24 giugno 2022

IL GIORNO DOPO - NUMERO ZERO (PODCAST)

Il Numero Zero del podcast IL GIORNO DOPO è disponibile sulle piattaforme Spotify e Podomatic.


Ecco i link per ascoltarlo: 

Sulla piattaforma Spotify basta digitare: il giorno dopo, numero zero nella sezione Podcast e show:


Il Numero Zero è la presentazione del progetto dedicato al 9 settembre 1943, un giorno che possiamo definire "il giorno dopo"; nel caos istituzionale e militare, infatti, l'esercito italiano sembra in rotta e anche i soldati valvesi vivono la concitazione di questo giorno: alcuni di loro risultano "sbandati", altri cadono a Cefalonia, Rodi, Corfù (le prime vittime dei tedeschi, non più alleati); altri soldati sono catturati dai tedeschi e diventeranno gli IMI (internati militari italiani).

Il podcast vuole ricostruire il contesto militare e politico degli avvenimenti del settembre 1943, approfondendo le vicende dei soldati valvesi in quei drammatici giorni.

Le varie puntate del podcast ospiteranno anche alcuni approfondimenti: ad esempio, sulle canzoni più celebri negli anni Trenta e Quaranta; è importante, infatti, ricostruire anche il contesto culturale in cui si sono formati i nostri giovani soldati.

Obiettivo del Numero Zero è anche quello di ricevere osservazioni e suggerimenti in vista dei prossimi appuntamenti.

Buon ascolto!


G.V.


22 giugno 2022

UN PODCAST DEDICATO AL 9 SETTEMBRE 1943 DEI VALVESI

 Il 9 settembre 1943, il quotidiano La Stampa di Torino sceglie questo titolo, che si rivelerà decisamente infelice, per commentare la notizia dell'armistizio con gli Alleati, resto noto la sera prima.

Proprio quel 9 settembre 1943, invece, l'Italia capirà che la guerra non è affatto finita.

Il re, il governo e i comandi militari sono in fuga, l'esercito è in rotta, Roma è senza difesa.

Gli Alleati sbarcano a Salerno; con la costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) viene gettato il primo seme della Resistenza: la loro lotta congiunta si concluderà solo nella primavera del 1945. 

Inizia il piano dei tedeschi per disarmare le truppe italiane, in Italia e all'estero.

A Cefalonia, nel mar Ionio, la divisione Acqui rifiuta di cedere le armi ai tedeschi: è l'inizio di un eccidio che interesserà anche altre isole vicine. Tre soldati valvesi muoiono proprio il 9 settembre a Cefalonia, Corfù e a Rodi (isola del Dodecaneso italiano).

Per molti altri soldati italiani e valvesi inizia l'esperienza della prigionia: catturati dai tedeschi, diventeranno Internati Militari Italiani.

Venerdì 24 giugno pubblicheremo il numero zero del podcast

IL GIORNO DOPO
- Il 9 settembre 1943 dei soldati valvesi-


Nelle prossime settimane, preferibilmente di venerdì, pubblicheremo le varie puntate del podcast, fino alla data simbolica del 9 settembre. 
In occasione della presentazione del numero zero, illustreremo il piano dell'opera.

A presto!

G.V.

13 maggio 2022

MIO CARISSIMO PADRE

Oggi, 13 maggio 2022, Raffaele Cuozzo avrebbe compiuto cento anni.

Non li compirà, perché la sua giovinezza è rimasta nell'inverno russo; il suo corpo è diventato neve, i suoi sogni non sono divenuti domani. 

Ci piace ricordarlo offrendovi la trascrizione di una lettera da lui inviata dal fronte russo, nel dicembre 1942.

Raffaele era in Russia con la Divisione Vicenza.

Abbiamo cercato di rispettare quanto più possibile il testo originale, limitandoci alle modifiche ritenute utili a una sua migliore comprensione. 


??? 156 4 -12 -42

156 è il numero del battaglione

Mio carissimo padre con molto piacere vengo a rispondere alla vostra amata e desiderata lettera la quale mi porta la data del 15-11 e sono molto contento a sentire le vostre buone notizie e così nello stesso tempo vi posso assicurare anche di me che me la passo molto bene.  Come pure proprio adesso ho ricevuto una vostra cartolina della nonna che porta la data del 20-11 e una lettera della fidanzata che mi porta la data del 21 e sono molto contento a sentire buone notizie da tutti come pure vi dico che io mi trovo in viaggio e sono parecchi giorni che dobbiamo camminare e mi trovo questa lettera con i vostri indirizzi sopra e ve la scrivo e non

ho altro per scrivere perché la roba con lo zaino e la cassetta sono andati [avanti] con i [camion] cioè con gli autotrasporti (?) e quindi quando arrivo a destinazione vi scrivo di nuovo e rispondo anche alla fidanzata io scrivo questa lettera con la speranza che presto per la strada troviamo qualche  comando truppa nella stazione con i soldati italiani che fanno servizio e così vi spedisco questa lettera ma non so neanche quando parte. Così io vi raccomando solo una cosa tanto a voi quanto lo dite anche alla mia fidanzata che ogni volta che voi mi rispondete mettete la data della lettera mia che vi arriva così mi posso regolare anche io se vi arriva tutta la posta oppure se si perde per la strada

