20 giugno 2023

IN UN DECLIVIO DI VELLUTO VERDE, UN EROE SILENZIOSO

Per essere un eroe non occorrono decorazioni. A volte le parole contano più dell'argento: è così che una lettera entra nell'anima e la scuote. Perché bastano le parole a ricordare il valore degli uomini.

Questa deve essere la sensazione che hanno provato Giuseppe Spiotta e Maria Feniello quando hanno ricevuto la lettera del capitano Angelo Iovene che annunciava loro la morte del figlio Michele con queste parole:

Io, quale comandante della prima compagnia del 148.mo Reggimento, con animo profondamente addolorato le comunico la morte del suo buon Michele. Era sempre con me in trincea, faceva il portaordini ed era tanto felice potermi rendere qualche servizio. Mi ci affezionai presto e lo proposi per portaferiti. 
Con gioia suo figlio accettò tale incarico e con coraggio ed abnegazione raccoglieva e prodigava le prime cure ai compagni feriti. Disgraziatamente però venne la sua fine. Mentre serenamente compiva la sua opera fraterna una granata lo colpiva ferendolo gravemente. Non disperai, lo medicai io stesso e lo feci subito trasportare all'ospedale ove, dopo pochi giorni, fra le cure affettuose dei suoi compagni, serenamente si spegneva.
Io e la Compagnia abbiamo pianto, perché suo figlio era buono e tutti lo amavamo.
Ora riposa presso il cimitero di Versa. Abbiamo trovato nel cimitero la tomba del nostro caro Spiotta ed ieri, con tutta la compagnia ed a  nome della famiglia vi deponemmo una bella corona. 
Parlai sulla tomba del suo caro innanzi ai soldati e feci le veci della famiglia.
Lo sapete cosa dissi? Giuriamo sulla tomba di uno dei nostri bravi soldati di vendicarlo.
Condoglianze Sig. Spiotta, suo figlio morì da eroe.
I compagni tutti della Compagnia stanno facendo in cemento una bella croce e domani accomoderanno la tomba in modo che resti traccia sicura e degna del suo eroe. 
I miei personali ossequi ed ancora condoglianze vivissime e sincere anche da parte dei militari della Compagnia. 

Cap. Jarone Angelo

La lettera è stata trascritta dal signor Michele Spatola, nipote del soldato caduto. 
Dai documenti del 148.mo Reggimento il cognome Jarone non risulta tra i capitani di Reggimento, mentre troviamo Iovene Angelo. Su quest'ultimo, rimandiamo a questo post (che pubblica anche alcune foto).
 

La storia di Michele Spiotta  

Michele Spiotta è nato a Valva il 18 aprile 1894; alla visita di leva, probabilmente ripetuta (risulta infatti dell'anno di leva 1895), dichiara di essere di professione calzolaio. 

Michele Spiotta

Ha un fratello di nome Angelo, classe 1884, che morirà negli Stati Uniti, e due sorelle: Maria Michela  e Santina (anche lei emigrerà negli Stati Uniti).

Al centro, con il tradizionale costume valvese, la sorella Maria Michela;
l'altra donna la sorella Santina, la bambina è la nipote di Maria Michela, Maria Spatola
(inizio Anni Trenta)

Michele è arruolato nel 148.mo Reggimento Fanteria che insieme al 147.mo formerà la Brigata CaltanissettaDall'11 agosto al 17 settembre la Brigata è impegnata nella zona Bosco Cappuccio-Sella San Martino del Carso.

Sono i luoghi di Ungaretti, come ci ricordano i nomi.

Proprio il nome fiabesco del Bosco Cappuccio gli ispirerà una poesia dal titolo C'era una volta, scritta nell'agosto del 1916:
Bosco Cappuccio
ha un declivio 
di velluto verde
come una dolce
poltrona 
Appisolarmi là
solo
in un caffè remoto
con una luce fievole
come questa
di questa luna

In questi versi prevale un'atmosfera di tranquillità, di sogno; forse il monte sarà apparso così anche a giovane Michele, nei momenti di riposo, quando si riposava dalle fatiche della guerra.

Non sono stati molti però i momenti di pace, visto che Michele risulta morto nell'Ospedaletto da campo n. 73 il 25 agosto 1915, pochi giorni dopo -come leggiamo nella lettera inviata alla famiglia- essere stato colpito da una granata. E' uno dei 98 caduti della sua truppa.

Il 10 ottobre 1915 la Brigata Caltanissetta è a riposo, nella zona Verna-Gradisca. Il capitano può rispondere a una lettera che la famiglia di Michele Spiotta gli ha scritto, in risposta a quella in cui egli annunciava la morte del giovane valvese.

