29 agosto 2025

LA VOCE DI ZIO CARMINE

A Valva, parlare di soldati, di caduti in guerra e di memoria del loro sacrificio significa anche parlare di zio Carmine.
Il nostro blog ha consultato il suo foglio matricolare e raccolto, grazie alla collaborazione della famiglia, alcune foto.
La sua voce ha accompagnato le cerimonie del 4 Novembre per decenni; incrinata dall'emozione e sempre più flebile con l'età, ha rappresentato per molte generazioni quasi la colonna sonora della memoria, insieme al Piave o al Silenzio.
Carm'n d ' Rocc
La famiglia di Carmine Tenebruso viene da Quaglietta. Non a caso, zio Carmine era noto come Carm'n d' Rocc, figlio di Rocco (nome molto diffuso a Quaglietta).
Rocco Tenebruso, vedovo di 46 anni, il 9 maggio 1908 sposa a Valva Maria Caldarone, figlia di Francesco e della fu Domenica Spiotta. I genitori di Rocco (Nicola e Giuseppa Marzullo) risultano deceduti.

Alcune curiosità: l'atto di matrimonio è firmato anche dallo sposo (capita di rado a Valva in questo periodo); i due testimoni sono Pasquale Cappetta -fratello del tenente Vitantonio morto ad Adua- e  Gaetano Fasano, che perderà il figlio Ottavo nella seconda guerra mondiale. Gaetano risulta di professione orologiaio, che sarà ereditata da uno dei figli. 

Carmine nasce il 7 novembre 1910, in Via seconda San Vito.
La carriera militare
Dal suo foglio matricolare leggiamo che Carmine Tenebruso ha conseguito l'idoneità nell'istruzione premilitare, per aver  frequentato il prescritto biennio del corso, superando gli esami finali, come attestato dal comando della 140 Legione MVSN (la milizia fascista), in data 22 febbraio 1930.
Carmine Tenebruso in divisa
Nel 1931 viene chiamato alle armi e arruolato nell'artiglieria contraerea, poi aggregato per tre mesi all'8° Reggimento  Artiglieria P.C.

La sigla dovrebbe indicare il posto di comando del reggimento, dove verosimilmente Carmine ha partecipato alle attività di coordinamento e di gestione dei reparti. Lo troveremo sempre nell'artiglieria contraerei.

Rientrato al corpo, viene poi aggregato per due mesi al 9° Cavalleggeri. E' una tappa importante per la sua formazione, perché gli consente di fare esperienza con reparti montati a cavallo, parte di un'unità leggera e veloce, diversa dall'artiglieria fissa o dalla contraerea.
Nel febbraio 1933 viene inviato in congedo illimitato, con la dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà e onore.
Nel settembre 1935 Carmine viene richiamato alle armi per mobilitazione: lo troviamo nel 2° Reggimento Artiglieria Contraerea
Il reggimento è in mobilitazione per l'Africa Orientale.
Nella guerra in Africa Orientale (1935-36) l’Italia fascista invade e conquista l’Etiopia, con l’obiettivo di creare un impero coloniale. Nel maggio 1936 viene proclamato l’Impero d’Etiopia, sotto Vittorio Emanuele III.
Tuttavia, le successive licenze e il ricovero di Carmine ci fanno ipotizzare che sia rimasto in Italia, probabilmente impegnato in attività di addestramento e preparazione dei reparti.
Leggiamo infatti che il 15 gennaio 1936 è inviato in licenza di convalescenza di 180 giorni (il 16 gennaio risulta nel Distretto Militare di Salerno).
Nel maggio 1936 lo troviamo ricoverato prima all'Ospedale Militare di Napoli e poi al convalescenziario di Pozzuoli, per completare il residuo della licenza di convalescenza.
In Albania
Nel 1939 ormai la Seconda guerra mondiale è alle porte.
Il 26 agosto Carmine Tenebruso viene richiamato alle armi per istruzione militare; lo troviamo ancora nel 2° Reggimento Artiglieria Contraerea.
Il 25 novembre è imbarcato a Napoli, destinato al 60° Gruppo Artiglieria Contraerei dislocato in Albania.
Il 28 novembre sbarca a Valona. L'11 dicembre 1939 risulta trattenuto alle armi a domanda, nel giugno 1940 risulta presso il 60° Gruppo Artiglieria Contraerei e mobilitato: l'Italia è appena entrata in guerra. Il gruppo opererà al confine greco-albanese.
Una curiosità: il 18 agosto 1941, "in luogo della licenza di giorni 30 non usufruita" gli viene corrisposto un premio in denaro di 426,90 lire.
Nel novembre dello stesso anno Carmine viene ricoverato per due giorni all'Ospedale Militare di Tirana, cessa di far parte del 60°Gruppo mobilitato e viene inviato in licenza straordinaria illimitata senza assegni.
In questo periodo il direttore dell'Ospedale da campo n. 426, attesta che Carmine ha contratto "malattia in zona di guerra".
In Campania
La guerra di Carmine prosegue in Campania, dove risulta ancora impegnato nel 2° Reggimento Artiglieria Contraerei di Napoli: a settembre 1942 a Castellammare di Stabia, ad aprile 1943 a Torre Annunziata.
Dal 28 agosto al 5 settembre 1943 è ricoverato presso l’ospedale militare di Napoli.
Il 5 settembre rientra al corpo: siamo alla vigilia dei drammatici eventi che seguiranno l’armistizio.
Anche Carmine Tenebruso figura tra i tanti soldati “sbandati”, come risulta da una nota del 13 settembre 1943; alla stessa data, però, risulta collocato in congedo assoluto per infermità dipendente da causa di guerra.

