suo schiavo:
Di’ pure: ti serva di schermo la libertà decembrina, dacché la sancirono gli avi
Alla festa di San Vito è legato anche il fenomeno del
tarantismo.
San Vito era infatti considerato il santo protettore delle
persone morse dalla taranta, il mitico ragno che si credeva fosse responsabile
di crisi isteriche, convulsioni e stati di trance, soprattutto nelle donne.
La pizzica tarantata era la danza frenetica utilizzata come
rito di guarigione, accompagnata da musica ritmata e tamburelli.
Così la descrive Vinicio Capossela, nella sua celebre
canzone "Il ballo di San Vito":
Le nocche si consumano, ecco iniziano i tremori
Della taranta, della taranta, della tarantolata...
Durante queste estasi coreutiche, San Vito veniva invocato
come figura sacra, capace di intercedere e portare sollievo.
Anche questo rito costituiva una sospensione delle norme,
una forma di espressione corporea e spirituale in cui il corpo femminile
trovava un canale per comunicare tensioni interiori, disagi sociali e dolori
repressi.
La data non è casuale: a San Vito inizia il periodo della
mietitura, un momento decisivo nel calendario agricolo.
“A San Vito ogni moglie picchia il marito”.
Il potere si rovescia, la donna conquista il centro della scena, con il suo ritmo sfrenato, come una menade al ridestarsi dei riti in onore di Dioniso.
Nella foto – tratta da Valva Foto Storiche di Valentino Cuozzo – la statua di San Vito è portata in processione accanto a quella di San Michele. Con ogni probabilità, l’immagine si riferisce alla festa di quest’ultimo, patrono di Valva.
I due santi sono uniti in una suggestiva leggenda locale, legata alla figura della cosiddetta “zingara” che avrebbe contaminato l’acqua di una delle due vasche della Grotta di San Michele, lavandovi i panni e scatenando così la maledizione del santo: “Grano in Puglia e felci a Valva”.
La tradizione racconta però anche dell’intervento di San Vito in favore del popolo valvese, che avrebbe mitigato la maledizione con le parole: “Lasciane un po’ per il mio cane”.
E così, se a Valva ancora oggi cresce il grano lo dobbiamo proprio all’intercessione di San Vito
G.V.