31 luglio 2024

PIERINO, DA PIAZZA CASTELLO AL LAGER IN GERMANIA

Pierino Torsiello nasce a Valva il 24 gennaio 1923 da Francesco e Giovanna Spiotta; da giovane abita in Piazza Plebiscito: praticamente davanti al castello della Villa d'Ayala Valva.

Valva, panorama anni Quaranta; fonte: Gozlinus

E' chiamato alle armi l'8 settembre 1942 ed è assegnato al 31.mo Reggimento Fanteria "Siena".

Purtroppo per un anno esatto il suo foglio matricolare non racconta molto delle vicende della guerra. Sappiamo comunque che la divisione "Siena" nel 1942 viene trasferita a Creta, dove svolge compiti di presidio e occupa la parte orientale dell'isola: Pierino vi giunge il 1 novembre.

Stemma araldico Reggimento "Siena"; fonte: Wikipedia

La notizia successiva sul suo foglio matricolare è quella che ne fa un internato militare in Germania: Pierino viene infatti catturato dai tedeschi il 10 settembre 1943 e condotto in Germania, non sappiamo se in uno o più campi di prigionia. 

Sarà liberato  l'8 maggio 1945.

Trattenuto dagli Alleati fino al 20 settembre,  Pierino si presenta al Distretto militare di Salerno, dal quale sarà inviato in licenza straordinaria. Sarà poi collocato in congedo illimitato il 15 agosto 1946.

Nel 1967 gli sarà conferita la croce al merito di guerra: il primo conferimento in virtù del Regio Decreto 1729 del 14-12-1942 per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943, il secondo per internamento in Germania per partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1943-1945.

Croce al merito di guerra, secondo conferimento; fonte: Wikipedia

G.V.

29 luglio 2024

L'ELABORAZIONE DEL LUTTO NEL DOPOGUERRA ITALIANO

All'indomani del bagno di sangue della Grande Guerra si cerca di dare un senso al sacrificio di tanti giovani attraverso la creazione di luoghi dedicati alla memoria e all'elaborazione del lutto in forme collettive.
Vincenzo Cazzato nel suo preziosissimo Natura aere perennius (di cui ci siamo già occupati) studia la nascita dei parchi della Rimembranza e dei luoghi della memoria in Italia. 
Proponiamo una sintesi di alcuni passaggi fondamentali del suo studio.

La fascistizzazione della memoria
Subito dopo la guerra, si diffondono  monumenti che nascono dal basso, per iniziative autonome: nasce una complessa macchina simbolica che esalta il sacrificio e la vittoria e testimonia il senso che i vivi attribuiscono alla guerra", come scrivono Monteleone e Sarasini [I monumenti italiani ai caduti della Grande Guerra, in: "La Grande Guerra. Esperienza memoria, immagini", Bologna 1986].
Dopo la Marcia su Roma, il fascismo si appropria del rituale del ricordo dei caduti, creando una vera e propria "religione della patria" con l'obiettivo di educare le masse; Mario Isneghi scrive che l'obiettivo è quello di conquistare un "consenso retroattivo alla guerra" che la legittimi a posteriori [I luoghi della memoria, Roma-Bari 1996-97].

Caposele (AV), Allegoria del soldato come eroe antico;
BCS; fonte
Questo disegno comprende i monumenti celebrativi, i parchi e i viali della Rimembranza: è un'operazione che nasce dal centro e si diffonde in varie località italiane.
Promotore ne è il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi, per il quale il soldato deve essere ricordato dalla sua comunità: ecco dunque che i parchi concentrano l'attenzione sui luoghi di origine dei caduti. 
Siamo in presenza di un'elaborazione del lutto in forme collettive, con i parchi e i viali della Rimembranza che celebrano i figli che la comunità ha perso.

