Una cartelletta rossa, di quelle da ufficio con la copertina rigida e l'elastico.
La apro pensando di trovare documenti militari e magari qualche informazione più precisa di quelle che ho su Gelsomino Cuozzo, ma mi bastano pochi secondi per capire che in mano ho molto di più.
È un piccolo museo della guerra e della prigionia in un Lager tedesco a Vienna.
Vedo e tocco con mano testimonianze che avevo visto solo dietro a una teca al museo.
Mi colpiscono innanzitutto gli esemplari di Lagergeld, la valuta dei Lager (e dei ghetti) nazisti.
La apro pensando di trovare documenti militari e magari qualche informazione più precisa di quelle che ho su Gelsomino Cuozzo, ma mi bastano pochi secondi per capire che in mano ho molto di più.
È un piccolo museo della guerra e della prigionia in un Lager tedesco a Vienna.
Vedo e tocco con mano testimonianze che avevo visto solo dietro a una teca al museo.
Mi colpiscono innanzitutto gli esemplari di Lagergeld, la valuta dei Lager (e dei ghetti) nazisti.
Così gli storici Marco Avagliano e Marco Palmieri, nel loro I militari italiani nei Lager nazisti-Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, presentano il tema della moneta all'interno dei campi:
Quanto al salario, laddove riconosciuto, è pari a circa il 60% di quello percepito dai lavoratori non qualificati tedeschi, ma di solito è pagato in moneta spendibile solo nei campi e negli spacci aziendali (Lagermark o Lagergeld) che valgono la metà della valuta corrente. Oltre la metà del compenso inoltre viene versata dal datore di lavoro al lager di appartenenza del prigioniero per le spese di mantenimento, di alimentazione e di custodia. Sono poi previste trattenute per tasse, assistenza e copertura previsenziali pari a un altro 20%. Quel poco che resta può essere speso dagli internati per acquistare beni come birra, saponette e in qualche caso sigarette, ma non cibo, tant'è vero che "non si riesce nemmeno" -annota il soldato Saverio Barletta [...] - a spendere tutti i soldi". [Avagliano-Palmieri, op. cit., pag. 203]
Trovo anche una fotocopia non molto chiara, ma comunque leggibile; è probabilmente una targhetta col nome del Lager: Stalag XVII A, nei pressi di Vienna.
Dal sito del museo dello Stalag di Kaisersteinbruch ricaviamo queste notizie sulla storia del Lager XVII A e le due foto che pubblichiamo:
Il Lager XVII A è quello di Kaisersteinbruch nel distretto di Neusiedl/See.Prima ospita prigionieri francesi, ai quali si aggiungono, poi i russi e -dal settembre 1943- gli italiani.Nel settembre 1944 il Lager raggiunse il numero più alto di internati militari italiani: oltre 15.500.Nel 1945 la Croce Rossa Internazionale registrerà oltre 26mila prigionieri totali (nel gennaio 1941 il campo aveva raggiunto la sua capacità massima: 73.583 soldati, 970 ufficiali e 220 civili).
La fede per resistere
Ecco una foto che documenta una celebrazione liturgica:
A proposito di preghiera, nella cartelletta museo di Gelsomino Cuozzo troviamo un'immaginetta di Sant'Antonio:
Il "Breve di S. Antonio" è un'invocazione che secondo alcune biografie sarebbe stata dettata dal Santo a una donna, per superare le tentazioni diaboliche, compreso il suicidio. Papa Sisto V la fece scolpire alla base dell'obelisco che si trova in piazza San Pietro. fonte
Possiamo immaginare che questa breve invocazione abbia fatto compagnia a Gelsomino e a tanti suoi commilitoni e compagni di prigionia.
Nel recente e preziosissimo lavoro dello storico Mimmo Franzinelli, Schiavi di Hitler (Mondadori), leggiamo questa testimonianza di padre Silvino Azzolini, cappellano degli italiani nella zona di Vienna:
Dopo essere stati disarmati venivano trasportati in vagoni di bestiame con scarsissimo vitto nei campi concentramento centrali, denominati Stammlager, o più brevemente Stalag, ove venivano spogliati di ogni cosa personale, persino delle catenelle e dei ricordi più cari della famiglia.Brutalmente trattati senza alcuna osservanza delle leggi internazionali per i prigionieri, venivano spesso sottoposti a stringenti interrogatori perché aderissero al nuovo governo. Ma pochissimi cedettero a simili richieste, anche se minacciati di battiture e di digiuni. [...]In un primo tempo veniva anche lor assolutamente proibito qualsiasi conforto religioso. Moltissime e assai frequenti furono le loro richieste per avere un cappellano, ma il rifiuto era persistente. Solo dopo alcuni mesi un certo numero di cappellani prigionieri internati furono messi a disposizione dei diversi campi di concentramento. [Mimmo Franzinelli, op. cit., pagg. 234-35]
L'apostolato dei cappellani si esercitò quasi esclusivamente tra gli ufficiali; in molti Lager per soldati, infatti, si vieta la permanenza di cappellani nel timore che possano orientare in senso antifascista gli internati militari italiani. Ad esempio, padre Guido Cinti lamenta che è vietato parlare con i soldati: può solo celebrare la messa domenicale, sotto il controllo di un interprete tedesco.
Particolarmente significativa ci sembra questa riflessione di Mimmo Franzinelli:
La fede religiosa può conferire una forza interiore che rinsalda lea decisione di tener testa alle persecuzioni e continuare a resistere. [Mimmo Franzinelli, op. cit., pag. 233]
Un sentito ringraziamento al signor Angelo Cuozzo, che ci ha consentito questo viaggio nei ricordi di suo padre Gelsomino.
Approfondimento
Alla vicenda di Gelsomino Cuozzo abbiamo dedicato il post Gelsomino, da Creta alla prigionia in Germania
G.V.