21 dicembre 2024

PORTARE IL MIO NOME FUORI DELLA GUERRA -Monologo di un internato militare-

Un nome può nascondere un destino, dicono.
Io non ci credo molto, per la verità, ma quando penso al mio beh...qualche dubbio mi viene. 
Mi chiamo come mio zio: Onofrio Mastrolia.
Mi chiamo come mio cugino: Onofrio Mastrolia.
Mi chiamo come un nostro parente americano, credo un cugino di mio padre: Onofrio Mastrolia.
Mio zio ha combattuto l'altra guerra, era sergente, è caduto sul Grappa nel '17.
Ho visto una foto di alcuni soldati valvesi...una dozzina. Era il giorno del suo funerale, nel mese di dicembre.
Secondo me, hanno saputo della sua morte e hano chiesto una licenza...chi lo sa...un compaesano si va a salutare, si deve fare scosì.  Anche in guerra, se possibile.
Erano giorni duri, quelli. 
Il generale Diaz stava riorganizzando l'esercito, dopo Caporetto.
"Rifaremo l'esercito", diceva (almeno così ci raccontava la maestra Bebè).
E ci è riuscito, il generale Diaz: l'esercito è rinato, la guerra è stata vinta ma mio zio non c'era più.
Ora il suo nome, che è anche il mio,  è al monumento ai caduti del nostro paese.
Poi c'è il parente americano.
Mi hanno detto che c'era anche lui alla grande serata di beneficenza, vicino a Nuova York, quando hanno raccolto i soldi da mandare a Valva per costruire il monumento.
Se riesco a tornare sano e salvo, me ne vado in America e vado a conoscerlo.
Ance mio cugino si chiama come me, ma ora non so dov'è. È più giovane di me, non so se hanno chiamato anche lui a combattere.
So dove si trova mio fratello Michele: è prigioniero degli americani, combatteva in Africa, lui. 
Ma gli americani ora sonoi nostri alleati, forse lo hanno rilasciato...non lo so, non ho più notizie. È da quando lo hanno catturato in Albania che non so più nulla di lui.
So che ci sono altri compaesani con lui, mentre alcuni sono morti. 
Ricordo Ottavo Fasano, Michele Cuoco, Michele Cuozzo: tutti morti in Africa.
Hanno qualche anno più di me, anzi: avevano, avevano  ahimé...ma in fondo a Valva quasi tutti hanno qualche anno più di me, tra noi che siamo in guerra. 
Da qualche mese, sono diventato un lavoratore civile. 
Secondo alcuni dovrei ritenermi fortunato, ma proprio non ci riesco.
I tedeschi ci fanno uscire dal campo per andare a lavorare, la sera dobbiamo però tornare per dormire.
Non possiamo espatriare, naturalmente.
Mi sono iscritto alla cassa mutua, non mi pagano più come prima con la moneta del campo di prigionia: ora mi danno dei marchi, marchi veri finalmente.
Lavoro in un ingrosso di legnami, ad Hannover.
Ho imparato l'indirizzo, Hamelnstrasse 44, ma non serve a niente: non scrivo lettere e non ne ricevo, nemmeno corro il rischio di smarrire la strada, visto che ci muoviamo tutti insieme.

Guadagno 200 marchi al mese, lordi.
Come? Una bella paga? Sì, ma 100 se li trattengono...Kost und Logis...per vitto e alloggio, dicono; 50 se li prendono di tasse e altre spese, quelli che avanzano si possono spendere, ma solo negli spazi che dicono loro e ogni tanto si inventano pure una nuova multa.

Non vedo l'ora di portare finalmente il mio nome fuori dalla guerra.

G.V.

