24 settembre 2022

TRE VALVESI CATTURATI IN JUGOSLAVIA

Continua la nostra analisi delle conseguenze dell'8settembre 1943; in questo post ci occupiamo delle vicende dei soldati italiani, e valvesi, di stanza in Jugoslavia.

Nella foto dell'Istituto Luce, una postazione di guardia  in una zona di confine
(probabilmente tra Italia e Regno di Jugoslavia); fonte


L'Italia in Jugoslavia

L'Italia dichiara guerra alla Grecia nell'ottobre 1940 ma nella prima fase è in difficoltà; si rende decisivo l'intervento dell'alleato tedesco: con l'operazione "Castigo", nell' aprile 1941 la Germania attacca Grecia e Jugoslavia. 

I tedeschi bombardano Belgrado, avanzano in Croazia e Serba, occupano la Grecia. 

L'esercito italiano avanza verso Lubiana, ma la maggior parte delle città della Dalmazia e del Montenegro conquistate dall'Italia lo saranno solo dopo la resa jugoslava. 

Come si vede nella cartina, l'Italia controlla la Slovenia meridionale, la fascia costiera adriatica, il Kosovo, il Montenegro e alcune zone della Macedonia.

La cartina è tratta dal sito www.valigiablu.it; fonte

Dopo l'8 settembre in Jugoslavia

I soldati italiani in Jugoslavia apprendono alla radio la notizia dell'armistizio.

Quando il 9 settembre mattina arrivano gli ordini, c'è un'espressione decisiva: "senza spargimento di sangue". Altre direttive nei giorni successivi confermano.

La vicenda più tragica che riguarda i soldati in Jugoslavia è quella della divisione di fanteria Bergamo: 1500 soldati si uniscono ai partigiani jugoslavi, sia per evitare di essere catturati dai tedeschi sia per poter mangiare.

Quando i tedeschi conquistano Spalato, cominciano rastrellamenti e rappresaglie.

Stiamo verificando un'ipotesi: il soldato valvese Angelantonio Marciello, catturato il 12 settembre e deportato militare in Germania, risulta catturato sul fronte greco. In realtà, essendo arruolato nel 26.mo Reggimento fanteria, quello chiamato Bergamo, è possibile che il fronte sia proprio quello jugoslavo.

In Croazia, il 9 settembre risulta catturato Giovanni Falcone, arruolato nel 52.mo Reggimento fanteria a Spoleto. Il reggimento è impiegato in operazioni di polizia: presidio e controguerriglia. Dopo l'8 settembre, si scioglie nella zona di Lubiana. 

Giovanni Falcone sarà prigioniero nello Stalag IX-C, con quartier generale vicino a Bad Sulza (in Turingia) e molti sottocampi.

Il 9 settembre viene catturato anche un altro soldato valvese: Pasquale Volturo

Già nell'aprile 1941 ha partecipato alle operazioni di guerra alla frontiera italo-jugoslava; è arruolato nel 23.mo settore di copertura della Guardia di Frontiera, con il quale prenderà parte ad altre operazioni di guerra nei Balcani, per quasi due anni (fino all'8 settembre 1943). 

Non sappiamo dove sia avvenuto l'arresto; sappiamo che il suo settore di copertura interessava una zona dell'attuale Slovenia.

Pasquale Volturo sarà prigioniero a Dachau.


21 settembre 2022

L'8 SETTEMBRE AL DI LA' DELL'ADRIATICO

Le conseguenze dell'armistizio reso pubblico l'8 settembre 1943 sono particolarmente drammatiche per i soldati italiani di stanza nei Balcani e nell'Egeo. 

In questo post analizzeremo in particolare la situazione in Albania.

L'Italia nei Balcani

Con la guerra italo-turca, l’Italia ha occupato le isole del Dodecaneso e l’Epiro settentrionale, un territorio tra Albania e Grecia, di fronte all’isola di Corfù, isola che viene occupata nel 1923.

Nel 1914 l'Italia occupa l'Albania, e dal 1917 al 1920 esercita un protettorato sul piccolo stato balcanico.

Nell’aprile 1939, dopo che Hitler ha occupato la Cecoslovacchia, Mussolini invade l’Albania.

Aprile 1939: l'Italia invade l'Albania

L'illusione della neutralità italiana dopo l'8 settembre

Dopo l'8 settembre 1943, i soldati italiani di stanza nei Balcani e in Grecia devono decidere se consegnarsi ai tedeschi o combatterli.

Si diffonde l'illusione che l'Italia possa rimanere neutrale per evitare ritorsioni tedesche. E' un approccio che condanna le forze italiane, che non prendono iniziative a differenza dei tedeschi.

