Dopo la fine della Grande Guerra, i tribunali militari italiani sono impegnati a giudicare molti soldati accusati di diserzione. Non sempre si tratta di gesti di codardia: spesso infatti sono scelte legate a motivi familiari ed economici. La giustizia militare tende comunque a punire le assenze ingiustificate, giudicate una violazione dei doveri del soldato.
Il 1919 è un anno molto delicato dal punto di vista sociale ed economico per l'Italia.
La società è attraversata da conflitti (scioperi, proteste dei reduci, problemi legati alla smobilitazione).
In questo difficile contesto, il legislatore e i tribunali sembrano oscillare tra severità e clemenza: da un lato riaffermano la disciplina militare, dall'altro adottano provvedimenti di amnistia e condono, anche per alleggerire il carico giudiziario e per favorire il reinserimento dei soldati nella vita civile.
Siamo nell'Egeo, a Rodi.
E' il 27 giugno 1919.
Il Tribunale militare di guerra dell'Egeo emette la sentenza n. 677 nel processo n. 68, contro il soldato F.S. di Valva.
Il soldato ha 23 anni ed è arruolato nel 4° Reggimento speciale d'Istruzione in Rodi.
E' accusato di diserzione, per non essere rientrato al proprio corpo (37° Reggimento Fanteria, 1514 Compagnia mitragliatrici Fiat) dalla licenza scadutagli il 4 aprile 1918, essendosi spontaneamente costituito il 15 maggio 1918 al Deposito dell'81° Reggimento Fanteria in Roma.
La licenza gli era stata concessa l'11 marzo dal Comando del 37° Reggimento Fanteria dislocato in zona di guerra, "per recarsi a Valva in provincia di Salerno", con l'obbligo di rientrare entro il 4 aprile. L'imputato non solo non ritornò, ma si rese irreperibile, presentandosi poi spontaneamente al Deposito Fanteria in Roma il 15 maggio 1918.
Dopo l'intervento del pubblico ministero, prende la parola l'accusato, che ammette il fatto addebitatogli "affermando però di essere a ciò indotto dalle miserevoli condizioni economiche in cui versava la famiglia".
Il collegio giudicante non ritiene accettabili le motivazioni addotte dal soldato, "poiché lo Stato obbliga i cittadini al servizio militare unicamente per tutelare gli interessi delle collettività che lo formano, per provvedere all'incolumità delle istituzioni e alla inviolabilità del suo territorio e, per questo, qualunque cittadino arruolato nei ranghi dell'Esercito, esimendosi arbitrariamente dagli obblighi assunti viene a violare senza dubbio di sorta la compagine della milizia cui egli appartiene che si basa e si compenetra nell'osservanza delle discipline e delle leggi che la regolano".
Con l'esimersi illegittimamente dagli obblighi del servizio militare, l'imputato "deve dichiararsi responsabile del reato di diserzione".
A questo punto, il collegio giudicante individua delle attenuanti: l'imputato non è un disertore da un reparto di prima linea in presenza del nemico, né disertore per la terza volta nonostante l'ammonimento, né disertore armato che abbia commesso il reato previsto dall'art. 4 del Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917 n. 1952, che stabilisce:
A questo punto, il collegio giudicante individua delle attenuanti: l'imputato non è un disertore da un reparto di prima linea in presenza del nemico, né disertore per la terza volta nonostante l'ammonimento, né disertore armato che abbia commesso il reato previsto dall'art. 4 del Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917 n. 1952, che stabilisce:
Il disertore armato, o accompagnato da una o più persone armate, che si rifiuti di obbedire alla prima intimazione di arrendersi, ovvero faccia uso delle armi è punito di morte.
Alla stessa pena soggiacciono le persone armate che accompagnano il disertore.
Il giudizio sarà in ogni caso di competenza dei tribunali militari.
Di conseguenza, l'imputato rientra nel beneficio dell'articolo 13 del Regio Decreto del 21 febbraio 1919, n. 157:
Le pene restrittive della libertà personale [...] esclusi i militari disertori da un reparto di prima linea in presenza del nemico, o passati al nemico, i militari disertori per la terza volta nonostante l'ammonimento, e i militari disertori armati [...], sono ridotte al massimo della pena stabilita dall'art. 145, prima parte, del Codice penale per l'esercito [...], qualora si tratti di disertori compresi in alcuna delle categorie indicate nei numeri 1,2,3, e 4 dell'articolo precedente, la cui assenza o le cui assenze arbitrarie dal corpo, abbiano avuto una durata complessiva superiore ai 15 giorni.
