13 settembre 2025

Appunti

Aveva un dipendente che dormiva nella locanda Megaro.

Nella stagione termale usava il calesse per trasporrare tuspristi dalla stazione di Contursi alle terme.

Eugenio aveva due cavalli sotto casa.

Zio Cicchiello aveva un cavallo in pistelli sotto chiesa, vicino alla casa del "contino".

Vrenna e suscelle.

Il figlio Ferdinando col cugino Michele mangiavamo le suscelle, il frutto del carrubo, un baccello dolce e nutriente.

Con la famiglia Caprio grande amicizia.

L'ultima immagine è commtovente: quadi per abitudine, si facev dare degli articoli da zia Maria Grazia e li vendeva. Andava in giro per i mercati insieme a Rocchino.





12 settembre 2025

LA LEVATRICE E L'EROE DELL'11 SETTEMBRE

Uno degli eroi dell'11 settembre è certamente Daniel Nigro, capo dei vigili del fuoco di New York.

Daniel Nigro a Valva, davanti alla porta della casa
dei suoi antenati, il 29 ottobre del 2002; fonte: Gozlinus

La sua famiglia è originaria di Valva, ma il cognome viene da Rionero in Vulture.
Donato Nigro vi nasce infatti il 29 dicembre 1843, da Vincenzo Nigro di Volpe e Maria Michela Cardone.
Il suo comune di leva risulta Valva, dunque possiamo ipotizzare che vi si sia trasferito prima dei venti anni.
Dichiara di essere un tavernaio, che è anche la professione del padre.
Sposa Filomena Feniello, di Giacomo, probabilmente nel 1865.
Abitano in via Fontana.
Alfonso Vincenzo Maria nasce il 22 gennaio 1866.
Oltre al padre Donato, il suo atto di nascita è firmato da Abdon Freda (portantino) e da Federico Merolla di Biase (studente).
Si noti che il nome Biase diventerà Biagio e sarà portato da un nipote morto nella Prima guerra mondiale.
Rebecca Isabella nasce il 18 marzo 1870.
Assistono all'atto di nascita, anche se non lo firmano, Angelo Maria Torsiello del fu Pietro, bracciale, e Salvatore Spatola del fu Lorenzo, ferrajo (il mestiere di fabbro sarà associato ancora per anni alla famiglia Spatola).
Rebecca diventerà la levatrice del paese.
G.V.

11 settembre 2025

IL CARRO DEL MERCANTE: L'ARRIVO DEI MIRANDA A VALVA

Lo immagino arrivare a Valva su un carro che scricchiola lungo strade polverose, carico di stoffe di mille colori. Accanto a lui, la moglie Rosa. 
Un mercante di tessuti con un cognome dal suono spagnoleggiante e le radici a San Gennariello di Ottaiano (oggi Ottaviano), nell'hinterland napoletano. 
Ferdinando Miranda, nato il 30 settembre 1867 da Eugenio e Luisa Cutolo, ha sposato Rosa Iervolino, nata il 15 gennaio 1861. I due hanno scelto Valva come nuova casa, stabilendosi in via Sant’Antonio, al numero 17.
Sono giunti in paese seguendo i percorsi dei mercanti ambulanti che dai grandi centri portano stoffe e merceria ai comuni dell'entroterra.  Ferdinando intuisce che qui la domanda di tessuti, sia per la vita quotidiana che per i giorni di festa, può rappresentare per lui una fetta di mercato interessante. Forse la presenza del marchese, con la sua azienda agricola che attrae lavoratori stagionali anche dalla Puglia, è un ulteriore aspetto che Ferdinando, da buon commerciante, ha attentamente valutato. 
Da Valva, al centro dell'alta Valle del Sele, col suo carro potrà raggiungere facilmente i comuni limitrofi per vendere la sua merce.
Ferdinando e Rosa decidono di rimanere a Valva ed è qui che creano la loro famiglia.
Il 25 febbraio 1893, al numero 17 di via Sant'Antonio, nasce la prima figlia, Luisa (il nome della nonna materna).
Ferdinando -di professione merciaio- risulta ancora residente a Ottaiano. Possiamo dunque ipotizzare che la famiglia non si sia ancora trasferita definitivamente a Valva.
I testimoni dell'atto di nascita della bambina sono Vincenzo Torsiello (possidente) e Donato Vacca (messo comunale).
Il 3 febbraio 1896 nasce Eugenio Biagio Francesco
Il bambino ha il nome del nonno paterno; il nome Biagio è un omaggio al santo la cui festa si celebra proprio il 3 febbraio e Francesco è il nome del nonno materno. 
I genitori risultano ancora residenti a Ottaiano.
L'atto di nascita è giunto a noi con l'elegante firma del neopapà Ferdinando:

