23 ottobre 2025

CENT'ANNI DI GRATITUDINE, seconda parte

                                                                                                                                             100 anni  

Prosegue il nostro viaggio nel tempo insieme alla signora Giovanna Cuozzo, che da pochi giorni ha compiuto cento anni.
Nella prima puntata abbiamo ripercorso la sua nascita e la sua adolescenza, orientandoci con alcune immagini del nostro paese.


Sei bambina e poi ragazza, a Valva ci si prepara alla guerra.
Le lacrime delle madri e delle mogli che hanno perso un figlio o un marito in guerra non si sono ancora asciugate e già ci si esercita col pensiero rivolto alla guerra di domani. Anche a Valva e anche le ragazze.

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Gli uomini nella loro divisa fascista imparano a marciare, a obbedire agli ordini.

Tu vivi in casa, come fanno le donne del tuo tempo.
Cuci e rammendi, anche per i tuoi fratelli che vanno all’ “istruzione”.
Arriva la guerra.
Sei preoccupata per una persona a te cara, che non dà notizie.
Poi Pietro Nicola Falcone, il postino del paese, vi porta una lettera. Forse vai con tua madre in paese dalla signora Fernanda, la mastra, nel suo palazzo a lu munuzzar, a farvela leggere, o forse ti aiuta tuo fratello Giuseppe, più piccolo di te.

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Cercate di avere notizie anche di tuo fratello Michele, che è prigioniero in Africa.
È stato ferito a una spalla; per tutta la vita porterà una piccola scheggia di ferro nella schiena: la memoria nella carne.
Anche tuo cugino è prigioniero.

Poi arriva il settembre 1943.
Tu hai diciotto anni.
La guerra viene a trovarvi, qui a Valva. I tedeschi stanno per scappare, ma resistono; gli americani stanno per arrivare e bombardano. Le famiglie scappano in montagna e cercano rifugio anche nella grotta di San Michele o in altre località in cui si sentono sicuri, se in guerra si può essere sicuri.
Chissà se anche tu canti con le donne, per chiedere la protezione dell’Arcangelo, per chiedere il ritorno dei soldati, per ingannare la paura.
Hai nascosto i pochi spiccioli che avevi, sotto una pianta d’ulivo.
Come molti altri valvesi, anche tuo padre ha nascosto una cassa con la biancheria in una buca scavata nel terreno e coperta con le pietre.
In montagna avete portato un maiale, di notte; poi lo avete ucciso e lo avete condiviso con gli altri valvesi che avevano fame.
Tu non ti senti sicura. Hai una maglia rossa, hai paura che ti si veda dalla strada, chissà fin da dove.
Un tuo coetaneo muore ucciso da una mina tedesca, nascosta sotto in cinturone. Era qui con voi fino a ieri, oggi ha fatto una grande luce. Aurelio non tornerà più.
A volte torni in campagna con tuo padre. Non trovi più i polli, li hanno rubati i soldati, certamente. Vedi anche alcuni tedeschi vicino a un corso d’acqua, mentre si sentono i colpi secchi: ta ta ta, ripeti ancora il suono. Non se ne è mai andato dalla tua memoria, quel suono di guerra.
Tra le donne che piangono, ce n’è una che ha un figlio piccolo, che ha poco più di un anno. Lei è mia nonna, il bambino è mio padre.

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Anche da questa guerra, purtroppo, alcuni valvesi non tornano. Tu li hai conosciuti tutti, eri già una ragazza quando sono partiti. Conosci tutte le loro famiglie, forse hai avuto occasione di scambiare qualche parola anche con alcuni di loro. Forse in paese si è diffusa la notizia della loro morte, l’hai sentita in chiesa o mentre andavi in campagna una mattina o sei passata davanti al monumento.

Giacomo, morto in Spagna prima di tutti. Prospero, il medico, e Michele, rimasti sotto la neve della Russia. Michele, Michele e Ottavo caduti in Africa. Carmine, il figlio di zé Catarina, non è tornato dalla prigionia, lo hanno sepolto in Austria. Alfonso ed Enrico, caduti a Cefalonia. E poi ancora Francesco -il fratello di Marianna, la ragazza sfortunata di cui hai sentito parlare fin da bambina- un altro Francesco, due Giuseppe, Pasquale, morto avvelenato. E poi Michele e Raffaele, morti di malattia appena tornati dalla guerra.