L'annuncio dell'armistizio coglie di sorpresa i soldati italiani, che non sapevano nulla delle trattative; essi non ricevono un ordine diretto di disarmare i tedeschi, a decidere son i singoli comandanti. 

Alla forze nel Mar Egeo viene ordinato di disarmare i tedeschi solo in caso di "prevedibili atti di forza" da parte di questi ultimi. Nella notte dell'8 settembre, il Comando Supremo dà indicazioni di non fare atti ostili contro i tedeschi; questo determinerà un atteggiamento passivo da parte dei comandi italiani nella regione. L'11 settembre finalmente le direttive sono chiare: bisogna attaccare i tedeschi; è tardi, però: le divisioni italiane in gran parte si sono già arrese. 

Mentre dall'Italia non arrivano ordini, i tedeschi occupano aeroporti, porti, stazioni ferroviarie, vie di comunicazione; ancora una volta, essi si muovono seguendo un piano ben preciso. Promettono di rimpatriare le truppe italiane in cambio del disarmo, ma poi non manterranno gli impegni presi. 

La situazione in Albania

Tra il 25 luglio e l'8 settembre, le forze tedesche sono state autorizzate a occupare tutti gli aeroporti. Le forze italiane sono inferiore a quelle tedesche. 

Nella foto dell'Istituto Luce, una folla di albanesi a Tirana
ascolta il discorso di entrata in guerra dell'Italia; fonte

La sera dell'8 settembre arriva l'ordine di reagire ai tedeschi per non essere disarmati; non si deve però prendere l'iniziativa di atti ostili contro i tedeschi. L' 11 settembre, il comando italiano è circondato: tutti gli ufficiali sono fatti prigionieri. 

I tedeschi fanno opera di propaganda: distribuiscono manifestini che promettono il ritorno in patria agli italiani. Molti soldati sperano di tornare in Italia.  

Un soldato ingannato due volte

Pensiamo a un soldato di Valva catturato in Albania: Enrico Santovito. 

Sappiamo che è stato catturato l'11 novembre. La sua famiglia ha raccontato un episodio relativo alla sua liberazione: fu ingannato e si trovò su un treno diretto in Unione Sovietica; a Praga si accorse dell'inganno e, dopo un mese trascorso a racimolare il denaro necessario al viaggio di ritorno, partì per l'Italia. Potrebbe essere stato ingannato dai tedeschi in Albania e dai sovietici in Germania.


Bibliografia

Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino

Podcast

Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi


G.V.

20 settembre 2022

IL GIORNO IN CUI NACQUERO GLI IMI

Come già avvenuto dopo il 25 luglio, gli italiani interpretano la firma dell’armistizio come la fine della guerra; subentra però subito la preoccupazione: cosa faranno i tedeschi? Gli angloamericani sbarcheranno ancora?

La risposta arriva subito: i tedeschi occupano le città, applicando un piano già pronto; gli angloamericani sbarcano a Salerno già il 9 settembre.

Quando i tedeschi capiscono che ci sarà uno sbarco nell’Italia del Sud, il comando tedesco dà un ultimatum all’Italia, presentando alcune richieste e minacciando l’immediato disarmo delle truppe italiane. 

La maggioranza dell’esercito italiano viene colta di sorpresa, quello tedesco è invece già preparato.

Le direttive "criminali" sui prigionieri italiani

Il 10 e il 12 settembre vengono emanate dalla Germania alcune direttive che uno storico tedesco in un suo libro sugli internati militari nei campi di concentramento in Germania ha definito “criminali”.

Quale trattamento si deve riservare ai soldati italiani?

Chi aderisce alla proposta di combattere al fianco della Germania, può conservare le armi e viene trattato come un soldato tedesco.

Chi non vuole collaborare, deve essere inviato nei campi di internamento in Germania o in altri paesi alleati, come prigioniero di guerra.

Chi si schiera apertamente al fianco dei partigiani, viene fucilato se è un ufficiale, impiegato come forza lavoro nei territori dell’est Europa se è un semplice soldato.

In questa prima fase nelle direttive tedesche si parla di prigionieri di guerra; soltanto il 20 settembre 1943, su ordine di Hitler, agli italiani catturati viene attribuita la denominazione di internati militari: in questo modo, essi non sono tutelati dalle convenzioni internazionali, anche se è una decisione del tutto arbitraria dal punto di vista del diritto internazionale.

Un appello all'aperto, nel mese di gennaio 1944.
La foto è tratta da: Ho scelto la prigionia, di Vittorio Vialli (il Mulino); fonte

Lo sbando

Tra l'8 il 9 settembre i tedeschi prendono possesso di aeroporti, stazioni ferroviari, centrali dei telefoni e delle poste; cercano di controllare le principali vie di comunicazione; entrano nelle caserme italiane e chiedono il disarmo delle truppe.