Ecco la seconda lettera inviata alla famiglia Spiotta:

10 ottobre 1915   zona di guerra 

Preg.mo Signor Spiotta, sono veramente commosso e la sua lettera l'ho letta a tutti i miei soldati. Giorni fa nel piccolo cimitero di Versa e sulla tomba del nostro caro mettemmo una bella croce di cemento armato con un'epigrafe.
Ecco quanto dato il momento, la VII Compagnia ha potuto fare per la morte di lui che era uno dei più bravi e valorosi soldati. Con più calma scriverò ancora parlandole del nostro caro morto. La ringrazio di tutto e l'assicuro che anch'io, finché vivrò, non dimenticherò mai i miei bravi soldati e le loro desolate famiglie.
Da parte mie e dei miei soldati ancora la parola affettuosa di conforto e di cordoglio.
Suo aff.mo e de.mo.

Se la nostra ipotesi sul nome del capitano è corretta, la famiglia Spiotta non ha ricevuto la lettera promessa, perché il capitano è caduto pochi giorni dopo, il 5 novembre, a Bosco Lancia.

Ora Michele Spiotta riposa nel Sacrario di Redipuglia. 

Accanto a Michele Spiotta, un soldato di Volturara (Avellino)
e uno di Pontecorvo (Caserta, oggi in provincia di Frosinone)

Un sentito ringraziamento a Mariana Grisi, che ha messo a disposizione i ricordi di famiglia e le foto custodite dalla madre, la signora Angela Spatola.

G.V.

18 giugno 2023

GELSOMINO, DA CRETA ALLA PRIGIONIA IN GERMANIA

Ci sono storie che non diventano racconto e sofferenze che non lasciano tracce nei documenti; nei documenti, dico, perché nell'animo di chi le ha patite restano per sempre.
Forse si può dire questo del sergente Gelsomino Cuozzo, nato a Valva l'11 febbraio 1916 da Giovanni e Maria Michela Cuozzo.
Sappiamo che è stato internato militare in Germania, ma di lui non conosciamo al momento neppure il campo di prigionia.
Come sempre, con burocratica sintesi, nei documenti del Distretto militare (oggi all'Archivio di Stato) ci sono solo due date, quella in cui è stato fatto prigioniero e quella in cui è stato liberato: 12 settembre 1943 - 8 maggio 1945, ma rientrerà in Italia solo il 17 settembre. 
Quello che è accaduto nel periodo di prigionia lo possiamo immaginare conoscendo esperienze simili, ma la sofferenza individuale -quella irriducibile, che non si scioglie nel comune dolore- è rimasta chiusa nella sua mente.

La carriera militare
Gelsomino Cuozzo sa leggere e scrivere: ha frequentato la terza elementare.
Durante il servizio militare è nei gruppi artiglieri, poi risulta trombettiere, artigliere scelto, caporale.
In congedo illimitato nel 1938, viene richiamato alle armi nel maggio 1940, quando è assegnato al 91.mo Reggimento Artiglieria.
L'Italia entra in guerra il 10 giugno, Gelsomino il 12 è già in zona di operazioni, ma non siamo riusciti a stabilire dove.
Il 17 settembre si imbarca a Bari per l'Albania, sbarca a Durazzo il giorno dopo.
Il 28 ottobre si trova in territorio dichiarato in stato di guerra, fino al maggio 1941. Viste le date, sembra ragionevole ipotizzare che abbia preso parte all'attacco italiano alla Grecia.
Nel novembre 1942 è trasferito alla 268 Batteria artiglieria controaerea a Creta
Creta, 1941: affresco nella reggia di Cnosso; fonte
Sul foglio matricolare troviamo elementi che ci consentono di ricostruirne la carriera militare: caporale in detto e poi sergente in detto con anzianità, trombettiere, servente al pezzo.
Il servente al pezzo è un soldato addetto al funzionamento di un sistema d'arma, addestrato anche a ricoprire un altro incarico in sostituzione di un posto scoperto. 
Nell'autunno del 1943 Gelsomino risulta ricoverato nell' ospedale da campo della 35 sezione Sanità. Per malattia riconosciuta viene dispensato da compiti di servizio: è il giorno di Natale del 1942.
Il 7 aprile 1943 viene dimesso dal luogo di cura e torna al suo corpo di appartenenza.

Uno dei pochi a dire no ai tedeschi
Gelsomino Cuozzo viene fatto prigioniero dai tedeschi il 12 settembre 1943, quando a Creta si verifica la stessa situazione di altri luoghi in cui italiani e tedeschi si trovano insieme: accettare di combattere con i tedeschi oppure diventarne prigionieri.
Dal sito www.ilpostalista.it troviamo queste interessanti informazioni:
[I soldati italiani a Creta erano 21.700]. Di questi, circa 20mila vennero disarmati e si dichiararono disposti a continuare a combattere con i tedeschi. Gli altri vennero considerati fuggiaschi. Per uno stano fenomeno, ma non si deve dimenticare che le forze armate a Creta dipendevano direttamente dai tedeschi, la quasi totalità dei militari italiani si accordarono con i tedeschi [...]. I militari che non aderirono si stimano non arrivassero a duemila unità. Nel dicembre 1943 i militari internati presenti nell'isola erano circa mille.

Nello stesso sito troviamo questa tabella, relativo allo sgombero dei militari italiani da Creta dopo l'8 settembre 1943.