L'imputato rientra inoltre nella prima categoria articolo precedente:
[...] E' concessa l'amnistia qualora l'assenza o le assenze arbitrarie dal corpo non abbiano avuto una durata complessiva superiore ai quindici giorni, comprese in tale periodo anche le assenze, per cui sia intervenuto un provvedimento generale o particolare di esenzione da pena, di condono o commutazione, e si tratti di disertori compresi in alcuna delle seguenti categorie:
1. disertori che si siano ripresentati spontaneamente prima del 31 ottobre 1918
Non è compreso nel novero delle persone escluse da tale beneficio ai termini dell'articolo 18:
coloro che al tempo del commesso reato avevano riportato più di una condanna, per reato contro le persone o contro la proprietà, a pena superiore ai sei mesi di reclusione ordinaria o militare ovvero si trovino sottoposti alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza.
Di conseguenza, deve essere condannato al massimo della pena stabilita dalla prima parte dell'articolo 145 del Codice penale dell'Esercito:
La diserzione in tempo di guerra sarà sempre punita colla reclusione militare da tre a cinque anni.
Per la lodevole condotta del soldato durante il servizio militare e per i suoi ottimi precedenti penali, il Tribunale ritiene doversi sospendere l'esecuzione della condanna, a norma dell'articolo 105 del regolamento di procedura da seguirsi davanti ai Tribunali di guerra. Alla condanna segue l'obbligo del risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali.
La condanna è sospesa, dunque il Tribunale ordina la scarcerazione del condannato se non detenuto per altra causa.
Le pene restrittive della libertà personale [...] esclusi i militari disertori da un reparto di prima linea in presenza del nemico, o passati al nemico, i militari disertori per la terza volta nonostante l'ammonimento, e i militari disertori armati [...], sono ridotte al massimo della pena stabilita dall'art. 145, prima parte, del Codice penale per l'esercito [...], qualora si tratti di disertori compresi in alcuna delle categorie indicate nei numeri 1,2,3, e 4 dell'articolo precedente, la cui assenza o le cui assenze arbitrarie dal corpo, abbiano avuto una durata complessiva superiore ai 15 giorni.
[...] E' concessa l'amnistia qualora l'assenza o le assenze arbitrarie dal corpo non abbiano avuto una durata complessiva superiore ai quindici giorni, comprese in tale periodo anche le assenze, per cui sia intervenuto un provvedimento generale o particolare di esenzione da pena, di condono o commutazione, e si tratti di disertori compresi in alcuna delle seguenti categorie:
1. disertori che si siano ripresentati spontaneamente prima del 31 ottobre 1918
Una nota datata 1 novembre 1919, in fondo al documento, ci informa che con Declaratoria 31 ottobre 1919, in applicazione del R.D. 2-IX-1919 n. 1502, la pena è amnistiata.
La conclusione della storia di F.S. è emblematica: sul piano formale, la condanna resta; su quello pratico, viene cancellata. Lo Stato sembra voler voltare pagina, pur ribadendo in linea di principio l'autorità della legge e l'importanza della disciplina militare.
La vicenda del giovane valvese è inserita in una fase storica di tensione tra la disciplina militare e la necessità di pacificazione sociale.
Il tribunale condanna formalmente F.S. al massimo della pena prevista dal Codice penale dell’Esercito per la diserzione in tempo di guerra, cioè cinque anni di reclusione militare. Tuttavia, la condanna viene subito sospesa per la buona condotta del soldato, e pochi mesi dopo, con l’amnistia dell' ottobre 1919, la pena viene completamente cancellata.
F.S. ha rischiato la pena di morte?
No, perché la pena di morte scattava solo in alcuni casi particolari previsti dal Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917, n. 1952 (art. 4): diserzione armata; diserzione in presenza di complici armati; se il disertore si rifiuta di arrendersi alla prima intimazione o fa uso delle armi. Il collegio giudicante esclude che F.S. rientri in queste ipotesi aggravanti: non è disertore da reparto in linea davanti al nemico, non è recidivo (terza volta), non era armato né ha opposto resistenza.
Le attenuanti
Grazie al Regio Decreto 21 febbraio 1919, n. 157, i disertori che si erano ripresentati spontaneamente entro una certa data potevano usufruire di una riduzione di pena o dell’amnistia. F.S. rientra in questa categoria, quindi la pena viene ridotta al massimo della reclusione prevista (3–5 anni), ma non è passibile di pena capitale.