e come pure vi raccomando non tanto a voi ma quanto alla fidanzata che non dovete aspettare sempre mia posta per scrivere scrivete anche così senza ricevere posta perché non tanto da voi ma quanto da essa ch'io ho ricevuto appena 2 volte posta in due mesi quindi io non so se essa proprio non scrive oppure se si perdono per la strada, solo una volta mi arrivarono 20 lettere e cartoline da voi e da essa e poi altro resto se ne passarono parecchi giorni per ricevere posta.
Riguardo a questo non mi prolungo solo vi dico che io vi ho fatto un vaglio [vaglia] ma non ancora è partito ce l'hanno loro al comando perché parte in questi giorni arrivano i soldi e così ci mettono la somma stesso loro e lo mandano e quando parte io ve lo farà subito sapere ...la somma forse sarà di 900 lire (lire novecento) 

ma ancora non sono sicuro quindi/ quando appena parte vi farò sapere del tutto non mi prolungo forse prima di stasera arriva l'altra posta allora io mi regolo se mi arriva altra posta rispondo qua sotto se no la chiudo così e va la mando ora non mi prolungo vi saluto a tutti zio Ernesto zia Maria zia comara Ermelinda sorelle fratelli e in particolare la nonna Nicolina e voi genitori vi abbraccio e vi bacio vostro affezionatissimo figlio Cuozzo Raffaele.
Posta non è arrivata vi abbraccio di nuovo vostro figlio Raffaele.

Il Soldato Cuozzo Raffaele 156 Batt. 
Mitt. P. Militare 156
Divisione Vicenza


Abbiamo provato a realizzare la "nuvola di parole" tratta dalla lettera di Raffaele, per visualizzare la frequenza con la quale ricorrono le parole.

Eccola:

Dalla nuvola di parole, alcuni elementi risultano evidenti.

Innanzitutto, la notevole presenza dei pronomi vi e voi, che tornano complessivamente una volta in più rispetto ai pronomi io e mi; il rapporto è ridotto all'essenzialità della comunicazione: io scrivo a voi, voglio darvi notizie di me e ne chiedo di voi.

Avrete certamente notato che Raffaele dà del voi al padre.
I sostantivi più ricorrenti sono posta, lettera, data; sono frequenti anche voci verbali legate alla corrispondenza, come arriva e parte. Questa sembra una lettera che parla di altre lettere e della difficoltà incontrate dal servizio postale sul fronte di guerra. In fondo, il soldato fa solo un rapido cenno alla propria condizione, per non far preoccupare la sua famiglia: "me la passo molto bene"; la sua preoccupazione principale sembra relativa al rischio che alcune lettere si perdano, il suo rammarico sembra essere quello che altre molto probabilmente non sono mai giunte a destinazione.

Raffaele Cuozzo era nato a Valva il 13 maggio 1922, un sabato, alle dieci del mattino; era figlio di Michele e di Maria Michela Spiotta. Così leggiamo nell'atto di nascita, redatto dal sindaco Vincenzo Valletta; dall'atto risulta che al bambino erano stati dati anche i nomi Emilio e Ciro.

Alla sua memoria, dedichiamo queste parole di un celebre sergente protagonista della ritirata degli alpini dalla Russia, lo scrittore Mario Rigoni Stern:

Il fiume era gelato, le stelle erano fredde, la neve era vetro che si rompeva sotto le scarpe, la morte fredda e verde aspettava sul fiume, ma io avevo dentro di me un calore che scioglieva tutte queste cose.

Ci piace pensare che simili fossero i pensieri di Raffaele mentre scriveva questa lettera al padre, laggiù, nella steppa dove in tanti ora dormono, nei campi di grano e di papaveri.


G.V. 



06 maggio 2022

ARBEITSKOMMANDO 1131, PRIGIONIERO SANTOVITO

Young Enrico Santovito, member of italians army cavalry, was captured in Albany in 1943 and  deported in Germany as an italian military internee. 
We thank prestigious Arolsen Archives for having provided us related documents about his imprisonement we are publishing.

Il prestigioso Archivio Arolsen ci ha inviato un documento che dimostra che Enrico Santovito è stato prigioniero in Germania e che alla fine della Seconda guerra mondiale è stato trasferito nello Stalag IX C.

La sigla evidenziata in alto a sinistra è IMI (Internati Militari Italiani). 
Enrico Santovito è il quinto dell'elenco.
Si noti il refuso Salva al posto di Valva.

Il giovane soldato, appartenente alla cavalleria dell'esercito italiano, viene catturato in Albania l'11 novembre 1943 e condotto in Germania come internato militare.

Osserviamo la colonna numero 15 del documento che segue.