Il Milite Ignoto e la monumentalizzazione dei luoghi di guerra
La comunità più grande, quella nazionale, sceglie ugualmente una forma di celebrazione univoca: è l'idea del Milite Ignoto, che "rispondeva perfettamente alle dimensioni d'impersonalità e di massificazione che il sacrificio aveva rivestito", come scrive Antonio Gibelli [La Grande Guerra degli Italiani, 1915-1918, Milano 1998].
Il rituale è studiato con cura: nel duomo di Aquileia Maria Bergamas sceglie una delle undici salme di soldati ignoti provenienti da undici zone del fronte, poi il lento viaggio fino a Roma e la tumulazione al Vittoriano.
Tumulazione Milite Ignoto; fonte

Il governo fascista rivendica la progettazione dei cimiteri monumentali e dei sacrari nazionali (Monte Grappa Caporetto, Redipuglia): i luoghi della guerra diventano così scenari della rappresentazione del dolore e del ricordo; Quinto Antonelli parla di "teatralizzazione del paesaggio" [Q. Antonelli, Cento anni di Grande Guerra. Cerimonie, monumenti, memorie e contromemorie, Roma 2018].

Approfondimento
Tutte le citazioni sono tratte da Vincenzo Cazzato, Natura aere perennius - Parchi della Rimembranza e luoghi della memoria (Danilo Montanari Editore).
Al lavoro di Cazzato abbiamo già dedicato il post 👉La Festa degli Alberi come precedente del culto dei caduti. 

G.V.

28 luglio 2024

LA FESTA DEGLI ALBERI COME PRECEDENTE DEL CULTO DEI CADUTI

Un prezioso lavoro di Vincenzo Cazzato ricostruisce la nascita dei luoghi della memoria dopo la Grande Guerra: Natura aere perennius - Parchi della Rimembranza e luoghi della memoria (Danilo Montanari Editore). Il titolo, di chiara ispirazione oraziana, significa: la Natura è più duratura del bronzo, con allusione al bronzo dei monumenti.

L'autore individua un precedente dei Parchi della Rimembranza che si diffondono in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale: la Festa degli Alberi. Tra l'altro, il discorso con il quale Dario Lupi -sottosegretario alla Pubblica Istruzione- il 26 novembre 1922 a Fiesole lancia l'idea di parchi dedicati ai caduti della Grande Guerra è pronunciato proprio in occasione di questa festa.

La Festa degli Alberi era stata istituita nel 1899, per educate i giovani al rispetto della natura. Particolarmente solenne la prima festa celebrata a Roma, il 21 novembre 1899,  alla presenza della Regina Margherita e della Principessa Elena e di circa diecimila alunni delle scuole elementari e medie: vengono piantati 500 alberi.

Nel 1902 la Festa diventa una celebrazione annuale e obbligatoria. Infatti, il Regio Decreto n. 18 del 2 febbraio 1902 istituisce ufficialmente la Festa degli Alberi in tutti i comuni; non viene scelta una data precisa ma ci si limita all'indicazione di un giorno festivo di primavera o di autunno.

Festa degli Alberi di Bologna, 1899
(Fondo Belluzzi, Museo Civico del Risorgimento, Bologna); fonte

Nel 1911 l'Associazione Pro Montibus diventa il supporto organizzativo della festa e  viene istituita una commissione speciale per stabilire criteri uniformi per la festa "nazionale"; viene anche scelta la data comune: l'11 novembre, compleanno di Vittorio Emanuele III.

Durante la Prima Guerra Mondiale la Festa diventa un'occasione di raccolta donazioni per la Croce Rossa.

Nel dopoguerra la celebrazione assume un forte valore ideologico: il ricordo degli eroi caduti.

Cazzato parla di "saldatura con i parchi e i viali della Rimembranza": Dario Lupi prevederà infatti la dedica di un albero ad ogni soldato caduto.

