25 giugno 2025

LA GUERRA DI GIOVANNINO, DECORATORE

Ho sentito dire che portava la barba per riconoscenza, da quando in una situazione di pericolo venne scambiato per un frate. 
Non è semplice ricostruire l'episodio né è possibile farlo con il suo foglio matricolare, ma non importa. Ci sono aneddoti che circondano le persone di mistero e una barba che sembrava venire dall'Ottocento era come un sigillo antico che custodiva vicende e memorie, rendendole inaccessibili.

Quando fa la visita militare, Giovanni Grasso -noto in paese come Giovannino- risulta "decoratore".

Un decoratore lavorava in contesti molto diversi tra loro: abbelliva edifici religiosi, si occupava della decorazione di saloni, camere e facciate di palazzi privati o della scenografia di teatri e caffè. Nei cantieri collaborava con muratori e falegnami. Decorava pareti con pannelli o cornici intagliate, applicando pitture ornamentali o durature, soprattutto se aveva competenze nell'intaglio e nella lavorazione del legno.

Proviamo a immaginare qualche decorazione da lui realizzata, magari all'interno del palazzo di una famiglia benestante di Valva o della zona. Ci aiutiamo con l'intelligenza artificiale, alla quale abbiamo fatto analizzare alcuni dipinti di Giovanni Grasso per ispirarsi al suo stile naïf, con colori vivaci e un'aria fiabesca.



La carriera militare
Poi arriva la guerra e interrompe l'atmosfera sognante delle decorazioni di Giovannino.
Le notizie che ricaviamo sulla sua carriera militare non sono molte, anche se alcuni elementi sembrano di un certo interesse.
Ad esempio, leggiamo che nel 1928 viene chiamato alle armi nel Reggimento Genio Ferroviere a Treviso e viene congedato l'anno successivo, con dichiarazione di buona condotta.
il 18 giugno 1940, pochi giorni dopo l'entrata in guerra dell'Italia, Giovannino è richiamato alle armi per mobilitazione e giunge al Deposito succursale Reggimento ferrovieri in Castel Maggiore (Bologna).
Dieci giorni dopo lo troviamo nella 6 Compagnia Ferrovieri mobilitata, giunto in territorio dichiarato in stato di guerra, dove resta poco perché già  il 18 luglio risulta "partito dal territorio dichiarato in istato di guerra". Il 19 ottobre 1940 c'è la smobilitazione e Giovannino viene ricollocato in congedo illimitato. Il 3 aprile 1941 però viene richiamato alle armi "per esigenze (di) carattere eccezionale" e torna a Castel Maggiore, da dove in seguito viene trasferito alla 18 Compagnia Genio Ferrovieri in Firenze.
La notizia successiva che troviamo annotata nel suo foglio matricolare riguarda l'8 settembre 1943: anche Giovannino risulta "sbandato" e successivamente "da considerarsi in licenza straordinaria". Il 2 aprile 1944 sarà collocato in congedo.

Dalle fonti che abbiamo consultato, non emerge con chiarezza dove fosse esattamente mobilitata la  6ª Compagnia Genio Ferrovieri nel giugno 1940. Sappiamo che il Reggimento Genio Ferrovieri mobilitò 13 battaglioni di lavoro e 3 gruppi "esercizi linee". Spesso le compagnie del Genio Ferrovieri venivano riorganizzate e spostare rapidamente, soprattutto all'inizio della guerra. Sappiamo però con certezza che la 6ª Compagnia era attiva nei teatri di guerra dal 1941 in poi, soprattutto in Nord Africa (1941-42) e successivamente in altri fronti (come quello greco-albanese). Sappiamo inoltre che dal 1943 l'Italia settentrionale e centrale fu affidata al  3° Raggruppamento Genio Ferrovieri, con sede a Castel Maggiore. Questa struttura coordinò sette battaglioni di lavoro, un battaglione ponti metallici smontabili, e diverse sezioni di esercizio. Queste unità furono impegnate per preservare la rete ferroviaria e assicurare la necessaria manutenzione, ripristinare linee e ponti danneggiati dai bombardamenti. 

Giovanni Grasso è accanto a suo nipote,
anch'egli artista, Antonio Freda.
Foto Falco, fonte: Gozlinus

  G.V.

24 giugno 2025

GLI OCCHI DI RODOLFO

Celeste Cozza è una contadina che vive in via San Biagio.
La notte del 17 marzo 1869, verso le tre, viene svegliata dai vagiti di un neonato. 
Si alza, apre la porta e trova "sulla nuda terra" un bambino avvolto in un grembiule di lana nera e una fascia.
Il giorno dopo va al municipio, presenta il bambino al sindaco -il cavaliere Antonio D'Urso- e gli racconta l'accaduto, mentre il sindaco verbalizza sul registro dei nati dell'anno.
Il sindaco scrive che il bambino è di sesso maschile, "dall'età apparente di due giorni, siccome mi ha anche assicurato la levatrice Maria Fratangelo".
Il bambino non ha su di sé segni o scritti che possano farlo riconoscere. 