E' la colonna delle osservazioni; gli esempi riportati nell'intestazione hanno una cruda e funesta chiarezza: "arrivi da altri lager, fucilato mentre cercava di scappare o si ammutinava". La parola Lagern, plurale di Lager, purtroppo non ha bisogno né di traduzione né di commenti.

Nella prima cella della colonna, evidenziata dal rettangolo rosso, troviamo una frase valida per tutte le persone nella lista: "il 24 settembre 1944, secondo il decreto, è stato trasferito al lavoro civile".

Nel settembre 1944, infatti, gli internati militari italiani passano allo stato giuridico di lavoratori civili. Questo in genere si traduce in una mitigazione delle condizioni di vita, ma non viene concesso loro di tornare in Italia.



La riga di Enrico Santovito è quella evidenziata in giallo. 

19 RE KAVAL indica il reparto: cavalleria.
La data indicata è quella in cui è stato fatto prigioniero: 11.11.43, in Albania (il nome presenta un refuso).

Quando è fatto prigioniero in Albania,
Enrico Santovito non ha ancora compiuto 22 anni

In Germania, Enrico Santovito si trova nel campo di lavoro denominato Arbeitskommando 1131, a Bobeck - Stadtroda.

Lo capiamo da questo foglio, in cui leggiamo le parole abbreviate Arb Kdo, il numero 1131 e le due località della Turingia (Germania centrale).

Il titolo in alto dimostra che questo è un elenco di italiani.

È probabile che questo foglio sia stato usato come frontespizio, con delle annotazioni valide per tutti i prigionieri indicati nelle pagine successive.

In alto, sono evidenziate due date del marzo 1945: potrebbero riferirsi a un trasferimento da un campo all'altro, ipotesi che sembrerebbe confermata dalla frase in basso: la parola sottolineata significa "rapporto di uscita/partenza".

Nel marzo 1945 le forze sovietiche e americane sono ormai alle porte della Germania: è dunque probabile che ci sia una riorganizzazione (se non una vera e propria smobilitazione) dei campi di prigionia.

Se l'interpretazione è corretta, la destinazione è lo Stalag C: probabilmente si intende il campo principale, visto che il campo di prigionia 1131 di Bobeck - Stadtroda era uno dei tanti sottocampi distribuiti attorno al quartier generale di Bad Sulza. 

Sappiamo che molti prigionieri lavoravano nelle miniere di potassio della zona, ma non abbiamo ancora trovato documenti sul tipo di occupazione di Enrico Santovito né sappiamo in quali campi sia stato prima di essere nell' Arbeitskommando 1131.

Wikipedia ci informa che il campo fu evacuato il 29 marzo 1945 e che i prigionieri furono costretti a marciare verso est prima dell'offensiva americani; per alcuni la marcia durò un mese, prima di essere liberati dagli americani, che liberarono anche i prigionieri rimasti nel campo.

Organizzazione dello Stalag IX; fonte

Le località di Bobeck e Stadtroda distano circa 15 km (oggi Bobeck ha circa 300 abitanti, Stadtroda 6mila), in Turingia.

La Turingia si trova nella Germania centrale. Il suo capoluogo è Erfurt.

Ringraziamo gli Archivi Arolsen per averci concesso il documento su Enrico Santovito, che abbiamo cercato di interpretare per ricostruire un tassello della sua prigionia in Germania.

La ricerca continua.


G.V.




03 maggio 2022

MICHELE, TORNATO AVVOLTO NEL TRICOLORE

C'è un caduto in guerra, almeno uno, che è tornato a Valva.

Vi è tornato dopo dieci anni, accolto con onore.

A Valva era nato e si era sposato; da Valva era partito per la guerra in Grecia, ora a Valva riposa.

Sua madre come tutte le madri avrebbe voluto stringerlo a sé, come aveva fatto quando gli aveva fatto le sue raccomandazioni prima della partenza, ma lo ha dovuto piangere; ne ha atteso il suo ritorno, ma lo ha visto tornare avvolto in una bandiera, dieci anni dopo la morte. 

Michele Macchia nasce l'8 novembre 1923; è figlio di Sabato e di Clelia Papio. La famiglia Macchia è numerosa, come dimostra la foto che pubblichiamo. Michele ha quattro sorelle e due fratelli.

I resti del giovane Michele Macchia accolti dalla famiglia, il 24 maggio 1953.
Grazie al prezioso lavoro di Veronica Cuozzo,
possiamo individuare tutte le persone ritratte nella foto.

La lapide che compare al centro è ancora presente nel cimitero di Valva.
Eccone il testo: "Ritornano al suo / paese nativo/ i resti mortali/ dell'eroico soldato/
Macchia Michele/ nato l'8-11-1923/ caduto il 17-8-1943/ ad Almiros/ 
fronte Greco Albanese/ per la Patria/ lasciando/ nel più immenso dolore/
I genitori fratelli e sorelle a perenne ricordo posero"

Dichiarato abile e arruolato il 9 maggio 1942, Michele è chiamato alle armi e vi giunge il 12 gennaio 1943.

Nell'ottobre 1942 ha sposato Esterina Strollo. 