In mancanza di ordini precisi da parte del Comando italiano, molti generali e ufficiali fuggono; diversi soldati vengono consegnati nelle caserme, dopo sono poi catturati dai tedeschi, In altri casi, sono invitati a "sbandarsi" e a tornare a casa.

Il "colpo grosso"

Il disarmo degli italiani viene definito a Berlino "il colpo grosso": l'ultima vittoria militare tedesca prima della fine della guerra, scrive lo storico Nicola Labanca.

Su un milione di soldati italiani, solo qualche decina di migliaia sceglie la strada dell'adesione alla Wehrmacht o addirittura alle SS: una via che sembra garantire il ritorno in Italia.

Come scrive lo stesso Labanca,

dalla Francia, dai Balcani, dall'Italia, lunghi treni, spesso piombati, portarono in poche settimane centinaia di migliaia di militari nei vasti territori del Reich, dai confini con la Francia alla Polonia. Chiusi a decine in vagoni senza servizi, senza o con poco cibo, senza indicazioni sul logo di destinazione, non di rado ingannati (a molti in servizio nei Balcani era stato detto che sarebbero stati portati in Italia), sottoposti a violenze e perfino uccisi alla minima resistenza, il viaggio dal luogo di cattura a quello di prima detenzione [...] fu sempre ricordato dai soldati italiani internati come un incubo, come il precipitare in un abisso senza speranza.

fonte

Bibliografia

Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino

Nicola Labanca, Prigionieri, internati, resistenti- Memorie dell' "altra Resistenza", Editori Laterza


Podcast

Il giorno dopo- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi


G.V.

17 settembre 2022

I VALVESI NELLO SBANDO ITALIANO

 

Il 9 settembre 1943 è il giorno dopo: è questo il titolo che abbiamo scelto per il nostro podcast dedicato alle conseguenze dell'armistizio in particolare sui soldati valvesi.

La notizia dell’armistizio con gli anglo-americani ha un effetto destabilizzante sull’esercito e sulle istituzioni. I soldati che si trovano in Italia si liberano delle divise, indossano abiti civili e cercano di tornare a casa.


Alberto Sordi in una scena del film "Tutti a casa", di Luigi Comencini 

Sarebbe interessante raccogliere le testimonianze dei soldati valvesi in fuga, quelli che nei documenti militari vengono definiti “sbandati”.

In particolare, è estremamente interessante ricostruire la fuga, dalla Francia, del soldato Michele CecereL’8 settembre lascia la Francia, il 9 è già in Piemonte, ospitato da una "famiglia borghese" a Pianfei, in provincia di Cuneo. Resterà in Piemonte e dal luglio 1944 alla fine del conflitto prenderà parte alla lotta partigiana.

Nella situazione caotica all'indomani dell'8 settembre, i soldati italiani devono scegliere se stare con i tedeschi o no.

I soldati più a rischio sono quelli dislocati nei Balcani (in particolare sul fronte greco-albanese), e nelle isole del Dodecaneso.

Lo dimostrano le vicende dei soldati valvesi: tre di loro cadono a Rodi, Cefalonia e Corfù proprio all’indomani dell’8 settembre, nei giorni dello scontro con l’esercito tedesco; altri sono fatti prigionieri dai tedeschi in Croazia, Albania, Grecia e nelle isole dell’Egeo che costituivano il possedimento italiano.


A questa data, alcuni di loro sono già morti.

Tre sono morti in Africa, nell’ Africa Settentrionale e nel Corno d’Africa.

Ottavo Fasano è il primo soldato valvese morto durante la Seconda GM: è caduto già il 9 dicembre 1940; Michele Cuoco è sepolto ad Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Non siamo ancora riusciti a ricostruire data e luogo di morte.

Di recente, un nostro lettore ha segnalato la presenza presso l’Ufficio informazioni vaticano per i prigionieri di guerra della scheda relativa al fante valvese Michele Cuozzo, prigioniero in Egitto, deceduto in seguito a una ferita di scheggia al torace; il 13 luglio 1943 la notizia della morte è arrivata al padre Antonio tramite un telegramma inviato al parroco: possiamo ipotizzare che il soldato valvese sia rimasto ferito nelle ultime fasi della guerra in Africa, condotto in un campo di prigionia in Egitto e lì deceduto in seguito alla ferita riportata.

 Scheda proveniente dall'archivio dell'Ufficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra

Tra i valvesi che combattevano in Africa, molti di loro alla data del 9 settembre sono prigionieri degli alleati in Africa.

In effetti, molti sono stati prigionieri in Africa e tra questi uno è ancora vivo oggi; è il signor Giuseppe Feniello, classe 1923.