Spesso -non sempre- i trovatelli hanno un foglietto con il nome; a volte hanno scritto anche "battezzato".
Il sindaco affida il bambino alla balia, Maria Francesca Megaro di Pasquale, moglie di Angelo Strollo: la famiglia risiede in via Pistelle.
Infine, applicando l'articolo 34 del Codice Civile del Regno d'Italia, il sindaco dà al bambino un nome: Rodolfo Cilestrino. 
Come mai questa scelta?
In genere ai "projetti" si dà un nome simbolico, benaugurante; il cognome può far riferimento alla loro condizione o anche a qualche elemento fisico. 
E' improbabile che un bambino di due giorni abbia già gli occhi celeste chiaro, come il cognome Cilestrino potrebbe far pensare.
Non escludo, per la verità, un indiretto omaggio alla donna che ha trovato il bambino: Celeste.
Quella di Rodolfo sembra una vicenda a lieto fine, ma non lo è.
Lo stesso sindaco D'Urso annoterà sul registro dei morti dell'anno 1875, alla data del 24 maggio, la morte del piccolo "Cilestrino Rodolfo trovatello".
Mi colpisce il termine che sul registro si accompagna al nome e al cognome del bambino: è come se fosse un secondo cognome, un soprannome o un titolo.
A quella data, probabilmente Rodolfo si trova ancora presso la famiglia di Maria Francesca e Angelo, perché nel registro risulta che è morto in via Prima Pistelli. Angelo Strollo, di anni trentotto, è presenta all'atto in qualità di testimone.
Mi colpisce anche un altro particolare: il sindaco è molto preciso -non lo è per gli altri defunti nelle pagine del registro di quell'anno- nell'indicare l'età del bambino: anni sei, mesi due, giorni dieci.
In questo elemento che potrebbe apparire un vezzo burocratico vedo un piccolo gesto di attenzione, forse un omaggio nei confronti di una piccola esistenza, di un bambino che è entrato nella storia di Valva in una notte di marzo e se n'è andato poco prima dell'estate, pochi anni dopo. 
Forse in quel momento gli occhi di Rodolfo sono davvero di colore celeste chiaro.
G.V.

23 giugno 2025

SAN GIOVANNI, IL DESTINO SUL DAVANZALE

Indagare i segni del vero in una notte magica
Anche se i bambini di oggi, non per colpa loro, pensano sia quella di Halloween, la notte dell'anno più ricca di significato culturale e antropologico, almeno alle nostre latitudini, è molto probabil-mente quella di San Giovanni.
Le ragazze in cerca di marito cercavano il responso sul loro futuro con un rito che la memoria popolare ha custodito: lasciavano l’albume di un uovo in un bicchiere d’acqua o più verosimilmente in un bacile, lasciato sul davanzale durante la notte di San Giovanni.
A contatto con l’acqua, l’albume disegnava delle forme che al mattino venivano interpretate dalla fantasia popolare come vaticini per il futuro.
Tra i segni di buon auspicio c’erano forme simili a vele o a chiese: annunciavano fortuna, viaggi, matrimoni. In particolare, una barca con le vele gonfie era considerata il presagio di un viaggio in America.
Altre forme, invece, venivano interpretate come segni di disgrazie o di malattie in arrivo.
Questo rito, di chiara origine precristiana, è collocato in una data di passaggio tra stagioni e cicli agricoli, in coincidenza con una delle feste più importanti del calendario cristiano.
La festa di San Giovanni, così vicina al solstizio d'estate, si trova in una posizione speculare rispetto al Natale, che coincide con il solstizio d'inverno.
Mia nonna mi parlava anche del cardo, ma i miei ricordi non sono precisi.
Leggo che questa pianta è presente nei riti di San Giovanni in varie regioni italiane, sempre in riferimento all’amore.
Ad esempio, si chiedeva al cardo se un amore fosse corrisposto: si prendeva un cardo in fiore, si bruciacchiava la testa del fiore e si immergeva il gambo in acqua durante la notte; se al mattino il cardo era ancora vivo, significava che l’amore era ricambiato.
In altre varianti, dalla posizione assunta dal cardo le ragazze capivano se si sarebbero sposate entro l’anno.
Immagine creata con l'intelligenza artificiale

In una delle canzone del suo album "Canzoni della Cupa", dal titolo "La notte di San Giovanni", Vinicio Capossela rievoca i riti popolari di questa notte magica e propiziatoria:

Ora le ragazze pure di cuore
Ancora sentono le parole
Delle ombre nel vacile
Dentro l'acqua continuare a dire 
[…] 
Ora le ragazze per San Giovanni
Chiedono al fuoco di svelare gli inganni
Chiedono al cardo chiedono al piombo
Chi avranno un giorno per compagno intorno
E anche le crude Masciare
Questa notte vogliono volare
E ognuno indaga nel cielo
Qualche segno dal mondo del vero

Nel testo mi colpisce il riferimento alle "masciare", le nostre "janare": in questa notte speciale, anche loro vogliono volare. Sono definite “crude”, per la loro natura selvaggia, non addomesticata né addomesticabile.
Capossela cita il cardo e il piombo fuso; quest’ultimo veniva utilizzato in alcune regioni come strumento per predire il futuro, attraverso l’interpretazione delle forme create dalla solidificazione del metallo, che veniva fuso su una fiamma e poi versato nell’acqua.
La notte di San Giovanni è una testimonianza del legame tra l'uomo e i cicli della natura e del folclore che ha plasmato l'immaginario collettivo per secoli.
Forse prima di importare artificialmente e acriticamente le tradizioni di altre culture, avremmo potuto tentare almeno di conoscere le nostre.
G.V.

20 giugno 2025

IL PUDORE ROMANTICO DI ARCADIO: TRA CANZONE E PREGHIERA

Tornato dalla Grande Guerra, Arcadio Grasso lotta contro le conseguenze del terribile gas che ha respirato in battaglia. Rimane però attaccato alla vita, come il fante Ungaretti durante la sua Veglia accanto a un compagno massacrato.

nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Arcadio vive la sua attesa della morte -che lo raggiungerà a soli trentuno anni- dipingendo e scrivendo canzoni d’amore.