Nella stessa abitazione di via Sant'Antonio, il 3 novembre 1898 nasce Francesco
I testimoni degli atti di nascita dei due fratelli sono gli stessi, entrambi dipendenti comunali: oltre a Donato Vacca, troviamo Michele Cuozzo (guardia campestre).
A questo punto, la famiglia risulta ormai residente a Valva.
Nel 1901, a un anno dall'assassinio del re Umberto I a Monza, Ferdinando e Rosa hanno un altro figlio, al quale danno il nome di Umberto.
Nell'atto di nascita notiamo una novità: ora la casa della famiglia Miranda è in Pistelli sotto la Chiesa, al numero 1.
Ferdinando muore a Valva il 18 marzo 1925, a mezzogiorno, nella sua casa in corso Umberto Primo, al numero 1; nell'atto di morte troviamo ancora la professione "merciaio".
Venti anni dopo il marito, il 22 marzo 1945, all'età di ottantaquattro anni, muore Rosa
A darne notizia al sindaco Onofrio Verginiello è il giovane calzolaio Vespasiano Sica, cognato di Francesco Miranda.
L'abitazione della defunta è sempre quella di Corso Umberto Primo, numero 1. 
Nell'atto di morte troviamo anche i genitori di Rosa: Francesco, possidente, e Speranza Iervolino, casalinga. 
Testimoni dell'atto sono Antonio Caprio, falegname, ed Eliseo Lardieri, guardia campestre. 
Ecco una foto di Rosa Iervolino:
Con Ferdinando e Rosa si conclude solo la prima pagina dell'epopea di una famiglia che, tra stoffe e merceria, ha stabilito le proprie radici a Valva.
Nelle prossime puntate racconteremo come i figli hanno affrontato un mondo in rapido cambiamento, tra la Grande Guerra, la lunga attività commerciale e la vita nel tessuto sociale di Valva, continuando la storia dei Miranda nel cuore della Valle del Sele.

Fonti
L'immagine dell'arrivo di Ferdinando e Rosa a Valva è generata da Google Gemini.
Per i documenti anagrafici: Portale Antenati

G.V.

10 settembre 2025

LA LUNGA PRIGIONIA DI ANTONIO

Quella di Antonio Torsiello è stata una lunghissima prigionia, conclusa solo un anno dopo la fine della guerra in Europa.
Antonio nasce a Valva il 10 agosto 1917 da Angelo e Maria Michela Marciello. 
Alla visita militare risulta più alto e più robusto della media dei suoi compaesani.
Chiamato alle armi il 1°settembre 1938, lo troviamo nella Scuola addestramento Allievi Sottoufficiali di Nocera Inferiore.
Esattamente un anno dopo, risulta in forza al Deposito del 12° Reggimento Artiglieria.

Ogni reggimento dell’esercito disponeva di un deposito territoriale in Italia, con il compito di addestrare e mobilitare nuovi soldati, fornire ricambi per il reggimento operativo all’estero e gestire materiali e munizioni.

Antonio Torsiello è arruolato nel 55° Reggimento Artiglieria “Brescia”, il cui deposito di riferimento era il 12° Reggimento Artiglieria situato a Nola Questo deposito inviava i rinforzi verso la Libia, dove il 55°Reggimento era schierato.
Antonio viene imbarcato a Napoli il 1 settembre 1939, una data storica: è il giorno in cui inizia la Seconda guerra mondiale, con l'aggressione di Hitler alla Polonia.
Conosciamo anche il nome del piroscafo diretto in Libia: dalle informazioni sul 55°Reggimento, infatti, questo risulta costituito proprio il 1° settembre 1939 a bordo del piroscafo Liguria.
Il 3 settembre Antonio sbarca a Tripoli
Lo stesso giorno lo troviamo proprio nel 55°Reggimento Artiglieria Brescia.
Sul suo foglio matricolare compare un'annotazione significativa.
Alla data dell'11 giugno 1940 leggiamo infatti: "Tale in territorio dichiarato in stato di guerra". La frase, burocratica, testimonia che l'Italia è appena entrata in guerra (con il famoso discorso del 10 giugno da Palazzo Venezia).
Il Reggimento Brescia viene schierato al confine libico-tunisino.
Nel mese di dicembre è spostato in Cirenaica, per rinforzare la Divisione Sirte, impegnata nei pressi della piazzaforte di Tobruch.
Artiglieri italiani sulla linea del fronte di Tobruch; fonte
Proprio in quest'area, tra la fine del dicembre 1940 e l'inizio del gennaio 1941, gli inglesi sferrano attacchi che porteranno alla cattura di migliaia di soldati italiani, tra i quali anche alcuni valvesi, tra i quali Pierino Vacca, di cui ci siamo già occupati e Donato D'Arcangelo, al quale ha dedicato un post Gozlinus.
Le due successive scarne annotazioni sul foglio matricolare di Antonio Torsiello nascondono il dramma di una lunga prigionia:
Prigioniero nel fatto d'arme di A.S. (Africa Settentrionale) lì 1 gennaio 1941
- Rientrato dalla prigionia e presentatosi al Centro Alloggio San Martino lì 31 maggio 1946 
La cattura
Formuliamo alcune ipotesi sulla cattura di Antonio Torsiello.
Non risulta una battaglia proprio il 1°gennaio 1941, dunque possiamo ipotizzare che la data indicata sul foglio matricolare indichi l'inizio ufficiale della prigionia e non sia quella dell'effettiva cattura. 
Non possiamo escludere comunque che Antonio fosse di stanza in una posizione difensiva costretta ad arrendersi per mancanza di munizioni o rifornimenti.
Ricostruiamo brevemente il contesto delle operazioni.
Dopo la presa di Bardia, gli inglesi attaccano l'altra grande piazzaforte della Cirenaica: Tobruch.
La divisione Brescia, insieme alla Sirte, alla Catanzaro e ad alcuni reparti tedeschi, partecipa alla difesa di Tobruch. Nel gennaio 1941 molti reparti italiani vengono travolti o catturati.