Assegnato al 41.mo Reggimento Fanteria con sede in Imperia, parte per la guerra: fronte greco-albanese

Il Reggimento confluisce nella Divisione fanteria Modena, che nell'estate del 1943 è inquadrata nel XXVI Corpo d'Armata. Fino all'8 settembre tutte le unità sono impegnate nell'Epiro e nelle isole dello Jonio in attività di difesa costiera e di controguerriglia. Ricordiamo che in questo periodo la Grecia e l'Albania sono sotto occupazione italiana.

Molti soldati valvesi sono impiegati sul fronte greco-albanese. Tre di loro  cadono in battaglia dopo l'8 settembre 1943, combattendo contro i tedeschi (a Cefalonia e nelle altre isole del Dodecaneso), altri sono fatti prigionieri e diventeranno internati militari italiani.

Nei mesi del 1943 che precedono l'Armistizio con gli Alleati, si intensificano gli scontri tra gli italiani e i gruppi della resistenza  greca e albanese.  

Non siamo in grado, al momento, di formulare ipotesi precise sulla morte del giovane soldato valvese. Sappiamo che Michele Macchia muore il 17 agosto del 1943, ad Almyros, in Tessaglia (Grecia); i familiari ricordano che quando è stato colpito si trovava in una sartoria e che la notizia del suo decesso è giunta alla famiglia tramite il sacerdote dell'epoca.

Il suo reggimento sarà sciolto dopo circa un mese, in seguito all'armistizio dell'8 settembre.


Dieci anni dopo la famiglia viene contattata per il riconoscimento della cassetta ossario presso il porto di Bari. Il 24 maggio  1953 le spoglie del giovane soldato vengono portate a Valva con gli onori militari, in una cerimonia che molti testimoni ricordano ancora.

Il rientro nella sua terra nativa di un caduto in guerra riapre una ferita ma è anche un modo per adempiere il dovere verso un defunto, così come la religione e la pietà popolare hanno tramandato nei secoli. Compiuti i riti, anche nei poemi omerici la vita può riprendere; prima, però, l'intera comunità ha il dovere civile e morale di offrire gli onori funebri a chi ha sacrificato la propria vita per la patria.

In tempo di pace, scriveva Erodoto, i figli seppelliscono i genitori;  in tempo di guerra, invece, i genitori seppelliscono i figli: l'ordine della natura è stravolto dalla guerra. 

I coniugi Sabato e Clelia hanno avuto il mesto e pietoso conforto di abbracciare l'urna che custodiva i resti del figlio. In quella domenica di Pentecoste del 1953, essi hanno idealmente abbracciato tutte le salme dei soldati che non sono tornati più a casa, riassumendo nei loro gesti quelli che gli altri genitori non hanno potuto compiere verso i loro figli caduti.

Ecco una foto della cerimonia: il corteo avanza verso la chiesa di San Giacomo Apostolo.

Il corteo funebre è guidato da due sacerdoti:
dovrebbero essere don Giuseppe Alfano e don Lorenzo Spiotta

Da quel giorno, Michele Macchia riposa nel cimitero di Valva, dove è ancora presente la lapide che si vede nella foto con la famiglia accanto ai reati del giovane soldato:


Un doveroso ringraziamento a Veronica Cuozzo, che ha inviato le fotografie storiche e ha raccolto dalla nonna Michela (la bambina indicata nella foto con il numero 10) le informazioni che hanno reso possibile questo post.


G.V.

25 aprile 2022

IL PARTIGIANO DI VALVA

Ci sono storie che non diventano racconto.

A volte questo accade per pudore o  per evitare di rievocare fantasmi che hanno tormentato notti insonni; accade per il timore di non essere creduti o magari perché ci sono persone destinate a guardare sempre avanti.

Michele Cecere non amava parlare del suo passato, eppure egli è sempre stato, a Valva, "il partigiano".

Forse è giunto il momento che la sua storia venga raccontata.

Il soprannome

Non tutti i soprannomi nascono per celia, per ricordare situazioni buffe o caratteristiche originali; alcuni sono impressi nella carne come ferite della giovinezza che restano per sempre.

Il senso pratico che fa nascere e mantiene vivi i soprannomi ha subito esteso "lu partigian" alla famiglia Cecere, ma senza particolari connotazioni storiche o politiche; è probabile che oggi in paese molti non sappiano che nel passato di zio Michele c'è davvero la lotta partigiana.

Combattente per la libertà

Ecco il suo Brevetto di Partigiano, rilasciatogli dal Corpo volontari della libertà:


Il documento presenta sei firme molto prestigiose, come dimostra la seguente -celebre- foto:

Il comando generale del Corpo volontari della libertà sfila nella Milano liberata. 
In prima fila ci sono, da sinistra: Mario Argenton, Giovan Battista Stucchi, Ferruccio Parri (poi Presidente del Consiglio), Raffaele Cadorna, Luigi Longo (poi segretario del PCI), Enrico Mattei (poi presidente ENI). 
Tutte queste persone hanno firmato il Brevetto di partigiano rilasciato a Michele Cecere.

