I popoli non farebbero le guerre, se no.
Uno strumento di ricerca storica per ricostruire e custodire la memoria dei valvesi caduti o fatti prigionieri in guerra
10 dicembre 2024
L'ASSE -Monologo di un internato militare-
I popoli non farebbero le guerre, se no.
09 dicembre 2024
COME FIORI DA SEMI PIANTATI IN GIORNI DIFFICILI. SE NE VA L'ULTIMA VEDOVA DI UN REDUCE VALVESE DELLA GUERRA
L'ha chiusa la signora Marietta Marciello, che se ne è andata pochi mesi prima di compiere 93 anni.
Ora in paese non ci sono più vedove di soldati della Seconda guerra mondiale.
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Marietta Marciello con due figli, negli anni Sessanta; fonte |
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Il foglio matricolare del marinaio Bonaventura Megaro: risulta prigioniero dei tedeschi in Austria, dal 9 settembre 1943 al 20 agosto 1945 |
03 dicembre 2024
IL FIUME VERSO CASA: LA STORIA DI ANTONIO
A El Alamein, in Egitto, le forze britanniche fermano le forze dell'Asse: tra poche ore la vittoria strategica degli Alleati sarà sancita.
A Valva, diciassette giovani fanno la visita militare: saranno gli ultimi ad essere chiamati in guerra, da gennaio fino al 29 agosto 1943.
Come Pasquale Cappetta, che a diciotto anni e mezzo si troverà a Cefalonia e poi, scampato all'eccidio, in un campo di prigionia tedesco.
Oggi raccontiamo la storia di un altro soldato valvese che ha fatto parte dell'ultimo gruppo di chiamati alle armi: Antonio Torsiello.
Antonio nasce infatti a Valva il 3 dicembre 1924, figlio di Raimondo e di Francesca Fasano.
Ecco come appariva Valva nel 1924:
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fonte: Gozlinus; il castello è in ristrutturazione, la "Torre normanna" ancora non è stata costruita; si nota l'antica torre detta del "Belvedere" |
Chiamato alle armi il 28 agosto, vi giunge -come dicevamo- il giorno dopo.
Lo troviamo nel Deposito del 226° Reggimento Fanteria in Molfetta.
Sciolto dopo la Prima Guerra Mondiale, il 1 marzo1939 viene ricostituito con il nome di 226° Reggimento Fanteria Arezzo e il 24 maggio 1939 viene inquadrato nella Divisione di Fanteria Arezzo (53.a), insieme al 225° Reggimento Fanteria e al 53° Reggimento Artiglieria per D.f.
Sappiamo che la Divisione Arezzo nella Seconda Guerra Mondiale si trova in Albania, occupata dagli italiani. All'entrata in guerra dell'Italia, la divisione si trova schierata al confine jugoslavo. Quando Antonio arriva, la Divisione è destinata al presidio delle zone di Sarantaporos e di Belica: operazioni di rastrellamento e controllo del territorio.
Sappiamo che la Divisione Arezzo nella Seconda Guerra Mondiale si trova in Albania, occupata dagli italiani. All'entrata in guerra dell'Italia, la divisione si trova schierata al confine jugoslavo. Quando Antonio arriva, la Divisione è destinata al presidio delle zone di Sarantaporos e di Belica: operazioni di rastrellamento e controllo del territorio.
Pochi giorni ed è già il caos dell'8 settembre 1943: l'esercito è allo sbando, chi può torna a casa e sarà significativamente definito "sbandato" nei documenti militari.
La Divisione Arezzo è in forza al 343° Reggimento Fanteria a Corizza, nell'Albania meridionale (al confine con la Grecia).
Sul foglio matricolare di Antonio Torsiello leggiamo che all'atto dell'armistizio "trovavasi in servizio presso il 226° Reggimento Fanteria in Molfetta, successivamente non è venuto a trovarsi in territorio metropolitano occupato dai non Fascisti".