Antonio Torsiello appartiene al 55° Reggimento Artiglieria “Brescia”, reparto che fornisce il supporto di fuoco alla Divisione di fanteria “Brescia”.

Il rientro dalla prigionia
Dopo quasi duemila giorni di prigionia, Antonio Torsiello è ricoverato presso il Centro Alloggio San Marino, a Napoli, che serviva come punto di transito e assistenza per i reduci, offrendo loro supporto logistico e sanitario prima del ritorno definitivo alle loro case.
Dunque, Antonio torna in Italia quando la guerra è finita da oltre un anno.
Il foglio matricolare non riporta le tappe della prigionia (è rimasto sempre in Africa? Non è detto) e soprattutto non dice nulla del dramma, delle esperienze vissute, dei pericoli corsi, dei sacrifici affrontati.
Una storia che non si è persa, perché è stata custodita e raccontata, anno dopo anno, ai numerosi figli e ai nipoti: la memoria è diventata testimonianza e racconto, un filo che unisce passato e presente.

G.V.



29 agosto 2025

LA VOCE DI ZIO CARMINE

A Valva, parlare di soldati, di caduti in guerra e di memoria del loro sacrificio significa anche parlare di zio Carmine.
Il nostro blog ha consultato il suo foglio matricolare e raccolto, grazie alla collaborazione della famiglia, alcune foto.
La sua voce ha accompagnato le cerimonie del 4 Novembre per decenni; incrinata dall'emozione e sempre più flebile con l'età, ha rappresentato per molte generazioni quasi la colonna sonora della memoria, insieme al Piave o al Silenzio.
Carm'n d ' Rocc
La famiglia di Carmine Tenebruso viene da Quaglietta. Non a caso, zio Carmine era noto come Carm'n d' Rocc, figlio di Rocco (nome molto diffuso a Quaglietta).
Rocco Tenebruso, vedovo di 46 anni, il 9 maggio 1908 sposa a Valva Maria Caldarone, figlia di Francesco e della fu Domenica Spiotta. I genitori di Rocco (Nicola e Giuseppa Marzullo) risultano deceduti.

Alcune curiosità: l'atto di matrimonio è firmato anche dallo sposo (capita di rado a Valva in questo periodo); i due testimoni sono Pasquale Cappetta -fratello del tenente Vitantonio morto ad Adua- e  Gaetano Fasano, che perderà il figlio Ottavo nella seconda guerra mondiale. Gaetano risulta di professione orologiaio, che sarà ereditata da uno dei figli. 

Carmine nasce il 7 novembre 1910, in Via seconda San Vito.
La carriera militare
Dal suo foglio matricolare leggiamo che Carmine Tenebruso ha conseguito l'idoneità nell'istruzione premilitare, per aver  frequentato il prescritto biennio del corso, superando gli esami finali, come attestato dal comando della 140 Legione MVSN (la milizia fascista), in data 22 febbraio 1930.
Carmine Tenebruso in divisa
Nel 1931 viene chiamato alle armi e arruolato nell'artiglieria contraerea, poi aggregato per tre mesi all'8° Reggimento  Artiglieria P.C.

La sigla dovrebbe indicare il posto di comando del reggimento, dove verosimilmente Carmine ha partecipato alle attività di coordinamento e di gestione dei reparti. Lo troveremo sempre nell'artiglieria contraerei.

Rientrato al corpo, viene poi aggregato per due mesi al 9° Cavalleggeri. E' una tappa importante per la sua formazione, perché gli consente di fare esperienza con reparti montati a cavallo, parte di un'unità leggera e veloce, diversa dall'artiglieria fissa o dalla contraerea.
Nel febbraio 1933 viene inviato in congedo illimitato, con la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore.
Nel settembre 1935 Carmine viene richiamato alle armi per mobilitazione: lo troviamo nel 2° Reggimento Artiglieria Contraerea
Il reggimento è in mobilitazione per l'Africa Orientale.
Nella guerra in Africa Orientale (1935-36) l’Italia fascista invade e conquista l’Etiopia, con l’obiettivo di creare un impero coloniale. Nel maggio 1936 viene proclamato l’Impero d’Etiopia, sotto Vittorio Emanuele III.
Tuttavia, le successive licenze e il ricovero di Carmine ci fanno ipotizzare che sia rimasto in Italia, probabilmente impegnato in attività di addestramento e preparazione dei reparti.
Leggiamo infatti che il 15 gennaio 1936 è inviato in licenza di convalescenza di 180 giorni (il 16 gennaio risulta nel Distretto Militare di Salerno).
Nel maggio 1936 lo troviamo ricoverato prima all'Ospedale Militare di Napoli e poi al convalescenziario di Pozzuoli, per completare il residuo della licenza di convalescenza.
In Albania
Nel 1939 ormai la Seconda guerra mondiale è alle porte.
Il 26 agosto Carmine Tenebruso viene richiamato alle armi per istruzione militare; lo troviamo ancora nel 2° Reggimento Artiglieria Contraerea.
Il 25 novembre è imbarcato a Napoli, destinato al 60° Gruppo Artiglieria Contraerei dislocato in Albania.
Il 28 novembre sbarca a Valona. L'11 dicembre 1939 risulta trattenuto alle armi a domanda, nel giugno 1940 risulta presso il 60° Gruppo Artiglieria Contraerei e mobilitato: l'Italia è appena entrata in guerra. Il gruppo opererà al confine greco-albanese.
Una curiosità: il 18 agosto 1941, "in luogo della licenza di giorni 30 non usufruita" gli viene corrisposto un premio in denaro di 426,90 lire.
Nel novembre dello stesso anno Carmine viene ricoverato per due giorni all'Ospedale Militare di Tirana, cessa di far parte del 60°Gruppo mobilitato e viene inviato in licenza straordinaria illimitata senza assegni.
In questo periodo il direttore dell'Ospedale da campo n. 426, attesta che Carmine ha contratto "malattia in zona di guerra".
In Campania
La guerra di Carmine prosegue in Campania, dove risulta ancora impegnato nel 2° Reggimento Artiglieria Contraerei di Napoli: a settembre 1942 a Castellammare di Stabia, ad aprile 1943 a Torre Annunziata.
Dal 28 agosto al 5 settembre 1943 è ricoverato presso l’ospedale militare di Napoli.
Il 5 settembre rientra al corpo: siamo alla vigilia dei drammatici eventi che seguiranno l’armistizio.
Anche Carmine Tenebruso figura tra i tanti soldati “sbandati”, come risulta da una nota del 13 settembre 1943; alla stessa data, però, risulta collocato in congedo assoluto per infermità dipendente da causa di guerra.