Gelsomino Cuozzo è stato verosimilmente uno dei primi ad essere portato via dall'isola.

Liberato l'8 maggio 1945, rientra in Italia il 17 settembre 1945.

Creta, 1941: rovine della reggia di Cnosso; fonte

Approfondimento: gli italiani a Creta
Patrizia Larese, nel suo saggio Accadde a Creta. 1941-1945 scrive che nella provincia di Lassithi erano presenti dai 15 ai 22 mila italiani: una percentuale molto alta, se si considera che la popolazione era di circa 70 mila abitanti.  Dopo un primo periodo in cui i cretesi mostrarono ostilità verso gli italiani, considerati invasori, la situazione migliorò e si giunse a un clima di relativa pacifica coesistenza. Da alcune testimonianze risulta che i soldati italiani chiedessero ai cretesi cibo per integrare le loro scarse razioni: si presentavano alle case dei contadini e mostravano foto delle mamme o delle fidanzate per chiedere cibo.

Blog

Per contestualizzare le vicende che riguardano Gelsomino Cuozzo, può essere utile leggere questi post:
Il giorno dopo nel Dodecaneso italiano👉
Il giorno in cui nacquero gli IMI 👉

G.V.

26 maggio 2023

LA SIGNORA CHE RICORDA IL PARTIGIANO DI VALVA

A ottanta anni dal settembre 1943, a Pianfei in provincia di Cuneo c'è ancora qualcuno che ricorda Michele Cecere, il partigiano di Valva.

Facciamo un passo indietro.

In occasione della festa del 25 Aprile, il sindaco di Valva Giuseppe Vuocolo ha contattato il sindaco di Pianfei Marco Turco, per ringraziare -sia pure a distanza di tanti anni- la sua comunità che ha accolto un giovane valvese in fuga dalla Francia dopo l'8 settembre 1943; ecco un brano della lettera:

[...] idealmente, ringrazio tutte le famiglie di Pianfei, anche perché mi piace pensare che nei mesi vissuti nella vostra terra il signor Michele ha avuto la possibilità di coltivare il seme dell’amore per la libertà e per la dignità dell’uomo, seme poi germogliato nella gloriosa lotta partigiana che ha nobilitato la vostra terra e la nostra patria intera.

Ospitato da una famiglia di Pianfei, infatti, nel luglio 1944 Michele Cecere prenderà parte alla lotta partigiana fino alla fine della guerra.

Il sindaco Turco ha fatto le sue ricerche e ha contattato il comune di Valva con una bella notizia: a Pianfei c'è una donna di 95 anni, la signora Caterina, che ricorda molto bene quel giovane partigiano salernitano.

Così Luciana Cecere, nipote di Michele, ha potuto incontrare la signora Caterina: "Quando le ho chiesto se ricordasse mio nonno si è illuminata" -racconta- "ho avuto l'impressione di una donna emozionata di avermi incontrata, perché l'ho riportata indietro nel tempo, facendole riaffiorare i ricordi di una sincera amicizia e dell'adolescenza, sia pure vissuta durante il periodo di guerra".

La signora Caterina ha raccontato a Luciana di aver conosciuto suo nonno Michele da giovanissima; ricorda che il giovane soldato lavorava come calzolaio e si era rifugiato presso la famiglia Ambrosio: un fratello e una sorella, ora deceduti, vicini di casa della signora Caterina in contrada Ambrosi.

L'abitazione in cui si è rifugiato Michele Cecere si trovava in questa via:

La signora Caterina ricorda che le donne facevano il pane e lo davano di nascosto ai partigiani.

Tra i due c'era sicuramente una tenera amicizia, visto che Caterina racconta che Michele voleva portarla con sé a Valva e che capitava che la riaccompagnasse a casa quando lei andava a prendere lezioni di cucito da una signora della borgata; la vita ha però preso una curva diversa: lei si è sposata nel 1946 e ha avuto due figli (ora ha nipoti e pronipoti). 

Michele è tornato a salutarla nel 1947 e lo ha fatto anche negli anni Ottanta, quando una sua figlia viveva in Piemonte. 

La signora Caterina ricorda i nomi di altri due partigiani compagni di Michele Cecere: Antonio e Simone, che però non siamo ancora riusciti a identificare.

La signora Caterina
nella sua unica foto risalente al periodo della guerra

Alla giovane ragazza del 1943, ora nonnina della sua Pianfei (e forse, idealmente, anche della lontana Valva), dedichiamo questi versi di Vinicio Capossela, tratti da una sua recente canzone in cui parla di staffette partigiane in bicicletta; nell'azione di donare il pane a chi si nascondeva -perché un soldato "sbandato" o un partigiano sulle montagne di Cuneo- riviviamo l'atmosfera che queste parole sanno evocare:

Guardo i vostri nomi che sanno di bucato
che sanno di un altro paese
di aspirazioni migliori
in cui è venuto naturale 
prendere parte e da che parte stare.  
[...] Che scrivete una storia minore
di partecipazione
un litro di latte
un pezzo di pane
un chilo di carbone tolto al nemico
è fermare l'occupazione 
Resistenza, latitanza.  
Vinicio Capossela, Staffette in bicicletta, in: Tredici canzoni urgenti, La Cùpa

 

Un sentito ringraziamento a Luciana e a tutta la famiglia Cecere. 