Immagini create da ChatGPT sul testo del blog "la ràdica"


19 dicembre 2024

LA GUERRA DI ONOFRIO, IL PIU' GIOVANE DEI SOLDATI

E' un martedì quel 16 dicembre 1924, quando in Corso Umberto Primio a Valva nasce Onofrio Mastrolia, figlio di Carmelo e di Maria Nicola Feniello.
Il giorno dopo Carmelo va a registrare la nascita del bambino; testimoni, il falegname Antonio Caprio e il possidente Luigi Freda (dovrebbe essere il presidente del Comitato per il Monumento ai caduti).
Nei giorni successivi, in paese nascono altri tre maschi.
Il 20 dicembre, Ettore Antonio Marcelli; il 23, Vito D'Ambrosio; il 28 dicembre si presenta in comune il padre di un bambino che il sindaco Valletta -ufficiale di Stato Civile- riconoscere "essere senza vita": il piccolo Gennaro Falcone, nato il giorno prima in piazza Plebiscito al numero 18.
Onofrio Mastrolia, Ettore Antonio Marcelli e Vito D'Ambrosio faranno la visita militare di cui ci siamo già occupati: quella del 4 settembre 1942.
Onofrio viene dichiarato abile e arruolato, mentre gli altri due saranno mandati rivedibili.
Questo è un dettaglio decisivo: infatti Onofrio sarà il più giovane valvese a partecipare alla Seconda guerra mondiale mentre gli altri saranno chiamati alle armi solo nel 1946, insieme ai giovani della classe 1925; questi ultimi, faranno la visita militare nell'aprile 1943 ma il Regno del Sud non riuscirà a chiamarli alle armi in tempo utile per mandarli in guerra. 
La breve guerra di Onofrio
Chiamato alle armi il 29 agosto 1943, due giorni dopo Onofrio Mastrolia è assegnato al Deposito del 90 Reggimento Fanteria in Valle Crosia, come leggiamo nel suo foglio matricolare.
La grafia dovrebbe essere errata; è probabile che si tratti di Vallecrosia, in provincia di Imperia, a pochi passi dal confine francese.
Sarebbe molto interessante ricostruire le vicende di quei giorni in uno scenario così delicato, nel quale abbiamo già incontrato altri valvesi.
Sul foglio matricolare di Onofrio, però, leggiamo solo questa scarna informazione: sbandato in seguito agli eventi bellici del settembre 1943.
Questo significa che Onofrio è tornato a casa, sicuramente con un viaggio avventuroso, e immaginiamo che abbia atteso a Valva la fine della guerra.
La notizia successiva sul suo foglio matricolare ci porta infatti già nel dopoguerra: il 20 maggio 1946 è richiamato alle armi, nel centro addestramento di Avellino. Qui inizierà la seconda fase della carriera militare di Onofrio, che si concluderà con alterne vicende solo nel 1948. 
Una vicenda emblematica
Anche se la sua guerra è durata pochi giorni, la vicenda di Onofrio Mastrolia è emblematica per una serie di ragioni.
Intanto, il nome.
Onofrio si chiama come suo cugino, figlio di Sabato e Artemisia Figliulo, di cui abbiamo già raccontato la vicenda di Imi e di emigrante in Francia, nel post La storia di Onofrio, IMI ed emigrante
I due hanno il nome di uno zio caduto nella Prima guerra mondiale, sul Monte Grappa, nel 1917.
Il sergente Onofrio aveva due fratelli minori: Sabato, padre di Onofrio internato militare e Carmelo, padre di Onofrio di cui ci occupiamo in questo post.
Un altro Onofrio Mastrolia è presente nella serata di Newark, nel febbraio 1924, durante la quale vengono raccolti i fondi per il monumento ai caduti di Valva: ipotizziamo sia nato nel 1869, forse uno zio del soldato caduto, di Sabato e di Carmelo.
Cono Onofrio Mastrolia, nato nel dicembre 1924, si chiude l'elenco dei valvesi che hanno combattuto la Seconda guerra mondiale.

Immagine generata con il supporto di ChatGPT, un assistente virtuale basato sull'intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI.

🙏Un sentito ringraziamento al signor Giuseppe Cecere per la consueta e preziosa collaborazione.
G.V.