La voce di un sacerdote della memoria
I ricoveri in ospedale hanno sicuramente rappresentato un ostacolo per Carmine, che avrebbe voluto servire la sua patria senza risparmiarsi.
Dopo la guerra, la sua voce è rimasta un legame vivo con la memoria di Valva, ricordandoci che la storia non è fatta solo di documenti e date, ma di persone, ricordi ed emozioni. E' fatta di scelte, talvolta di ripensamenti, a volte di errori.
Dai suoi ricordi di scuola – legati alle vicende della Grande Guerra e ai "tre fiumi sacri alla Patria", come amava ripetere – alla sua esperienza di soldato nella Seconda guerra mondiale: la vita di zio Carmine è stata profondamente segnata dall’esperienza militare e dal suo amore per il "sacro dovere" di difendere la Patria. 
Con la sua voce, che per decenni ha accompagnato le cerimonie del 4 Novembre, è diventato quasi un sacerdote della memoria, un custode di un rito civile che ha trasmesso alle nuove generazioni.
Zio Carmine in una celebrazione al Monumento,
negli anni Ottanta
Un appello
Una delle occasioni in cui zio Carmine ha raccontato la sua esperienza di soldato è stata organizzata dalla scuola media di Valva nel periodo 1993-1994. Insieme a lui c'era anche la signora Gerardina Fusco, che ha portato la sua testimonianza sulla guerra vissuta a Valva, soprattutto nel settembre 1943.
Purtroppo non siamo riusciti a rintracciare la videocassetta registrata in quell'occasione e rivolgiamo ai nostri lettori un appello: aiutateci a ritrovare questo preziosissimo documento, un contributo fondamentale alla memoria storica della nostra comunità.
Un filo sottile, come la voce di zio Carmine ormai anziano, ci lega ancora al vissuto e ai ricordi delle nostre radici. Non spezziamolo.

🙏Grazie al nipote Mauro Strollo per la preziosa collaborazione.

G.V.

26 agosto 2025

LA VOCE DI ANGELICA -Collaboriamo a una ricerca storica-

Dicono se ne senta la voce.
Come Eco che rimanda i suoni -non più corpo di giovane donna ma pietra- o come le ninfe che abitano le fonti.
Forse è una leggenda di pastori di Valva e di Colliano o dei tanti che in passato venivano qui dalle montagne di Acerno o Montella.
Una pietra, un orecchio attento e la voce dell'acqua.
L'acqua che attraversa la montagna e giunge al fiume, in tante vene che sembrano capelli.
Si racconta che, molti anni fa, una ragazza di nome Angelica sia morta in montagna, in una fonte o una conca d'acqua, tra Valva e Colliano. Forse era un pozzo.
La madre avrebbe detto all’acqua:
«Che tu possa prendere tante vie quanti erano i capelli della mia Angelica».

Ipotizzo che Angelica sia davvero esistita, come Marianna: 
👉un'altra vicenda tragica rimasta impressa nella memoria popolare.
L'Acqua Angelica come il Pozzo di Marianna, dunque. 
Almeno, questa è la mia ipotesi.
Per provare a ricostruire la sua storia e capire in quale periodo sia avvenuta, chiedo l’aiuto di tutti gli appassionati della nostra storia e delle nostre leggende.
Ogni dettaglio può essere importante.
Insieme possiamo dare data e volto a questa leggenda e restituirla alla storia.

👉 Puoi collaborare così:

  • Vai su antenati.cultura.gov.it e cerca nei registri di Valva e Colliano alla voce Morti.

  • Cerchiamo l'atto di morte, verosimilmente nella prima metà dell'Ottocento, di una ragazza di Valva o Colliano di nome Angelica, morta in una località di montagna (non deve risultare un indirizzo di casa).

  • Per coordinare i nostro sforzi, se trovi un atto, o anche solo dopo aver verificato senza risultati, scrivici a la ràdica. Ogni piccolo passo è utile!