Il blog Gozlinus ha pubblicato il testo di una canzone d’amore di Arcadio Grasso.

Proponiamo un’analisi del testo. 

Tre strofe di otto versi ciascuna; l’ultimo verso è sempre tronco; si alternano senari.

Sei bella nel tempio
di bruno vestita.
Coperta hai la fronte
da un pudico velo.
Dei dolci peccati
sei forse pentita,
mi sembri una santa
discesa dal ciel.

Il nipote Antonio Freda ricordava una versione leggermente diversa di questa strofa:

Sei bella, sei splendida/ di bianco vestita,/coperta la fronte/da un candido velo…/dei dolci peccati/sei forse pentita,/mi sembri una santa/ discesa dal ciel…

Nelle due versioni che ci sono pervenute, cambia il colore del vestito della giovane donna: il bianco fa subito pensare a una sposa, mentre il nero potrebbe farci pensare a una suora (ipotesi rafforzata dalla presenza di un “pudico velo”).

Il riferimento ai “dolci peccati” e soprattutto quel “forse” che rende il pentimento non certo fanno pensare a un giovanile errore, come direbbe Petrarca, a una precedente fase della vita della donna. 

Ha amato un uomo e poi si è sposata o ha preso i voti?

Io pure ti vidi
ancora più bella
laggiù sulla rena
ai rialzi del mare.
Sul timido piede
ancora più bella,
che tutto il mio cuore
tremava d’amor.

Anche della seconda strofa il nipote Antonio ricordava un’altra versione:

Io pure ti vidi/ancora più bella/laggiù nella rena/ai riflessi del mare,/sul timido piede/sì plastica e snella,/che tutto il mio core s’infiamma d’amor…”

C’è stato un momento in cui la donna è stata ancora più bella: non l’amore santificato dal sacramento (nel “tempio”), ma l’amor profano, con l’io lirico che ricorda le proprie emozioni (“tutto il mio cuore/ tremava d’amor”) alla visione del corpo della donna; una pudica sineddoche suggerisce di citare solo “il timido piede” ma fa immaginare il resto di un corpo giovanile; da segnalare, comunque, che nella versione tramandata da Antonio Freda i riferimenti alla fisicità sono più espliciti: “sì plastica e snella”.

O soave fanciulla,
bell’angel di Dio,
riposa tranquilla
nei sogni d’amore
e, se sarà scritto
nel mio destino,
un giorno mia sposa
sarai dal ciel.

Dopo l’evasione sensuale, è il momento del ritorno all’ordine morale.

La donna è chiamata “fanciulla”, un termine che sembra privarla di ogni riferimento sensuale; per rafforzare il concetto, la donna è definita “bell’angel di Dio”, un’immagine che rafforza e supera i versi che concludevano la prima strofa: mi sembri una santa /discesa dal ciel. Non c’è più “mi sembri”, che conferiva alla sensazione una dimensione soggettiva e non certa; non più santa ma angelo: quel “santa” era ancora pericolosamente vicino alla memoria dei “dolci peccati”, qui il distacco è compiuto, l’anima è salva,  e la donna è invita a riposare “nei sogni d’amore”.

Cosa significa, di preciso?  Riposare nei sogni nel senso che questi devono riposare e la donna non deve più pensare all’amore del passato?

E’ forse morta? In questo caso, il colore nero della prima strofa assumerebbe un significato di crudo realismo.

L’allusione finale, la speranza che la donna sia la sposa dell’io lirico “dal ciel”, può forse far pensare a un ricongiungimento di due amanti in un’altra vita o comunque a una dimensione più puramente spirituale nella quale un amore terremo può trasformarsi.

*****

Analisi metrica e stilistica

Le rime, le assonanze e le consonanze sono semplici (vestita/ pentita, bella/ bella, mare/ amore, Dio/mio). Le espressioni "santa discesa dal ciel" e "bell'angel di Dio" rafforzano l'idealizzazione. L'aggettivo "timido" riferito al piede è particolarmente evocativo e aggiunge un tocco di delicatezza e pudore.

Anche il lessico è semplice, con parole che afferiscono al campo semantico del sacro ("tempio", "velo", "santa/ discesa dal ciel",  "angel di Dio"), del pudore ("pudico velo", "coperta la fronte"), dell’amore sognato ("soave fanciulla", "sogni d’amore", "mia sposa").

Tra le figure retoriche, si noti la similitudine “mi sembri una santa / discesa dal ciel”. 

Dal punto di visto fonosimbolico, efficace l’allitterazione in “tremava d’amor”, tra l’altro in una strofa ambientata davanti al mare.


*****

Commento

Con il tono minore di una poesia tardo romantica e forse crepuscolare, forse in questi versi si avverte il dramma del Canzoniere di Petrarca: l’amore come passione che allontana da Dio, la speranza di un superamento post mortem della dimensione materiale di questo sentimento devastante. Nella canzone non si avverte però mai il dramma, ma il sospiro: un atteggiamento crepuscolare, di un sogno nutrito di abbandono.

L’autore non vuole sorprendere con artifici stilistici o con l’erudizione; vuole esprimere con sincerità e profondità un sentimento giovanile, che l’ascoltatore della sua canzone possa sentire vicino. Lo fa con la semplicità e la grazia di un repertorio amatoriale di canzoni d’amore.

Il testo sembra seguire la traccia della poesia lirica amorosa, sia pure a un livello chiaramente amatoriale.

La donna è idealizzata e desiderata a un tempo; al presente della bellezza pudica -nel tempio- si contrappone il passato del ricordo, in una dimensione più terrena anche se pur sempre eterea.

Il desiderio non diventa mai concretezza fisica.

E’ una poesia dei sentimenti discreti e pudichi.