Ringraziamo il signor Guido Gribaudo, il Comune di Pianfei -e in particolare la signora Elena- per la gentile collaborazione.

Approfondimento

Alla vicenda del partigiano Michele Cecere abbiamo dedicato alcuni post, cercando di inquadrarla nel contesto della lotta di Resistenza nelle valli Ellero e Corsaglia; ad esempio, ci siamo occupati del giornale clandestino Rinascita d'Italia, pubblicato nell'estate del 1944 dai "patrioti" di queste valli cuneesi; ecco il post, che presenta una piccola antologia di brani tratti dal giornale: Il giornale partigiano stampato in un santuario

Questi sono gli altri nostri post dedicati al partigiano Michele Cecere:



24 maggio 2023

LA "LEGGENDA DEL PIAVE": UNA PROPOSTA DI ANALISI

La leggenda del Piave (nota anche come La Canzone del Piave) è scritta dopo la battaglia sul Piave del giugno 1918, la cosiddetta "battaglia del solstizio", che è importante perché l'esercito italiano riesce a bloccare l'ultima grande offensiva degli austro-ungarici.

L'autore è E.A.Mario (pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta), autore anche di altre canzoni celebri (come ad esempio Balocchi e profumi e Tammurriata nera).

Proponiamo ora un'analisi del brano. Se preferite, potete ascoltare il testo della nostra analisi insieme alla canzone in questo video: 

La prima strofa

L’inizio è molto celebre:

Il Piave mormorava
Calmo e placido, al passaggio
Dei primi fanti, il ventiquattro maggio
L'esercito marciava
Per raggiunger la frontiera
Per far contro il nemico una barriera

Sono rime baciate (passaggio: maggio, frontiera: barriera); sono in rima anche le parole mormorava: marciava.

La prima strofa riguarda il 24 maggio 1915; più che anacronismo, si tratta di una rilettura simbolica di un avvenimento storico

L’avvenimento storico è l’entrata in guerra dell’Italia, nel maggio 1915 (la guerra era iniziata nell’agosto 1914). Questo avvenimento storico viene reinterpretato, tre anni dopo, come una guerra difensiva: "l’esercito marciava per raggiunger la frontiera", è vero; "per far contro il nemico una barriera", non è vero storicamente perché in quel momento, maggio 1915, l’Italia entra in guerra attaccando.

Chi scrive la canzone la scrive dopo che il Piave è diventato il baluardo, la barriera da difendere a tutti i costi; possiamo dunque dire che nel '18 il Piave era la barriera, nel '18 si faceva contro il nemico una barriera, ma non nel '15.

Chi scrive lo fa nel 1918 e reinterpreta un avvenimento di tre anni prima, attualizzandolo perché nel frattempo il Piave ha assunto un altro valore; il Piave è abbastanza lontano dalla frontiera, difendere il Piave significa impedire che il nemico faccia irruzione nella pianura padana (che è la paura dopo Caporetto).

Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava e andare avanti
Notiamo una certa eleganza stilistica, perché nell'ordine coretto in italiano la frase dovrebbe essere "bisognava tacere e [bisognava] andare avanti". Il verso della canzone invece inizia con un verbo all'infinito ("tacere"), poi c'è un verbo che regge l'infinito ("bisognava") e alla fine del verso c'è un altro infinito ("andare"). Il verbo principale è dunque al centro e regge i due infiniti posti all'inizio  e alla fine del verso. 
S'udiva intanto dalle amate sponde
Sommesso e lieve il tripudiar dell'onde

Le onde fanno un tripudiare sommesso e lieve: è semplicemente il rumore del fiume, non siamo ancora alla sua trasformazione mitica.

L’interpretazione di questo elemento naturale, però,  conferisce a un dato naturale (il rumore dell’acqua del fiume) un valore che va ben oltre: "era un presagio dolce e lusinghiero"... Il tripudiare delle onde, sommesso e lieve, viene interpretato come un presagio dolce e lusinghiero. Spesso troviamo due aggettivi, uno accanto all’altro.

In ogni strofa il Piave dice qualche cosa.

Nella prima, mormora, anche nella seconda troviamo “mormorò”.

Nella terza il Piave è molto più deciso: "NO!"…e i fanti ripetono "NO!".

Nell’ultima strofa il Piave non parla più,  "tacque"…la guerra è vinta e quindi la missione del Piave può dirsi compiuta.

Il Piave mormorò: non passa lo straniero

Attenzione al verbo: "non passa";  è un presente indicativo, non un congiuntivo esortativo (per esprimere un augurio, ad esempio "non passi lo straniero").

Il Piave è una sorta di vedetta, come è confermato nella seconda strofa: "Ritorna lo straniero".