Una formula contorta, obiettivamente, per descrivere una situazione insolita e purtroppo non adeguatamente prevista dai comandi militari: il territorio italiano occupato dai tedeschi.
Ad esempio, sappiamo che il 17 settembre la 53.ma Divisione Arezzo viene circondata da uno schieramento di autoblindo e mitragliatrici dell'esercito tedesco: viene chiesto di combattere con i tedeschi.Dunque, Antonio non torna a casa ma resta al suo posto.
Possiamo ipotizzare che Antonio non si sia trovato in questa situazione, altrimenti avrebbe sicuramente raccontato un'esperienza così drammatica (e un'eventuale fuga dai tedeschi).
Il 5 ottobre 1943 viene trasferito al 401° Reggimento Fanteria.
Questo reggimento dovrebbe essere il 401° Reggimento Pionieri, inquadrato nella 209ª Divisione ausiliaria nel nuovo esercito cobelligerante italiano, a sostegno degli Alleati; questa divisione in particolare sarà al seguito degli inglesi dell'Ottava armata. La divisione seguirà lo spostamento del fronte verso Nord: alla fine della guerra si troverà dislocata tra Abruzzo, Umbria e Marche.
La malattia e l'avventuroso ritorno a casa
Il 25 aprile 1944 Antonio viene ricoverato per un'infezione ai polmoni all'ospedale militare di Bari, dove resta fino al 12 giugno.
Ne accadono di cose, nell'ultima settimana in cui Antonio è ricoverato: gli Alleati liberano Roma il 5 giugno, il re Vittorio Emanuele III lascia al figlio Umberto la luogotenenza del Regno, gli Alleati sbarcano in Normandia.
Dopo una licenza di convalescenza di 90 giorni, si presenta alla visita di controllo e viene inviato in licenza di 40 giorni: è il 14 settembre 1944.
Quando eravamo bambini, mio padre cercava di non raccontarci vicende che ci avrebbero scossi; cresciuti, avevamo altri interessi, ma lui ci nominava sempre una terra lontana, che si raggiungeva per mare o in elicottero, dove combatteva e dove si ammalò. Gli dispiacque lasciare i suoi compagni. Fu ricoverato prima nell'ospedale militare da campo, poi nell'ospedale militare di Bari.
Mandato a casa per quaranta giorni [il ricordo coincide perfettamente con il foglio matricolare], non si ripresentò.
La nipote Antonietta ricorda ancora i racconti che ascoltava da bambina, soprattutto nei giorni dedicati al ricordo (come ad esempio il 4 Novembre). Con lei cerchiamo di ricostruire la circostanza del mancato rientro dalla convalescenza:
Nonno non era guarito dall'infezione ai polmoni. Sua madre inviò un certificato per testimoniare la malattia e giustificarne il mancato rientro. Fu una questione di tempo: rientrò in ritardo.
Nei racconti di Antonio Torsiello colpisce un particolare: il ritorno a casa, forse dopo il ricovero. Ecco come lo ricostruisce la figlia:
Dato che c'erano i tedeschi, si fece a piedi il tratto da Barletta a casa: camminava di notte e di giorno si nascondeva sotto i ponti, costeggiando il fiume.

Un antico ponte romano sul fiume Ofanto; fonte
Ai figli, Antonio raccontava anche le vicende della guerra di liberazione ed esprimeva la sua opinione sulle scelte politiche e militari dell'Italia, con queste parole:
Poi ci fu la ritirata dei tedeschi, che avevano occupato anche le nostre zone. I nostri alleati inglesi li spinsero avanti, fino a Montecassino: ancora oggi ci sono i cannoni rimasti e una valle di croci.
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L'abbazia di Montecassino al termine dei bombardamenti;
fonte
Mandato a casa per quaranta giorni [il ricordo coincide perfettamente con il foglio matricolare], non si ripresentò.
Dato che c'erano i tedeschi, si fece a piedi il tratto da Barletta a casa: camminava di notte e di giorno si nascondeva sotto i ponti, costeggiando il fiume.