Il nostro lavoro di ricerca sulle vicende militari che riguardano il fronte africano è ancora a uno stadio iniziale, ma possiamo ipotizzare che la data spartiacque sia la battaglia di El Alamein, conclusa a inizio novembre 1942.

Alcuni fogli matricolari sono già giunti al blog “la ràdica”: citiamo ad esempio il caso di Donato Vacca, che è stato prigioniero in Africa ed è riuscito a fuggire.

Due soldati sono morti in Russia: Prospero Annunciata (nel novembre 1942) e Raffaele Cuozzo (nel gennaio 1943, durante la ritirata). Risultano ufficialmente dispersi.

Il tenente Annunciata era un ufficiale sanitario (ospedale da campo divisione Pasubio), il fante Cuozzo apparteneva alla 156 Divisione Vicenza.

Alcuni soldati valvesi sono sopravvissuti alla campagna di Russia e alla drammatica ritirata; è possibile ipotizzare che nel settembre 1943 non siano ancora tornati a casa.

Alla data dell’8 settembre due soldati risultano già morti sul fronte balcanico e due in Grecia.

Francesco Feniello risulta caduto in Albania il 13 marzo 1941, Francesco Torsiello in Croazia il 27 febbraio 1942.

Sul fronte greco, due valvesi cadono nell’agosto 1943:

Giuseppe Macchia, il 1 agosto, e Michele Macchia il 17 agosto. I resti di Michele Macchia sono tornati a Valva dieci anni dopo la sua morte, il 24 maggio 1953.


Aggiornamento

Il signor Giuseppe Feniello è deceduto nel maggio 2023, dopo aver raggiunto il traguardo dei cento anni.

09 settembre 2022

IL GIORNO DOPO

Nei giorni 8 e 9 settembre il nostro blog ha pubblicato due numeri del podcast IL GIORNO DOPO, dedicato proprio alle vicende dei soldati valvesi in quei giorni.

Gli episodi hanno dei titoli a nostro avviso significativi:

- L'ORA GRAVE DELLA NOSTRA STORIA

- LO SBANDO

In questo post proviamo a fare una sintesi dei due episodi e a mettere in evidenza alcuni punti che riguardano i soldati valvesi.

L'annuncio dell'armistizio

Alle 19.42 dell'8 settembre 1943, il Capo del Governo italiano, il Maresciallo Pietro Badoglio, pronuncia questo drammatico comunicato:


La riscoperta dolente della patria

Dall'episodio LO SBANDO riportiamo queste parole di Natalia Ginsburg:

“Le strade e le piazze delle città, teatro un tempo della nostra noia di adolescenti e oggetto del nostro altezzoso disprezzo, diventarono i luoghi che era necessario difendere. Le parole «patria» e «Italia», che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall'aggettivo «fascista», perché gonfie di vuoto, ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D'un tratto alle nostre orecchie risultarono vere. Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava.

La morte della patria?
Dello stesso episodio, segnaliamo questa scena di un celebre film dedicato all'8 settembre 1943:
Tutti a casa, di Luigi Comencini, 1960

Vicende dei valvesi

Dopo l’8 settembre iniziano alcune settimane di assenza di autorità e di ordini chiari: i soldati italiani si trovano così costretti a scegliere se combattere al fianco dei tedeschi o no.

I soldati più a rischio sono quelli dislocati nei Balcani (in particolare sul fronte greco-albanese), e nelle isole del Dodecaneso.

Lo dimostrano le vicende dei soldati valvesi: tre di loro cadono a Rodi, Cefalonia e Corfù proprio all’indomani dell’8 settembre, nei giorni dello scontro con l’esercito tedesco; altri sono fatti prigionieri dai tedeschi in Croazia, Albania, Grecia e nelle isole dell’Egeo che costituivano il possedimento italiano.

Ecco i loro nomi:

Alfonso Feniello, 32 anni

Giuseppe Macchia, 32 anni

Enrico Fusella, 21 anni

A loro nei mesi scorsi abbiamo dedicato il post La prima resistenza.

In questa prima fase dello scontro tra italiani e tedeschi, un soldato valvese viene fatto prigioniero a Vercelli, il 10 settembre: è Giuliano Strollo, di Erberto, classe 1921.

Un altro valvese sarà fatto prigioniero a Trieste, ma qualche giorno più tardi, il 14: Michele Perna di Martire, classe 1923: aveva da poco compiuto vent’anni.

Michele Cecere l'’8 settembre lascia la Francia, il 9 è già in Piemonte, ospitato da una famiglia borghese a Pianfei, in provincia di Cuneo, come riporta il suo foglio matricolare. Resterà in Piemonte e dal luglio 1944 al giugno 1945 prenderà parte alla lotta partigiana.