  • Se conosci i luoghi di montagna indicati nella leggenda, inviaci la localizzazione precisa o fotografie.

COME FARE LA RICERCA

1. Collegarsi al sito 👉 https://antenati.cultura.gov.it/ e digitare Valva (o Colliano), come nell'esempio:

2. Nel menu a sinistra, alla voce TIPOLOGIA scegliere  MORTI

3. Il portale ora mostra solo la tipologia di registro scelta:

4. Cliccare sull'icona come nell'immagine. Questa operazione consente di avere una visualizzazione più efficace:

5. Scegliere la modalità di visualizzazione GALLERIA:
6. Se il registro ha un indice, si riconosce abbastanza agevolmente alle ultime pagine:
Purtroppo i registri non coprono  tutti gli anni e non sempre hanno l'indice.
In alcuni casi, l'indice è per nome, più spesso per cognome.

Se non dovessimo riuscire a individuare una possibile Angelica all’origine di questo racconto popolare, ben attestato sia a Valva sia a Colliano, ci sarà comunque un aspetto positivo: Angelica resterà nella zona protetta del mito e continuerà a parlare con la voce delle acque sotterranee dei monti.
G.V.

24 agosto 2025

IMMAGINI DALL'ETIOPIA: LA STORIA DI MARIO FIGLIULO

Mario Figliulo ha vissuto un percorso comune a molti giovani italiani negli anni Trenta e Quaranta. Ha suonato in una banda presidiaria, è stato allievo militare, poi camicia nera volontaria in Africa Orientale; richiamato alle armi durante la Seconda guerra mondiale, sbandato dopo l'8 settembre 1943. 
Eppure, la sua esperienza oggi assume per noi un valore particolare grazie ad alcune fotografie che risalgono al periodo della sua permanenza in Etiopia. In esse troviamo ricordi personali e frammenti di storia: tra le immagini, infatti, è giunta fino a noi  anche una foto che documenta un passaggio di consegne di rilievo nell'esercito italiano.

Il servizio militare
Mario Figliulo  (all'anagrafe, Mario Secondo) nasce a Valva il 20 marzo 1909, in via seconda San Vito.
Alla visita militare dichiara di essere calzolaio di professione.

Nel 1929 è allievo musicante nella Banda  Presidiaria del 10° Corpo d'armata di Napoli ed è aggregato al Deposito 1° Bersaglieri. 

Le bande presidiarie erano legate a un presidio militare (una città sede stabile di truppe dell'esercito); assicuravano un servizio musicale stabile.

Nel marzo 1930 risulta non più aggregato perché ricoverato all'ospedale militare di Napoli fino al 13 aprile, quando viene dimesso e inviato in licenza di convalescenza di 60 giorni. Come vedremo, non sarà l'unico ricovero.
Lo troviamo poi nella 27ª Compagnia Distrettuale di Napoli (una struttura di retrovia, legata alla componente burocratica dell'esercito).
Gli viene riconosciuta l'idoneità per aver frequentato il prescritto biennio del corso, superando gli esami finali, come attestato dal comando della 140 Legione MVSN (la milizia fascista).
Il 25 giugno 1930 Mario è mandato in congedo illimitato, con la  dichiarazione di aver tenuto buona condotta e  di avere servito con fedeltà e onore.

In Africa
Nell'ottobre 1935 si arruola volontario per l'Africa Orientale con la ferma di un anno. È nel 9° Battaglione Complementi di Fanteria, assegnato al 132° Reggimento Fanteria.

I battaglioni complementi servivano a raccogliere, formare e rifornire i reggimenti di fanteria con nuovi soldati.

Il 22 ottobre 1935 Mario parte da Napoli per l'Eritrea col 9° Battaglione Complementi ufficiali e sbarca a Massaua
L'8 novembre 1935 l'esercito italiano occupa Makallé
Il 16 novembre, a causa della sua lentezza nel condurre l'offensiva in Etiopia, il generale De Bono viene richiamato in Italia e sostituito dal maresciallo Badoglio.
Mario Figliulo fa in tempo a fotografare la partenza di De Bono, nel "giorno in cui lascia il comando", come leggiamo in questa foto che il nipote Carlo ci ha gentilmente messo a disposizione:


Nel 1936  ritroviamo Mario nel 14° Reggimento Speciale Intendenza, che è incaricato della logistica e dell'amministrazione in una zona delicata come l'Africa Orientale Italiana (dove accompagna le unità combattenti).
Sono mesi decisivi per il conflitto.
A inizio maggio l'esercito abissino è in rotta, il Negus abbandona l'Etiopia.
Il 5 maggio Badoglio entra in Addis Abeba.
Il 9 maggio, il celebre "discorso dell'Impero" pronunciato da Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia: dopo quindici secoli -proclama- "sui colli fatali di Roma" riappare l'impero.


Qui il fotografo osserva con curiosità un mercato. La foto ci offre uno sguardo diretto sul contesto sociale ed economico dell'Etiopia del tempo:
Mercato abissino

Una precisazione linguistica: l’Eritrea è una colonia italiana da fine Ottocento; l’Abissinia è il nome storico dell’antico regno; l’Etiopia è lo stato moderno costruito sull'Abissinia: solo dal 1952 al 1993 comprenderà l'Eritrea (che oggi è indipendente).