Ormai sei già sposata quando insieme a tutta Valva attendi nel monumento il ritorno di Michele, che è partito a vent’anni e ha lasciato la moglie ed è tornato “in una cassetta di sapone”, come ha detto mamma Clelia tra le lacrime.

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Lavori nella villa del marchese, come tante ragazze di Valva.
La villa diventa sempre più bella. Proprio in questi anni vengono installate nel parco le statue più belle, quelle delle arti.
In questa foto, sei con due compagne che lavorano con te.
Alle vostre spalle, proprio davanti al villino, c’è un imballaggio di legno.

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Quando viene tolto l’imballaggio, si dischiude la bellezza:

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Il marchese lo hai conosciuto negli ultimi anni della sua vita.
Forse sei rimasta incantata il giorno in cui hai visto per la prima volta questa meraviglia:

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Ora ti lascio, il nostro viaggio nel tempo è finito.

Ma ti lascio in buone mani.
Qui ti aspetta un giovane, un tuo coetaneo, che secondo l’uso del tempo ti porta l’ammasciata, come si dice a Valva. Il messaggio per eccellenza: quello d’amore.
Tu sei curiosa.
Ora sento la tua voce centenaria che mi racconta la scena e io la immagino, perché la tua voce sa disegnare con le parole.
Le tue parole fanno rivivere i momenti, creano una scena.

“C’è un ragazzo che ti vuole.”
“Ma chi è?”
“Sono proprio io!”

E poi, la sorpresa. La tua sorpresa, che nessuna espressione in italiano renderà con più efficacia di questa tua frase, con la quale ancora oggi la ricordi: “Rumaniett tesa”, mi dici.

Grazie.

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Grazie alla nipote Rosanna per la preziosa collaborazione.

 

Le foto della Grotta di San Michele e dell'Emiciclo della Bellezza di Villa d'Ayala-Valva sono di Valentino Cuozzo. Le altre sono state tratte dal prezioso archivio di Gozlinus (alcune di queste sono state raccolte proprio da Valentino).

G.V.

18 ottobre 2025

CENT'ANNI DI GRATITUDINE -Un viaggio nella memoria con zia Giovannina

100 anni  

l’argento della tua canizie
rifulge nella luce dei sentieri

Un poeta rivede nella memoria suo nonno che coglie la frutta matura dagli alberi.
Amo molto questa immagine: l’argento dei capelli bianchi rifulge tra i sentieri illuminati. Mi fa pensare al passo lento e tranquillo degli anziani, che si muovono nella campagna amica. 
Forse hanno fatto un patto con le pietre del campo, come dice la Bibbia.
Lo penso degli anziani che conosco, al mio paese. Quelli che hanno molto o un po’ del mio sangue, parlano la lingua che abbiamo imparato col latte, io dopo di loro ma anche io come loro. Quelli che mi chiedono a chi appartengo.
Appartenere, appartenenza: l’italiano non riesce a rendere pienamente la potenza di queste parole. Non può usare ‘appartenenza’ per descrivere legami familiari o di sangue, ma solo per esprimere l’atto di far parte di un gruppo, di una comunità o di un’organizzazione. Quando gli anziani di Valva chiedono a un giovane ‘A chi appartieni?’, vogliono sottolineare il legame di responsabilità e cura che esiste in famiglia: non si tratta solo di far parte di un gruppo, ma di qualcuno che si prende cura di te perché sei di sua competenza.
Quando l’argento prende il posto dell’oro lucente nei capelli, suscita la malinconia dell’amante.
La divina Alida Valli però cantava:
Ma l’amore no
l’ amore mio non può
dissolversi con l’oro dei capelli.
Fin ch′io vivo sarà vivo in me
Solo per te.
In fondo, le persone giungono alla maturità con l’argento al posto dell’oro, ma il loro raccolto è il più abbondante.
Non a caso, quando la Bibbia vuole augurare una vita lunga e piena, scrive:

Te ne andrai in piena maturità, come un covone raccolto a suo tempo.