Ricorda l’ultima stagione del Romanticismo italiano, quella patetica e sentimentale dei componimenti d’amore languidi, letti da giovani in lacrime.

G.V.

 

 

18 giugno 2025

L'ULTIMA SINFONIA: LA MORTE DI FRANK GRASSO

Morto sul podio: l’ultimo gesto di Frank Grasso è stato un movimento della bacchetta, l’ultima nota da lui ascoltata è stata una nota dell’ “Incompiuta” di Schubert. Come se la musica stessa, in quel momento, gli avesse sussurrato che il suo tempo si era compiuto.

Siamo giunti al terzo capitolo del nostro romanzo Musa valvese- La storia della famiglia Grasso.
Nel capitolo precedente ci siamo occupati di Francesco Grasso, noto negli Stati Uniti come Frank.
Lo abbiamo seguito dalla partenza da Napoli all'inizio della carriera artistica negli Stati Uniti.
Proseguiamo con il racconto.

La famiglia
Nel 1937, Frank sposa Yvonne Hardee, una giovane cantante che preferisce interrompere la carriera musicale "per essere una moglie e una madre piuttosto che una cantante di spicco in una delle orchestre più rinomate della nazione", la Vincent Lopez' orchestra, come scrive il Tampa Tribune.
Dalla loro unione nascono due figlie, Roberta e Giacinta (che porta il nome del nonno). 
A giudicare dal padre, le due bambine sembrano destinate a una carriera musicale: "Anche adesso cantano dappertutto", dice nell'intervista al Tampa Tribune.
Nel censimento del 1950 le bambine risultano avere 11 e 10 anni; risulta anche un bambino, di un anno, che si chiama Frank A.
Notiamo che la moglie ha ventidue anni meno di Frank.

La morte sul palco
Frank Grasso muore praticamente sul palco, domenica 11 gennaio 1953.
Così il suo necrologio ne ricorda la morte:
Frank Grasso è morto ieri mentre dirigeva la Tampa Synphonette, orchestra da lui diretta. Aveva 58 anni. E' collassato durante l'esecuzione dell'Incompiuta di Schubert. Il pubblico ha sentito l'orchestra terminare il concerto mentre Grasso veniva trasportato in ospedale, dove è stato dichiarato morto.

Le informazioni sulla sua vita sono meno precise, ma non per questo meno affascinanti:

Nato a Napoli, in Italia, nel giugno del 1894 (ma in realtà è nato a Valva nel 1893), Grasso arrivò negli Stati Uniti nel 1912 e a Tampa nel 1922.  Era cittadino naturalizzato e fu l'insegnante di musica di celebri cantanti come Frances Langford e Mary Hatcher.  La lunga carriera musicale di Grasso lo ha portato a suonare come flautista, basso e baritono in Europa, negli Stati Uniti, a Cuba e in parte del Sud America. 
Un maestro di musica e canto
In questa foto del gennaio 1947, il direttore Grasso è impegnato in una sessione di registrazione con la sua orchestra:

Foto 1

In queste altre due foto, dello stesso mese, Frank Grasso -direttore musicale della radio WFLA- è sul palco del Tampa Theatre con l'attrice Mary Hatcher e poi con l'attrice all'aeroporto Peter O. Knight:

Foto 2
Foto 3
Soffermiamoci sull'attività di insegnante di Frank Grasso. 
In effetti, anche La Gaceta -quotidiano della Florida in lingua spagnola- nel fare il ritratto di Don Francisco all'indomani della sua morte parla dei suoi "discípulos".
Come giustamente sottolinea il blog Gozlinus, Frank Grasso "più di ogni altra cosa fu un geniale ed amato scopritore di talenti. Alcune sue allieve diventarono famosissime stelle del firmamento di Hollywood".
Anche l'articolo del Tampa Tribune sottolinea questo aspetto di Frank, presentando il coro che si esibisce alla radio WFLA il martedì sera alle 9:

Dietro questo coro c'è uno dei musicisti e insegnanti più noti della Florida, il cui lavoro con i bambini è stato riconosciuto in tutto il mondo della musica. Senza dubbio avrete sentito cantare alcuni di questi allievi, tra cui Frances Langlord, la star del cinema Aleene Roberts, la bambina prodigio ora alla Warner Brothers, Colleen McGonigal.  

Frances Langlord, molto popolare nell'età d'oro della radio
Allene Roberts, definita “la bambina più affascinante d’America”
per il suo fascino e talento. Al tempo di questo articolo, ha 14 anni

Amicizie e impegno sociale
Il necrologio prosegue con due notizie che, se confermate, sarebbero davvero notevoli:
Ex amico e collaboratore del celebre Enrico Caruso, Grasso era anche nipote di Giovanni Grasso, definito dai critici del Literary Digest "il più grande tragediografo melo-drammatico d'Italia".
L'amicizia con Caruso viene confermata anche dal già citato articolo della Gaceta, che aggiunge anche il nome del tenore italoamericano Mario Lanza.
Appare decisamente meno verosimile la parentela con l'autore teatrale Giovanni Grasso, nato a Catania. Dai registri dell'anagrafe, il cognome Grasso risulta ben attestato a Valva già a inizio Ottocento.
Dal necrologio, Frank risulta attivo nella comunità, membro di organizzazioni come la Loggia Massonica John Darling e del tempio massonico Egypt Shrine, oltre che presidente per diversi mandati della Tampa Musicians Union. 