Valva, fine anni Cinquanta-inizio anni Sessanta:
è trascorso del tempo, ma il legame tra la Festa degli Alberi
e la memoria dei caduti in guerra è ancora forte; fonte

In una circolare del 1923, il ministro dell'Agricoltura De  Capitani d'Arzago chiede che allo scopo simbolico della festa se ne aggiunga uno pratico, suggerendo di non utilizzare poche piante (spesso poi abbandonate a se stesse) ma qualche terreno incolto e rimboschirlo, "per costituire, col tempo una fonte di reddito" per le scuole promotrici della Festa. 

Il 30 dicembre 1923 il Regio decreto legge n. 3267 istituisce la Festa degli alberi: "Essa sarà celebrata ogni anno nelle forme che saranno stabilite di accordo fra i ministri dell'economia nazionale e dell'istruzione pubblica", per infondere nei giovani il rispetto e l'amore per la natura. E' il cosiddetto "Decreto Serpieri", sottosegretario all'Agricoltura (ministero nel frattempo accorpato a quello dell'Economia Nazionale).

Sulla fascistizzazione della Festa degli Alberi, interessanti le parole che troviamo nel testo La scuola fascista. Istituzioni, parole d'ordine e luoghi dell'immaginario [a cura di Gabrielli e Montino, 2009]:

Lo scopo della manifestazione era simbolico e pratico insieme, finalizzato a lasciare un'impronta nello spirito dei giovani oltre che nell'ambiente fisico. [...] Tanto l'appuntamento autunnale quanto quello primaverile coincidevano con un giorno di sospensione dell'attività didattica: domenica o altra festività (in novembre l'11, genetliaco del re, o il 4, in memoria dei caduti della grande guerra; in aprile il 21, Natale di Roma- saldandosi così ad altre cerimonie angolari della retorica di regime). [...] A partire dal 1937, poi, la cerimonia assunse un carattere che si legò alle svolte imperialiste della nazione e la Festa degli alberi divenne l'occasione per la piantagione non più dei vecchi "Boschi del Littorio", ma dei nuovi "Boschi dell'Impero". 
[citato in: La Festa dell'Albero dalle origini al Decreto Serpieri del 1923, sulla rivista on line Sherwood]


Approfondimento

Oltre al documentatissimo Natura aere perennius, segnaliamo anche l'interessante articolo on line La Festa dell'Albero dalle origini al Decreto Serpieri del 1923, in: Sherwood

G.V.

17 luglio 2024

PIETRO, IL MITRAGLIERE MORTO SUL PIAVE

Il 6 luglio 1918 muore, per le ferite riportate in battaglia, Pietro Feniello.

Nato a Valva il 10 agosto 1884 -figlio di Pasquale- Pietro Feniello appartiene alla 1360.ma compagnia mitraglieri Fiat.

La data e il luogo ci fanno pensare alla "battaglia del solstizio".

Come è noto, il nome si deve a Gabriele d'Annunzio.

L'offensiva austriaca diventa una disfatta: l'esercito austro-ungarico perde quasi 150mila uomini; la battaglia è però violentissima e anche per l'esercito italiano il bilancio è pesante: le perdite ammontano a circa 90 mila uomini. La sconfitta austro-ungarica significa in pratica l'inizio della fine.

Possiamo ipotizzare che Pietro sia sepolto nel sacrario di Fagarè della Battaglia, alla quale abbiamo dedicato il post 👉 Al sacrario di Fagarè sulle orme di Carmelo, eroe del Piave.

Due giorni dopo la morte di Pietro, cadrà sul Piave anche il tenente della Croce Rossa americana Edward Mc Key, amico del grande scrittore Ernest Hemingway che gli dedicherà questi versi (incisi nel sacrario di Fagaré): 

KILLED PIAVE  July  8  1918 

Desire and 
All the sweet pulsing aches  
And gentle hurtings 
That were you, 
Are gone into the sullen dark.
Now in the night you come unsmiling
To lie with me
A dull, cold, rigid bayonet
On my hot-swollen, throbbing soul.