A Michele Cecere abbiamo dedicato il post Il partigiano di Valva.

Il ritorno degli "sbandati"

Dopo l'annuncio dell'armistizio, i soldati dislocati in Italia si tolgono la divisa e scappano, per raggiungere casa; spesso sono aiutati da civili, che offrono loro abiti per la fuga.

Sarebbe interessante ricostruire le tappe del ritorno a casa dei soldati valvesi dopo l'8 settembre.

Confondiamo nella memoria orale: i racconti dei nostri soldati sono stati affidati ai figli e poi ai nipoti. Riportarli alla luce potrà essere utile a ricostruire un momento importante della nostra storia nazionale e locale. 

G.V.


04 settembre 2022

TIMIDI SONO GLI EROI

Enrico Santovito se ne è andato il primo settembre.

La bandiera che lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio ha salutato l'ultimo internato militare valvese e il penultimo soldato della Seconda Guerra Mondiale.

Un mondo che ha ancora da insegnare

Nel saluto di cordoglio a lui rivolto, il sindaco e l'amministrazione comunale hanno ricordato zio Enrico con queste parole:

[...] una figura cara a tutti noi, che simbolicamente rappresenta un mondo che si sta chiudendo ma che ha ancora tanto da insegnarci. Anche se per un'inesorabile legge naturale la sua voce si è spenta, siamo certi che i suoi racconti resteranno nella memoria di tutti noi, il suo esempio sarà un punto di riferimento, i valori che egli ha testimoniato e contribuito a trasmettere saranno per noi uno stimolo a custodirli e a trasmetterli a nostra volta, perché questo è il modo migliore per salutare i nostri anziani che se ne vanno: farli rivivere rendendo attuali i loro insegnamenti e il loro esempio.

Croce al Merito di Guerra, Repubblica Italiana
(fonteautore della foto)


La responsabilità della Memoria come eredità

La presidente dell'Associazione Combattenti e Reduci, Fiorenza Volturo, ha scritto:

Zio Enrico lascia un'eredità importante da gestire e l'impegnativa responsabilità della Memoria. [Egli] fu uno dei militari catturati dopo l'8 Settembre ed internato nei lager nazisti per essere rimasto fedele alla sua Patria. Gli eroi sono così: persone semplici, umili, quasi timidi e delle loro gesta narrano come se fossero azioni ordinarie, del tutto normali.

La presidente Volturo ha ricordato che era stata predisposta la documentazione per la medaglia al valore del Presidente della Repubblica e ha aggiunto:

Il tempo non ci è stato amico, ma il mio impegno sarà quello che il suo onore venga riconosciuto in memoria dalla più alta carica dello Stato.

Il soldato, il prigioniero

Nei mesi scorsi, sul nostro blog abbiamo pubblicato un documento proveniente dall'Archivio Arolsen, dal quale emerge che il giovane soldato Enrico Santovito, appartenente alla cavalleria dell'esercito italiano, venne catturato in Albania l'11 novembre 1943 e condotto in Germania come internato militare.

Il 24 settembre 1944 fu trasferito al lavoro civile perché gli internati militari italiani passarono allo stato giuridico di lavoratori civili: anche se in genere questo comportò un miglioramento delle loro condizioni, non venne concesso loro di tornare in Italia.

In Germania, Enrico Santovito è stato sicuramente nel campo di lavoro denominato Arbeitskommando 1131, a Bobeck - Stadtroda.

Lo capiamo da questo foglio, in cui leggiamo le parole abbreviate Arb Kdo, il numero 1131 e le due località della Turingia (Germania centrale).



Le due date del marzo 1945 evidenziate in alto potrebbero riferirsi a un trasferimento da un campo all'altro.

Non abbiamo documenti sul tipo di occupazione del prigioniero né sappiamo in quali campi sia stato prima di essere nell' Arbeitskommando 1131. Sappiamo che molti prigionieri lavoravano nelle miniere di potassio della zona.

Nel suo foglio matricolare leggiamo che Enrico Santovito è stato liberato l'8 maggio 1945 ed è stato trattenuto dalle Forze Alleate.

Rientrato in Italia, si è presentato al distretto Militare di Salerno il 30 luglio, quando ha ottenuto una licenza di rimpatrio di due mesi.

L'odissea

Cosa ha fatto Enrico Santovito dall'8 maggio al 30 luglio?

Del travagliato ritorno in patria non abbiamo documenti e il ricordo di questa esperienza è affidato a quello che ha raccontato in famiglia.