10 dicembre 2024

L'ASSE -Monologo di un internato militare-

In memoria di Settimo e Ottavo


Ai figli si danno i nomi, poi a un certo punto iniziano i numeri.
Quinto, sesto, settimo, ottavo.
I miei genitori hanno iniziato a contare quando sono arrivato io: sono Settimo, mio fratello si chiama Ottavo.
Veramente, si chiamava.
Ora il suo nome è nel telegramma che abbiamo ricevuto dall'Africa Settentrionale.
È stato il primo valvese a cadere in questa guerra.
Lui combatteva in Africa, io in Italia.
In Italia, sì, perché l'isola di Coo si trovava nel Dodecaneso italiano.
Una colonia italiana, abitata da tanti italiani.
Quando sono arrivato ho notato subito le case ricostruite dagli italiani dopo il terremoto del '33. È bello ricostruire dopo una sciagura, chissà se riusciremo a ricostruire anche l'Italia dopo questo flagello della guerra.
Mi trovo qui, prigioniero a Stargad, da quando l'isola è stata invasa dai tedeschi.
Ci siamo opposti come potevamo, ma eravamo soli.
Aspettavamo i rinforzi inglesi, pensavamo che sarebbero venuti ad aiutare i loro che erano già con noi.
Ci siamo sentiti abbandonati, forse per loro non eravamo importanti.
Per i tedeschi…non ne parliamo…traditori dell'Asse, ci dicevano.
Prima per me l'asse era una parte dell'ingranaggio di un orologio.
L'asse è in acciaio, è una ruota dentata che ingrana in una ruota più grande.
Io lo so, perché  ho imparato da mio padre la precisione paziente di chi aggiusta orologi. Ora che lui non c'è più, quello che ho imparato da lui lo metto in pratica e i valvesi lo sanno.
Oppure l'asse per me era solo un piano di legno lungo e stretto, che si ottiene tagliando un tronco nella sua lunghezza. Ho aiutato tante volte mio fratello Alfonso, che è falegname. 
Poi a un certo punto ci hanno detto che l'alleanza con i tedeschi si chiamava Asse…
E i tedeschi mi hanno fatto prigioniero, il 4 ottobre, insieme a 2500 italiani e a 600 inglesi.
Pensavo che era arrivata la fine, poi due giorni dopo ho saputo che i tedeschi hanno ucciso oltre cento soldati italiani e mi sono sentito fortunato…
Ora devo resistere, cercare di rimanere in vita e di non perdere la mia dignità di soldato italiano.
Nel campo vedo tanta sofferenza e tante malattie.
Secondo me, nel mondo c'è una malattia ancora più grande, si chiama ignoranza.
I popoli non farebbero le guerre, se no.
Se esco di qui e ho la fortuna di avere dei figli, farò di tutto per farli studiare.
Da grandi, devono aiutare gli altri, guarendoli dalle malattie e dall'ignoranza.
G.V.

Immagine
Simboli di Resilienza e Libertà, Creazione generata con l'aiuto di DALL-E, ispirata al racconto storico del blog "la ràdica".