Chicago, 1921
 

UCCISO  PIAVE  8 luglio 1918  

Il desiderio e
tutti i dolci pulsanti dolori
e le pene delicate
ch’eri tu,  
sono spariti nella tenebra tetra.
Adesso nella notte tu vieni senza sorridere
a giacere con me 
un'opaca, fredda, rigida baionetta
sulla gonfia, palpitante anima mia.

G.V. 

12 luglio 2024

AL SACRARIO DI FAGARÈ SULLE ORME DI CARMELO, EROE DEL PIAVE

Mi appare all'improvviso, quasi a interrompere l'uniforme lunghezza di questa statale molto trafficata che attraversa la pianura trevigiana.

Da qui non si sente la voce del Piave, ma ne trovo quasi l'eco nei toponimi attorno al Sacrario Militare di Fagaré.

Sono qui per rendere omaggio a un mio compaesano che proprio al Piave ha legato il suo destino.

Dopo Caporetto -quel singulto nell'autunno nero in cui il Piave ha avvisato che ritornava lo straniero- il valvese Carmelo Alfano ha preso parte alla riscossa dell'esercito italiano.

Nonostante l'ingente numero di caduti e prigionieri a Caporetto, nel novembre 1917 la battaglia di Fagaré segna un simbolico riscatto e proprio in quella battaglia Carmelo ottiene una medaglia d'argento. 

Nel giugno del 1918, in quella che d'Annunzio chiamerà "la battaglia del solstizio", a Breda di Piave Carmelo meriterà un'altra medaglia ma lascerà sul campo la sua giovane vita.

Il Piave mormorò: Non passa lo straniero

Oggi sono qui perché sono convinto che tra gli oltre cinquemila soldati ignoti sepolti nel sacrario c'è anche lui.

Il luogo di sepoltura non compare nei documenti e mi piacerebbe contribuire a far correggere questa mancanza, però il sacrario oggi è chiuso (anche se Google afferma il contrario) e io non me la sento di andare a piedi alla ricerca di Breda di Piave né riesco a inoltrarmi verso il fiume, ma Carmelo capirà: queste non sono strade che si percorrono a piedi, soprattutto da un forestiero che non sa orientatsi e che si affida a internet.

Mi sarebbe piaciuto portarmi a casa il profumo del Piave, ma avverto con piacere quello inconfondibile di una vigna a pochi metri dal sacrario e mi dico che forse a Carmelo questo odore sarà parso molto più familiare, in questa terra lontana da casa dove oggi le lingue si mischiano come ai suoi tempi i dialetti d'Italia.

 

Leggo infatti l'insegna di un ristorante in spagnolo e in inglese e a un bivio vicino due indicazioni su tre sono di località con nomi dialettali. 

Mi chiedo quale sia stata la cadenza delle ultime parole che un soldato ha rivolto, in italiano o in qualcosa di simile, a quel giovane valvese che moriva in questa terra di Piave all'inizio dell'estate del 1918.

Fagaré della Battaglia, Treviso, 12 luglio 2024

G.V.

08 luglio 2024

I DUE BISNONNI DI GIANLUCA NELLO STESSO CAMPO DI PRIGIONIA

Gianluca è un giovane che vive in Germania, dove è nato da genitori italiani, entrambi originari di Valva. Ama molto l'Italia e fin da bambino ogni anno torna a Valva, dai nonni e dagli amici. Quando ha letto il nostro post dedicato al suo bisnonno Angelo Michele Cecere, sopravvissuto alla ritirata di Russia, ci ha contattato per segnalarci che altri due suoi bisnonni hanno condiviso la prigionia nello stesso Lager tedesco, come internati militari italiani: glielo raccontavano da bambino a Valva.

E' bastato un rapido controllo nel Lessico Biografico IMI per confermare questo suo ricordo d'infanzia.

Infatti, Michele Perna e Giovanni Falcone -entrambi classe 1923- risultano prigionieri nello Stalag IX C; nel caso di Michele Perna,  questo è il secondo campo, visto che egli è stato prigioniero anche nello Stalag III C, mentre il foglio matricolare di Giovanni Falcone riporta la dizione "campo di concentramento IV C".

