05 ottobre 2023

PIETRO, DUE VOLTE PRIGIONIERO

E' difficile considerare questa come una storia normale.
Un soldato che combatte in Africa e viene fatto prigioniero dagli inglesi, poi si trova nell'isola di Creta e viene fatto prigioniero dai tedeschi.
Questa è la storia di Pietro Torsiello, nato proprio il giorno di san Pietro: il 29 giugno 1920.

In Libia
Quando il 22 aprile 1939 è dichiarato abile e arruolato, Pietro rinuncia al beneficio del congedo anticipato, a quanto leggiamo in un registro del comune di Valva.
Chiamato alle armi il 12  febbraio 1940, è assegnato all'85.mo Reggimento Fanteria "Sabratha".
Pietro Torsiello è il soldato col casco coloniale in mano
Dedica a un genitore (retro della foto precedente)
Inizia per lui una guerra che durerà oltre cinque anni, fino al 1 agosto 1945, quando rientra dalla prigionia in Germania e si presenta al Distretto Militare di Salerno. 
Il giorno dopo il celebre discorso con cui Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia, Pietro si trova in territorio che è definito "stato di guerra", in un reggimento che pertanto risulta "mobilitato".
Dopo la "vestizione" militare, il 1 marzo 1940 si imbarca da Napoli per l'Africa Settentrionale e il giorno dopo sbarca a Tripoli.

La prima prigionia
Non abbiamo altre notizie di lui fino al 6 febbraio 1941, quando risulta prigioniero di guerra in seguito alla battaglia di Agedabia, una località che costituiva il principale nodo stradale che collegava Tripoli a Bengasi. La sconfitta determinerà la perdita dell'intera Cirenaica.
Una bandiera catturata sventola su un carro britannico; fonte
Ci siamo già occupati di questa battaglia seguendo le vicende militari di 👉Donato Vacca, un soldato valvese che riuscirà ad evadere dalla prigionia il 2 aprile.
Non sappiamo se anche Pietro Torsiello sia riuscito ad evadere , ma un dato è certo: il 6 aprile 1941 risulta liberato dalla prigionia.
Due giorni dopo è assegnato al 55.mo Reggimento complemento di divisione "Savona".
A settembre Pietro torna in Italia per una licenza straordinaria di venti giorni e alla fine della licenza viene rimandato al deposito del 39.mo Reggimento Fanteria (ottobre 1941).
Pietro Torsiello con bambini libici

A Creta

Il 24 maggio 1942 Pietro è trasferito al 39.mo Reggimento Fanteria Bologna, mobilitato nell'isola di Creta con compiti di presidio; il reggimento occuperà la parte orientale dell'isola.
Il 12 settembre 1943 Pietro viene fatto prigioniero dei tedeschi.
Ci siamo già occupati di un altro valvese fatto prigioniero dai tedeschi nello stesso giorno a Creta: 👉Gelsomino Cuozzo.
Riportiamo queste informazioni, tratte dal sito www.ilpostalista.it:

[I soldati italiani a Creta erano 21.700]. Di questi, circa 20mila vennero disarmati e si dichiararono disposti a continuare a combattere con i tedeschi. Gli altri vennero considerati fuggiaschi. Per uno stano fenomeno, ma non si deve dimenticare che le forze armate a Creta dipendevano direttamente dai tedeschi, la quasi totalità dei militari italiani si accordarono con i tedeschi [...]. I militari che non aderirono si stimano non arrivassero a duemila unità. Nel dicembre 1943 i militari internati presenti nell'isola erano circa mille.

Internato militare in Germania
Come sempre accade con i fogli matricolari, a questo punto c'è un vuoto di informazioni.
Nel caso di Pietro Torsiello, però, abbiamo a disposizione un documento, tratto dagli Archivi Arolsen.
Il documento è un elenco, redatto a Monaco nel 1946; Pietro Torsiello risulta in Germania dal 18 settembre 1944 al 28 aprile 1945:

La riga dedicata a Pietro Torsiello è l'ultima, qui in basso:
Molto probabilmente, la data di settembre 1944 indica la "civilizzazione" degli internati militari in Germania: un cambiamento di status al quale non corrisponde un miglioramento delle condizioni di vita dei prigionieri italiani.
Non siamo in grado di stabilire sulla scorta di documenti storici il Lager in cui è stato detenuto Pietro Torsiello né di individuare il settore di impiego lavorativo in Germania. 
I nipoti ricordano che il nonno parlava delle "bruttezze" che aveva subito nel campo di concentramento di Dachau: anche se non sarà semplice riallacciare il filo dei ricordi, c'è ancora da scrivere, perché questa storia merita di essere raccontata.


Un cordiale ringraziamento alla nipote Elsa Fasano.

G.V.