La guerra del bersagliere Cecere
Come leggiamo nel suo foglio matricolare, Michele Cecere  partecipa a operazioni di guerra alla frontiera alpina occidentale dall'11 giugno 1940 (praticamente nei primissimi giorni di guerra) al 29 giugno 1940. È poi in azione alla frontiera greco-albanese dal  novembre 1940 al febbraio 1941, quando si ammala di pleurite.
Nel settembre 1941 rientra nel I Reggimento Bersaglieri a Napoli, l'anno successivo è in Francia.
"Naso greco, colorito bruno, dentatura sana"
si legge nei "Dati e contrassegni personali" di Michele Cecere 

Dopo l'8 settembre 1943, riesce a sottrarsi alla cattura e a ricongiungersi con un comando italiano; si rifugia "presso una famiglia borghese" a Pianfei, in provincia di Cuneo.

La lotta partigiana
Michele Cecere entra nella brigata partigiana Val Corsaglia-Val Ellero, in provincia di Cuneo.
Vi milita dal 7 luglio 1944 al 7 giugno 1945.
  
Michele Cecere, di Giacomo, nato il 5 maggio 1920 e deceduto nel 1993

Quali esperienze ha vissuto il partigiano Michele nei suoi undici mesi sulle colline piemontesi?
In un'epoca in cui, come scrive Fenoglio, i ragazzi come lui erano chiamati più a morire che a vivere, quali speranze guidavano le sue scelte, quali paure agitavano i suoi pensieri? 
Forse non lo sapremo mai, almeno non completamente.
Possa questo post essere un primo passo verso il recupero della memoria di un partigiano che non ha avuto paura di mettere a rischio la sua giovinezza per lottare per ciò in cui credeva.
Sarebbe bello rintracciare i discendenti della famiglia che ha ospitato Michele in fuga dalla Francia dopo l'8 settembre '43 e far incontrare in qualche modo due piccoli paesi che, pur essendo tanto lontani, hanno storie in comune che si sono intrecciate nella guerra e poi nell'emigrazione.


Un grazie riconoscente alla famiglia Cecere per la preziosissima collaborazione.


G.V.

24 aprile 2022

INTERNATI MILITARI IN GERMANIA: UNA SCELTA ANTIFASCISTA

In occasione del 25 aprile, il quotidiano Domani pubblica una serie di articoli per "dare voce a resistenze diverse", in modo da aiutare a comprendere le varie sfumature del complesso movimento della Resistenza italiana.
L'articolo di oggi, a firma di Silvia Pascale e di Orlando Materassi, è dedicato agli Internati militari italiani.
Silvia Pascale è una storica, Orlando Materassi è il presidente nazionale dell'ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati nei Lager Nazisti).
Ecco ampi stralci del loro articolo pubblicato oggi; abbiamo evidenziato i punti a nostro avviso più importanti.

 

L’ALTRA GUERRA DEGLI INTERNATI MILITARI

La storia sconosciuta dei soldati italiani 
e della loro resistenza nei lager tedeschi

Gli Internati militari italiani, i soldati catturati dall’esercito tedesco dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, hanno scritto una pagina fondamentale della Resistenza e le loro storie sono una grande testimonianza di coraggio. Dopo l’annuncio dell’armistizio, circa 650mila soldati pagarono un prezzo altissimo: i reparti tedeschi li disarmarono e li catturarono nel nord Italia, ma anche in Grecia, Albania, Jugoslavia e sugli altri fronti, avviandoli alla prigionia nei territori del Terzo Reich, dove diventarono schiavi di Hitler, lavoratori forzati nella macchina bellica tedesca. I vertici tedeschi, infatti, avevano preventivato da tempo una possibile defezione italiana e appena ebbero conferma dei loro sospetti attuarono contromisure tempestive per invadere la penisola, prenderne il controllo e sfruttarne uomini e mezzi.

Cosa significa Internati militari italiani? Il 20 settembre 1943, poco prima della proclamazione del nuovo regime fascista della Rsi, un’ordinanza del Führer decretò che i soldati italiani fatti prigionieri vedessero mutare la loro condizione in “Internati militari”. La definizione di questo status era per Hitler particolarmente importante: l’obiettivo rimaneva infatti lo sfruttamento economico del paese occupato e il reclutamento dei soldati come forza lavoro.   [...]

La resistenza nei lager nazisti

Fondamentale in questa Resistenza fu la scelta dei soldati italiani: sbandati e privi di ordini dai vertici militari, lasciati al loro destino nei numerosi fronti di guerra da Badoglio fuggito a Brindisi con la Casa reale, non accettarono di aderire alla proposta che venne loro fatta di aderire a Hitler e a Mussolini.

I nostri militari ebbero fin da subito la possibilità di riacquistare la libertà e far ritorno a casa in cambio della loro adesione a continuare la guerra nei reparti della Wehrmacht o nel ricostituito esercito della Rsi. Rifiutarono ogni tipo di collaborazione con la Germania nazista e con la Rsi, scelsero volontariamente l’internamento conducendo la loro Resistenza senz’armi nei lager nazisti.