Lo Stalag III C è quello di Alt Drewitz, vicino a Berlino. 
Lo Stalag IV C è situato a Wistritz, vicino a Dresda e non lontano dalla Cecoslovacchia occupata dai nazisti. 

Come abbiamo già osservato analizzando un documento relativo alla prigionia del valvese Enrico Santovito, per Stalag IX C probabilmente si intende il campo principale, in Turingia: attorno al quartier generale di Bad Sulza c'erano tanti sottocampi.

Sappiamo che molti prigionieri lavoravano nelle miniere di potassio della zona.

Bad Sulza, Stalag IX C: entrata del campo poco dopo la liberazione
 fonte Croce Rossa

Organizzazione dello Stalag IX; fonte

Wikipedia ci informa che il campo fu aperto nel febbraio 1940 per recludervi i soldati polacchi dopo l'invasione tedesca. Il campo fu evacuato il 29 marzo 1945: i prigionieri furono costretti a marciare verso est prima dell'offensiva americani; i prigionieri rimasti nel campo furono liberati dagli americani. 

Michele Perna nasce a Valva il 5 giugno 1923, figlio di Martire e di Maria Michela Torsiello; è chiamato alle armi e vi giunge l'8 gennaio 1943, assegnato al Deposito 24 Reggimento Fanteria in Gradisca, in provincia di Gorizia. 

Il 22 febbraio è trasferito al 23.mo Reggimento Fanteria  mobilitato (zona di Gorizia); il 31 marzo giunge in territorio jugoslavo.

Il suo reggimento ha compiti di presidio e controguerriglia; viene sciolto dopo l'8 settembre. 

Michele Perna viene catturato il 14 settembre, a Trieste.

Michele Perna

Giovanni Falcone nasce a Valva il 5 dicembre 1923, figlio di Antonio e Filomena Vuocolo; chiamato alle armi, vi giunge il 6 gennaio 1943, assegnato al Deposito 52.mo Reggimento Fanteria in Spoleto. 

Il 15 marzo 1943 è trasferito al 192.mo Reggimento Fanteria mobilitato in Croazia. Viene fatto prigioniero il 9 settembre, in Croazia.

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone viene liberato il 5 aprile 1945 e trattenuto dalle forze armate alleate.

Il 13 aprile viene liberato Michele Perna, dagli americani.

Giovanni rientra in Italia il 18 agosto 1945, mentre Michele è rimpatriato il 5 settembre; sottoposto a interrogatorio presso il Distretto Miliare di Salerno, è inviato in licenza straordinaria.

Alle spalle, i due giovani soldati hanno quasi 600 giorni di prigionia, una parte dei quali trascorsa almeno con la consolazione di un volto conosciuto, di un compaesano col quale poter parlare nello stesso dialetto delle stesse persone.

Non sanno ancora che il figlio di Michele e la figlia di Giovanni un giorno diventeranno marito e moglie.

🙏Un caloroso ringraziamento a Gianluca Parisi e alla mamma Filomena Perna per la collaborazione e le foto fornite.

G.V.


25 giugno 2024

LA MASSERIA CON L'ALBERO DI TIGLIO: ZIA DUNETTA RICORDA IL TEMPO DELLA GUERRA

Zia Dunetta ha 88 anni, è piccola e minuta ma ancora piena di energia; cura il suo piccolo orto e le sue galline, dà una mano al figlio veterinario a badare alle pecore: vedova di un pastore, ha fatto questo lavoro tutta la vita, anche prima di sposarsi.

Mostra ancora straordinaria abilità quando quaglia il latte, la generosità di sempre quando offre un assaggio di ricotta o di formaggio.