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Un antico ponte romano sul fiume Ofanto; fonte |
Poi ci fu la ritirata dei tedeschi, che avevano occupato anche le nostre zone. I nostri alleati inglesi li spinsero avanti, fino a Montecassino: ancora oggi ci sono i cannoni rimasti e una valle di croci.
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fonte
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Cimitero caduti del Commonwealth a Cassino; fonte |
Secondo mio padre -continua la signora Cecchina- Mussolini aveva sbagliato ad allearsi con i tedeschi, dandoci in pasto ai lupi. Poi ci raccontava che chi si ribellava all'invasione tedesca si riunì sulle montagne: erano i partigiani, i difensori del popolo, come li chiamava.
La decorazione della Croce al merito di guerra, nella campagna 1940-43-45 e il riferimento alla guerra di liberazione del 1943-45 nella quale "continuò a prestare sevizio militare con le truppe alleate e Bari" ci fanno ritenere la vicenda di Antonio Torsiello per alcuni versi emblematica: si inserisce in una sorta di intercapedine della situazione bellica, nella generale confusione di un esercito prima in rotta poi faticosamente ricostituito a sostegno dell'avanzata alleata. Vi troviamo la severità militare da un lato (con la denuncia di diserzione), il riconoscimento di aver combattuto nella guerra di liberazione dall'altro.L'avventuroso ritorno a casa, ancora convalescente, seguendo il corso dell'Ofanto.Soprattutto, la sua condizione di invalido, che ne fa una vittima e un testimone della violenza con cui la guerra si abbatte su giovani vite.
Un sentito ringraziamento alla signora Cecchina che ha condiviso con noi i racconti di suo padre e a sua figlia Antonietta Annunciata per la preziosa collaborazione. Questo post è un piccolo omaggio per i cento anni del loro papà e nonno.G.V.
29 novembre 2024
LA MEMORIA E' UNA CASA CHE ATTENDE ANCORA -Il monumento ai caduti di Senerchia
Attendo che finisca il mercato per scattare qualche foto al monumento ai caduti.
Al bar c'è un gruppo di francesi, immagino emigrati di seconda generazione. Chissà se capiscono quello che sentono al bar o in piazza, chissà se hanno ancora nonni e parenti a Senerchia o se sono qui solo perché usano la casa di famiglia come punto di appoggio.
Forse Senerchia è una cena interrotta, un uscio lasciato aperto in attesa di un ritorno che non c'è più stato.
In tutti i comuni di questa valle c'è un prima e un dopo: il 23 novembre 1980.
Qui, dopo quella data la vita è cresciuta accanto, più giù; questo è rimasto un paese santuario, un presepe nel quale cresce l'erba.
Come un eroe antico
Torno nella Senerchia di oggi, dove ormai le bancarelle sono andate via e le persone tornano a casa per il pranzo; vedo famiglie con genitori che parlano ai figli in francese.
Le nuvole sembrano volermi fare un regalo: un fiocco bianco, quasi uno sfondo poetico al gruppo scultoreo in bronzo che rappresenta un soldato con una bomba in mano mentre sorregge un compagno ferito che stringe una bandiera.
Approfondimento
I cento anni del monumento ai caduti di Laviano- Un secolo di memoria
Dalla gleba oscura- I caduti di Laviano
All'ombra solitaria dei monti nativi -Le storie dei caduti lavianesi
Monumenti ai caduti dell'Alto Sele, 4 continua
22 novembre 2024
CADUTI IN GUERRA IN DUE ESERCITI DIVERSI: LA STORIA DEI FRATELLI CUOZZO
Quando nel 1918 offre i suoi cinque dollari per l'acquisto della statua di San Michele, da donare alla chiesa di Sant'Antonio a Batavia, in America, forse ha già deciso di arruolarsi nell'esercito statunitense.
