29 novembre 2024

LA MEMORIA E' UNA CASA CHE ATTENDE ANCORA -Il monumento ai caduti di Senerchia

Oggi sono a Senerchia.
Attendo che finisca il mercato per scattare qualche foto al monumento ai caduti.
Al bar c'è un gruppo di francesi, immagino emigrati di seconda generazione. Chissà se capiscono quello che sentono al bar o in piazza, chissà se hanno ancora nonni e parenti a Senerchia o se sono qui solo perché usano la casa di famiglia come punto di appoggio. 
Ci sono anche alcuni turisti, forse della città: chiedono conferma che non si può accedere alla cascata (Oasi Valle della caccia) e la accolgono con una certa incredulità. Non dovrei dirlo, ma un po' mi consola sapere che anche negli altri comuni non tutto  funziona, almeno a livello di comunicazione, e che anche altri viaggiatori partono un po' impreparati (ne so qualcosa: il mese scorso sono andato in provincia di Treviso per visitare il sacrario di Fagaré e l'ho trovato chiuso, anche se Google diceva il contrario).
Nell'attesa che le ultime bancarelle "raccolgano i ferri" -come ancora si dice da queste parti- faccio un giro verso il paese vecchio.
Una cena interrotta
Forse Senerchia è una cena interrotta, un uscio lasciato aperto in attesa di un ritorno che non c'è più stato.
Ho questa impressione mentre fotografo alcune abitazioni vicino alla piazzetta del Borgo Antico, un tempo piazza Umberto Primo.

Una bottiglia.
Forse è questa l'immagine che io ho del terremoto.
Ricordo quella rovesciata sul tavolo a casa mia, durante l'ultima cena in quel mondo di prima. E poi la fuga.
A Senerchia ho la rappresentazione fisica di che cos'è un paese di prima.
In tutti i comuni di questa valle c'è un prima e un dopo: il 23 novembre 1980.
Qui, dopo quella data la vita è cresciuta accanto, più giù; questo è rimasto un paese santuario, un presepe nel quale cresce l'erba.

Gli usci aperti mi trasmettono una sensazione struggente. Immagino persone scappate quella domenica sera, senza essere più tornate a raccogliere le proprie cose.
Come un eroe antico
Torno nella Senerchia di oggi, dove ormai le bancarelle sono andate via e le persone tornano a casa per il pranzo; vedo famiglie con genitori che parlano ai figli in francese. 
Accanto al bar c'è il monumento ai caduti.
Le nuvole sembrano volermi fare un regalo: un fiocco bianco, quasi uno sfondo poetico al gruppo scultoreo in bronzo che rappresenta un soldato con una bomba in mano mentre sorregge un compagno ferito che stringe una bandiera.
E' un'allegoria: un soldato della Grande Guerra raffigurato come un eroe antico. E' la celebrazione del sacrificio, della forza giovane: le tracce della retorica del tempo sono evidenti, eppure non ho l'impressione di una scena fredda, di maniera. In fondo, così ai sopravvissuti è piaciuto immaginare i loro compaesani caduti: forti, fieri, protesi in avanti dove il destino e la patria li chiamavano. Se non è dolce morire per la patria -morire non è mai dolce- che sia almeno riconosciuto ai caduti il diritto a essere ricordati in un atteggiamento eroico, penso.
I caduti
Il monumento ricorda 24 caduti della Grande Guerra e 13 della seconda guerra mondiale.
Risulta abbastanza agevole la ricerca dei caduti della prima guerra.
Alcuni di questi soldati sono caduti sul campo, anche in località celebri: Errico Antonio (risulta nato a Palomonte) sul Monte Cimone, nel settembre 1916; Gasparro Vincenzo sul Carso, nell'agosto 1917; Guarnaccia Michele ad Asiago, nel 1916; Papa Antonio sul Piave, nel giugno 1918 (la "Battaglia del solstizio"). Occorre un lavoro suppletivo per individuare il fronte sul quale sono caduti Amato Giovanni (nel 1916) e Gasparro Raffaele (nel 1917).
Mi colpisce l'alto numero di morti per malattia, in ospedali da campo o in città vicine al fronte: Boffa Martino, Boffa Giuseppe, Cozzi Giulio, Gasparro Pasquale (nel 1920, a Verona), Sessa Antonio, Sessa Michele (nel 1919, a Napoli, per postumi delle ferite), Trimarco Angelo Maria, Trimarco Antonio, Trimarco Sabato (nel 1915 a Cremona, per infortunio per fatto di guerra).
Due soldati sono morti a Senerchia, di malattia: Bracco Angelo (nel 1919) e Mazzone Generoso (nel 1917).
Tre soldati sono morti durante la prigionia: Cuozzo Francesco, Izzo Alessandro, Sessa Carmine.
Benedetto Angelo è morto in Francia.
Non ho ancora trovato notizie su tre caduti: Bracco Alberto, Cannone Giuseppe, Di Marco Gennaro.
Nell'Albo d'Oro due altri caduti risultano nati a Senerchia, ma non sono ricordati nel monumento (verosimilmente si saranno trasferiti e sono ricordati in qualche altro comune): Moscatiello Rofino, morto sul campo nel 1917; Trimarco Gelsomino, disperso in Libia nel 1915.
Prima di andare via, incontro Ersilia, una mia compagna di classe.
Beviamo un caffè e parliamo di vita e di morte, che in fondo sono gli unici argomenti che davvero contano.

Approfondimento

Il nostro viaggio tra i monumenti ai caduti nei comuni dell'Alto Sele ha già fatto tappa a Castelnuovo di Conza, a Santomenna e a Calabritto:

Monumenti ai caduti dell'Alto Sele, 4 continua

G.V.