09 dicembre 2024

COME FIORI DA SEMI PIANTATI IN GIORNI DIFFICILI. SE NE VA L'ULTIMA VEDOVA DI UN REDUCE VALVESE DELLA GUERRA

Un'altra pagina della storia di Valva si è chiusa.
L'ha chiusa la signora Marietta Marciello, che se ne è andata pochi mesi prima di compiere 93 anni.
Ora in paese non ci sono più vedove di soldati della Seconda guerra mondiale.
Marietta Marciello con due figli, negli anni Sessanta; fonte
Suo marito era Bonaventura Megaro, internato militare in Germania.
Il foglio matricolare del marinaio Bonaventura Megaro:
risulta prigioniero dei tedeschi in Austria,
dal 9 settembre 1943 al 20 agosto 1945
Quando Bonaventura era in guerra, Marietta era ancora una ragazzina: questo punto di vista conferiva ai suoi ricordi una tenerezza particolare, come quando mi ha raccontato la visita fatta con la maestra di Valva -la signora Fernanda Superchi Gaudiosi- a casa di zia S'ppuccia d Stefano, in occasione della morte in guerra del figlio. La signora Marietta ricordava la funzione in chiesa e poi il corteo al cimitero, per deporre dei fiori in memoria del giovane caduto.
Nei difficili giorni del settembre 1943 -mentre nella Valle del Sele infuriava lo scontro tra truppe alleate e tedesche- la giovanissima Marietta si è rifugiata con la famiglia in montagna, in una grotta in cui il signor Abramo Vacca cucinava per le famiglie che erano lì e rassicurava i bambini dando la colpa delle fiamme che si vedevano sulla montagna a pastori distratti che avevano lasciato acceso il fuoco. 
Tra le persone rifugiatesi nella grotta c'era anche la futura suocera di Marietta, la signora Carmela Conte.
Anche il racconto degli incontri con i tedeschi e con gli americani, filtrati attraverso gli occhi di una giovanissima donna, assumeva quasi il contorno di una fiaba, sia pure in un contesto drammatico come l'autunno del 1943.
L'americano che le offrì caramelle, biscotti e carne in scatola, dicendole che anche lui aveva una figlia piccola come lei. 
I tedeschi che quando abbandonarono il loro campo, incalzati dagli americani, lasciarono alla famiglia della giovane Marietta una cucina a carbone, che sarebbe servita anni dopo per il pranzo nel giorno del suo matrimonio.
Mi ha raccontato anche di aver trovato un ordigno bellico, proprio nel periodo in cui un sedicenne valvese -Aurelio Torsiello- era morto in seguito a un'esplosione.
La giovane Marietta aveva chiamato suo padre e l'ordigno era stato portato via da Angelo Michele Torsiello, con due buoi aggiogati e delle lunghe funi.
Molti anni dopo, due loro nipoti sarebbero diventati marito e moglie.
La futura suocera rifugiata nella stessa grotta, la cucina lasciata dai tedeschi in fuga che sarebbe servita per il pranzo del matrimonio, un giovane che porta via un residuo bellico e che sarebbe diventato il nonno della moglie del nipote: alcuni episodi -nei racconti di zia Marietta- sembrano contenere la promessa di un futuro felice, come fiori che sbocciano da semi piantati in giorni difficili.
L'incanto del racconto
I racconti di zia Marietta sono diventati due post pubblicati dal blog "la ràdica"; soprattutto, sono stati un'esperienza molto significativa, nella quale lo scrivente è stato testimone del riaffiorare di avvenimenti e stati d'animo di oltre ottanta anni fa, percependo il piacere del condividere ricordi e ammirando una notevole abilità nel raccontare; parlerei di capacità affabulatoria, come è proprio di un racconto capace di incantare l'ascoltatore. 
Anche in un caldo pomeriggio d'agosto, in un momento felice che è già ricordo.

Le nostre più sentite condoglianze alla famiglia di zia Marietta.

Ecco i due post dedicati ai racconti di zia Marietta:
G.V.

03 dicembre 2024

IL FIUME VERSO CASA: LA STORIA DI ANTONIO

Il 4 settembre 1942 è un venerdì.
A El Alamein, in Egitto, le forze britanniche fermano le forze dell'Asse: tra poche ore la vittoria strategica degli Alleati sarà sancita.
A Valva, diciassette giovani fanno la visita militare: saranno gli ultimi ad essere chiamati in guerra, da gennaio fino al 29 agosto 1943.
Come Pasquale Cappetta, che a diciotto anni e mezzo si troverà a Cefalonia e poi, scampato all'eccidio, in un campo di prigionia tedesco.
Oggi raccontiamo la storia di un altro soldato valvese che ha fatto parte dell'ultimo gruppo di chiamati alle armi: Antonio Torsiello.
Cento anni fa
Proprio oggi avrebbe compiuto cento anni.
Antonio nasce infatti a Valva il 3 dicembre 1924, figlio di Raimondo e di Francesca Fasano. 
Ecco come appariva Valva nel 1924:
fonte: Gozlinus; il castello è in ristrutturazione,
la "Torre normanna" ancora non è stata costruita;
si nota l'antica torre detta del "Belvedere"
Quando si presenta alla visita di leva, Antonio non ha ancora diciotto anni; dichiara di avere la licenza elementare: non sono molti i suoi compaesani ad avere questo titolo. Nel frattempo suo padre Raimondo è deceduto.
Chiamato alle armi il 28 agosto, vi giunge -come dicevamo- il giorno dopo.
Lo troviamo nel Deposito del 226° Reggimento Fanteria in Molfetta.