La nostra preziosa collaboratrice Lucia Farella le ha chiesto se ricordava qualcosa sulla guerra; mentre Lucia le dava una mano a girare la ricotta, lei si è seduta su una sediolina di paglia, si è messa con le mani conserte e ha iniziato a raccontare.

La 'massaria' alle pendici della montagna
Nel 1943 avevo sette anni. Ricordo che andavamo in contrada Elice, dove c'erano dei terreni sui quali pascolavamo le pecore; i terreni appartenevano alla famiglia Masi. C'era una grande massaria con quattro stanze al piano superiore, due delle quali avevano anche l'astr'c e al piano inferiore noi tenevamo le pecore. Davanti alla masseria c'era un grande tiglio.
L'astr'c è un pavimento lastricato, probabilmente in cemento; Lucia nota che zia Dunetta pronuncia la parola con grande stupore. Inoltre, quando parla del tiglio (usando il genere femminile, come è bello per indicare una pianta) fa un gesto con la mano portandola al naso, per sottolineare il grande profumo dell'albero.

Quello che resta della masseria Masi. 
La strada accanto è via Elice e conduce alla grotta di San Michele.
Foto di Valentino Cuozzo.

Il maiale rubato dai soldati 
Nel periodo della guerra anche altre famiglie si sono rifugiate in quella casa. Mio padre il giorno andava sempre in località Cappaio, mentre mio fratello e un suo amico pascolavano le pecore e dormivano per terra, nei pressi della proprietà di una famiglia alla quale i soldati rubarono un maiale. 

Il rumore degli aerei e le lacrime delle bambine 
Io e le mie sorelle andavamo a raccogliere la legna per il fuoco. La sera andavamo incontro al veterinario Tamburro e alla figlia Maria, che di giorno stavano in paese e la sera venivano da noi. La bambina stava con noi e quando sentivamo gli aerei ci buttavamo a terra. Mia sorella Maria gridava per la paura e faceva piangere anche questa bambina. Ricordo che un signore che era con noi le sgridava quando le sentiva piangere. 

Nella foto si nota il tentativo di recupero edilizio
effettuato nel periodo dopo il terremoto; foto di Valentino Cuozzo

Le caramelle dei soldati 
Quando sono passati i soldati, molti erano a piedi; noi siamo scesi verso il paese e lungo la strada noi bambini gridavamo "Caramelle, caramelle!" e loro ce le gettavano. 

Brutti tempi 
Che brutti tempi sono stati! La guerra è una brutta cosa. Che dici, possono tornare quei tempi? 

Forse -come suggerisce Lucia- una possibile risposta alla domanda di zia Dunetta potrebbe essere nelle parole di Kant: "La guerra è un male, perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo".

🙏 Rinnoviamo il nostro ringraziamento a Lucia Farella, che ha raccolto anche questa preziosa testimonianza. 
🙏Grazie a Pietro Vuocolo per la gentile collaborazione.
🙏Grazie a Valentino Cuozzo, che ha individuato e fotografato i resti della masseria Masi. 

Approfondimenti


Gozlinus ha pubblicato il 👉biglietto postale che il veterinario di Valva, il dottor Ciro Tamburro spedì nel 1947 per tentare di fare luce sulla morte improvvisa di sette galline.

G.V.


24 giugno 2024

MICHELE, SOPRAVVISSUTO ALL'INFERNO DI GHIACCIO RUSSO

Il 27 ottobre 1921 le bare di dieci caduti della Grande Guerra, che non è stato possibile identificare, vengono traslate da Gorizia alla basilica di Aquileia, in vista della solenne cerimonia del giorno dopo. Uno di essi diventerà il Milite Ignoto.

Quel giorno, a Valva nasce Angelo Michele Cecere, figlio di Giuseppe e di Antonia Fasano.

Per tutti, l'avvocato

La provincia di Udine tornerà nella vita di Angelo Michele, che in paese chiamano solo Michele e -tra un po'- sarà ancora più noto come l'avvocato: anzi, per i suoi concittadini diventerà l'avvocato per antonomasia, pur avendo solo la quarta elementare. Non sarà un soprannome ironico, ma il riconoscimento di un certo stile e di un bel portamento giovanile, con immancabile giacca e una bella parlantina.

