Non è semplice stabilire quando sia cominciata, a Valva, la tradizione del tamburo di San Michele.
Certe cose ci sono, si tramandano, si portano avanti ed è bello così, ma legarle a un contesto o a un avvenimento può farcele sentire più vicine e apprezzare ancora di più.
Prima dell'alba, nei giorni che precedono la festa patronale dell'8 maggio, mentre tutto dorme un tamburo gira per il piccolo borgo.
Un rullare amico, un suono che precede la luce e dà segno / della festa che viene -direbbe il poeta- ed a quel suon diresti / che il cor si riconforta.
Dal 2012, il tamburo è affidato al signor Michelino Cuozzo, che lo suona con dedizione -e gratuitamente- ogni mattina della novena. «È giusto portare avanti certe tradizioni, finché si riesce», ci dice.
Qualche anno fa ha rinunciato al compenso che il comitato festa voleva riconoscergli e ha chiesto che con quei soldi fosse comprato il tamburo, come è stato fatto.
Ecco il signor Michelino in azione:
Un tamburo per far tornare i soldati a casa
Le testimonianze finora raccolte ci riportano agli anni del dopoguerra.
La signora Feodora D'Ambrosio collega la tradizione proprio a quel contesto storico. Finita la guerra, le mamme attendevano il ritorno a casa dei figli che erano al fronte. A suo avviso è probabile che l'usanza di suonare il tamburo per la festa di San Michele sia nata come atto di devozione, insieme all'abitudine in quel periodo di fare molte processioni per ottenere il ritorno dei soldati. Il comitato della festa patronale ricompensava il suonatore del tamburo con un chilo di pane al giorno.
Ricorda una scena in particolare: una madre gettatasi ai piedi di una statua in processione, disperata per il mancato ritorno dei due figli.
C'è un episodio molto significativo legato al tamburo.
Uno dei primi a suonarlo -ricorda zia Dora- era il signor Matteo Cozza. Quando si ammalò gravemente, la moglie fu costretta ad andare a vendere il tamburo a Oliveto e col ricavato riuscì a comprare un po' di pasta per la sua numerosa famiglia (otto figli, due erano morti bambini).
La signora Antonia, vedendo il marito rattristato per la perdita del tamburo a cui era tanto affezionato, gli promise che lo avrebbero ricomprato una volta guarito.
Purtroppo Matteo morì nel 1953, a poco più di cinquant'anni.
I ricordi di zio Antonio
Dai ricordi rimasti in paese, altri nomi emergono tra i suonatori del tamburo negli anni del dopoguerra.
Antonio Cozza e Giuseppe Alfano, ad esempio.
Zio Antonio – recentemente scomparso – suonava un tamburo appartenente a Bonaventura Megaro, storico maestro di banda. Ricordava che, per un certo periodo, era Michele Alfano detto Girinea, l’altro capobanda del paese, a scegliere chi dovesse suonarlo.
Zio Antonio ha raccontato anche un episodio buffo: una mattina, nel silenzio dell’alba, mentre faceva rullare il suo tamburo tra i vicoli deserti del centro storico, trovò un uomo ubriaco addormentato all’aperto, davanti alla chiesa madre.
Il recupero della tradizione
Verso la fine degli anni Ottanta, il signor Pietro Cozza raccontava ad alcuni nipoti di quando, anni prima, organizzava le feste patronali di Valva.
Grande appassionato di musica, aveva persino fondato una propria banda musicale. Con il terremoto, però, gli strumenti andarono perduti; tutti, tranne un tamburo, che riuscì a recuperare.
Fu proprio da quei racconti che nacque l’idea di riportare in vita la tradizione del tamburo di San Michele. Il tamburo venne sistemato, e così due nipoti di zio Pietro — prima Salvatore, poi suo fratello Michele — ripresero la tradizione, più o meno all’inizio degli anni Novanta.
Quando una tradizione è viva
Quando ero uno studente delle medie, ho contribuito a realizzare un giornalino di classe in cui ho curato la pagina dedicata al tamburo di San Michele.
Qualche anno fa, il blog "Gozlinus" ha pubblicato quella pagina:
A distanza di quasi quaranta anni da quelle semplici frasi- scritte a macchina dalla mia professoressa di italiano- continuo a pensare che il tamburo "sta a indicare la gioia della popolazione per la festa in arrivo", anche se forse sono meno convinto che la tradizione affondi "le radici nella notte dei tempi", ma non è importante. Perché se una tradizione non è antica, non necessariamente perde valore; la sua forza si misura nella capacità di continuare a parlarci: di far sognare i bambini, di far attendere una festa di paese con le bancarelle, di confortare il sonno fragile di una persona anziana, di strappare il primo sorriso della giornata.
A tenerla viva è anche la sua capacità di adattarsi senza perdere identità, di rinnovarsi senza snaturarsi.
Quest'anno, ad esempio, il signor Michelino è stato accompagnato da un gruppetto di persone, tra le quali il parroco e in un caso anche il sindaco.
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Un sorriso all'alba (foto tratta dalla pagina Facebook della Parrocchia San Giacomo Apostolo) |
Alcune famiglie hanno lasciato il caffè pronto davanti alla porta, una signora ha accolto il piccolo gruppo offrendo dei cioccolatini.
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Un caffè per il suonatore (foto di Stefania Feniello) |
Piccole storie, di ieri e di oggi, che sono come dei battiti che fanno capire che il cuore di una piccola comunità è vivo.
Questo post è poca cosa, ma è dedicato alla memoria del signor Antonio Cozza la cui voce ho riascoltato -con emozione- mentre scrivevo queste righe.
Un cordiale ringraziamento:
Al signor Michelino Cuozzo, innanzitutto per la dedizione con cui consente a questa tradizione di conservarsi e anche per la sua preziosa testimonianza (grazie anche alla figlia Valentina che l'ha raccolta).
Alla signora Feodora D'Ambrosio, che ha condiviso i suoi ricordi e ha offerto un'interessante chiave di interpretazione della tradizione.
Alla signora Marinella Cozza, che ha raccolto la testimonianza del caro papà Antonio.
Alla signora Norma Caldarone, che ha consentito di ricostruire le vicende del recupero della tradizione.
Alla signora Stefania Feniello, autrice del video e della foto del caffè.
Alla signora Anna Cecere, nipote del signor Matteo Cozza, che ha contribuito a ricostruire la storia del tamburo di famiglia.
G.V.