Non possiamo escludere però che l’uso del congiuntivo "Non passi lo straniero" sia stato avvertito dall’autore come troppo ricercato per una canzone che voleva essere patriottica e popolare.

Forse il concetto che si vuole esprimere in questo verso è simile al celebre motto spagnolo "No pasaran": non passeranno…riferito ai nemici. 

La strofa della sconfitta

Ma in una notte trista 
Si parlò di un fosco evento 
E il Piave udiva l'ira e lo sgomento 
Ahi, quanta gente ha vista 
Venir giù, lasciare il tetto 
Poiché il nemico irruppe a Caporetto. 
S'udiva allor, dalle violate sponde 
Sommesso e triste il mormorio dell'onde. 
Come un singhiozzo, in quell'autunno nero
Il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero".

Nella versione iniziale di questa canzone, per esempio quella eseguita solennemente in occasione dell'arrivo della salma del Milite Ignoto a Roma, questa seconda strofa era un po' diversa.

Durante il fascismo, per intervento diretto del governo, sono state chieste all’autore alcune modifiche.

Ma in una notte trista / Si parlò di tradimento è diventato: Si parlò di un fosco evento.

La parola tradimento è una parola forte, suggerita all’autore da un drammatico bollettino del generale Cadorna che di fatto dava la colpa ai soldati per la sconfitta di Caporetto. In epoca fascista sono stati tolti questi riferimenti così netti. 

Il verso Per l'onta consumata a Caporetto è diventato Poiché il nemico irruppe a Caporetto, un verso quasi descrittivo.  La parola onta sicuramente non gettava buona luce sull’esercito italiano. 

Profughi ovunque, dai lontani monti
Venivano a gremir tutti i suoi ponti

Sono i profughi italiani, il cui esodo inizia già nel 1916, dopo la cosiddetta "Spedizione punitiva": dalle zone occupata da tedeschi e austriaci si spostano nel resto d'Italia. 

S'udiva allor, dalle violate sponde
Sommesso e triste il  mormorio dell'onde
Come un singhiozzo, in quell'autunno nero
Il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero".

Violate sponde: "violate" è un aggettivo forte, il fiume è sacro, dunque c’è una profanazione delle sponde.

Si udiva sommesso e triste: prima il mormorio era sommesso e lieve, adesso diventa triste.

Come un singhiozzo in quell’autunno nero: non è più un presagio dolce e lusinghiero.

Questa è una strofa impegnativa anche emotivamente, perché questa è la strofa della sconfitta, è il racconto del domani della sconfitta, dopo Caporetto.

Dire autunno nero significa dire che l’Italia è in ginocchio, sembra crollare, non solo il fronte di guerra ma anche il fronte interno sembra crollare…  

Il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero". Torna il ruolo di vedetta svolto dal Piave.  

La strofa del Piave che combatte contro il nemico feroce

E ritornò il nemico
Per l'orgoglio, per la fame
Volea sfogare tutte le sue brame
Vedeva il piano aprico
Di lassù, voleva ancora
Sfamarsi e tripudiare come allora. 

"No" disse il Piave, "No" dissero i fanti
Mai più il nemico faccia un passo avanti 
E si vide il Piave rigonfiar le sponde 
E come i fanti combattevan le onde 
Rosso del sangue del nemico altero. 
Il Piave comandò: "Indietro va', straniero".

E ritornò il nemico: nel primo verso troviamo un riferimento al verso conclusivo della strofa precedente ("Ritorna lo straniero"). 

In  questa quarta strofa troviamo subito alcuni versi di grande drammaticità: 

Per l'orgoglio, per la fame
Volea sfogare tutte le sue brame

Il nemico è paragonato a un lupo affamato che ritorna per l’orgoglio e per la fame; era venuto la prima volta nel '16, ora torna nel '17 (l’anno della battaglia di Caporetto). 

Come un animale feroce, affamato che "volea sfogare tutte le sue brame". Il nemico fa paura; deve essere per definizione presentato come brutto e cattivo, affamato e pieno di brame. 

Vedeva il piano aprico
Di lassù, voleva ancora
Sfamarsi e tripudiare come allora. 

Piano aprico significa esposto al sole.

Tripudiare significa esultare in modo clamoroso e vivace, dice il dizionario Treccani; ora tripudiare è attribuito non più al Piave ma allo straniero, che vuole vincere di nuovo, come ha vinto nel 1916, vuole sfamarsi e vuole esultare.

"No" disse il Piave, "No" dissero i fanti
Mai più il nemico faccia un passo avanti 

A livello testuale il verso è molto efficace.

Il Piave ora dice, non mormora più.

Finora avevamo sempre trovato il soggetto (il Piave), il verbo (mormorò), due punti, le virgolette e poi il discorso diretto.

Adesso l’affermazione perentoria, netta (No) viene messa prima del verbo. I fanti rispondono: No.

Il Piave non è più una vedetta, ora è una guida. 

Mai più il nemico faccia un passo avanti. Mai più all'inizio del verso, in una posizione di rilievo; solo dopo c'è il soggetto ("il nemico"). 