Erano parte di una generazione educata nel ventennio fascista al “Credere, obbedire, combattere”, eppure nel momento di dover decidere non esitarono, non rimasero indifferenti: rischiarono la propria vita opponendosi al nazifascismo.

Il loro rifiuto di collaborare delegittimò la Repubblica sociale sottraendo una forza consistente sia alla repressione fascista attuata contro le forze partigiane o impiegata negli eccidi di migliaia di civili, sia all’impiego bellico della Germania.

Una scelta antifascista che li sottopose al violento rancore tedesco obbligandoli al lavoro massacrante, alla fame, al freddo, a continui soprusi.

Un’altra guerra

Ben presto divenne chiaro che la decisione di sfruttarli come schiavi comportava molti problemi. La produttività degli Internati militari si rivelò assai inferiore alle aspettative, a causa delle cattive condizioni alimentari, del trattamento umiliante, dei compiti spesso assegnati senza tener conto delle competenze dei lavoratori, delle istruzioni insufficienti.

Inoltre, la detenzione dietro il filo spinato e le pessime condizioni di lavoro nell’industria pesante o nelle miniere, facevano spaventosamente crescere il numero degli ammalati. Negli ultimi mesi di guerra le condizioni di vita degli Imi utilizzati come lavoratori peggiorarono in modo drammatico, soprattutto nelle zone urbanizzate: i bombardamenti degli Alleati costituirono un pericolo anche per gli italiani e il sistema di rifornimento andò in tilt completamente. A questo s’aggiunse la durezza dell’inverno 1944-45. Il numero di morti e malati era alto. Non pochi furono uccisi perché scoperti a rubare qualcosa da mangiare. La Gestapo fu autorizzata a giustiziare sommariamente i lavoratori sorpresi a rubare o che tentavano la fuga o atti di sabotaggio.

Gli Imi combatterono, quindi, un’altra guerra. Una guerra senz’armi, fatta di resistenza alla fame, al freddo, alle violenze e al lavoro coatto, alla sopraffazione fisica, morale e spirituale.

Questi 650mila erano uomini che avevano vissuto il fallimento del regime fascista in cui erano cresciuti, la misera fine delle guerre di Mussolini, lo sfacelo delle forze armate dopo l’8 settembre.

La disinformazione fascista

La grande maggioranza di loro preferì la prigionia agli appelli a passare dalla parte di Hitler. Rimane un caso unico la scelta di massa di questi militari italiani. Una lezione preziosissima tuttora. A settantasette anni di distanza dalla fine della Seconda guerra mondiale avvenuta con la sconfitta del nazismo e del fascismo vi è la necessità di rafforzare la memoria storica di quel periodo per non disperdere i valori e le scelte che spinsero tanti giovani a opporsi alle due dittature, in particolare dopo l’8 settembre 1943, dando vita a una lotta resistenziale, che, seppur nella diversità delle azioni, contribuì alla disfatta del nazifascismo in Italia e in Europa. Il loro status di Imi fu facile argomento di disinformazione da parte della stampa fascista volendo far credere che la loro permanenza nei territori del Terzo Reich fosse dovuta alla volontaria disponibilità di lavoratori all’interno della macchina bellica nazista. Così non fu. La loro prigionia, diversa da quella degli altri deportati, assume la connotazione di Resistenza perché in ogni momento potevano dare la loro adesione alla Rsi.   [...]

Dopo la liberazione

Ma il loro calvario non terminò nemmeno con la liberazione perché il loro rientro fu difficile e non organizzato: dagli angloamericani furono censiti come displaced persons, come dei profughi, tornarono dopo molti mesi e a volte con mezzi di fortuna. Dopo il ritorno dalla prigionia e per decenni, se non per tutta la vita, subiranno il trauma delle sofferenze e delle violenze subite [...]

Al rientro, la disinformazione della stampa fascista aveva generato nell’opinione pubblica la disconoscenza della scelta che avevano fatto, configurandoli molto spesso come collaborazionisti, generando difficoltà di reinserimento nel lavoro, nelle relazioni sociali e politiche, nei rapporti umani e familiari, in un paese colpito profondamente dalle sofferenze, dalle violenze, dalle morti generate dalla guerra.

La loro storia di volontari combattenti per la libertà d’Italia rimase colpevolmente nell’oblio per diversi decenni, benché fossero uniti idealmente a coloro che avevano combattuto in armi per rendere dignità a una nazione nel consenso internazionale.

Soltanto alla fine degli anni Ottanta gli storici hanno sottolineato l’importanza del contributo dato alla Resistenza degli Imi, e oggi vi è la necessità e la determinazione di rendere viva una cultura di Memoria condivisa: la loro vicenda deve finalmente avere pari dignità nella Storia della Resistenza, alla quale hanno contribuito per un’Italia repubblicana, libera e democratica.


Bibliografia

Ecco due testi degli autori dell'articolo:

Una scelta antifascista

La memoria legata al filo rosso

 

G.V.