La vita di un anziano è un sentiero illuminato dall’esperienza.
Ho avuto la fortuna di incontrare più di dieci persone che hanno attraversato un secolo di tempo.
Questo racconto fotografico è un omaggio a loro, e in particolare a una donna forte e gentile che oggi compie cento anni: la signora Giovanna Cuozzo, per tutti noi zia Giovannina. 
La saluto da lontano, eppure idealmente sono con i suoi cari, con gli amici, con le autorità che si congratulano con lei per questo glorioso traguardo e le fanno sentire il calore e la gioia di tutti i valvesi.

Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Sono uomini e donne dai quali abbiamo ricevuto molto. L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo.  [Papa Francesco]
Con i loro racconti, sono gli anziani a guidarci all’indietro nel tempo; ci conducono per mano come quando eravamo bambini, ci portano in una terra che è diventata lontana anche per loro ma di cui ritrovano la strada, come un carraro ancora riconoscibile tra i campi. Che bella, la parola carraro: la mulattiera scavata dal passaggio del carro, una parola che evoca la vita rurale, i percorsi in campagna, ma soprattutto la lentezza del tempo.
Questa volta, vorrei essere io ad accompagnare zia Giovannina in questo viaggio nel passato e vorrei ricordare con lei uomini e donne di Valva che hanno raggiunto il suo stesso straordinario traguardo
Ci spostiamo nel tempo con una carrozza, come si conviene a una signora nel giorno del suo centesimo compleanno.
Anzi, la carrozza non fa per noi. A noi basta un calessino, come quello con cui don Gerardo veniva a Valva quando corteggiava donna Marietta:

Quest’estate non sono venuto a trovarti, zia Giovannina.
Quando mi vedi mi accogli come se fossi uno importante.
Non lo sono, ma accompagnarti in questo viaggio nel tempo è il minimo che possa fare per ricambiare il tuo affetto.
Andiamo, è tempo di ripercorrere il tempo.
Il 18 ottobre 1925 -forse lo hai scoperto dopo e ancora lo ricordi- è una domenica, giorno di San Luca. Una giornata sementina, come ricorda un proverbio: O molle o asciutto, per San Luca semina tutto.
Bisogna seminare, senza aspettare il tempo perfetto. Non si può più aspettare. Non è neanche Sant Savastan (quest’anno cade di martedì).
Forse tuo padre Antonio ha già finito il lavoro. Tua madre Maria Michela non ha potuto aiutarlo, quest’anno.
Chissà cosa vedono i tuoi occhi quando li apri la prima volta.
Credo zé Rebecca la levatrice, poi la tua mamma e le donne che sono venute ad aiutarla per il parto.
Nel paese in cui sei nata, il marchese ha deciso di ristrutturare il suo palazzo e farne un castello.
L'ultimo marchese, Giuseppe d'Ayala-Valva

Sul fianco sinistro della facciata principale, ha voluto metterci anche una bella torre, in stile normanno (perché i suoi antenati erano normanni); non è alta come la torre dalla quale si vede il mare, ma è bella. E’ molto bella. Solo pochi anni fa, ancora non c’era.

L’azienda del marchese produce vino e olio. L’amministratore, il cavaliere Ercole Pomes, non è di Valva ma da cinque mesi ne è diventato cittadino onorario: è in gamba e si fa voler bene in paese.
Via Porta del Niglio.
Un nome che mi ha sempre affascinato. Da bambino ci giocavo con mia sorella, ma non lo ricordo bene.
Tu sei nata in una casa di quel vicolo.
A registrare la tua nascita, al municipio è andato tuo padre; il sindaco era Vincenzo Valletta:
Chissà cosa vedono i tuoi occhi quando da via Porta del Niglio vai in chiesa per il battesimo.
Vorrei chiederti se la mia casa già esisteva, chissà com’era. C’era già l’arco che ricordo da bambino?
Forse quel giorno dopo la messa sei passata per la piazza, che ancora non è una vera piazza ma fra poco lo diventerà.
Anche lei è stata appena battezzata: l’hanno chiamata Piazza della Rimembranza, con una bella parola antica. Rimembranza significa ricordo, perché la piazza ricorderà a tutti i valvesi, a voi ai vostri figli e ai vostri nipoti, che bisogna ricordare. Ricordare il sacrificio dei giovani morti in guerra, ricordare che non si sono tirati indietro ma sono partiti e non sono più tornati. Alcuni di questi valvesi erano partiti per l’America, si sono arruolati nell’esercito americano e sono tornati in Europa a combattere; cinque di loro sono morti.
Passando per la piazza, vedi il monumento ai caduti.
Oggi vedi una statua con un lenzuolo; lo toglieranno solo tra quaranta giorni, a fine novembre.