Quella di Giuseppe Cuozzo è una scommessa. Mi arruolo, vado in guerra, torno in Europa a combattere nello stesso schieramento della mia Italia, ma con una divisa di un altro colore. Se torno, divento cittadino americano.
Nato a Valva il 27 febbraio 1889, da Giacomo e Maria Michela Vuocolo, Giuseppe ha deciso di ripartire da qui, dall'America. Con lui, c'è suo fratello Donato.
Quello che ancora non può sapere è che non tornerà più dall'Europa: cadrà in guerra, proprio come suo fratello rimasto in Italia.
Giovanni Cuozzo, nato a Valva il 18 giugno 1897 risulta infatti morto a Vicenza, per malattia, il 25 marzo 1917.
Giovanni combatte nel 236 Reggimento Fanteria, Brigata "Piceno".
La brigata è costituita in provincia di Vicenza. Il 25 marzo 1917 è trasferita a Piano e il 9 aprile è schierata sulla linea di resistenza nei pressi del Loner settentrionale (Trentino).
Proprio il giorno in cui la sua Brigata è trasferita, Giovanni muore.
Suo fratello Giuseppe, negli Stati Uniti, si arruola nel settembre 1917; nel maggio 1918 inizia il suo servizio, che dura "to Death", fino alla morte, avvenuta il 20 settembre 1918.
Combatte in Francia nel 309th. Infantry Regiment, 78th Division.
Il 309° Reggimento ebbe un ruolo fondamentale in alcune battaglie decisive nella Grande guerra: partecipò all'offensiva della Mosa-Argonne, all'Offensiva di St. Mihiel e alla Campagna della Lorena.
Possiamo ipotizzare che Giuseppe sia caduto nella battaglia di St. Mihiel, combattuta tra il 12 e il 19 settembre tra 14 divisioni americane e 4 francesi da un lato, 10 tedesche e una ungherese dall'altro. Le perdite americane furono di 7mila uomini, quelle tedesche e ungheresi 2mila.
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Soldati statunitensi di ritorno dal fronte di Saint-Mihiel; fonte |
Giuseppe riposta al cimitero americano di St. Mihiel, a Thiacucourt, in Francia (nel settore D, fila 24, tomba 12).
La sua morte è notificata al fratello Donato, residente a Buffalo, al numero 35 di Shanley Street.
Giovanni e Giuseppe Cuozzo, dunque.
I loro nomi, uno dopo l'altro, sono al monumento ai caduti di Valva.
Quando nel 1924 i loro concittadini costruiranno il monumento, anche grazie al contributo del circolo valvese di Newark, decideranno di ricordare tutti i valvesi caduti, sia quelli morti combattendo nel Regio Esercito che quelli caduti con la divisa statunitense.
Tutti figli di Valva e vittime della guerra; alcuni di questi giovani, vittime anche dell'emigrazione.
Un omaggio alla loro memoria
Nella parola "fratelli", il poeta Ungaretti vede una forma di ribellione spontanea, quasi istintiva, dei soldati: di fronte alla tragedia della guerra, essa fa emergere la vera natura di ogni uomo, che vede nell'altro un fratello.
Ai fratelli Cuozzo dedichiamo questi immortali versi:
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
Un sentito ringraziamento al signor Carminuccio Del Plato e alla signora Valentina Cuozzo.
G.V.
21 novembre 2024
L'ARCANGELO GUERRIERO: IL SAN MICHELE DEI VALVESI IN AMERICA
E' il 1918, siamo a Batavia, nello stato di New York, contea di Genesse; a circa 80 chilometri, le cascate del Niagara, mentre la città di Buffalo è un po' più vicina.
Batavia è una città in rapida crescita demografica, grazie all'arrivo di immigrati polacchi e italiani: la popolazione arriva a circa diecimila abitanti; da tre anni la città ha ottenuto lo status di "città incorporata", ovvero di municipalità ufficialmente riconosciuta.
La statua
Oltre quaranta di essi partecipano alla colletta per l'acquisto di una statua di San Michele Arcangelo, patrono di Valva.