Ecco come la nipote Rosanna ricostruisce la vicenda:

Ingannato dai russi, prese un treno in direzione Est Europa, convinto di tornare in Italia. Giunto in Cecoslovacchia, improvvisò un dialogo con un sacerdote su un treno, riuscì a capire il senso delle parole del suo interlocutore e scese a Praga, dove restò quasi un mese. Non riuscì a tornare subito in Italia: era senza forze e senza soldi. Riuscì a partire solo dopo quasi un mese e arrivò in Italia dopo un lungo viaggio, denutrito e pieno di pidocchi.

Nel marzo 1963, Enrico Santovito ha ottenuto due Croci al Merito di Guerra, come testimoniano queste immagini:


Croce al Merito di Guerra, seconda concessione


Cento anni

Il 9 marzo 2022 Enrico Santovito ha compiuto cento anni.

Vogliamo ricordarlo con una foto della bella festa con la quale parenti e amici, alla presenza del sindaco e dell'amministrazione comunale, gli hanno reso omaggio. 


Zio Enrico se ne è andato in silenzio, umile come gli eroi quasi timidi che ci passano accanto.

Rinnoviamo il nostro abbraccio alla famiglia di zio Enrico e ringraziamo la nipote Rosanna per la gentile collaborazione.

*****

Altri post dedicati a Enrico Santovito

  1. I cento anni di un cavaliere 👉
  2. Arbeitskommando 1131, prigioniero Santovito  👉
  3. In memoria di zio Enrico 👉

G.V.

02 settembre 2022

IN MEMORIA DI ZIO ENRICO




In memoria di
Enrico Santovito
1922-2022

Soldato della Seconda Guerra Mondiale
nel Reggimento "Cavalleggeri Guide"
fatto prigioniero sul fronte albanese l'11 novembre 1943
internato militare in Germania
liberato dalle Forze Alleate l'8 maggio 1945.



Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia di zio Enrico.





30 agosto 2022

DUE SOLDATI VALVESI SUL BEL SUOL D'AMORE

Almeno due valvesi hanno partecipato alla Guerra italo-turca, combattuta tra il Regno d'Italia e l'Impero ottomano dal 1911 al 1912, conclusa con l'annessione all'Italia della Libia e del Dodecaneso.

Negli anni successivi, molti valvesi combatteranno, saranno fatti prigionieri e alcuni cadranno in Libia e nelle isole del Dodecaneso [a Rodi e a Coo].

Alla partecipazione dei valvesi alle guerre combattute in Africa abbiamo dedicato il post I valvesi alla guerra in Africa.

"Bel suol d'amore" o "scatolone di sabbia"?

La guerra contro l'Impero ottomano suscitò in Italia un vivace dibattito, politico e culturale. 

Ad esempio, il poeta Giovanni Pascoli pronunciò in questa occasione la sua orazione "La grande proletaria si è mossa", nella quale considerava la conquista della Libia un rimedio all'emigrazione, immaginando  la possibilità per i contadini italiani di trovare terre fertili, diventando "agricoltori sul terreno della patria".

A questo periodo risale la celebre canzone "Tripoli bel suol d'amore"; eccone alcuni versi:

Tripoli, bel suol d'amore,
ti giunga dolce
questa mia canzone.
Sventoli il Tricolore
sulle tue torri
al rombo del cannon.

Non tutti erano favorevoli all'entrata in guerra.

Contrario era il Partito Socialista Italiano, guidato da Filippo Turati; lo storico socialista Gaetano Salvemini diede della Libia la definizione rimasta celebre di "scatolone di sabbia".

Tra gli oppositori alla guerra, da segnalare Benito Mussolini (socialista) e Pietro Nenni (allora repubblicano, poi leader socialista): i due furono arrestati e trascorsero alcuni mesi insieme in prigione a Bologna.

I due soldati valvesi

Conosciamo i nomi di due soldati valvesi che hanno preso parte alla guerra: Michele Feniello e Michele Macchia, entrambi della classe 1890.

In questo post ci occupiamo di Michele Feniello, che qui vediamo in una foto con i suoi figli (è il penultimo partendo da sinistra):


Di Michele Feniello abbiamo anche una copia manoscritta dell'atto di nascita:

Michele Feniello è nato a Valva il 10 luglio 1890, figlio di Pasquale e di Angelamaria Spiotta.
Da notare il nome della via: Prima Pistelli

Un segno dei tempi: sia il papà del bambino sia i due testimoni (contadini di 74 e 88 anni)
sono analfabeti e a firmare è solo il sindaco Paolo D'Urso. 

Il giovane soldato Feniello fa parte del 23.mo Reggimento Cavalleggeri "Umberto I", che partecipa alla guerra fornendo i complementi ai reparti mobilitati.