Nel gennaio 1937 Mario Figliulo è nel 1° Battaglione Speciale Complementi, un reparto che si occupa dell'addestramento e dello smistamento del personale (ad esempio, prepara coscritti e richiamati prima di inviarli ai reparti operativi).
Nel dicembre 1937 Mario è collocato in congedo illimitato.

La Seconda Guerra Mondiale
Nel giugno 1940 l'Italia entra nella Seconda guerra mondiale.
Nel 1941 Mario viene richiamato alle armi, nel gennaio 1942 è trasferito al 367° Battaglione Costiero di Bari.
Nel settembre 1942 risulta ricoverato all'Ospedale militare di Pagani per malaria recidiva dipendente da causa di servizio, nel mese di ottobre  viene dimesso con 70 giorni di convalescenza. Rientra al corpo nel gennaio 1943.
Dal 3 gennaio all'8 settembre 1943 partecipa alle operazioni di guerra svoltesi nello Scacchiere Mediterraneo per la difesa della fascia di copertura costiera con il 367° Battaglione Costiero  mobilitato.
Sbandatosi in seguito agli eventi bellici dell'8 settembre 1943, è da considerarsi in licenza straordinaria a partire dal 9 settembre.
Viene infine collocato in congedo illimitato il 2 aprile 1944.
Mario Figliulo è stato decorato con la Medaglia Commemorativa della guerra in Africa Orientale. Gli è stata anche conferita la Croce al Merito di guerra per la partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943.

Alcuni scatti, tante tappe indicate sul foglio matricolare e chissà quante esperienze vissute, delusioni superate, sofferenze patite. La storia di Mario Figliulo ci consente di ricostruire uno spaccato della vita dei giovani tra gli anni Trenta e Quaranta, dalla fiducia nel regime all'esperienza della guerra, fino allo sbandamento nazionale dell'8 settembre. È quasi una piccola autobiografia della nazione, tra fede, disincanto e lenta rinascita.

🙏Un caloroso ringraziamento al nipote Carlo Figliulo, che ha raccolto queste preziose foto.
G.V.

TRA RIGORE E CLEMENZA: IL PROCESSO A UN SOLDATO DI VALVA

Dopo la fine della Grande Guerra, i tribunali militari italiani sono impegnati a giudicare molti soldati accusati di diserzione. Non sempre si tratta di gesti di codardia: spesso infatti sono scelte legate a motivi familiari ed economici. La giustizia militare tende comunque a punire le assenze ingiustificate, giudicate una violazione dei doveri del soldato.
Il 1919 è un anno molto delicato dal punto di vista sociale ed economico per l'Italia. 
La società è attraversata da conflitti (scioperi, proteste dei reduci, problemi legati alla smobilitazione). 
In questo difficile contesto, il legislatore e i tribunali sembrano oscillare tra severità e clemenza: da un lato riaffermano la disciplina militare, dall'altro adottano provvedimenti di amnistia e condono, anche per alleggerire il carico giudiziario e per favorire il reinserimento dei soldati nella vita civile.

Una storia emblematica
La storia che stiamo per raccontare dimostra bene questo clima tra rigore e clemenza.
Siamo nell'Egeo, a Rodi.
E' il 27 giugno 1919.
Il Tribunale militare di guerra dell'Egeo emette la sentenza n. 677 nel processo n. 68, contro il soldato F.S. di Valva.
Il soldato ha 23 anni ed è arruolato nel 4° Reggimento speciale d'Istruzione in Rodi.
E' accusato di diserzione, per non essere rientrato al proprio corpo (37° Reggimento Fanteria, 1514 Compagnia mitragliatrici Fiat) dalla licenza scadutagli il 4 aprile 1918, essendosi spontaneamente costituito il 15 maggio 1918 al Deposito dell'81° Reggimento Fanteria in Roma.
Immagine creata dall'AI
Nel dibattimento, così vengono riassunti i fatti:

La licenza gli era stata concessa l'11 marzo dal Comando del 37° Reggimento Fanteria dislocato in zona di guerra, "per recarsi a Valva in provincia di Salerno", con l'obbligo di rientrare entro il 4 aprile. L'imputato non solo non ritornò, ma si rese irreperibile, presentandosi poi spontaneamente al Deposito Fanteria in Roma il 15 maggio 1918.
Dopo l'intervento del pubblico ministero, prende la parola l'accusato, che ammette il fatto addebitatogli "affermando però di essere a ciò indotto dalle miserevoli condizioni economiche in cui versava la famiglia".
Il collegio giudicante non ritiene accettabili le motivazioni addotte dal soldato, "poiché lo Stato obbliga i cittadini al servizio militare unicamente per tutelare gli interessi delle collettività che lo formano, per provvedere all'incolumità delle istituzioni e alla inviolabilità del suo territorio e, per questo, qualunque cittadino arruolato nei ranghi dell'Esercito, esimendosi arbitrariamente dagli obblighi assunti viene a violare senza dubbio di sorta la compagine della milizia cui egli appartiene che si basa e si compenetra nell'osservanza delle discipline e delle leggi che la regolano".
Con l'esimersi illegittimamente dagli obblighi del servizio militare, l'imputato "deve dichiararsi responsabile del reato di diserzione".
A questo punto, il collegio giudicante individua delle attenuanti: l'imputato non è un disertore da un reparto di prima linea in presenza del nemico, né disertore per la terza volta nonostante l'ammonimento, né disertore armato che abbia commesso il reato previsto dall'art. 4 del Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917 n. 1952, che stabilisce:

Il disertore armato, o accompagnato da una o più persone armate, che si rifiuti di obbedire alla prima intimazione di arrendersi, ovvero faccia uso delle armi è punito di morte.
Alla stessa pena soggiacciono le persone armate che accompagnano il disertore.
Il giudizio sarà in ogni caso di competenza dei tribunali militari.

