25 marzo 2023

LA DIVISA NELLA QUALE COMBATTERE

Ed un cielo di zucchero nero e di carta stellata
prometteva esperienza e mistero per tutta la strada.

Francesco de Gregori, Sulla strada 

Non sono facili le vie dell'emigrazione, non lo sono mai state.

Alcune hanno la forma quasi circolare che riconduce al punto di partenza, con l'esperienza maturata altrove; altre si aprono in altre strade e dischiudono orizzonti imprevedibili.

Mi viene da pensare all'esperienza e al mistero che può nascondere la scelta di lasciarsi alle spalle il paese, la casa, gli affetti e partire per l'America, puntando tutto su una carta ancora coperta.

Un nuovo mondo, una nuova lingua, spesso una nuova cittadinanza, a volte anche una nuova patria da difendere in guerra.

Henry Porcelli col padre Antonio e la madre Mabel nel 1942

Dalle nostre ricerche sono emerse storie di valvesi che hanno indossato la divisa dell'esercito statunitense nella Prima e nella Seconda guerra mondiale.

Altri valvesi, nati in America da genitori emigrati, sono invece tornati a Valva per combattere nell'esercito italiano.

Forse è più semplice inquadrare storicamente la scelta dei soldati di origine italiana di combattere nell'esercito americano nella Seconda guerra mondiale; si pensi ad esempio ad Henry Porcelli, la cui storia abbiamo raccontato in diversi post:

👉Dopo lo sbarco a Salerno un soldato americano visita la nonna a Valva
👉Sulle tracce del soldato Porcelli
👉Il suo nome era Henry Porcelli
👉Storie come strade

Figlio di un emigrante valvese, Henry è nato cittadino americano e per lui è stato normale arruolarsi nell'esercito del suo Paese.

Certo, il destino avrebbe potuto metterlo nella drammatica situazione di bombardare il comune di origine di suo padre, uccidendo anche suoi parenti. Per fortuna, la foto in cui è sorridente accanto alla nonna vestita da pacchiana dimostra che le cose sono andate diversamente.

Henry Porcelli con la nonna a Valva, nel 1943

La scelta di arruolarsi nell'esercito americano in occasione della Grande guerra è meno scontata, perché si tratta di cittadini italiani giunti da poco negli Stati Uniti.  Alcuni rispondono alla chiamata alle armi dell'esercito italiano, ma la maggior parte si arruola in quello americano.

Il Paese che accoglie viene evidentemente percepito subito come una nuova patria per la quale si è disposti eventualmente anche a sacrificare la vita. 

In un suo articolo pubblicato nella rivista Eunomia dell'Università di Lecce, il prof. Giuseppe Mazzaglia individua come prima ragione che spinge a considerare più vantaggioso combattere a fianco degli americani quella di carattere utilitaristico: un periodo al fronte assicurava la carta di lavoro e un un passaggio facile verso la cittadinanza, per sé e per la propria famiglia; "la prospettiva di un permesso permanente addolciva la pillola", commenta Mazzaglia.

In una fase in cui l'immigrazione di massa dall'Europa era ancora in pieno sviluppi, prosegue il professore, si passava da una miseria assoluta a condizioni di vita ancora precarie ma con l'obiettivo di migliorare. 

Qualsiasi modo per velocizzare il processo di integrazione era ben accetto, fosse anche il caso di mettere a rischio la propria vita per un paese di cui ancora non si conosceva bene la lingua. Oltretutto, la maggior parte degli uomini tra i diciassette e i trentacinque anni la vita la rischiava ugualmente lavorando nelle miniere, come carpentieri e muratori, a posare le ferrovie e nelle fabbriche.  [...]  

L’Italia, poi, era il posto da cui erano scappati, che li aveva costretti a emigrare per non vivere in miseria. Per molti, il fatto di poter servire il loro paese d’adozione significava un passo verso la pubblica accettazione che fino ad allora avevano potuto soltanto sperare.

G. Mazzaglia, I pugliesi che combatterono nell'esercito americano nella Prima guerra mondiale, 2018 

Tra coloro che si arruolano, 1030 cadono in combattimento, muoiono in seguito alle ferite riportate in combattimento o sono dichiarati dispersi. La regione italiana con il numero più alto di soldati caduti nell'esercito statunitense è la Campania, che al tempo comprendeva anche la "Terra di Lavoro" (e dunque anche l'attuale provincia di Frosinone e buona parte di quella di Latina), con 249 caduti.

Tra questi caduti, il valvese Carmine Figliulo, che risulta morto in Francia il 20 febbraio 1919 nel Dipartimento della Marna (regione Champagne-Ardenne). Visto che la guerra era finita nel novembre precedente, possiamo dedurne che il soldato sia deceduto in seguito a ferite riportate in combattimento (o a una malattia contratta in guerra).

Tumulazione della salma di Carmine Figliulo a New York, nel 1922;
la foto è stata pubblicata da Gozlinus

Alla sua vicenda Gozlinus ha dedicato due post:

Un altro valvese risulta arruolato nell'esercito statunitense nella Grande Guerra: Francesco Grasso, che diventerà un famoso direttore d'orchestra in Florida col nome americanizzato di Frank Grasso.

A lui il blog Gozlinus ha dedicato diversi post, tra i quali segnaliamo quello più ricco di informazioni:👉Il maestro delle stelle.

Arrivato negli Stati Uniti nel 1912, risulta arruolato nel 1918 e congedato nel 1919; dalla tomba risulta che durante la guerra faceva parte di una brigata di deposito (quindi non ha combattuto sul fronte).

Ecco la foto della sua tomba:

Il nostro blog ha dedicato molto spazio alle vicende della famiglia Freda: due dei fratelli di quella famiglia di emigranti valvesi hanno combattuto la Grande Guerra nell'esercito statunitense, mentre tre loro figli hanno combattuto la Seconda Guerra Mondiale (e in un caso anche quella di Corea).

Un caso particolarmente significativo è quello dei fratelli Catino: Michele caduto sul Carso con l'uniforme italiana, Amedeo sopravvissuto -ma non indenne- ai gas di Verdun con quella americana.

Quelli che hanno scelto l'Italia

Sabato Fratangelo, classe 1895, calzolaio, nasce a Piffard, negli Stati Uniti, il 10 agosto 1895, da Francesco e Filomena Spiotta.
L'Italia lo chiama alla visita militare e poi a combattere nella Grande guerra, nella quale cadrà.

Alla sua storia abbiamo dedicato dedicato il post 👉 Sabato, nato in America e morto in guerra da italiano.

Ancora diversa è la storia di Giuseppe Marcelli, nato a Newark nel 1921, chiamato alle armi in Italia nel 1943, sbandato dopo l'8 settembre 1943. E' verosimile che sia tornato negli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale.

Della sua vicenda e di quella della sua famiglia ci siamo occupati nel post 👉 Da Newark a Valva per la guerra e poi il ritorno.

...un cielo di zucchero nero e di carta stellata; foto di Giancarlo Feniello (G+)

G.V.