Sciolto dopo la Prima Guerra Mondiale, il 1 marzo1939 viene ricostituito con il nome di 226° Reggimento Fanteria Arezzo e il 24 maggio 1939 viene inquadrato nella Divisione di Fanteria Arezzo (53.a), insieme al 225° Reggimento Fanteria e al 53° Reggimento Artiglieria per D.f.
Sappiamo che la Divisione Arezzo nella Seconda Guerra Mondiale si trova in Albania, occupata dagli italiani. All'entrata in guerra dell'Italia, la divisione si trova schierata al confine jugoslavo. Quando Antonio arriva, la Divisione è destinata al presidio delle zone di Sarantaporos e di Belica: operazioni di rastrellamento e controllo del territorio.
 

Lo sbando
Pochi giorni ed è già il caos dell'8 settembre 1943: l'esercito è allo sbando, chi può torna a casa e sarà significativamente definito "sbandato" nei documenti militari.
La Divisione Arezzo è in forza al 343° Reggimento Fanteria a Corizza, nell'Albania meridionale (al confine con la Grecia). 
Sul foglio matricolare di Antonio Torsiello leggiamo che all'atto dell'armistizio "trovavasi in servizio presso il 226° Reggimento Fanteria in Molfetta, successivamente non è venuto a trovarsi in territorio metropolitano occupato dai non Fascisti".
Una formula contorta, obiettivamente, per descrivere una situazione insolita e purtroppo non adeguatamente prevista dai comandi militari: il territorio italiano occupato dai tedeschi. 

Ad esempio, sappiamo che il 17 settembre la 53.ma Divisione Arezzo viene circondata da uno schieramento di autoblindo e mitragliatrici dell'esercito tedesco: viene chiesto di combattere con i tedeschi.
Possiamo ipotizzare che Antonio non si sia trovato in questa situazione, altrimenti avrebbe sicuramente raccontato un'esperienza così drammatica (e un'eventuale fuga dai tedeschi).
Dunque, Antonio non torna a casa ma resta al suo posto.
Il 5 ottobre 1943 viene trasferito al 401° Reggimento Fanteria.

Questo reggimento dovrebbe essere il 401° Reggimento Pionieri, inquadrato nella 209ª  Divisione ausiliaria nel nuovo esercito cobelligerante italiano, a sostegno degli Alleati; questa divisione in particolare sarà al seguito degli inglesi dell'Ottava armata. La divisione seguirà lo spostamento del fronte verso Nord: alla fine della guerra si troverà dislocata tra Abruzzo, Umbria e Marche.  

La malattia e l'avventuroso ritorno a casa
Il 25 aprile 1944 Antonio viene ricoverato per un'infezione ai polmoni all'ospedale militare di Bari, dove resta fino al 12 giugno.
Ne accadono di cose, nell'ultima settimana in cui Antonio è ricoverato: gli Alleati liberano Roma il 5 giugno, il re Vittorio Emanuele III lascia al figlio Umberto la luogotenenza del Regno, gli Alleati sbarcano in Normandia.
Dopo una licenza di convalescenza di 90 giorni, si presenta alla visita di controllo e viene inviato in licenza di 40 giorni: è il 14 settembre 1944.