Il monumento è pronto: grazie ai soldi raccolti dai valvesi emigrati in America, è stato costruito grande e bello. Per l’inaugurazione vogliono fare le cose in grande. Valva sa organizzare belle giornate di festa, quando si impegna. Ci saranno autorità civili e militari, anche un oratore importante. Il comitato per il monumento sta organizzando gli ultimi dettagli: manderà una macchina alla stazione di Contursi per accogliere il Prefetto di Salerno e accompagnarlo a Valva.

Ti porto dentro la tua infanzia, se vuoi.
Tu non vai a scuola.
Sono tempi difficili, soprattutto per le bambine. Alcune famiglie scelgono di mandare a scuola solo i maschi.
Molti di questi valvesi hanno la tua età, alcuni sono appena un po’ più grandi. La donna al centro è la signora Fernanda -la maestra del paese- con il braccio suo figlio:

Anche se nella foto non ci sei, li conosci tutti questi valvesi. Nessuno è valvese da più tempo di te e se tu non li ricordi non c’è nessuno che li ricorda più. Fai un piccolo sforzo, zia Giovannina, falli vivere ancora una volta.

Si allontanano sempre di più, ormai sono ombre nella memoria di Valva…



La foto delle coccinelle è di Valentino Cuozzo. Le altre sono state tratte dal prezioso archivio di Gozlinus (alcune di queste sono state raccolte proprio da Valentino).

 1- Continua
G.V.

09 ottobre 2025

LE RADICI E LA GUERRA - La famiglia D'Arcangelo, tra la Puglia e il mondo

Ogni famiglia ha le sue radici e a volte queste radici si intrecciano con altre storie, in terre lontane.
I D’Arcangelo, contadini della Masseria Accetta a Statte, Taranto, sono un esempio di resilienza: dalle campagne pugliesi a Valva, al servizio del marchese; dal lavoro nella mezzadria in una grande fattoria fino alle dure vicende della Seconda guerra mondiale - con due cugini prigionieri- e poi quelle dell'emigrazione in Argentina.
Questo è un racconto di terra e di guerra, di difficoltà e di forza.
Durante la Seconda guerra mondiale, due cugini – entrambi chiamati Donato D’Arcangelo – furono fatti prigionieri. 
Uno, figlio di Michele (classe 1917), catturato dagli inglesi in Africa e condotto prigioniero in Australia. L’altro, figlio di Pietro (classe 1919), catturato sul fronte greco e  poi internato militare in Germania.
Ci occuperemo delle loro vicende, ma prima facciamo un passo indietro e ripercorriamo le vicende della famiglia D'Arcangelo, da Taranto a Valva.

Un nome che porta a Taranto
Se inseguiamo il nome Donato D'Arcangelo a ritroso nel tempo arriviamo in Puglia.
Il 2 gennaio 1860 è un lunedì.
A Massafra, in provincia di Taranto, Pietro D'Arcangelo -contadino di 37 anni- e sua moglie Vitantonia Giuliana diventano genitori di un bambino, che chiamano Donato.
In una domenica di un altro inverno, il 20 gennaio 1884, a Crispiano, Donato sposa Vita Maria Magazzino, figlia di Giovanni e di Maria Rosaria Marzella, pastori.

Crispiano è diventato comune a sé nel 1881; prima dipendeva da Statte, dove nel 1859 è stato aperto un ufficio sezionale di Stato Civile. In un documento dell'azienda agricola del marchese di Valva, sul quale torneremo, Statte compare come il comune di nascita di Donato. Possiamo ipotizzare che la confusione sia dovuta al fatto che Donato si è trasferito a Statte per lavoro.

