Domenica 29 novembre si avvicina, la statua è ormai pronta anche se ancora coperta da un lenzuolo bianco.
Qualcuno, però, è già deluso. Il sindaco Valletta, per esempio.
Stamattina ha ricevuto il telegramma del Prefetto: ringrazia per il cortese invito, certo, ma annuncia che non potrà intervenire “per motivi di salute”. In compenso, ha autorizzato l’arrivo di una fanfara reggimentale.
«Sarà comunque una bella cerimonia -pensa il sindaco- ne abbiamo tutti bisogno».
Ne ha bisogno soprattutto lui. Vive un periodo molto difficile. E’ dal 1923 che il contrasto con la sezione valvese del Fascio è diventato un caso politico a livello provinciale. In paese c’è tensione, nemmeno la realizzazione del monumento è riuscita a pacificare del tutto Valva.
Don Antonio Cappetta, invece, è emozionato.
Pensa all’arrivo dell’ospite d’onore, al momento in cui gli stringerà la mano, alle parole che vorrebbe dirgli. E nel frattempo, mentre tutta Valva si prepara al grande giorno, lui ripassa nella mente ciò che dirà all’oratore.
L’oratore ufficiale
Chiamato dal Generale Cadorna nel giugno 1915, Semeria ha abbandonato le sue precedenti posizioni pacifiste e ha collaborato attivamente alla macchina bellica.
| Ritratto di padre Giovanni Semeria; fonte |
Svolge un’intensa attività oratoria, promuovendo tra i
soldati le ragioni patriottico-religiose della guerra. È un
vulcano di iniziative: organizza conferenze, lotterie, gare di poesia per
sollevare il morale.
| Padre Semeria organizza una lotteria al fronte; fonte |
In un suo articolo scrive:
«È dolce ed è bello - è una morte estetica questa del soldato. La morte nel letto è prosaica, è volgare: la morte nel campo è poetica, è sublime. Il sangue purpureo non macchia, come il pus delle malattie. L’atto di cogliere quasi al volo la morte è più nobile di chi se ne lascia volgarmente sorprendere, schiacciare. L’inno funebre che si leva spontaneo da ogni letto di morte si trasforma davanti a questa morte bella per il suo eroismo in un inno, poema trionfale. Ha più l’aria di essere entrato nella immortalità il guerriero sacrificatosi per la patria che di essere partito dalla terra, che di avere perduta la vita.
Il Cristianesimo, che non rinnega in ciò che ha di spontaneamente nobile la natura umana, il Cristianesimo, che non soffoca l’amor di patria, ammette la bellezza e la gioia del sacrificio compiuto per la difesa e il buon diritto di Lei. Anche su cristiane labbra, anche lungo i cristiani secoli echeggia il grido dulce et decorum est pro patria mori».1
Padre Semeria parla ai soldati; fonte |
La crisi interiore e la rinascita operosa
Non è stato semplice. Ha rischiato il baratro, ha vissuto il tracollo.
Nel novembre 1915 ha avuto un esaurimento nervoso. Il Generale Cadorna, che lo stima, ha detto di lui: “da un lato deve predicare la guerra e dall’altro è inorridito dagli orrori della guerra”.
| Padre Semeria con il Generale Cadorna e Gabriele d’Annunzio; fonte |
Non si limita a celebrare il sacrificio: guarda già al futuro. Vuole impegnarsi per una società migliore, quando la guerra finirà. Ha un progetto chiaro in mente: carità concreta, educazione cristiana e senso del dovere civile, con l’obiettivo di contribuire al futuro della società italiana a partire dai più deboli.
Così lo ha presentato al Papa, Benedetto XV, nel 1917:
Orfano io stesso di padre per la guerra del 1866, verso gli orfani di questa immane guerra mi sento personalmente inclinatissimo. Ma fra tutti gli orfani, degni di speciale pietà e più operosa, paionmi gli orfani dell’Italia Meridionale, perché questa, della guerra ha risentiti tutti i danni, pagando larghissimo il tributo di sangue, ma non ha quasi risentito quei vantaggi economici che hanno reso meno triste il fenomeno per le province dell’Italia Settentrionale. È pure giustizia che gli uomini del Nord si pieghino verso il Sud e non a parole, ma con fatti, portando laggiù capitale di energie pedagogiche e di denari. Più in specie, bisognerà educare i figli orfani dei contadini, educarli in modo che rimangano affezionati alla terra, e a quella loro terra che già prima della guerra troppi abbandonavano, attirati dal miraggio della emigrazione.
[…] Né va obliato che i nostri avversari — i figli delle tenebre, più industriosi dei figli della luce — si sono subito gittati all’opera della educazione degli orfani dei contadini, fiutando la forza morale e politica che proprio essi, i contadini, saranno nel domani della società italiana. Io poi individualmente crederei di non poter spendere meglio i pochi anni che forse ancora mi restano di vita, che dedicandomi a tale opera: educazione semplice, sana, cristiana degli orfani di guerra in qualcuna delle più derelitte provincie dell’Italia Meridionale... Calabria, ad esempio, o Basilicata.2
In guerra, padre Semeria aveva promesso ai soldati che non avrebbe dimenticato i loro orfani. Finito il conflitto, con il suo amico don Giovanni Minozzi ha fondato l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia per l’assistenza agli orfani di guerra, una rete di orfanotrofi, scuole e centri di formazione per aiutare orfani e poveri nelle regioni meridionali.