La voce di un sacerdote della memoria
I ricoveri in ospedale hanno sicuramente rappresentato un ostacolo per Carmine, che avrebbe voluto servire la sua patria senza risparmiarsi.
Dopo la guerra, la sua voce è rimasta un legame vivo con la memoria di Valva, ricordandoci che la storia non è fatta solo di documenti e date, ma di persone, ricordi ed emozioni. E' fatta di scelte, talvolta di ripensamenti, a volte di errori.
Dai suoi ricordi di scuola – legati alle vicende della Grande Guerra e ai "tre fiumi sacri alla Patria", come amava ripetere – alla sua esperienza di soldato nella Seconda guerra mondiale: la vita di zio Carmine è stata profondamente segnata dall’esperienza militare e dal suo amore per il "sacro dovere" di difendere la Patria. 
Con la sua voce, che per decenni ha accompagnato le cerimonie del 4 Novembre, è diventato quasi un sacerdote della memoria, un custode di un rito civile che ha trasmesso alle nuove generazioni.
Zio Carmine in una celebrazione al Monumento,
negli anni Ottanta
Un appello
Una delle occasioni in cui zio Carmine ha raccontato la sua esperienza di soldato è stata organizzata dalla scuola media di Valva nel periodo 1993-1994. Insieme a lui c'era anche la signora Gerardina Fusco, che ha portato la sua testimonianza sulla guerra vissuta a Valva, soprattutto nel settembre 1943.
Purtroppo non siamo riusciti a rintracciare la videocassetta registrata in quell'occasione e rivolgiamo ai nostri lettori un appello: aiutateci a ritrovare questo preziosissimo documento, un contributo fondamentale alla memoria storica della nostra comunità.
Un filo sottile, come la voce di zio Carmine ormai anziano, ci lega ancora al vissuto e ai ricordi delle nostre radici. Non spezziamolo.

🙏Grazie al nipote Mauro Strollo per la preziosa collaborazione.

G.V.

26 agosto 2025

LA VOCE DI ANGELICA -Collaboriamo a una ricerca storica-

Dicono se ne senta la voce.
Come Eco che rimanda i suoni -non più corpo di giovane donna ma pietra- o come le ninfe che abitano le fonti.
Forse è una leggenda di pastori di Valva e di Colliano o dei tanti che in passato venivano qui dalle montagne di Acerno o Montella.
Una pietra, un orecchio attento e la voce dell'acqua.
L'acqua che attraversa la montagna e giunge al fiume, in tante vene che sembrano capelli.
Si racconta che, molti anni fa, una ragazza di nome Angelica sia morta in montagna, in una fonte o una conca d'acqua, tra Valva e Colliano. Forse era un pozzo.
La madre avrebbe detto all’acqua:
«Che tu possa prendere tante vie quanti erano i capelli della mia Angelica».