La statua viene collocata nella chiesa di Sant'Antonio; oggi la chiesa è chiusa, ma la statua c'è ancora: è nella chiesa dell'Ascensione.
E' un'assicurazione legale, serve a garantire che Onofrio gestisca correttamente il patrimonio del defunto Pasquale Cecere, anch'egli emigrato valvese: una misura di sicurezza per evitare problemi o perdite per lo stato o per gli eredi.
Pasquale Cecere è morto senza lasciare testamento: dunque Onofrio deve amministrarne correttamente il patrimonio, pagare eventuali debiti del defunto, distribuire i beni agli eredi, seguire le istruzioni del tribunale. Per fare questo, stipula una polizza assicurativa (con la United States Fidelity and Guaranty Company), che promette di pagare fino a 5mila dollari se Onofrio non adempie ai suoi doveri di amministratore.
Le foto della statua di San Michele e dell'elenco dei valvesi che hanno contribuito al suo acquisto sono state fornite dal signor Carminuccio Del Plato, che ringraziamo per la gentile collaborazione.
Sua figlia Antonia, lasciata bambina a Valva, sarebbe un giorno diventata la mia bisnonna.
10 novembre 2024
NON DIMENTICHEREMO I VOSTRI NOMI
Nel suo centesimo compleanno, torna a splendere il monumento ai caduti di Valva.
Eretto nel 1924 per iniziativa degli ex combattenti, riuniti in un Comitato Pro Monumento, e dei valvesi emigrati a Newark, nel New Jersey, il monumento sorse su un terreno che il marchese Francesco d'Ayala-Valva aveva donato al comune nel 1922.
Il circolo valvese di Newark organizzò una serata di beneficienza per raccogliere i fondi da inviare a Valva per "l'erigendo monumento".
A quella serata stiamo dedicando il documentario Di radici e di sangue.
Nei giorni scorsi è stato fatto un intervento di pulitura della statua in marmo -un fante con fucile- e delle epigrafi con i nomi dei caduti e con il ricordo delle "cospicue offerte" della Casa marchesale.
Ecco alcune immagini significative:
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Visione frontale: prima e dopo |
fonte: Catalogo Beni Culturali |
Dopo l'intervento di pulitura |
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Nei giorni scorsi nel monumento si è svolta la cerimonia del 4 Novembre, alla presenza dei cittadini e degli studenti del plesso di Valva dell'Istituto Comprensivo "Pascoli".
Ecco un breve passo del discorso del sindaco, Giuseppe Vuocolo:
Questo monumento è anche un simbolo di unità tra chi è rimasto e chi è emigrato. Un legame rinsaldato grazie alla memoria comune dei caduti in guerra. Erano distanti migliaia di chilometri, eppure i nostri concittadini non dimenticarono mai la loro terra d'origine, l'amata Valva. Oggi come allora, la loro memoria ci ricorda il valore della comunità.
Riteniamo particolarmente suggestiva questa foto.
Mentre i giovani membri del coro dell'istituto "Pascoli" -diretti dalla prof.ssa Serena La Barbera- eseguono il loro repertorio, ad ascoltarli ci sono le due figlie di un soldato morto per le conseguenze della guerra e un nipote di un soldato disperso in Russia:
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Da destra, le signore Michelina e Angela Falcone, figlie di Michele; il signor Silvio Annunciata, nipote di Prospero |
23 ottobre 2024
FLAVIO, LIBERATO NELL'ALBA DELLA RISCOSSA EUROPEA
Abbiamo già raccontato la storia di Flavio Caldarone e della sua "guerra infinita": prima in Africa Settentrionale (gennaio 1941), poi in Albania (settembre 1941), quindi in Francia (novembre 1942). Catturato dopo le vicende dell'8 settembre 1943, viene liberato dagli Alleati l'8 ottobre 1944 e torna in Italia, ancora nell'esercito (il suo foglio matricolare riporta varie tappe, fino al congedo del 1946).