Ecco il certificato che accompagnava la medaglia commemorativa, della quale Michele Feniello poteva fregiarsi:


La medaglia istituita dal Regio Decreto 21 novembre 1912 era questa:

Medaglia commemorativa della guerra italo-turca; fonte

Dal foglio di congedo di Michele Feniello, ricaviamo alcune informazioni su di lui e le tappe della sua carriera militare: 

Si noti la statura che oggi per noi sarebbe bassa ma che nel 1910 corrispondeva esattamente alla media nazionale, come si può vedere in questo studio; gli occhi sono definiti "castagni" (sic!).

Arruolato per estrazione l'8 aprile 1910, Michele Feniello viene chiamato alle armi e vi giunge il 26 ottobre dello stesso anno. 

Dopo la guerra, viene congedato il 27 febbraio 1913 a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta.

Un grazie riconoscente alla nipote Stefania che ha messo a disposizione questi documenti.


G.V.


03 agosto 2022

SEI MESI DI RADICA

Il primo post pubblicato su questo blog è stato "mandato per lo mondo" il 3 febbraio 2022, alle 18.36, esattamente sei mesi fa.

Nella presentazione, scrivevo che il blog nasce dal rimpianto "di non aver riempito di domande i miei nonni e i loro coetanei, su tutto: dalla guerra al modo di corteggiare le ragazze, dal lavoro al modo di divertirsi durante le feste". 

Per rimediare almeno parzialmente, mi impegnavo a cercare informazioni sui soldati prigionieri e sui caduti in guerra: un piccolo contributo alla ricostruzione della memoria collettiva.

Radica di ulivo, foto del restauratore Giancarlo Feniello

Il restauratore valvese Giancarlo Feniello -tra l'altro nipote dell'ultima "pacchiana" di Valva, zia Pasqualina-  definisce la radice "la fotografia che non si vede dell'albero, il suo negativo" e ci ha inviato la foto di una radica di ulivo.

Il titolo del blog vuole approfittare della piccola ambivalenza del termine, che può indicare la radica (in italiano) ma anche la parola radice in dialetto valvese.
L'immagine della "ràdica" rimanda agli anziani, che caratterizzano e sostengono il paesaggio umano, lo tengono insieme, lo nutrono ancora.

In questi mesi, ci sono stati lettori che hanno collaborato attivamente, mettendo a disposizione documenti e cimeli da loro custoditi, preziosa eredità morale prima ancora che materiale di parenti prigionieri o caduti in guerra, alcuni hanno intervistato i loro nonni, altri hanno chiesto informazioni su come trovare notizie; molti, infine, hanno espresso il proprio sostegno a questa iniziativa.

Li ringrazio tutti e li invito a continuare a seguire "la ràdica", a dare consigli e a collaborare ancora.

"Un lavoro di ricostruzione e di custodia della memoria storica del nostro paese", scrivevo nel primo post. 

L'immagine dei nomi del monumento con alcune lettere cadute nel tempo mi sembrava efficace per riflettere sulla caducità della memoria; durante il lavoro di ricerca, ne ho individuata un'altra, che ritengo ancora più forte: al momento, ci sono due nomi tra i soldati caduti nella Seconda guerra mondiale che non riusciamo ad associare con precisione né alla persona né alla famiglia. Eppure, in entrambi i casi conosciamo perfino l'indirizzo di nascita o di residenza: i documenti scritti hanno sostituito la memoria della collettività. 

Per questi due soldati, mi pare si possa dire che il monumento ha concluso la sua funzione: non ricorda più, ora trasmette un messaggio che non siamo più in grado di decodificare, perché noi abbiamo dimenticato. Non deve essere una colpa dei valvesi, degli anziani come dei più giovani, ma uno stimolo a fare il possibile per rintracciare nei cassetti della nostra memoria collettiva l'informazione giusta, il ricordo adatto: ecco un modo perché i due soldati rivivano ancora, in una dimensione più ricca rispetto ai loro semplici nomi sul marmo del monumento.

In sei mesi, il blog ha superato ottomila visualizzazioni, in Italia e in altro diciotto Paesi (i più assidui: Stati Uniti, Germania, Irlanda, Francia e Svizzera); quasi seimila visualizzazioni sono avvenute tramite Facebook, solo una cinquantina tramite Google.

Ecco i post, in ordine di pubblicazione, che hanno superato le trecento visualizzazioni: 

  • Mio carissimo padre [la trascrizione, con commento, della lettera del nostro soldato disperso in Russia]

Il numero di visualizzazioni è legato sicuramente anche al pubblico cui sono stati proposti i singoli post: i gruppi tematici su Facebook, ad esempio, consentono una copertura maggiore rispetto a post che hanno un'ispirazione più locale e che pertanto vengono promossi solo sui gruppi legati a Valva e alla Valle del Sele.