Ipotizzo che Angelica sia davvero esistita, come Marianna: 
👉un'altra vicenda tragica rimasta impressa nella memoria popolare.
L'Acqua Angelica come il Pozzo di Marianna, dunque. 
Almeno, questa è la mia ipotesi.
Per provare a ricostruire la sua storia e capire in quale periodo sia avvenuta, chiedo l’aiuto di tutti gli appassionati della nostra storia e delle nostre leggende.
Ogni dettaglio può essere importante.
Insieme possiamo dare data e volto a questa leggenda e restituirla alla storia.

👉 Puoi collaborare così:

  • Vai su antenati.cultura.gov.it e cerca nei registri di Valva e Colliano alla voce Morti.

  • Cerchiamo l'atto di morte, verosimilmente nella prima metà dell'Ottocento, di una ragazza di Valva o Colliano di nome Angelica, morta in una località di montagna (non deve risultare un indirizzo di casa).

  • Per coordinare i nostro sforzi, se trovi un atto, o anche solo dopo aver verificato senza risultati, scrivici a la ràdica. Ogni piccolo passo è utile!

  • Se conosci i luoghi di montagna indicati nella leggenda, inviaci la localizzazione precisa o fotografie.

COME FARE LA RICERCA

1. Collegarsi al sito 👉 https://antenati.cultura.gov.it/ e digitare Valva (o Colliano), come nell'esempio:

2. Nel menu a sinistra, alla voce TIPOLOGIA scegliere  MORTI

3. Il portale ora mostra solo la tipologia di registro scelta:

4. Cliccare sull'icona come nell'immagine. Questa operazione consente di avere una visualizzazione più efficace:

5. Scegliere la modalità di visualizzazione GALLERIA:
6. Se il registro ha un indice, si riconosce abbastanza agevolmente alle ultime pagine:
Purtroppo i registri non coprono  tutti gli anni e non sempre hanno l'indice.
In alcuni casi, l'indice è per nome, più spesso per cognome.

Se non dovessimo riuscire a individuare una possibile Angelica all’origine di questo racconto popolare, ben attestato sia a Valva sia a Colliano, ci sarà comunque un aspetto positivo: Angelica resterà nella zona protetta del mito e continuerà a parlare con la voce delle acque sotterranee dei monti.
G.V.

24 agosto 2025

IMMAGINI DALL'ETIOPIA: LA STORIA DI MARIO FIGLIULO

Mario Figliulo ha vissuto un percorso comune a molti giovani italiani negli anni Trenta e Quaranta. Ha suonato in una banda presidiaria, è stato allievo militare, poi camicia nera volontaria in Africa Orientale; richiamato alle armi durante la Seconda guerra mondiale, sbandato dopo l'8 settembre 1943. 
Eppure, la sua esperienza oggi assume per noi un valore particolare grazie ad alcune fotografie che risalgono al periodo della sua permanenza in Etiopia. In esse troviamo ricordi personali e frammenti di storia: tra le immagini, infatti, è giunta fino a noi  anche una foto che documenta un passaggio di consegne di rilievo nell'esercito italiano.

Il servizio militare
Mario Figliulo  (all'anagrafe, Mario Secondo) nasce a Valva il 20 marzo 1909, in via seconda San Vito.
Alla visita militare dichiara di essere calzolaio di professione.

Nel 1929 è allievo musicante nella Banda  Presidiaria del 10° Corpo d'armata di Napoli ed è aggregato al Deposito 1° Bersaglieri. 

Le bande presidiarie erano legate a un presidio militare (una città sede stabile di truppe dell'esercito); assicuravano un servizio musicale stabile.

Nel marzo 1930 risulta non più aggregato perché ricoverato all'ospedale militare di Napoli fino al 13 aprile, quando viene dimesso e inviato in licenza di convalescenza di 60 giorni. Come vedremo, non sarà l'unico ricovero.
Lo troviamo poi nella 27ª Compagnia Distrettuale di Napoli (una struttura di retrovia, legata alla componente burocratica dell'esercito).
Gli viene riconosciuta l'idoneità per aver frequentato il prescritto biennio del corso, superando gli esami finali, come attestato dal comando della 140 Legione MVSN (la milizia fascista).
Il 25 giugno 1930 Mario è mandato in congedo illimitato, con la  dichiarazione di aver tenuto buona condotta e  di avere servito con fedeltà e onore.