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Una bella foto di Flavio Caldarone |
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Dal foglio matricolare di Flavio Caldarone; Archivio di Stato di Salerno |
Anche se dedicato all'analisi della cattura degli internati militari in altri contesti geografici, il prezioso lavoro di Maria Teresa Giusti (Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945) ci fornisce delle cifre interessanti:
In totale dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi disarmarono, su 2.000.000 di effettivi, 1.007.000 italiani. Di questi, 197 mila circa riuscirono a sfuggire alla deportazione dandosi alla fuga; dei rimanenti [...], 197.000 aderirono alla collaborazione con i tedeschi nel periodo tra la cattura e la primavera del 1944. [...] Le reazioni delle 35 divisioni dislocate all’estero e delle 24 in Italia furono diverse: in Italia centrale e settentrionale consegnarono le armi 416 mila militari, a Roma e nel sud 102 mila, nella Francia meridionale circa 59 mila. [p.35]
Quanti hanno scelto di collaborare con i tedeschi (e con la Repubblica di Salò)?
I “fedeli all’alleanza” o i “recuperati immediatamente all’alleanza”, cioè subito dopo l’8 settembre, come li aveva definiti il comando supremo della Wehrmacht, erano circa 94.000 italiani appartenenti a tutte le forze armate. Divisi per aree geografiche, dei 94.000 che aderirono immediatamente, 13.000 circa erano sul territorio nazionale, 32.000 in Francia e 49.000 nei Balcani. Di questi approssimativamente 20.000 appartenevano alla milizia volontaria fascista; i rimanenti alle forze armate regolari [pp.72-73]
Dunque, dei 59 mila soldati italiani catturati dai tedeschi in Francia, collaborano in 32mila: oltre la metà. Tra questi, non c'è Flavio Caldarone, che resta in Francia come internato e viene liberato nell'ottobre 1944.
La liberazione della Francia
Cerchiamo di ricostruire il contesto nel quale è avvenuta la liberazione di Flavio.
Dopo lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, Parigi è liberata il 25 agosto.
Rimangono nella storia le parole del generale De Gaulle:
Parigi! Parigi oltraggiata! Parigi spezzata, Parigi martirizzata, ma Parigi libera! Libera da sola, liberata dal suo popolo con la collaborazione degli eserciti di Francia e il supporto e la cooperazione dell'intera nazione, di una Francia che combatte, dell'unica Francia, della vera Francia, della Francia eterna.
Dopo Parigi, gli Alleati si concentrano sulla liberazione del resto della Francia e avanzano verso il Reno, barriera naturale verso la Germania. I tedeschi, in ritirata, si difendono tenacemente. Solo tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 la Francia può dirsi liberata. Il comandante delle forze Alleate, Eisenhower, scriverà: "Senza i partigiani francesi la liberazione della Francia e la disfatta del nemico in Europa occidentale si sarebbero protratte molto più a lungo e ci sarebbero costate maggiori perdite".
Un'ipotesi
Non sappiamo quale sia stato il campo di prigionia di Flavio.
Proviamo comunque a fare un'ipotesi: lo Stalag XII, che ha avuto diverse dislocazioni; dall'ottobre 1943 al novembre 1944 lo troviamo nella città francese di Forbach, al confine con la Germania (oggi nella regione del Grand Est, che ha come capoluogo Strasburgo).
E' un'ipotesi ancora da verificare, ma ci sembra plausibile perché all'epoca la città di confine è di fatto annessa alla Germania (e in effetti il foglio matricolare di Flavio non parla esplicitamente di Francia).
Per la foto, un sentito ringraziamento al nipote Antonio Caldarone.
Approfondimenti
👉La guerra infinita: la storia di Flavio, liberato in Francia
Per le vicende della liberazione della Francia: Sulle macerie del nazismo: la liberazione di Parigi, Storica, National Geographic
Maria Teresa Giusti, Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945
G.V.