I ricordi della figlia e della nipote
Ecco come la figlia Cecchina ricorda i racconti del padre su questo periodo:

Quando eravamo bambini, mio padre cercava di non raccontarci vicende che ci avrebbero scossi; cresciuti, avevamo altri interessi, ma lui ci nominava sempre una terra lontana, che si raggiungeva per mare o in elicottero, dove combatteva e dove si ammalò. Gli dispiacque lasciare i suoi compagni. Fu ricoverato prima nell'ospedale militare da campo, poi nell'ospedale militare di Bari. 

Allo scadere della licenza, però, Antonio rimane "arbitrariamente a casa", come riportato dal foglio matricolare.
Diamo ancora la parola alla figlia: 

Mandato a casa per quaranta giorni [il ricordo coincide perfettamente con il foglio matricolare], non si ripresentò. 

La nipote Antonietta ricorda ancora i racconti che ascoltava da bambina, soprattutto nei giorni dedicati al ricordo (come ad esempio il 4 Novembre). Con lei cerchiamo di ricostruire la circostanza del mancato rientro dalla convalescenza:

Nonno non era guarito dall'infezione ai polmoni. Sua madre inviò un certificato per testimoniare la malattia e giustificarne il mancato rientro. Fu una questione di tempo: rientrò in ritardo.

Nei racconti di Antonio Torsiello colpisce un particolare: il ritorno a casa, forse dopo il ricovero. Ecco come lo ricostruisce la figlia:

Dato che c'erano i tedeschi, si fece a piedi il tratto da Barletta a casa: camminava di notte e di giorno si nascondeva sotto i ponti, costeggiando il fiume. 
Un antico ponte romano sul fiume Ofanto; fonte

Ai figli, Antonio raccontava anche le vicende della guerra di liberazione ed esprimeva la sua opinione sulle scelte politiche e militari dell'Italia, con queste parole:

Poi ci fu la ritirata dei tedeschi, che avevano occupato anche le nostre zone. I nostri alleati inglesi li spinsero avanti, fino a Montecassino: ancora oggi ci sono i cannoni rimasti e una valle di croci. 
L'abbazia di Montecassino al termine dei bombardamenti;
fonte

Cimitero caduti del Commonwealth a Cassino;
fonte

Secondo mio padre -continua la signora Cecchina- Mussolini aveva sbagliato ad allearsi con i tedeschi, dandoci in pasto ai lupi. Poi ci raccontava che chi si ribellava all'invasione tedesca si riunì sulle montagne: erano i partigiani, i difensori del popolo, come li chiamava.
Una vicenda emblematica
La notizia successiva sul suo foglio matricolare risale al maggio 1947: si presenta al Distretto Militare di Salerno e viene inviato in congedo illimitato, rimanendo a disposizione del Tribunale Militare di Napoli.
Il 16 luglio 1953 viene denunciato per il reato di diserzione, ma sarà poi assolto per insufficienza di prove, con sentenza del Tribunale Militare Territoriale di Napoli in data 2 febbraio 1956.
Sarà riconosciuto invalido di guerra a vita.

La decorazione della Croce al merito di guerra, nella campagna 1940-43-45 e il riferimento alla guerra di liberazione del 1943-45 nella quale "continuò a prestare sevizio militare con le truppe alleate e Bari" ci fanno ritenere  la vicenda di Antonio Torsiello  per alcuni versi emblematica: si inserisce in una sorta di intercapedine della situazione bellica, nella generale confusione di un esercito prima in rotta poi faticosamente ricostituito a sostegno dell'avanzata alleata. 
Vi troviamo la severità militare da un lato (con la denuncia di diserzione), il riconoscimento di aver combattuto nella guerra di liberazione dall'altro.
L'avventuroso ritorno a casa, ancora convalescente, seguendo il  corso dell'Ofanto.
Soprattutto, la sua condizione di invalido, che ne fa una vittima e un testimone della violenza con cui la guerra si abbatte su giovani vite.

Un sentito ringraziamento alla signora Cecchina che ha condiviso con noi i racconti di suo padre e a sua figlia Antonietta Annunciata per la preziosa collaborazione. 
Questo post è un piccolo omaggio per i cento anni del loro papà e nonno.
G.V.