Padre Semeria inaugura un orfanatrofio in Italia Meridionale; fonte |
| Padre Semeria con due piccoli orfani |
Ha deciso di curare le ferite della guerra.
Don Antonio Cappetta e il ricreatorio di Valva
Mentre Semeria porta sulle spalle il peso di una guerra e il sogno di un’Italia nuova, a Valva don Antonio Cappetta lo attende con trepidazione.
Le parole da dire, il tono da usare, i gesti.
A padre Semeria presenterà l’opera che più gli sta a cuore, forse gli mostrerà anche la lettera del Regio Provveditore agli studi.
In segno riconoscenza “della importante raccolta di oro fatta in codesto comune, tra i buoni cittadini che hanno mostrato tanta fiducia in lei e tanto amore verso la Patria”, il provveditore aveva messo a disposizione del ricreatorio di Valva la somma di 500 lire, “da servire per l’assistenza scolastica ai figli dei militari chiamati alle armi”.
Don Antonio ha avuto l’incarico di dar vita a un’istituzione “che sarà più specialmente utile ai figli dei soldati d’Italia”, provvedendo a dare ai bambini
la refezione calda, o fredda che sia, intrattenendoli nella scuola o fuori di essa, anche in ore che non sieno dell’obbligo scolastico con esercitazioni varie e didattevoli, togliendoli ai pericoli della via e dando agio alle madri, specialmente in questi mesi di gravi lavori pei campi, di attendere con più serenità alle loro occupazioni.
Don Antonio si è informato.
Sa che padre Semeria in guerra era famoso perché riusciva a procurarsi cibo di qualità e arrivava ai banchetti degli ufficiali con ricche provviste; era un provvidenziale seminatore di gioia in un ambiente cupo.
Quando incontrerà padre Semeria, don Antonio potrà presentargli tutto ciò che ha costruito negli anni più duri della guerra: il ricreatorio, l’assistenza, e quei bambini che oggi sono già ragazzi, qualcuno quasi adulto.
Durante la guerra, un mattino sua madre lo ha svegliato presto e gli ha detto di andare a lavorare con lei. Infatti, il marchese Francesco d’Ayala Valva aveva deciso di assumere tutti i bambini che hanno il padre al fronte.
Angelo Michele confesserà che lui e gli altri bambini erano così piccoli che hanno trascorso le giornate giocando e correndo nelle terre del marchese ma hanno avuto comunque la loro paga, che hanno consegnato alle loro madri per tirare avanti in quegli anni difficili.3
Don Antonio coglierà l’occasione per sottolineare la bontà di sua eccellenza il marchese.
Il sindaco Valletta insisterà sicuramente sulle “cospicue offerte” del marchese e sulla donazione del terreno per il Monumento ai Caduti.
Don Antonio pensa che si concentrerà su altro. Magari parlerà delle corse dei bambini nei campi, della dignità delle loro madri, spose di soldati al fronte.
Non è solo un sacerdote, è anche un insegnante elementare: a lui interessa che i bambini vengano tenuti per più tempo possibile lontani dai pericoli della via, come gli ha scritto il Provveditore, proprio nei mesi in cui padre Semeria scriveva addirittura al Papa.
Ma questo, don Antonio non può saperlo. Sa però che è una personalità illustre, che parla bene, sa fare emozionare le persone, piangere i soldati, sospirare le spose e le madri. Sa che è stato molto stimato dal Generale Cadorna. Sa anche che in passato ha avuto problemi con la Chiesa, per vie di alcune idee che sono state sospettate di modernismo; ma è acqua passata, c’è stata la guerra, la storia è andata avanti veloce.
La parola fa battere il cuore e conquista la mente.
L’oratore illustre dirà ai valvesi che è possibile conciliare la fede con la patria in armi.
Non è stato semplice per lui conciliare i due aspetti, ma dopo la crisi e la rinascita, ci è riuscito. Ora lo dirà ai valvesi, che lo accoglieranno con vivi applausi e con gli occhi lucidi.
Forse ripeterà le parole che ha scritto in suo libro, che don Antonio Cappetta ha letto:
Non piangete, non piangiamo quelli che sono morti piamente così… in osculo Domini. Poiché il morire è una necessità, lodiamo il Signore che ad essi sia toccata questa morte caritatevole. Beati mortui qui in Domino et quia in Domino mortui sunt.4
Sì, don Antonio Cappetta è proprio emozionato.
Mancano pochi giorni e, mentre il lenzuolo bianco continua a coprire la statua come un segreto, don Antonio ripassa mentalmente ogni parola.
1- Continua
2 Lettera citata in: Filippo M. Lovison, cit.
3 Per la storia dei bambini assunti dal marchese, si veda il post Il salariato del marchese, Gozlinus
4 G. SEMERIA, Sulle tombe dei nostri morti cit., pp. 6-7, in: Filippo M. Lovison, cit.