La guerra

Il 9 maggio 1941 Michele è dichiarato rivedibile alla visita militare e lasciato in congedo provvisorio; quando viene chiamato alle armi, il 17 gennaio 1942, non parte subito perché è ammalato (il mese prima, tra l'altro, è deceduto il padre Peppino).

Giunge al distretto militare il 6 marzo e il giorno dopo lo troviamo nell'11.ma Compagnia Sanità di Udine.

Nel settembre '42 viene trasferito alla 4.a Compagnia Sanità in Verona e il 27 dello stesso mese parte per la Russia, "perché destinato a far parte del capo di spedizione italiano", recita il suo foglio matricolare.

In Russia, tra i feriti
In Russia risulta assegnato all'Ospedale militare di riserva 8 mobilitato.

Abbiamo chiesto a Renza Martini cosa fossero gli ospedali di riserva.

Gli ospedali di riserva, situati nelle retrovie, erano delle strutture destinate a militari per i quali era previsto un sicuro recupero (disponevano di mille posto letto, che potevano aumentare in caso di bisogno). Gli ospedali di riserva 6 e 8 erano compresi nel Centro ospedaliero di Karkov (o Har'kov).
Dal luglio 1941 al maggio 1943 sono stati operativi sette ospedali di riserva. 
I primi soccorsi venivano forniti dagli ospedali da campo, mentre i soldati più gravi venivano mandati agli ospedali di riserva che li valutavano e li trasferivano nei convalescenziari o li rimpatriavano in Italia con treni ospedali. 
Negli ospedali di riserva hanno prestato la loro opera anche 45 infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, oltre a personale femminile locale (addetto alla cucina, alla pulizia dei locali, alla lavanderia).

Sul foglio matricolare di Angelo Michele Cecere c'è un vuoto: la successiva informazione risale al 26 marzo 1943, quando leggiamo "Partito dalla Russia per rimpatrio".

Sei mesi: ecco la durata di questo vuoto in un documento burocratico; sei mesi in Russia, compresi i terribili giorni della ritirata dal gennaio 1943. Quello che il documento non ci dice, papà Michele lo ha raccontato ai figli e da nonno ai nipoti;  sicuramente molto ha tenuto per sé, perché ci sono esperienze terribili che non diventano racconto.

Un dettaglio dei suoi racconti è rimasto impresso nella memoria del nipote Luigi: tra i feriti c'era chi lo pregava di tagliargli le orecchie e i piedi, i primi arti a congelare.

Possiamo ipotizzare le tappe della ritirata, ancora grazie alla consulenza di Renza Martini e del prezioso volume I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo (1941-'43), a cura dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

Alla fine del gennaio 1943, nelle strutture ospedaliere di Karkov erano ricoverati circa duemila degenti italiani, che furono sgomberati con treni ospedale (sia italiani che tedeschi); con l'arretramento del Corpo d'Armata, giunsero in città tremila nuovi feriti. 
Dopo la battaglia di Nikolajevka, gli spostamenti vennero fatti in treno verso Gomel (per gli illesi) e verso Karkov per i feriti. 
Dall'8 febbraio 1943, il personale ospedaliero e il materiale sanitario vennero trasferiti prima a Kiev, poi a Leopoli e infine a Kolomyja (una città che oggi si trova in Ucraina ma all'epoca si trovava in Polonia).

Carri armati sovietici entrano nel centro di Char'kov, il 16 febbraio 1943;
fonte

Il ritorno a casa
Michele giunge in Italia il 1 aprile 1943; è aggregato al Comando Tappa di Falconara per trascorrere il periodo contumaciale. 

I campi contumaciali erano già diffusi nella Prima guerra mondiale: in essi i soldati -o i prigionieri- trascorrevano un periodo di quarantena, per scongiurare il pericolo della diffusione di malattie infettive.