La conseguenza qual è? 

La conseguenza è che il Piave entra in guerra a tutti gli effetti.

E si vide il Piave rigonfiar le sponde 
E come i fanti combattevan le onde 
Rosso del sangue del nemico altero. 
Il Piave comandò: "Indietro va', straniero". 

Il Piave partecipa alla guerra, rigonfia le sponde…perché è quello che fanno i fiumi in autunno e in inverno.

Un fatto davvero accaduto, che ha reso la guerra più difficile (per tutti!). Il Piave rigonfia le sponde e come i fanti combattono le onde combatte anche lui, rosso del sangue del nemico altero (altero è un aggettivo messo alla fine di un verso che inizia con il colore del sangue: ora al nemico non serve più essere altero, cioè fiero, orgoglioso, superbo). 

Il Piave comandò: "Indietro va', straniero".

Il Piave comandò: il Piave che diventa un generale

Qui troviamo un esempio di climax: tre elementi che sono messi in scala, ascendente o discendente, tre aggettivi o tre verbi in cui il primo ha un’intensità, il secondo ne ha una maggiore e il terzo è ancora più intenso.

Il Piave mormorò (prima strofa)…Il Piave disse (seconda strofa)…Il Piave comandò (questa terza strofa)…

Dal mormorare al dire si arriva al comandò. 

Il Piave comandò: "Indietro va', straniero". Indietro va' è scritto con l'apostrofo per indicare che è un imperativo: vai indietro, vattene.  

Fanteria italiana attraversa il Piave su un ponte galleggiante; fonte

La strofa della vittoria

Indietreggiò il nemico
Fino a Trieste, fino a Trento
E la vittoria sciolse le ali al vento
Fu sacro il patto antico 
Tra le schiere furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti. 
Infranse alfin l'italico valore 
Le forche e l'armi dell'impiccatore
Sicure l'Alpi, libere le sponde
E tacque il Piave, si placaron l' onde
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi
La Pace non trovò né oppressi né stranieri.

Fino a Trieste, fino a Trento: Trieste e Trento vengono conquistate alla fine della guerra, negli ultimi giorni.

E la vittoria sciolse le ali al vento
Fu sacro il patto antico 

L’ultima strofa è quella della vittoria: chi ha scritto ha immaginato la conclusione della guerra oppure questo è stato modificato e aggiunto dopo?

Il poeta sta immaginando la vittoria: la vittoria sciolse le ali al vento, la vittoria sta volando…il patto è un riferimento al Risorgimento, il popolo che lotta per riprendersi il sacro suolo, “il suolo fatal” direbbe Verdi, “fratelli su libero suol” scrive Manzoni: è il Risorgimento.

Tra le schiere furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti

Vengono citati tre esponenti del cosiddetto irredentismo (cittadini con passaporto austriaco che vivano in territori come Trento, Trieste, l’Istria e lottavano perché queste zone diventassero italiane).

Cesare Battisti era stato impiccato nel 1916 a Trento (si era arruolato nell’esercito italiano ma viveva in una città non ancora italiana; catturato dagli austriaci, fu impiccato).

Nazario Sauro fu impiccato a Pola, città istriana oggi in Croazia,  sempre nel 1916.

Guglielmo Oberdan era stato impiccato a Trieste nel 1882.

La Leggenda del Piave introduce questi patrioti, figure care alla memoria di quei luoghi (parlando di Trieste si parla di Sauro e di Oberdan, parlando di Trento si parla di Battisti).

Infranse alfin l'italico valore 
Le forche e l'armi dell'impiccatore
Un verso molto solenne, un elegante endecasillabo.

Prima il verbo, poi l’aggettivo e infine il soggetto (valore).

Il valore degli italiani infranse/distrusse infine che cosa? Le truppe e l’armi dell’Impiccatore, termine con cui i patrioti italiani chiamavano l’imperatore (Francesco Giuseppe morto nel novembre 1916).

E tacque il Piave, si placaron l' onde

Questi ultimi versi sono particolarmente significativi.

Una volta che le Alpi erano ormai sicure, che le sponde (Adriatico) sono ormai libere, il Piave tace. Il Piave ha finito di guidare gli italiani alla resistenza contro il nemico.

Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi
La Pace non trovò né oppressi né stranieri

I torvi imperi (austro-ungarico, tedesco, impero ottomano). Erano nostri alleati fino a pochi anni prima. Adesso sono definiti torvi; "torvo" significa minaccioso (esprime astio o malanimo, minaccia o diffidenza, riferito allo sguardo o all’espressione del volto). Qui è riferito ai nemici.

La pace non trovò stranieri? Dal punto di vista degli abitanti di alcune zone, ad esempio il nostro Alto Adige (o Sud Tirolo) è una zona a stragrande maggioranza di popolazione di lingua e cultura tedesca. Dal punto di vista italiano, non ci sono stranieri lì!