19 aprile 2022

I RACCONTI DI ZIA PASQUALINA

La nonna dei valvesi, zia Pasqualina Cuozzo, è nata il 6 settembre 1920.

Ama raccontare episodi della sua giovinezza e questo la rende una straordinaria testimone della vita del nostro paese.

Suo padre Michele aveva combattuto la Prima guerra mondiale e sarebbe morto quando il suo ultimo figlio aveva ancora pochi mesi.

Una famiglia di emigranti

È possibile che sia lui il Michele Cuozzo di Valva che risulta sbarcato negli USA nel 1909, diretto a Buffalo dal cugino Pasqualino Figliulo.

Zia Pasqualina ricorda che suo padre è stato due volte in America e che al rientro a Valva acquistava terreni.

La strada dell'emigrazione sarebbe poi stata percorsa anche da un fratello e da una sorella di zia Pasqualina (in Venezuela e Argentina). 

Racconti di guerra

Zia Pasqualina acconta che durante la guerra la sua famiglia e altre due si erano rifugiate in una sorta di grotta in contrada Molinello; mangiavano gli ortaggi che riuscivano a coltivare, soprattutto patate, più facili da conservare.

Un episodio che ama ripetere è legato proprio alle patate: lei stava preparando il pranzo e per lo spavento dovuto allo scoppio di una bomba le cadde tutto l'olio nelle patate, ma non potendosi permettere di buttare nulla mangiarono tutto lo stesso.

Il fidanzato Pasquale, che sarebbe poi diventato suo marito, partì per la guerra, in Libia.

Purtroppo zia Pasqualina non ricorda notizie su altri valvesi in guerra, anche perché vivendo in campagna raramente saliva in paese, dove andava solo per prendere l'olio.

Racconta spesso un aneddoto legato alla fine della guerra: all'arrivo degli americani a Valva, un giorno lei teneva per mano il suo fratello più piccolo; alla vista di un carro armato, il bambino mostrò subito curiosità e fu fatto salire, ma lei era spaventatissima perché non sapeva che fossero gli americani. Poco dopo uscì il fratellino, "cu lu muss spuorc d ciucculata". Capì che erano soldati "amici" e quella fu la prima volta che i due mangiavano cioccolata.

La musica nel sangue...e nell'atto di nascita

Una curiosità.

Tra i testimoni che firmano l'atto di nascita di zia Pasqualina c'è un giovane "musicante", Michele Freda.

Anche il padre di zia Pasqualina, da autodidatta, si dilettava con la musica e teneva lezioni ai ragazzi di Valva, accontentandosi di un po' d'olio per accendere la lampada.

In paese ricordiamo che zia Pasqualina faceva parte del coro in occasione dell'ordinazione sacerdotale di don Virginio Cuozzo.

Un suo cavallo di battaglia sono le filastrocche che imparava a scuola (ha frequentato fino alla terza elementare) e, immaginiamo, nelle serate in famiglia accanto al fuoco.

Ce ne occuperemo nei prossimi post, perché tutto quello che una persona di oltre cento anni ricorda merita la precedenza anche rispetto alle ricerche d'archivio per il quale questo blog è nato.

Le persone anziane sono radici che sostengono la comunità anche con la parola e con il ricordo ed è nostro dovere ascoltarle, con rispetto e riconoscenza.

G.V.


Un sentito ringraziamento alla nipote Michela Torsiello per la preziosissima collaborazione.



16 aprile 2022

GIACOMO, CADUTO PER PRIMO

Giacomo Cuozzo è caduto prima di tutti gli altri, è caduto in Spagna, è caduto per dare da mangiare alla sua famiglia.

Valva ha avuto un suo figlio morto nella Guerra civile spagnola, "laboratorio" di ideologie e di alleanze militari (ad esempio quella tra Germania e Italia), funesta anteprima della Seconda guerra mondiale (si pensi al tristemente celebre bombardamento di Guernica).

Picasso, Guernica, Museo Reina Sofia, Madrid; fonte

Quella spagnola è stata, in un certo modo, anche una guerra civile italiana.

Quasi 60mila soldati (80mila secondo altre fonti) vengono inviati da Mussolini a sostegno del generale Francisco Franco: costituiscono il Corpo truppe volontarie (Ctv), ma in realtà ufficiali e soldati sono attratti dalla paga. 

La guerra come carta della disperazione: soprattutto nelle aree più povere d'Italia, questa carta è stata giocata. Che la possibilità di riscatto sociale ed economico dei ceti più poveri passi attraverso la guerra, rende ancora più ingiusta la loro condizione e più terribile la guerra stessa.

Sull'altro fronte, a sostegno del governo repubblicano, giungono dall'Italia tremila volontari. Tra di loro, alcune figure di spicco dell'antifascismo e di quella che sarà poi la Resistenza: Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni.

In più occasioni gli italiani degli opposti schieramenti si scontrano; triste emblema, la battaglia di Guadalajara, definita "una guerra civile all'interno della guerra civile". Essa segna una vittoria dell'antifascismo, non decisiva ai fini dell'esito della guerra ma importante dal punto di vista simbolico.