Nelle pubblicazioni di matrimonio leggiamo che gli sposi "da un anno a oggi [sono] residenti a Taranto". Firmano l'atto sia Donato sia Pietro.
Nell'atto di matrimonio, lo sposo e i suoi genitori risultano residenti in Masseria Accetta, a Statte.
La Masseria Accetta Grande è una storica masseria fortificata risalente al XVI secolo. In origine era un' azienda agricola con torre difensiva, magazzini e case di paglia. 
Più che un semplice luogo produttivo, essa rappresentava un piccolo mondo autonomo, organizzato attorno ai ritmi dell’agricoltura e della pastorizia, ma anche capace di ospitare la vita quotidiana di una comunità, con i suoi spazi per abitare, lavorare e pregare.
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

Già a partire dal Settecento, grazie a una serie di interventi promossi dalla congregazione degli Olivetani, la masseria iniziò a prendere forma come un complesso articolato, con corti, magazzini, stalle, frantoi e alloggi per i lavoratori. Ma fu soprattutto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che il complesso raggiunse il suo massimo sviluppo. 
In questo periodo, la Masseria Accetta Grande assunse le sembianze di un vero centro organizzativo della vita agricola locale

Veduta della Masseria Accetta
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi
L'ambiente era ordinato e funzionale. Da una parte, il cuore produttivo: i frantoi (tra cui un trappeto ipogeo), i magazzini per grano e sementi, il palmento per la vinificazione, le stalle e i recinti per gli animali. Dall’altra, gli ambienti destinati alla vita quotidiana: la residenza del massaro, le camerate per i braccianti stagionali — separate tra uomini e donne — e una piccola cappella dedicata a San Benedetto, situata poco fuori dall’abitazione principale. Ogni angolo aveva una funzione precisa e tutto concorreva a garantire l’autosufficienza e l’efficienza del sistema agricolo. 
Una stalla
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

Il trappeto
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

I “contadini residenti” erano coloro che vivevano stabilmente nella masseria, lavorando la terra come mezzadri o braccianti agricoli. Il proprietario forniva terra e strumenti, mentre i contadini coltivavano e dividevano i raccolti: un sistema che creava un forte legame di comunità e appartenenza.
Residenze dei lavoratori
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi

           Fonti: 

👉Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi, "Masseria Accetta Grande, Un ecomuseo delle masserie nel territorio delle gravine, per un ritorno sostenibile alla terra", Università degli Studi di Torino
👉Cosimo Mottolese, "La masseria di Accetta"
La vita sembra sorridere a Donato e a Vita Maria: un lavoro in una grande azienda agricola, un bambino in arrivo.
Dieci mesi dopo il matrimonio, il 5 novembre 1884, nasce Pietro.
A denunciarne la nascita è una filatrice cinquantenne di nome Candelora Paciulli, "per avere assistito al parto di Maria Vita Magazzino, ed in luogo del marito che non ha potuto denunciarla perché assente dal villaggio".
Nell'atto Donato risulta "trainiere, di Statte".
Il trainiere conduceva carri trainati da animali per il trasporto di merci o persone, soprattutto su lunghe distanze.
Il manto gelido del destino
A questo punto però il destino decide di non sorridere più.
Tredici giorni dopo, il 18 novembre alle 7.35 del mattino, Vita Maria muore, forse a causa di complicazioni post partum. Già un’ora e mezza dopo, due testimoni si presentano al comune per denunciarne il decesso: Donata Lanzi e Angelo D’Arcangelo, probabilmente un parente di Donato.
L'inverno cala il suo manto gelido sulla giovane famiglia in maniera ancora più crudele. Nella notte del 1° dicembre si spegne anche il piccolo Pietro. A comunicarne la morte è Giovanni Magazzino, registrato come "contadino": possiamo comunque ipotizzare che sia il nonno materno.

In due settimane Donato ha perso la moglie e il figlio.
Forse, col pensiero rivolto a Vita Maria e al piccolo Pietro, entra per una breve preghiera in questa cappellina della Masseria Accetta:
La cappella
foto di Silvia Palmisano - Marianna Rita Parisi
Poi raccoglie le sue cose, ne fa un fagotto e parte insieme ai genitori, per ricominciare altrove. Nel suo cuore, la speranza di una nuova primavera.