Non ci sono oppressi? Magari…la pace trova oppressi dal punto di vista socio-economico, trova vecchie questioni mai risolte (ad esempio la questione agraria), sta per iniziare un periodo di tensione sociale ed economica che poi sfocerà nell’affermazione del fascismo.

Una reinterpretazione di fatti storici

La leggenda del Piave reinterpreta, dopo i fatti, alcuni avvenimenti e lo fa perché il Piave ha assunto un valore simbolico, di resistenza, di invito alla lotta contro il nemico; è un elemento capace di unire gli italiani verso uno sforzo comune, è un simbolo di identità, di appartenenza.

Il Piave è un confine simbolico, ideologico, di identità.

Il testo che ho cercato di analizzare ben rappresenta questo valore del fiume.

Grazie per la vostra attenzione.

G.V.

07 maggio 2023

DUE FRATELLI ALLA GRANDE GUERRA IN DUE ESERCITI DIVERSI

Due fratelli combattono la Grande Guerra in due eserciti diversi.
Anche a questo porta l'emigrazione italiana di fine Ottocento.
I fratelli sono Michele e Amedeo Catino, nati a Valva; sono figli di Francesco e di Nunziata Papio.
Michele nasce il 25 marzo 1882; partecipa alla Prima guerra mondiale come soldato del 26.mo Reggimento Lancieri Vercelli. Cade sul Carso il 29 giugno 1916 per ferite riportate in combattimento; riposa al Sacrario Militare di Redipuglia (Gorizia).
Amedeo  è nato due anni prima, il 21 gennaio 1890. 
A sedici anni, emigra negli Stati Uniti, dove arriva il 15 ottobre 1906, a bordo della nave Moltke; è diretto a Torrington, una città del Connecticut che i lettori del nostro blog già conoscono: è infatti la città della famiglia di Antonio Porcelli, di cui abbiamo parlato ricostruendo la vicenda del soldato Henry.
Nei documenti, troviamo un segno particolare di Amedeo: scar of forehead (una cicatrice sulla fronte). Dichiara di raggiungere Concetta Feniello (ma la lettura del nome non è agevole).

Nell'esercito statunitense
Amedeo si arruola nell'esercito americano e il 31 agosto si imbarca da Hoboken, diretto in Francia.

Dichiara che la persona da contattare in caso di emergenza è Concetta Feniello, definita aunt, zia.

La nave che la marina statunitense utilizza per il trasporto delle truppe in Europa nel corso della Grande guerra è un transatlantico di fabbricazione tedesca con un  nome significativo:  Leviathan.

La nave Leviathan; foto Alamy

Il trasporto durante la pandemia di Spagnola del 1918 risulta una pagina tragica. Ecco come lo descrive Wikipedia:

Durante la pandemia della Spagnola del 1918, la Leviathan partì per la Francia da Hoboken in New Jersey con a bordo novemila soldati: all'arrivo a Brest, una settimana dopo, i malati erano circa duemila e si erano avuti novanta decessi; negli scompartimenti del "Leviathan" [...] "lo spazio tra i letti a  castello era così ridotto che le infermiere non potevano evitare di lasciare le loro impronte insanguinate tra l'uno e l'altro"; con i letti più alti inutilizzabili dai malati, "gli uomini, semicoscienti, furono sistemati sui ponti, che presto diventarono scivolosissimi a causa del sangue e del vomito". Quando approdò nel porto della Bretagna, il Leviathan appariva "una nave della morte".  

Amedeo Catino è assegnato al 59.mo Pionier Infantry Regiment, col grado di soldato. Il suo è un reggimento di fanteria istituito nel 1917 e assegnato alla 4a divisione di fanteria in Francia.
In Francia, Amedeo Catino combatte a Verdun; una nipote ricorda che i gas respirati in guerra gli avevano provocato problemi di salute. 
Questa informazione troverebbe conferma nella richiesta avanzata nel 1939 da Amedeo, testimoniata in questo documento, una richiesta di indennizzo per i veterani, presentata nel maggio 1939 (quando risulta residente a Philadelphia):


Da un altro documento leggiamo effettivamente che Amedeo è wounded in action: espressione utilizzata per i soldati feriti in combattimento.
Il 21 luglio 1919 parte da Brest, in Bretagna, e rientra negli Stati Uniti. Concetta Feniello è ora indicata come sister, sorella.

Amedeo Catino eserciterà la professione di barbiere fino a quando rientrerà in Italia.
Morirà a Valva nell'aprile 1971.

Approfondimento
Non abbiamo ancora individuato con certezza la signora Concetta Feniello; il cognome dovrebbe essere quello del marito, che nei documenti americani risulta come Charles ma verosimilmente si sarà chiamato Carmine. 
Carmine Feniello è nell'elenco dei valvesi che il 17 febbraio 1924 partecipano a Newark alla serata di raccolta fondi per costruire il monumento valvese ai caduti per la patria.


Per un approfondimento sul tema della guerra combattuta con divise diverse si veda anche il post La divisa nella quale combattere.


P.s. Documents are taken by www.ancestry.com.

G.V.