Nella Guerra civile spagnola cadono circa quattromila soldati italiani, tra cui Giacomo Cuozzo.

Giacomo era nato a Valva, nel 1908, da Donato e Virginia Spiotta.

I nomi dei nonni che si rinnovano nei nipoti sono spesso un filo per orientarsi nel labirinto dei registri anagrafici: in un piccolo comune, aiutano a individuare le persone. Non è stato dunque difficile ricostruire la parentela di Giacomo Cuozzo; un nostro concittadino, infatti, porta il suo nome: è suo nipote, nato pochi anni dopo la sua morte (avvenuta nel 1937).

Saragozza, Sacrario militare italiano; fonte

Per approfondire

La Guerra civile spagnola:

https://www.raicultura.it/storia/articoli/2020/03/La-guerra-civile-spagnola-d3fea747-0276-4f69-a19a-82a634036c9c.html

https://www.raiplaysound.it/audio/2013/07/Loris-Zanatta-racconta-la-guerra-civile-spagnola---Wikiradio-7714b220-2ede-442e-9fe9-fad99be6e084.html

I contingenti italiani:

http://www.regioesercito.it/reparti/mvsn/mvsnspa36.htm


G.V.


10 aprile 2022

Sabato, nato in America e caduto in guerra da italiano

Tra i cognomi non più presenti a Valva, ce n'è uno che se n'è andato in America: lo ha portato un valvese che a diciotto anni era già cittadino americano (come si evince dal documento di sbarco a Ellis Island). 

Sabato, nato negli USA e caduto in guerra in Italia

Suo fratello, nato negli Stati Uniti, qualche anno dopo sarebbe tornato in Italia a combattere durante la Prima guerra mondiale: Sabato Fratangelo, classe 1895, calzolaio, settimo nome tra quelli dei soldati caduti sul campo, incisi sulla lapide del Monumento ai Caduti. Il tempo ha cancellato la prima e l'ultima lettera del suo nome, ma la sua storia merita di essere raccontata.
Sabato nasce a Piffard, negli Stati Uniti, il 10 agosto 1895, da Francesco e Filomena Spiotta.
L'Italia lo chiama alla visita militare e poi a combattere nella Grande guerra. 
Sabato cadrà in guerra, sul Carso, il 19 novembre 1915, combattendo con il 21°Reggimento Fanteria.

Elenco dei valvesi caduti nella Prima guerra mondiale, Monumento ai Caduti, Valva

Una famiglia di emigranti
Quando sono arrivati negli Stati Uniti i suoi genitori?
Il 1 gennaio 1888, due italiani di nome Francesco Fratangelo sbarcano negli USA, a bordo della nave Chateau Queen: il primo ha 27 anni, il secondo 29. Non abbiamo notizie sul luogo di nascita e di residenza in Italia. Non possiamo escludere un errore.
Ancora più difficile individuare l'arrivo in America di Filomena Spiotta: è registrata una donna con questo nome, ma di 60 anni e risulta sbarcata nel dicembre 1900: dunque non può essere la madre di Sabato.

Fratello e sorella

Sabato aveva un fratello più grande, di nome Alfredo.
Alfredo Fratangelo risulta sbarcato nel 1910, a diciotto anni; ultimo luogo di residenza: Valva; c'è un dettaglio che colpisce, alla voce "Ethnicity": "US Citizen".
Alfredo sembra diretto a Pittsburg, se leggiamo correttamente l'indirizzo vergato sul registro di sbarco, disponibile on line sul sito della The Statue of Liberty - Ellis Island Foundation.

 fonte

Una curiosità: nella riga successiva a quella che riporta la destinazione di Alfredo, ci sono alcune informazioni relative a un altro valvese, suo compagno di viaggio, di nome Gerardo Freda,  che va da Amodio Freda a Newark.
Sia Gerardo sia Amodio Freda risultano tra i nomi dei valvesi promotori della serata organizzata dalla comunità valvese di Newark per raccogliere fondi in vista della costruzione del monumento ai Caduti in guerra a Valva, nel 1924.
Qui trovate il post che Gozlinus ha dedicato a quella serata.
Due anni dopo l'arrivo di Alfredo, risulta sbarcata anche Olimpia Fratangelo; ha 22 anni, è single. E' verosimile che sia la sorella, perché nell'indirizzo di destinazione, a Pittsburg, compare il nome Filomena, preceduto da "mother" (madre).
Insieme a Olimpia viaggiava un'altra ragazza valvese, Filomena Cozza.

Le valvesi Olimpia e Filomena sono alle righe 26 e 27  Fonte

Restano alcuni dubbi.
Ad esempio, come mai Alfredo era tornato in Italia? Era comunque tenuto alla visita militare?
Sulla sua nave, la Hamburg, ci sono altri sei valvesi (uno, Pietro Falcone, risulta cittadino statunitense).
Magari, incrociando le informazioni sugli altri passeggeri, potremo scoprirne di più.
La ricerca continua!


G.V.