Il 15 aprile cessa il periodo contumaciale ed è inviato in licenza speciale di trenta giorni, più il viaggio.

Non sappiamo se in questo periodo Michele riesca a tornare a Valva; sappiamo però che il 15 giugno rientra dalla licenza, cessa di essere mobilitato e viene trasferito alla 4.a Compagnia Sanità di Verona. L'8 luglio lo troviamo nella 6.a Sezione Sanità.

Dopo l'8 settembre 1943, leggiamo che Michele si sottrae alla cattura in territorio occupato dai nazi fascisti e rientra a Valva.

Le date indicate sul foglio matricolare sono 9 e 20 settembre 1943, periodo nel quale va considerato in "licenza straordinaria in attesa di disposizioni". 

Qui troviamo un dettaglio molto significativo.

Nell'intervista che le abbiamo fatto, dal titolo L'abbraccio del soldato, la sorella Gerardina ha raccontato che quando Michele è tornato dalla guerra aveva i vestiti strappati e ha aggiunto: "ha raccontato che glieli avevano dati delle persone lungo il tragitto di ritorno".

Zia Gerardina ricorda che quando il fratello è tornato il resto della famiglia era ancora in contrada Elice, dove si era nascosto perché in quelle settimane del 1943 a Valva si scontrano tedeschi e americani.

Il ricordo di zia Gerardina è confermato dal foglio matricol,are, come possiamo vedere qui:

Il soldato Angelo Michele Cecere, con gli abiti malandati, è rientrato a Valva a metà settembre 1943, mentre sua madre, le cinque sorelle e suo fratello si erano rifugiati in montagna.

🙏Grazie a Renza Martini per la consueta e gentile disponibilità nella consulenza storica.
🙏Grazie alla famiglia Cecere per la foto e la collaborazione.
G.V.

22 giugno 2024

SETTEMBRE 1943: UN DOCUMENTARIO SUI CIVILI NASCOSTI NELLA GROTTA DI SAN MICHELE

Un documentario dedicato al settembre 1943, dopo lo sbarco alleato a Salerno.
All'ombra delle tue ali raccoglie testimonianze di valvesi relative al settembre 1943
Gli Americani risalgono il corso del fiume Sele.
A Valva, i tedeschi hanno il loro comando nella Villa d'Ayala-Valva.
All'arrivo degli Americani, i civili si rifugiano nelle grotte della montagna e della stessa villa d'Ayala.
In particolare, un nutrito gruppo di persone trova rifugio nella grotta di San Michele Arcangelo.
Foto di Valentino Cuozzo
Il primo episodio ha un titolo che viene dalla liturgia: INTROIBO.
È la prima parola di un breve rito di ingresso nella messa in latino: Mi accosterò all'altare del Signore. La parola assume il valore di "introduzione". 
L'episodio introduttivo ha due sorprese: la prefazione scritta da don Lorenzo Cuozzo e l'audio del canto tradizionale valvese dedicato a San Michele -dal titolo Il principe forte- cantato da un gruppo di donne e registrato dall'allora parroco mons. Domenico Cruoglio.
Ecco un brano tratto dalla prefazione:

In questo scenario tremendo anche la nostra piccola comunità venne sconvolta. Per sfuggire ai possibili bombardamenti aerei molti dei nostri compaesani salirono alla grotta di San Michele e nelle grotte adiacenti nella convinzione di trovare maggiore sicurezza rispetto al centro abitato.

Questa situazione che vide ospitati tanti valvesi nella «casa» del loro Protettore non ha davvero eguali nella storia della nostra comunità.

Foto di Valentino Cuozzo

Oltre ai racconti raccolti dai testimoni di quei giorni, nei prossimi episodi pubblicheremo altre strofe dell'inno a San Michele. Un piccolo omaggio alla tradizione culturale e religiosa di Valva.

G.V.