Gli Shriners sono un’organizzazione fraterna legata alla Massoneria, nata negli USA alla fine del XIX secolo. Ogni gruppo locale, chiamato “tempio” o “shrine”, ha una sede dove si tengono riunioni, eventi sociali e raccolte fondi.  
Gli Shriners sono noti soprattutto per il loro impegno in opere di beneficenza, in particolare per il sostegno agli ospedali pediatrici. 

La Tampa Musicians Union è un sindacato che tutela i diritti e le condizioni lavorative dei musicisti professionisti di Tampa, Florida. Rappresenta un punto di riferimento importante per i musicisti, coordinandone le attività e proteggendoli da sfruttamenti. 

Una notizia che fa il giro del mondo 
La notizia della sua morte è riportata addirittura da due quotidiani australiani.
Ecco l'articolo del The West Australian, di martedì 13 gennaio 1953:

Death Ends A Symphony
NEW YORK, Mon.-Mr. Frank Grasso (58) died before an audience of several hundred people at Tampa (Florida) on Sunday while directing the Tampa Symphonette Orchestra in the last number of a concert. The selection was the Unfinished Symphony.

La morte mette fine a una sinfonia
NEW YORK, lunedì - Il signor Frank Grasso (58) è morto domenica davanti a un pubblico di diverse centinaia di persone a Tampa (Florida) mentre dirigeva la Tampa Symphonette Orchestra nell'ultimo brano di un concerto. Il brano scelto era la Sinfonia Incompiuta.

Così riporta la notizia il The Newcastle Herald: 

Conductor Died At Concert
NEW YORK, January 12. A.A.P. - Mir. Frank Grasso, 58, died before an audience of several hundred persons on Sunday while directing the Tampa Synphonette Orchestra in the last number of a concert. 
Direttore d'orchestra muore durante un concerto
NEW YORK, 12 gennaio. A.A.P. - Il direttore d'orchestra Frank Grasso, 58 anni, è morto domenica davanti a un pubblico di diverse centinaia di persone mentre dirigeva la Tampa Synphonette Orchestra nell'ultimo brano di un concerto.
Il maestro Frank Grasso riposa nell'American Legion Cemetery, a Hillsborough Country, in Florida.

Una morte che diventa un monito religioso
La morte sul palco di Frank Grasso viene citata in un sito religioso americano con un paragone suggestivo:
"Il compositore austriaco Franz Schubert stava lavorando alla sua "Sinfonia Incompiuta" quando morì improvvisamente all'età di 31 anni. Frank Grasso, direttore della Tampa, Florida Synphonette Orchestra, morì improvvisamente mentre dirigeva l'ultimo brano di un concerto. Era la "Sinfonia Incompiuta" di Schubert.
Stiamo tutti suonando in quell'orchestra. Siate pronti alla fine del concerto oggi". 

Al di là dell'ora dell'ultima nota, possiamo dire che chi crea bellezza -e la trasmette con l'insegnamento e la cura degli allievi- non muore davvero.
Il concerto, in fondo, continua.
E porta con sé l'eco lontana del paese di origine. 

Fonti

Il necrologio di Frank Grasso: https://it.findagrave.com

Foto 2
Robertson and Fresh, "Frank Grasso and Mary Hatcher Onstage at the Tampa Theatre" (1947)

Foto 3
Robertson and Fresh, "Frank Grasso and Mary Hatcher at the Airport" (1947)
Robertson and Fresh Collection of Tampa Photographs. Image 755.


Musa valvese, capitolo 3
G.V.


LA MUSA MIGRANTE: IL SOGNO AMERICANO DI UN ARTISTA DI VALVA

Questa è la storia di un emigrante di successo.
Un musicista e maestro, scopritore di talenti.
Francesco Grasso nasce da Giacinto, possidente, e Maria Grazia Spiotta, donna di casa, nella notte del 22 giugno 1893, in via Santo Antonio al numero 30, come è scritto nel registro degli atti di nascita del comune di Valva.
L'atto è firmato dall'assessore Vincenzo Valletta, facente le veci del sindaco assente, e dai testimoni Vincenzo Torsiello, possidente, e Donato Vacca, messo comunale.
Dove ha studiato Francesco?
Lo ricaviamo dal suo necrologio e da un articolo importante, pubblicato dal Tampa Tribune il 27 settembre 1942.
Da queste fonti apprendiamo che il giovane studia al Conservatorio di Napoli ed è allievo del direttore dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma, Francesco Postiglione. 

L'America
Nel 1912 Francesco parte da Napoli alla volta degli Stati Uniti, dove arriva nel mese di ottobre. 
Nell'articolo citato, leggiamo che sbarca a New York "la notte in cui Woodrow Wilson fu eletto presidente": per la cronaca, il 5 novembre. Se interpretiamo il verbo "sbarcò" in senso lato, la circostanza diventa plausibile, considerando la fine del periodo di quarantena alla quale erano sottoposti coloro che approdavano a Ellis Island.
Dallo stesso articolo apprendiamo che il nostro Francesco -che forse già ha cominciato a farsi chiamare Frank- suona al Jardin de Paris nello stesso spettacolo di una coppia famosa, Vernon e Irene Castle, ballerini da sala e insegnanti, molto attivi a Broadway e nei film muti all'inizio del XX secolo.
Frank arriva in Florida nel 1914 con la Creatore's band, nella quale si esibisce come solista e flautista.
Nel 1917 gli Stati Uniti entrano nella Prima guerra mondiale, l'anno dopo Frank si arruola nell'esercito americano e viene congedato nel 1919. In guerra è assistente maestro della banda nell'89° Reggimento di Fanteria.
Tornato in America, ottiene la cittadinanza americana e diventa a tutti gli effetti Frank Grasso