Di conseguenza, l'imputato rientra nel beneficio dell'articolo 13 del Regio Decreto del 21 febbraio 1919, n. 157:
Le pene restrittive della libertà personale [...] esclusi i militari disertori da un reparto di prima linea in presenza del  nemico, o passati al nemico, i militari disertori per la terza volta nonostante l'ammonimento, e i militari disertori armati [...], sono ridotte al massimo della pena stabilita dall'art. 145, prima parte, del Codice penale per l'esercito [...], qualora si tratti di disertori compresi in alcuna delle categorie indicate nei numeri 1,2,3, e 4 dell'articolo precedente, la cui assenza o le cui assenze arbitrarie dal corpo, abbiano avuto una durata complessiva superiore ai 15 giorni.
L'imputato rientra inoltre nella prima categoria articolo precedente:
[...] E' concessa l'amnistia qualora l'assenza o le assenze arbitrarie dal corpo non abbiano avuto una durata complessiva superiore ai quindici giorni, comprese in tale periodo anche le assenze, per cui sia intervenuto un provvedimento generale o particolare di esenzione da pena, di condono o commutazione, e si tratti di disertori compresi in alcuna delle seguenti categorie:
1. disertori che si siano ripresentati spontaneamente prima del 31 ottobre 1918
Non è compreso nel novero delle persone escluse da tale beneficio ai termini dell'articolo 18:
coloro che al tempo del commesso reato avevano riportato più di una condanna, per reato contro le persone o contro la proprietà, a pena superiore ai sei mesi di reclusione ordinaria o militare ovvero si trovino sottoposti alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza.
Di conseguenza, deve essere condannato al massimo della pena stabilita dalla prima parte dell'articolo 145 del Codice penale dell'Esercito:
La diserzione in tempo di guerra sarà sempre punita colla reclusione militare da tre a cinque anni. 
Per la  lodevole condotta del soldato durante il servizio militare e per i suoi ottimi precedenti penali, il Tribunale ritiene  doversi sospendere l'esecuzione della condanna, a norma dell'articolo 105 del regolamento di procedura da seguirsi davanti ai Tribunali di guerra. Alla condanna segue l'obbligo del risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali.
La condanna è sospesa, dunque il Tribunale ordina la scarcerazione del condannato se non detenuto per altra causa.

Una conclusione significativa
Una nota datata 1 novembre 1919, in fondo al documento, ci informa che con Declaratoria 31 ottobre 1919, in applicazione del R.D. 2-IX-1919 n. 1502, la pena è amnistiata.
La conclusione della storia di F.S. è emblematica: sul piano formale, la condanna resta; su quello pratico, viene cancellata. Lo Stato sembra voler voltare pagina, pur ribadendo in linea di principio l'autorità della legge e l'importanza della disciplina militare.
La vicenda del giovane valvese è inserita in una fase storica di tensione tra la disciplina militare e la necessità di pacificazione sociale.

Una sintesi per orientarsi nel processo

Il tribunale condanna formalmente F.S. al massimo della pena prevista dal Codice penale dell’Esercito per la diserzione in tempo di guerra, cioè cinque anni di reclusione militare. Tuttavia, la condanna viene subito sospesa per la buona condotta del soldato, e pochi mesi dopo, con l’amnistia dell' ottobre 1919, la pena viene completamente cancellata. 

F.S. ha rischiato la pena di morte?
No, perché la pena di morte scattava solo in alcuni casi particolari previsti dal Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917, n. 1952 (art. 4): diserzione armata; diserzione in presenza di complici armati; se il disertore si rifiuta di arrendersi alla prima intimazione o fa uso delle armi. Il collegio giudicante esclude che F.S. rientri in queste ipotesi aggravanti: non è disertore da reparto in linea davanti al nemico, non è recidivo (terza volta), non era armato né ha opposto resistenza. 

Le attenuanti
Grazie al Regio Decreto 21 febbraio 1919, n. 157, i disertori che si erano ripresentati spontaneamente entro una certa data potevano usufruire di una riduzione di pena o dell’amnistiaF.S. rientra in questa categoria, quindi la pena viene ridotta al massimo della reclusione prevista (3–5 anni), ma non è passibile di pena capitale.

Fonti:
La ricostruzione del processo si basa sulla documentazione dell'Archivio Centrale dello Stato: https://tecadigitaleacs.cultura.gov.it/
[Sentenza del Tribunale militare di guerra dell'Egeo in Rodi n. 677 del 27 giugno 1919 contro F.S., processo n. 68]

G.V.

20 agosto 2025

LA CAMICIA NERA PRIGIONIERA DEI TEDESCHI E DEI PARTIGIANI JUGOSLAVI

La storia di Scipione Marciello è emblematica: racconta la complessità della guerra, la rapidità dei cambiamenti, il disorientamento che ha colpito giovani uomini che avevano creduto nel regime fascista e nel valore della lotta; lascia intuire, inoltre, lo scontro ideologico che attraversava il conflitto.
Scipione Marciello nella sua divisa di guardia comunale
Foto di Michele (Foto Falco) Falcone, fonte Gozlinus
La sua carriera militare ha due fasi molto diverse tra loro.
Nato a Valva il 19 gennaio 1910, fino al 1932 non presta alcun servizio alle armi, in quanto dispensato dal compiere la ferma e lasciato in congedo illimitato.