1- continua

🙏Un sentito ringraziamento alle dottoresse Silvia Palmisano e Marianna Rita Parisi, che hanno concesso l'utilizzo delle informazioni e delle foto contenute nella loro tesi.
A loro, il blog "la ràdica" rivolge l'augurio di realizzare l'obiettivo che la tesi si pone: promuovere il territorio della “Terra delle Gravine” e farlo riconoscere come ecomuseo, con al centro la Masseria Accetta.

🙏Grazie a Gina D'Arcangelo, che con generosità ha condiviso ricordi, aneddoti e volti della sua famiglia. Il suo contributo è stato determinante per dare vita a questo nostro “romanzo familiare”, che continueremo a raccontare nei prossimi post.

Per approfondire
Oltre alla tesi e all'articolo citati, ecco un video, consultabile su YouTube, dedicato alla Masseria Accetta Grande.
Gli atti tratti dai registri anagrafici sono stati consultati su www.antenati.cultura.gov.it

G.V.

04 ottobre 2025

ZIO CICCHIELLO, MAESTRO DEL COMMERCIO

Avevo dodici anni e portavo la croce.
Non in senso metaforico, per fortuna; era quella di metallo che portavamo ai funerali.
Era metà settembre. Pochi giorni prima, un paese sconvolto aveva salutato un giovane operaio morto sul lavoro.
Ora ero lì, nel prefabbricato vicino alla chiesa, insieme a don Domenico. Mentre attendevo, mi colpì un quadro, esposto all'ingresso, con l'orgoglio di un antico mercante. A distanza di decenni, lo ritrovo grazie ai nipoti e ammetto che è come se ritrovassi un frammento della mia infanzia, vissuta nei prefabbricati dopo il terremoto:
Francesco Miranda era morto a novanta anni. 
Era nato il 3 novembre 1898, terzo figlio di Ferdinando e di Rosa
Ripercorriamone la vita, tra le armi, il commercio e la famiglia.

In divisa
Francesco alla visita militare dichiara di svolgere la professione di carrettiere; in un'annotazione leggiamo che sa scrivere.
È chiamato alle armi il 22 marzo 1917; tre mesi dopo risulta allievo nella scuola Bombardieri. 
La scuola Bombardieri era un reparto di addestramento dell’Esercito Italiano durante la Prima guerra mondiale, dove i soldati venivano istruiti all’uso di bombe a mano, mortai leggeri e altri ordigni da campo.
A metà luglio Francesco giunge in territorio dichiarato in stato di guerra e per un breve periodo è caporale. Il 22 settembre è nel 21° Reggimento Artiglieria da campagna.
Era un'unità specializzata nell’artiglieria da campo. I suoi soldati manovravano cannoni leggeri e medi, utilizzati per sostenere la fanteria sul fronte, bombardare posizioni nemiche e proteggere truppe e fortificazioni. 
A novembre è nel Deposito Bombardieri.
Nel giugno 1919, dunque a guerra finita, Francesco viene ricoverato nell'ospedale militare n. 11 a Chioggia e poi inviato in licenza di convalescenza per 90 giorni, fino a settembre.
Nel mese di ottobre è inviato in congedo illimitato, dopo aver ricevuto il pacco in stoffa
Il pacco in stoffa serviva per il rientro nella vita civile: dopo la guerra, il soldato che tornava a casa poteva confezionarsi un vestito. Sicuramente nella famiglia Miranda avranno valutato con i loro occhi esperti la qualità della stoffa ricevuta dall'Esercito Italiano.
Nell'agosto del 1920 Francesco risulta caporale nell'8°Artiglieria di campagna. 
Ottiene la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e aver servito con fedeltà e onore.

Francesco ed Elvira
Francesco ("negoziante") sposa Elvira Sica il 7 aprile 1932 (l'orario è preciso e curioso: 16 e 40). Elvira è figlia di Francesco e di Rosa Falcone. 

La seconda guerra mondiale
Pochi giorni prima dell'entrata in guerra dell'Italia, Francesco Miranda è richiamato alle armi dal Comando del XVII Corpo d'armata di Napoli.
Il 3 giugno 1940 lo troviamo però ricoverato nell'ospedale militare di Napoli; tre giorni dopo viene dimesso perché riconosciuto non idoneo e inviato in licenza di convalescenza di 90 giorni. Nel mese di ottobre viene ricollocato in congedo.
Tecnicamente, sia pure per pochi giorni, ha partecipato anche alla Seconda guerra mondiale.

