Tornato dalla Grande Guerra, Arcadio Grasso lotta contro le conseguenze del terribile gas che ha respirato in battaglia. Rimane però attaccato alla vita, come il fante Ungaretti durante la sua Veglia accanto a un compagno massacrato.
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Arcadio vive la
sua attesa della morte -che lo raggiungerà a soli trentuno anni- dipingendo e
scrivendo canzoni d’amore.
Il blog Gozlinus
ha pubblicato il testo di una canzone d’amore di Arcadio Grasso.
Proponiamo un’analisi
del testo.
Tre strofe
di otto versi ciascuna; l’ultimo verso è sempre tronco; si alternano senari.
Sei bella nel tempio
di bruno vestita.
Coperta hai la fronte
da un pudico velo.
Dei dolci peccati
sei forse pentita,
mi sembri una santa
discesa dal ciel.
Il
nipote Antonio Freda ricordava una versione leggermente diversa di questa
strofa:
Sei bella, sei splendida/ di bianco vestita,/coperta la fronte/da un candido velo…/dei dolci peccati/sei forse pentita,/mi sembri una santa/ discesa dal ciel…
Nelle
due versioni che ci sono pervenute, cambia il colore del
vestito della giovane donna: il bianco fa subito pensare a una sposa, mentre il
nero potrebbe farci pensare a una suora (ipotesi rafforzata dalla presenza di
un “pudico velo”).
Il riferimento ai “dolci peccati” e soprattutto quel “forse” che rende il pentimento non certo fanno pensare a un giovanile errore, come direbbe Petrarca, a una precedente fase della vita della donna.
Ha amato un uomo e poi si è
sposata o ha preso i voti?
Io pure ti vidi
ancora più bella
laggiù sulla rena
ai rialzi del mare.
Sul timido piede
ancora più bella,
che tutto il mio cuore
tremava d’amor.
Anche della seconda strofa il nipote
Antonio ricordava un’altra versione:
Io pure ti vidi/ancora più bella/laggiù nella rena/ai riflessi del mare,/sul timido piede/sì plastica e snella,/che tutto il mio core s’infiamma d’amor…”
C’è stato un momento in cui la donna è
stata ancora più bella: non l’amore santificato dal sacramento (nel “tempio”),
ma l’amor profano, con l’io lirico che ricorda le proprie emozioni (“tutto il
mio cuore/ tremava d’amor”) alla visione del corpo della donna; una pudica
sineddoche suggerisce di citare solo “il timido piede” ma fa immaginare il
resto di un corpo giovanile; da segnalare, comunque, che nella versione
tramandata da Antonio Freda i riferimenti alla fisicità sono più espliciti: “sì
plastica e snella”.
O soave fanciulla,
bell’angel di Dio,
riposa tranquilla
nei sogni d’amore
e, se sarà scritto
nel mio destino,
un giorno mia sposa
sarai dal ciel.
Dopo l’evasione sensuale, è il momento
del ritorno all’ordine morale.
La donna è chiamata “fanciulla”, un
termine che sembra privarla di ogni riferimento sensuale; per rafforzare il
concetto, la donna è definita “bell’angel di Dio”, un’immagine che rafforza e
supera i versi che concludevano la prima strofa: mi sembri una santa /discesa
dal ciel. Non c’è più “mi sembri”, che conferiva alla sensazione una dimensione
soggettiva e non certa; non più santa ma angelo: quel “santa” era ancora
pericolosamente vicino alla memoria dei “dolci peccati”, qui il distacco è
compiuto, l’anima è salva, e la donna è
invita a riposare “nei sogni d’amore”.
Cosa significa, di preciso? Riposare nei sogni nel senso che questi devono
riposare e la donna non deve più pensare all’amore del passato?
E’ forse morta? In questo caso, il
colore nero della prima strofa assumerebbe un significato di crudo realismo.
L’allusione finale, la speranza che la donna sia la sposa dell’io lirico “dal ciel”, può forse far pensare a un ricongiungimento di due amanti in un’altra vita o comunque a una dimensione più puramente spirituale nella quale un amore terremo può trasformarsi.
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Analisi
metrica e stilistica
Le rime, le assonanze e le consonanze sono
semplici (vestita/ pentita, bella/ bella, mare/ amore, Dio/mio). Le espressioni
"santa discesa dal ciel" e "bell'angel di Dio" rafforzano
l'idealizzazione. L'aggettivo "timido" riferito al piede è
particolarmente evocativo e aggiunge un tocco di delicatezza e pudore.
Anche il lessico è
semplice, con parole che afferiscono al campo semantico del sacro ("tempio", "velo", "santa/ discesa dal ciel", "angel di Dio"), del pudore ("pudico velo", "coperta la fronte"), dell’amore
sognato ("soave fanciulla", "sogni d’amore", "mia
sposa").
Tra le figure retoriche, si noti la similitudine “mi sembri una santa / discesa dal ciel”.
Dal
punto di visto fonosimbolico, efficace l’allitterazione in “tremava d’amor”,
tra l’altro in una strofa ambientata davanti al mare.
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Commento
Con il tono minore di una poesia tardo
romantica e forse crepuscolare, forse in questi versi si avverte il dramma del Canzoniere
di Petrarca: l’amore come passione che allontana da Dio, la speranza di un
superamento post mortem della dimensione materiale di questo sentimento devastante.
Nella canzone non si avverte però mai il dramma, ma il sospiro: un atteggiamento
crepuscolare, di un sogno nutrito di abbandono.
L’autore non vuole sorprendere con
artifici stilistici o con l’erudizione; vuole esprimere con sincerità e
profondità un sentimento giovanile, che l’ascoltatore della sua canzone possa sentire
vicino. Lo fa con la semplicità e la grazia di un repertorio amatoriale di
canzoni d’amore.
Il testo sembra seguire la traccia della
poesia lirica amorosa, sia pure a un livello chiaramente amatoriale.
La donna è idealizzata e desiderata a un
tempo; al presente della bellezza pudica -nel tempio- si contrappone il passato
del ricordo, in una dimensione più terrena anche se pur sempre eterea.
Il desiderio non diventa mai concretezza
fisica.
E’ una poesia dei sentimenti discreti e
pudichi.
Ricorda l’ultima stagione del Romanticismo italiano, quella patetica e sentimentale dei componimenti d’amore languidi, letti da giovani in lacrime.
G.V.