Il soldato Giacomo Cani è stato letteralmente sfracellato dal tornio contro lo stipite del portone. Alcuni secchi d'acqua cancellano i segni della tragedia e il lavoro continua come se nulla fosse accaduto.
Queste parole, riportate in un bel volume di Gabriele Hammermann dal titolo "Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945" (il Mulino), hanno attirato la mia attenzione. Il capitolo è quello dedicato alle condizioni di lavoro nei campi di prigionia.
Nella scheda del soldato, leggiamo che era di Imola e aveva 25 anni. Era la vigilia di Natale del 1943.
Causa della morte: incidente sul lavoro.
Non posso dire che non sia vero.
Però la storia è fatta anche di testimonianze, di racconti orali che poi diventano parole scritte che restano e colpiscono.
Le parole "incidente sul lavoro" non dicono cosa è accaduto dopo, subito dopo; non rivelano il contesto nel quale è maturato l'incidente.
Leggiamo ancora nel libro di Hammermann:
L'ex internato Calossi [...] descrive la forte pressione psicofisica causata dai turni di notte: "Sono disperato e vivo sotto l'incubo di non essere in grado di resistere a tanti patimenti".[Un altro internato] racconta che in un mese di turni di notte dimagrì di cinque chili, più di quanto aveva perso in sei mesi di lavoro diurno.
La sicurezza sul lavoro era decisamente inferiore a quella assicurata ai lavoratori tedeschi; la studiosa individua una serie di cause: l'impiego precipitoso, le difficoltà legate alla comprensione della lingua, l'assoluta mancanza di formazione richiesta, lo sfinimento provocato dai turni di lavoro e dai bombardamenti, lo scarso rispetto delle norme sulla sicurezza.
Particolarmente carenti dal punto di vista della sicurezza sul lavoro erano il settore minerario e quelli dell'industria pesante e delle costruzioni. Anche nell'edilizia gli infortuni erano frequenti.
Spesso il gran numero di infortuni di cui rimanevano vittime gli internati era dovuto al fatto che non disponevano dei necessari indumenti da lavoro [...]Anche nell'industria pesante, va da sé, la mancanza di un abbigliamento adatto aumentava di molto il rischio di infortuni.
Gli internati non disponevano di guanti da lavoro, per cui le ferite alle dita erano inevitabili quando lavoravano le lastre di metallo rovente.
Dai documenti delle varie aziende ricaviamo che gli internati italiani nella maggior parte venivano impiegati come manovali o lavoratori non specializzati.
"Era soprattutto il trattamento indegno riservato ai morti stranieri sul lavoro a sgomentare gli internati", scrive Hammermann, che a questo punto riporta le parole dedicate a Giacomo Cani.
Oggi Giacomo riposa nel cimitero militare italiano di Varsavia.
Era la vigilia di Natale, aveva venticinque anni.
Per approfondire
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004
Citazioni
Le citazioni in questo post sono tratte dalle pagine 110-111
G.V.