La fine di un'epoca
Nel 1922 si stabilisce a Tampa, in Florida, dove si esibisce in vari teatri sia come solita sia come direttore d'orchestra.
Sceglie questa città perché vi ritrova un clima cordiale e un'atmosfera che gli ricorda Napoli. 
A Tampa diventa direttore musicale della radio cittadina e poi direttore dell'Orchestra Sinfonica. 
Non siamo ancora riusciti a trovare documenti che ci aiutino a collocare cronologicamente la sua carriera di direttore musicale della radio.
Un concerto del 15 dicembre 1928 è molto atteso dal sindaco di  Tampa, McKay, che lo annuncia con queste parole: "Poche città del paese dispongono di un amplificatore collegato a un'orchestra, e credo che il concerto di domenica con l'amplificatore avrà molto successo".
Dunque si tratta di un concerto con un nuovo sistema di amplificazione radio-fonografico, una tecnologia innovativa per l'epoca.
Frank Grasso vive in prima persona l'avvento del sonoro del cinema, come dimostra la conclusione dello stesso articolo:

Grasso e la sua orchestra, che hanno suonato per diversi mesi al Tampa Theater, termineranno il loro servizio sabato sera.. I musicisti saranno sostituiti dai nuovi film sonori proiettati lì. Il signor Grasso ha diretto l’orchestra anche al Franklin e al Victory Theater, oltre che al Tampa, e i suoi musicisti hanno continuamente incontrato il favore degli appassionati di cinema locali.
Finisce un'epoca. Quel sabato sera segna la fine di un’era: è l’ultima volta che Frank e la sua orchestra si esibiscono dal vivo al Tampa Theater, un luogo che per anni ha ospitato la loro musica. Da quel momento in poi, il teatro si trasforma in una sala esclusivamente dedicata alla proiezione di film sonori, con colonne musicali registrate.
È  un evento simbolico di cambiamento: il passaggio dalla musica dal vivo agli spettacoli cinematografici tecnologicamente avanzati, che segna l’inizio di una nuova era nell’intrattenimento.

Ecco Frank Grasso in una foto del Tampa Tribune:


Ancora con la bacchetta in mano
Dal 1929 al 1933 dirige la Tampa Symphony, rappresentando la Florida all'Esposizione Universale di Chicago. 
Da alcune fonti apprendiamo che dopo il suo arrivo negli Stati Uniti si esibì a Broadway e fu primo flautista nell'orchestra di Victor Herbert. Iniziò la sua carriera teatrale come direttore al Victory Theater.
Ecco una foto di questo teatro:

Da lì passa al Franklin e poi allo Strand Theater, dove forma una delle orchestre più note del Sud in quell’epoca.
Nel 1948 fonda la Tampa Synphonette; continua a dirigere anche la sua orchestra da ballo, la Don Francisco's Orchestra, e si afferma come insegnante di musica.
Ecco la copertina di uno spartito in cui è fotografata l'orchestra:
fonte: Gozlinus
Frank Grasso infatti non è solo un musicista: è un maestro che scopre e coltiva talenti, un protagonista della cultura musicale della Florida, un uomo il cui nome rimane legato alla crescita artistica di tanti allievi.

Approfondimenti e crediti:
- Articolo per gentile concessione del Tampa Tibune, 27 settembre 1942, pag. 37. 
- A Frank Grasso Gozlinus ha dedicato diversi post, tra i quali segnaliamo quello più ricco di informazioni: 👉Il maestro delle stelle.
                                                             Musa valvese, capitolo 2

G.V.


COME UN ROMANZO. LA FAMIGLIA GRASSO

Una famiglia di artisti e, all'occorrenza, di soldati.
Due fratelli hanno combattuto la Prima guerra mondiale-militando in due eserciti diversi- altri due nella Seconda.
La famiglia Grasso meriterebbe un romanzo.
Un romanzo come quello di Francesco, detto Frank, diventato americano e famoso oltreoceano: musicista, direttore d'orchestra, insegnante di musica, scopritore di talenti. Morto sul palco, in Florida, mentre dirigeva l'Incompiuta di Schubert.
O un romanzo breve, malinconico, come quello di Ascanio, tornato dalla Grande Guerra con il respiro spezzato ma ancora attaccato alla vita, quando scriveva canzoni d’amore e dipingeva.
Oppure il romanzo semplice e colorato di Giovannino, pittore naïf con la barba ottocentesca e le sue figure essenziali.  
L'emigrazione in Venezuela, il ritorno a Valva.
Anche l'altro fratello, Rodolfo, dipingeva.
E poi il nipote, figlio di Rosa,  Antonio Freda, detto Nuccio, scomparso di recente: degno erede di questa stirpe di creativi.

Emiciclo di bellezza
Il romanzo della famiglia Grasso potrebbe avere come copertina una foto della Villa d’Ayala, con il suo emiciclo che celebra la bellezza, incorniciato da statue dedicate alle arti: la musica, la pittura, la poesia.
Un luogo sospeso, come la memoria.
Un titolo possibile: Musa valvese. Il romanzo della famiglia Grasso.


Foto di Valentino Cuozzo
Il muratore diventato possidente
Questo romanzo inizia con il profumo della calce.
Francesco Grasso e Rosa Feniello si sposano il 9 agosto 1847.
Francesco è muratore, come suo padre Pasquale, e porta il nome del nonno. Sua madre è Irene Annunciata
Quando Pasquale muore, nel 1855, sull’atto di morte è indicata la professione di “fabbricatore”.
Rosa, nata l’8 maggio 1827, è figlia di Giacomo Feniello, possidente, e di Vincenza Feniello.
Francesco morirà a 82 anni, il 27 gennaio 1901 (lo stesso giorno in cui, a Milano, muore Giuseppe Verdi).