I punti di fragilità di questo blog sono molti, ma in questa occasione di metà compleanno non sarebbe elegante elencarli; nonostante la fatica, però, aver contribuito a far venire alla luce storie dimenticate o note solo a pochissime persone è una soddisfazione per la quale valeva e vale la pena continuare a fare ricerche, ipotesi e nuove ipotesi per nuove ricerche.

A proposito di ricerche, un grazie particolare a Pinuccio Cecere, responsabile dell'anagrafe ufficiale, e all'ufficio anagrafe non ufficiale coordinato da mia madre, che puntualmente contatta le persone che costituiscono la memoria storica di Valva per dare un volto e una famiglia ai nomi che emergono dai documenti .

Il lavoro, naturalmente, continua.

Grazie a tutti quelli che danno e daranno una mano.


G.V.


Post scriptum. Dalla fine del mese di giugno, "la ràdica" promuove anche un podcast dal titolo "Il giorno dopo". Il punto di osservazione è una data, il 9 settembre 1943, ovvero il giorno dopo la pubblicazione dell'armistizio con gli Alleati: cerchiamo di analizzare le conseguenze per l'esercito italiano e in particolare per i soldati valvesi. "Il giorno dopo" è disponibile sulle piattaforme Podomatic e su Spotify.

02 agosto 2022

LA MORTE DI UN RE

Il 2 agosto 1900, con una delibera municipale urgente, il Comune di Valva stabiliva di intitolare il corso sotto chiesa al re Umberto I, ucciso il 29 luglio a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci. Nella stessa delibera si prevedeva una messa in suffragio dell'anima del sovrano e un telegramma di condoglianze alla Casa reale.

Valva, Corso Umberto I, targa che ricorda la data di intitolazione

Umberto I di Savoia è stato re d'Italia dal 1878 al 1900. 

Il re Umberto I. In occasione del suo giuramento disse: "Il vostro primo re è morto;
il successore vi proverà che le istituzioni non muoiono!
"; fonte

La moglie di Umberto, Margherita di Savoia, esercitò un notevole fascino sulla popolazione e sugli intellettuali dell'Italia umbertina (si pensi al poeta Giosue Carducci).
La regina Margherita di Savoia. Di lei d'Annunzio scrisse un elogio nel suo stile:
"Guardandola, io mai come ieri sera sentii il fascino dell'eterno femminino regale"; fonte

La  figura di Umberto I ha diviso contemporanei e storici: chiamato "Re buono" per l'atteggiamento dimostrato in occasione di un'epidemia di colera a Napoli, ma anche fortemente criticato per l'avallo alla repressioni dei moti popolari ad opera del generale Bava Beccaris (da lui premiato).

Il periodo di regno di Umberto coincide con il governo della cosiddetta "Sinistra storica", le cui figure principali sono Depretis e Crispi

Con Depretis l'Italia si allea con gli imperi di Austria-Ungheria e Germania nella cosiddetta Triplice Alleanza e inizia la sua esperienza coloniale, occupando Assab e Massaua in Eritrea.

La Triplice Alleanza: Umberto  I , Guglielmo II di Germania, Francesco Giuseppe d'Austria

A questo periodo risale l'eccidio di Dogali, nel 1887, nel quale è caduto il nostro concittadino Vincenzo Iannuzzi.

Lapide sul campanile della chiesa di San Giacomo Apostolo.
Si noti la contrapposizione, molto retorica, tra le "italiche armi"
e le "improvvise orde abissine"

Nel 1896 la disfatta di Adua, nella quale perde la vita il nostro concittadino Vitantonio Cappetta, segna la fine dell'esperienza di governo della Sinistra storica.

Valva, torre dell'orologio, lapide che ricorda il tenente Cappetta, caduto ad Adua

Per ulteriori informazioni, rimandiamo al post I valvesi alla guerra in Africa

Due settimane dopo la morte del sovrano, il poeta Giovanni Pascoli pubblicò l'inno Al Re Umberto, che inizia con questi versi:

In piedi, sei morto, tra i suoni
dell'inno a cui bene si muore:
in piedi: con palpiti buoni
nel cuore, colpito nel cuore

Ben diversa è l'ispirazione che emerge da questi versi, tratti dalla canzone popolare Il feroce monarchico Bava:

Deh, non rider, sabauda marmaglia:
se il fucile ha domato i ribelli,
se i fratelli hanno ucciso i fratelli,
sul tuo capo quel sangue cadrà.

Attraverso l'espediente letterario della profezia post eventum, la canzone immagina di predire l'attentato nel quale il re sarà ucciso (episodio considerato un atto di vendetta per il sangue versato a Milano); da notare, la violenta definizione "sabauda marmaglia".
L'uccisione di Umberto I a Monza, copertina della Domenica del Corriere
disegnata da Achille Beltrame; fonte

G.V.