Tra famiglia e commercio
Seguendo le orme del padre, Francesco dedicherà la sua vita al commercio dei tessuti, portando il suo carro di paese in paese nella Valle del Sele.
Se questa ruota potesse parlare, racconterebbe tutte le strade polverose che ha percorso, ancora prima dell'asfalto. A chi sa ascoltarla, parla comunque: della fatica, della dedizione al lavoro, dell'abnegazione che hanno accompagnato ogni viaggio, nelle giornate di lavoro che idealmente si concludevano nel momento in cui Cicchiello -come lo chiamavano tutti a Valva- con il suo carro, svoltava la curva in località Serre e la moglie Elvira capiva che era l'ora di mettere la pentola sul fuoco. 
Nella famiglia Miranda non mancano i momenti difficili. Uno, terribile, è la morte della piccolissima Clara.
Una ferita che continuerà a sanguinare nel cuore dei genitori è sicuramente la morte della figlia Michelina (nata il 27 aprile 1940), in seguito ad un'operazione chirurgica affrontata nella speranza di guarire da un problema al piede. 
I valvesi la ricordano come una ragazzina molto bella, sempre con le trecce.
Di lei abbiamo trovato la pagella scolastica, datata 3 luglio 1948 e firmata dal maestro Teodorico Corona.
Una scena di vita quotidiana d'altri tempi ci viene restituita dai ricordi che abbiamo raccolto. 
La stalla del cavallo è in zona Pistelli sotto Chiesa, vicino alla casa del cosiddetto "Cunticcje".  
Quando portano al cavallo la crusca da mangiare, Ferdinando (figlio di Francesco) e Michele (figlio di Rosa, cugina di Ferdinando) ogni tanto mangiano le "suscelle", il frutto del carrubo, un baccello dolce e nutriente. In un piccolo gesto c'è il sapore della festa di paese: le "suscelle" infatti erano vendute alle bancarelle ed erano molto amate.

Gli ultimi anni
Francesco ed Elvira trascorreranno in serenità l'ultimo periodo della loro vita.
Eccoli posare con dignità e orgoglio nel loro prefabbricato, in una foto degli anni Ottanta:
In questa altra foto di pochi anni prima, nel periodo immediatamente successivo al terremoto del 1980, zio Cicchiello sembra indicare la strada per la rinascita:
Un filo che unisce le generazioni dei Miranda
Idealmente, il carro di zio Cicchiello si collega a quello con il quale suo padre Ferdinando alla fine dell'Ottocento era arrivato a Valva, per stabilirvisi insieme alla moglie Rosa.
Da quella decisione sarebbe nata una famiglia che avrebbe dato vita a una piccola epopea di mercanti, percorrendo le vie e i mercati della Valle del Sele.
A questa famiglia abbiamo dedicato il nostro piccolo romanzo, in tre capitoli; i due precedenti pubblicati nel nostro blog sono stati: Il carro del mercante: l'arrivo dei Miranda a Valva, dedicato al capostipite Ferdinando e a sua moglie Rosa; Eugenio, la stoffa del mercante, dedicato al figlio maggiore.
La ricerca  condotta per realizzare questo nostro piccolo omaggio ci ha permesso di reperire materiale prezioso, che potrà servire per raccontare altre storie legate a Corso Umberto I e alla zona nota come "Pistelle sotto Chiesa".
Può valere come esempio questa bella foto, scattata a pochi metri dalla casa di Francesco, in cui vediamo la compianta figlia Irma:
Le strade e la polvere, il mercato e il ritorno a casa, le gioie che riempiono il cuore e il dolore che non passa. Quasi un forziere di esperienze che resta nella memoria della famiglia Miranda e, attraverso di essa, in quella di Valva.

Un caloroso ringraziamento alla nipote Isabelle per la sua costante e appassionata collaborazione: oltre a fornirci informazioni e foto della famiglia Miranda, ha coinvolto le cugine Maria Grazia ed Elvira, insieme agli zii Ferdinando e Carmela, permettendo di arricchire ulteriormente il nostro racconto con preziosi dettagli e ricordi.
G.V.