Una curiosità: l’atto di morte di Francesco viene firmato alle 11:30. Solo 15 minuti prima, Vito Feniello registra la nascita del figlio Salvatore, che diventerà ultracentenario.

Giacinto e Maria, genitori di artisti
Il 24 giugno 1852 nasce Giacinto Giambattista Maria.
Il primo nome è quello di uno zio, deceduto a diciannove anni nel 1850, calzolaio.
Il secondo nome è dovuto al giorno di nascita, festa della natività di san Giovanni Battista; il terzo è assai diffuso in quegli anni a Valva (quasi tutti i maschi hanno come secondo nome Maria).
I testimoni dell’atto di nascita sono probabilmente fratelli: don Costantino Freda, farmacista, e don Alessandro Freda, sacerdote.
Giacinto sposerà Maria Grazia Spiotta, figlia di Sabato: saranno i genitori di Francesco, Arcadio, Rodolfo e Giovanni. La figlia Rosa (chiamata Rosina) sarà la madre di un altro pittore, Antonio Freda, detto Nuccio.
Giacinto morirà in via Sant'Antonio l'8 luglio 1941. In quella data, la moglie risulta ancora in vita. Nell'atto di morte Giacinto viene definito "possidente".

Racconteremo le storie di questi artisti, soldati, emigranti. Le storie di questa famiglia valvese.
Ecco una presentazione del nostro progetto:

Musa valvese, capitolo 1
G.V.



15 giugno 2025

IL VALORE ANTROPOLOGICO DELLA FESTA DI SAN VITO

La festa di San Vito è ricca di significati antropologici, anche legati alla tradizione religiosa valvese.

Un noto proverbio diffuso nel Sud Italia dice: 

A San Vito ogni mugliera vatte ‘o marito 
(A San Vito ogni moglie picchia il marito)

È un proverbio d’ispirazione carnevalesca; mi fa pensare alla 'libertas Decembris', che nell’antica Roma caratterizzava i 'Saturnalia': nei giorni dal 17 al 23 dicembre, infatti, in ricordo dell'età dell'oro veniva lasciata allo schiavo la libertà di prendere in giro il padrone, impartendogli ordini per un giorno.  

Era una sospensione temporanea dell’ordine abituale della società, in cui le regole abituali venivano sovvertite per un giorno, per poi tornare alla normalità il giorno successivo. Una "libertà controllata", quasi una valvola di sfogo collettiva. 

In una sua satira, il poeta Orazio dice al suo schiavo: 

Di’ pure: ti serva di schermo la libertà decembrina, dacché la sancirono gli avi

Alla festa di San Vito è legato anche il fenomeno del tarantismo.

San Vito era infatti considerato il santo protettore delle persone morse dalla taranta, il mitico ragno che si credeva fosse responsabile di crisi isteriche, convulsioni e stati di trance, soprattutto nelle donne.

La pizzica tarantata era la danza frenetica utilizzata come rito di guarigione, accompagnata da musica ritmata e tamburelli.

Così la descrive Vinicio Capossela, nella sua celebre canzone "Il ballo di San Vito":

Le nocche si consumano, ecco iniziano i tremori
Della taranta, della taranta, della tarantolata...

Durante queste estasi coreutiche, San Vito veniva invocato come figura sacra, capace di intercedere e portare sollievo.

Anche questo rito costituiva una sospensione delle norme, una forma di espressione corporea e spirituale in cui il corpo femminile trovava un canale per comunicare tensioni interiori, disagi sociali e dolori repressi.

La data non è casuale: a San Vito inizia il periodo della mietitura, un momento decisivo nel calendario agricolo.

A San Vito ogni moglie picchia il marito”.

Il potere si rovescia, la donna conquista il centro della scena, con il suo ritmo sfrenato, come una menade al ridestarsi dei riti in onore di Dioniso.

Nella foto – tratta da Valva Foto Storiche di Valentino Cuozzo – la statua di San Vito è portata in processione accanto a quella di San Michele. Con ogni probabilità, l’immagine si riferisce alla festa di quest’ultimo, patrono di Valva.

I due santi sono uniti in una suggestiva leggenda locale, legata alla figura della cosiddetta “zingara” che avrebbe contaminato l’acqua di una delle due vasche della Grotta di San Michele, lavandovi i panni e scatenando così la maledizione del santo: “Grano in Puglia e felci a Valva”.

La tradizione racconta però anche dell’intervento di San Vito in favore del popolo valvese, che avrebbe mitigato la maledizione con le parole: “Lasciane un po’ per il mio cane”.

E così, se a Valva ancora oggi cresce il grano lo dobbiamo proprio all’intercessione di San Vito

G.V.

07 maggio 2025

IL SUONO DELLA FESTA: IL TAMBURO DI SAN MICHELE

Non è semplice stabilire quando sia cominciata, a Valva, la tradizione del tamburo di San Michele. 
Certe cose ci sono, si tramandano, si portano avanti ed è bello così, ma legarle a un contesto o a un avvenimento può farcele sentire più vicine e apprezzare ancora di più.
Prima dell'alba, nei giorni che precedono la festa patronale dell'8 maggio, mentre tutto dorme un tamburo gira per il piccolo borgo.
Un rullare amico, un suono che precede la luce e dà segno / della festa che viene -direbbe il poeta- ed a quel suon diresti / che il cor si riconforta.
Dal 2012, il tamburo è affidato al signor Michelino Cuozzo, che lo suona con dedizione -e gratuitamente- ogni mattina della novena. «È giusto portare avanti certe tradizioni, finché si riesce», ci dice.  
Qualche anno fa ha rinunciato al compenso che il comitato festa voleva riconoscergli e ha chiesto che con quei soldi fosse comprato il tamburo, come è stato fatto. 
Ecco il signor Michelino in azione:

Un tamburo per far tornare i soldati a casa
Le testimonianze finora raccolte ci riportano agli anni del dopoguerra. 
La signora Feodora D'Ambrosio collega la tradizione proprio a quel contesto storico. Finita la guerra, le mamme attendevano il ritorno a casa dei figli che erano al fronte. A suo avviso è probabile che l'usanza di suonare il tamburo per la festa di San Michele sia nata come atto di devozione, insieme all'abitudine in quel periodo di fare molte processioni per ottenere il ritorno dei soldati. Il comitato della festa patronale ricompensava il suonatore del tamburo con un chilo di pane al giorno.
Ricorda una scena in particolare: una madre gettatasi ai piedi di una statua in processione, disperata per il mancato ritorno dei due figli.
C'è un episodio molto significativo legato al tamburo.
Uno dei primi a suonarlo -ricorda zia Dora- era il signor Matteo Cozza. Quando si ammalò gravemente, la moglie fu costretta ad andare a vendere il tamburo a Oliveto e col ricavato riuscì a comprare un po' di pasta per la sua numerosa famiglia (otto figli, due erano morti bambini).
La signora Antonia, vedendo il marito rattristato per la perdita del tamburo a cui era tanto affezionato, gli promise che lo avrebbero ricomprato una volta guarito.
Purtroppo Matteo morì nel 1953, a poco più di cinquant'anni.

I ricordi di zio Antonio
Dai ricordi rimasti in paese, altri nomi emergono tra i suonatori del tamburo negli anni del dopoguerra.
Antonio Cozza e Giuseppe Alfano, ad esempio. 
Zio Antonio – recentemente scomparso – suonava un tamburo appartenente a Bonaventura Megaro, storico maestro di banda. Ricordava che, per un certo periodo, era Michele Alfano detto Girinea, l’altro capobanda del paese, a scegliere chi dovesse suonarlo. Zio Antonio ha raccontato anche un episodio buffo: una mattina, nel silenzio dell’alba, mentre faceva rullare il suo tamburo tra i vicoli deserti del centro storico, trovò un uomo ubriaco addormentato all’aperto, davanti alla chiesa madre. 

Il recupero della tradizione
Verso la fine degli anni Ottanta,  il signor Pietro Cozza raccontava ad alcuni nipoti di quando, anni prima, organizzava le feste patronali di Valva. 
Grande appassionato di musica, aveva persino fondato una propria banda musicale. Con il terremoto, però, gli strumenti andarono perduti; tutti, tranne un tamburo, che riuscì a recuperare.
Fu proprio da quei racconti che nacque l’idea di riportare in vita la tradizione del tamburo di San Michele. Il tamburo venne sistemato, e così due nipoti di zio Pietro — prima Salvatore, poi suo fratello Michele — ripresero la tradizione, più o meno all’inizio degli anni Novanta.

Quando una tradizione è viva
Quando ero uno studente delle medie, ho contribuito a realizzare un giornalino di classe in cui ho curato la pagina dedicata al tamburo di San Michele. Qualche anno fa, il blog "Gozlinus" ha pubblicato quella pagina: 

fonte

A distanza di quasi quaranta anni da quelle semplici frasi- scritte a macchina dalla mia professoressa di italiano- continuo a pensare che il tamburo "sta a indicare la gioia della popolazione per la festa in arrivo", anche se forse sono meno convinto che la tradizione affondi "le radici nella notte dei tempi", ma non è importante. Perché se una tradizione non è antica, non necessariamente perde valore; la sua forza si misura nella capacità di continuare a parlarci: di far sognare i bambini, di far attendere una festa di paese con le bancarelle, di confortare il sonno fragile di una persona anziana, di strappare il primo sorriso della giornata.
A tenerla viva è anche la sua capacità di adattarsi senza perdere identità, di rinnovarsi senza snaturarsi. 
Quest'anno, ad esempio, il signor Michelino è stato accompagnato da un gruppetto di persone, tra le quali il parroco e in un caso anche il sindaco. 
Un sorriso all'alba
(foto tratta dalla pagina Facebook
della Parrocchia San Giacomo Apostolo)
Alcune famiglie hanno lasciato il caffè pronto davanti alla porta, una signora ha accolto il piccolo gruppo offrendo dei cioccolatini. 
Un caffè per il suonatore
(foto di Stefania Feniello)
Piccole storie, di ieri e di oggi, che sono come dei battiti che fanno capire che il cuore di una piccola comunità è vivo.

Questo post è poca cosa, ma è dedicato alla memoria del signor Antonio Cozza la cui voce ho riascoltato -con emozione- mentre scrivevo queste righe.

Un cordiale ringraziamento:
Al signor Michelino Cuozzo, innanzitutto per la dedizione con cui consente a questa tradizione di conservarsi e anche per la sua preziosa testimonianza (grazie anche alla figlia Valentina che l'ha raccolta).
Alla signora Feodora D'Ambrosio, che ha condiviso i suoi ricordi e ha offerto un'interessante chiave di interpretazione della tradizione.
Alla signora Marinella Cozza, che ha raccolto la testimonianza del caro papà Antonio.
Alla signora Norma Caldarone, che ha consentito di ricostruire le vicende del recupero della tradizione.
Alla signora Stefania Feniello, autrice del video e della foto del caffè.
Alla signora Anna Cecere, nipote del signor Matteo Cozza, che ha contribuito a ricostruire la storia del tamburo di famiglia.
G.V.