04 maggio 2023

IN MEMORIA DI GIUSEPPE FENIELLO

In memoria di
GIUSEPPE FENIELLO 
1923-2023

ultimo reduce valvese della Seconda Guerra Mondiale 


Hanno l'impercettibile sussurro, 
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.

Giuseppe Ungaretti, Non gridate più



Soldato della Seconda Guerra Mondiale
10° Reggimento genio-marconisti di Santa Maria Capua Vetere
catturato in Africa Settentrionale il 6 aprile 1943
prigioniero degli inglesi fino al 9 agosto 1946
rientrato a casa il 20 settembre 1946

Giuseppe Feniello nella festa del suo centesimo compleanno

Al signor Giuseppe Feniello il blog la ràdica ha dedicato alcuni post e un eBook:


Le nostre sentite condoglianze ai familiari tutti.

01 maggio 2023

UNA SOCIETA' OPERAIA PIANGE I SUOI CADUTI NELLA GRANDE GUERRA

A Valva c'è una lapide che forse nessuno legge perché posta in alto e ormai non più chiarissima. 

Non sono insoliti il tono e il lessico -caratteristici delle epigrafi del periodo- ma certamente la firma merita una riflessione.

Ecco il testo: 

foto di Maria Rosaria Feniello

PUGNANDO DA FORTI

PER LA LIBERAZIONE DEI SACRI CONFINI

PEL TRIONFO DEI DIRITTI PIU' SACRI DELL'UOMO

CADDERO

BENEDICENTI AL DOVERE

CONDANNA IMPERITURA DELLA BARBARIE TEUTONICA

CATINO MICHELE - MARCIELLO ANTONIO

TORSIELLO ANTONIO-TORSIELLO PASQUALE

LA SOCIETA' OPERAIA INDIPENDENTE

FIERA DI AVERLI AVUTI TRA I SOCI

NE ETERNA IL NOME E LA GLORIA

1915-1918

Dunque anche a Valva esisteva una società operaia.

Queste associazioni si diffondono nella seconda metà dell'Ottocento, con diversi scopi: il mutuo soccorso in caso di malattia e di inabilità permanente al lavoro (una prima forma di welfare, come diremmo oggi), la creazione di cooperative per l'acquisto di prodotti e mezzi per l'agricoltura, la promozione dell'istruzione e dell'educazione dei soci, con iniziative culturali.

Il mutuo soccorso è una forma di solidarietà che potremmo definire dal basso: i soci versano una quota, che garantisce loro un sussidio in caso di malattia, invalidità o morte.

Solo lentamente lo Stato unitario attua delle riforme in campo sociale, recependo sempre di più le funzioni assolte dalle Società di Mutuo Soccorso: si pensi alla Cassa Nazionale di Assicurazione contro gli infortuni (1883) e alla Cassa Nazionale di Previdenza per invalidità e vecchiaia (1898); nel 1910 viene inserita una sezione dedicata alla maternità e nel 1912 nasce l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni.

Possiamo considerare queste società anche come una prima forma di sindacato. In occasione della Grande guerra, esse si mostrano generalmente non interventiste; negli anni del conflitto si prodigano nell'assistenza alle famiglie dei soldati.

Non abbiamo ancora trovato informazioni sull'associazione valvese, ma è certamente significativo che anche nell'Alto Sele ci fossero società operaie; la ricerca va dunque estesa agli altri comuni della Valle.

I soldati citati nell'epigrafe

Ecco alcune informazioni sui quattro soldati citati nell'epigrafe.

Catino Michele di Francesco, nato il 25 marzo 1882; soldato del 26.mo Reggimento Lancieri Vercelli, caduto sul Carso il 29 giugno 1916 per ferite riportate in combattimento; riposa al Sacrario Militare di Redipuglia (Gorizia). Torneremo a occuparci di lui, perché abbiamo scoperto che suo fratello Amedeo ha combattuto la Grande guerra nell'esercito americano (in Francia).

Marciello Antonio di Michele e Torsiello Filomena, nato il 30 dicembre 1883, pastore (altre volte compare come contadino); soldato del 238.mo Reggimento Fanteria, morto il 19 giugno 1917 sul monte Forno per ferite riportare in combattimento. 

Il 238.mo Reggimento Fanteria "Grosseto" ha preso parte alla battaglia del monte Ortigara, combattuta dal 10 al 29 giugno 1917 sull'altopiano dei Sette Comuni e conclusasi con la ritirata italiana. Nell'attacco al monte Forno il Reggimento "Grosseto" e il 214.mo Reggimento persero quasi 1500 uomini, praticamente senza avanzare [Wikipedia].

Torsiello Antonio di Francesco e Spatola Filomena, nato il 30 dicembre 1891, falegname; soldato del 112.mo Reggimento Fanteria, morto il 18 giugno 1916, in un ospedale campo, per ferite riportare in combattimento.    

Torsiello Pasquale di Domenico, nato il 1 dicembre 1888, soldato del 7.mo Reggimento Fanteria, morto il 28 ottobre 1918 in un ospedale da campo per ferite riportate in combattimento. 

G.V.