In Libia
Poi inizia una seconda fase, ricca di avvenimenti.
Il 16 settembre 1939 lo troviamo mobilitato nel 140° Reggimento della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, la cosiddetta Legione Aquila, con sede a Salerno.

Era un reparto della MVSN, composto in prevalenza da volontari. Aveva compiti di deposito e di addestramento. La MVSN era una milizia politica, una forza armata volontaria e uno strumento di controllo del territorio; i suoi compiti spaziavano dall'ordine pubblico alla partecipazione diretta ai conflitti.
Il 10 ottobre Scipione si imbarca a Napoli per la Libia. Viene rimpatriato e smobilitato il 24 maggio 1940.

La disciplina della Milizia
La carriera militare di Scipione registra una pausa di due anni, almeno a leggere il suo foglio matricolare. 
Il 26 luglio 1942 infatti è richiamato alle armi, nella stessa 140ª legione delle Camicie Nere. Lo stesso giorno lo vediamo destinato al Battaglione Smistamento 143, del campo di Pietrelcina in provincia di Benevento. Nel mese di agosto viene trasferito al 162° Reggimento delle Camicie Nere, al Comando Truppe n. 8 per essere avviato alle operazioni oltremare.
La sede del comando truppe n.8 è il Policlinico di Bari: Scipione stava attendendo di essere imbarcato verso la sua destinazione operativa. Dal suo foglio matricolare possiamo ipotizzare che il Policlinico di Bari fosse utilizzato come sede logistica e amministrativa militare, visto che leggiamo la dicitura "Tappa n. 8-Policlinico di Bari". Le tappe erano strutture militari che gestivano i movimenti di personale e materiali.
La disciplina all'interno della Milizia è molto rigida: i comandi enfatizzano l'ordine, la gerarchia e la lealtà a Mussolini. Di conseguenza, anche assenze brevi ma ingiustificate vengono punite e possono anche compromettere il futuro del milite.
Il 10 settembre 1942 lo troviamo presso il 162° Battaglione Camicie Nere. 

In Jugoslavia: guerra e prigionia
Fino al 31 agosto 1943 Scipione prende parte alle operazioni di guerra in Balcania, più precisamente in Jugoslavia con 162° Reggimento Camicie Nere nel 10° gruppo.
Il 1 settembre 1943 Scipione viene trasferito all'84° Reggimento Fanteria, 1° Battaglione  Compagnia.
A questo punto sul foglio matricolare di Scipione Marciello troviamo due voci assai stringate, che racchiudono un periodo sicuramente terribile per il giovane soldato.
Il 21 ottobre 1943 viene catturato dai tedeschi e "ristretto in campo di concentramento in Iugoslavia"
Il 10 settembre 1944 risulta "prigioniero dei partigiani Iugoslavi".
La sintesi burocratica non può restituire il contesto storico degli eventi nella regione balcanica, ma ci fa intuire l'instabilità del periodo: da alleati d'acciaio, i tedeschi diventano i principali nemici dell'Italia; i partigiani jugoslavi lottano contro i tedeschi, ma rappresentano comunque un destino incerto per chi finisce nelle loro mani.

Il contesto balcanico
Nel periodo tra il 1943 e il 1944 la Jugoslavia è teatro di intensi combattimenti tra i partigiani titini e le truppe di occupazione dell'Asse. 
Dopo l'8 settembre, molti soldati italiani vengono catturati dalle forze tedesche e inviati in Germania come internati militari; anche in Jugoslavia ci sono campi di concentramento: uno dei più noti è il campo di Jasenovac, gestito dal regime ustascia croato, che ospitava principalmente detenuti civili e politici.
Alcuni italiani vengono  catturati dai partigiani jugoslavi, che in molti casi li trattano come prigionieri di guerra o li utilizzano come forza lavoro forzata.
Nel settembre 1944, la liberazione dei campi di concentramento nazisti in Jugoslavia è ancora in una fase iniziale. I partigiani, guidati dal maresciallo Tito, nella loro azione sono sostenuti dall'Armata Rossa.
 
Un'ipotesi su Scipione
Ipotizziamo che Scipione Marciello, dopo essere stato liberato dai partigiani jugoslavi, sia stato trattato come prigioniero di guerra, a differenza degli altri italiani liberati nella primavera del 1945 dalle Forze Alleate. 
A confermare la nostra ipotesi potrebbe essere la data del rimpatrio: alla fine del 1946, ovvero un anno e mezzo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Infatti, Scipione viene rimpatriato solo il 28 novembre 1946, quando risulta assegnato al Centro Alloggio di Bari.


Dal foglio matricolare di Scipione Marciello siamo riusciti a ricostruire vicende che ci ricordano quanto fossero complesse le scelte dei giovani soldati in quegli anni e quanto fosse alto il prezzo della fedeltà alla patria, servita da volontario. 
Una vicenda individuale che fa comprendere le contraddizioni e le tragedie di un’intera epoca.
G.V.