In Africa
Nell'ottobre 1935 si arruola volontario per l'Africa Orientale con la ferma di un anno. È nel 9° Battaglione Complementi di Fanteria, assegnato al 132° Reggimento Fanteria.

I battaglioni complementi servivano a raccogliere, formare e rifornire i reggimenti di fanteria con nuovi soldati.

Il 22 ottobre 1935 Mario parte da Napoli per l'Eritrea col 9° Battaglione Complementi ufficiali e sbarca a Massaua
L'8 novembre 1935 l'esercito italiano occupa Makallé
Il 16 novembre, a causa della sua lentezza nel condurre l'offensiva in Etiopia, il generale De Bono viene richiamato in Italia e sostituito dal maresciallo Badoglio.
Mario Figliulo fa in tempo a fotografare la partenza di De Bono, nel "giorno in cui lascia il comando", come leggiamo in questa foto che il nipote Carlo ci ha gentilmente messo a disposizione:


Nel 1936  ritroviamo Mario nel 14° Reggimento Speciale Intendenza, che è incaricato della logistica e dell'amministrazione in una zona delicata come l'Africa Orientale Italiana (dove accompagna le unità combattenti).
Sono mesi decisivi per il conflitto.
A inizio maggio l'esercito abissino è in rotta, il Negus abbandona l'Etiopia.
Il 5 maggio Badoglio entra in Addis Abeba.
Il 9 maggio, il celebre "discorso dell'Impero" pronunciato da Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia: dopo quindici secoli -proclama- "sui colli fatali di Roma" riappare l'impero.


Qui il fotografo osserva con curiosità un mercato. La foto ci offre uno sguardo diretto sul contesto sociale ed economico dell'Etiopia del tempo:
Mercato abissino

Una precisazione linguistica: l’Eritrea è una colonia italiana da fine Ottocento; l’Abissinia è il nome storico dell’antico regno; l’Etiopia è lo stato moderno costruito sull'Abissinia: solo dal 1952 al 1993 comprenderà l'Eritrea (che oggi è indipendente).

Nel gennaio 1937 Mario Figliulo è nel 1° Battaglione Speciale Complementi, un reparto che si occupa dell'addestramento e dello smistamento del personale (ad esempio, prepara coscritti e richiamati prima di inviarli ai reparti operativi).
Nel dicembre 1937 Mario è collocato in congedo illimitato.

La Seconda Guerra Mondiale
Nel giugno 1940 l'Italia entra nella Seconda guerra mondiale.
Nel 1941 Mario viene richiamato alle armi, nel gennaio 1942 è trasferito al 367° Battaglione Costiero di Bari.
Nel settembre 1942 risulta ricoverato all'Ospedale militare di Pagani per malaria recidiva dipendente da causa di servizio, nel mese di ottobre  viene dimesso con 70 giorni di convalescenza. Rientra al corpo nel gennaio 1943.
Dal 3 gennaio all'8 settembre 1943 partecipa alle operazioni di guerra svoltesi nello Scacchiere Mediterraneo per la difesa della fascia di copertura costiera con il 367° Battaglione Costiero  mobilitato.
Sbandatosi in seguito agli eventi bellici dell'8 settembre 1943, è da considerarsi in licenza straordinaria a partire dal 9 settembre.
Viene infine collocato in congedo illimitato il 2 aprile 1944.
Mario Figliulo è stato decorato con la Medaglia Commemorativa della guerra in Africa Orientale. Gli è stata anche conferita la Croce al Merito di guerra per la partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943.

Alcuni scatti, tante tappe indicate sul foglio matricolare e chissà quante esperienze vissute, delusioni superate, sofferenze patite. La storia di Mario Figliulo ci consente di ricostruire uno spaccato della vita dei giovani tra gli anni Trenta e Quaranta, dalla fiducia nel regime all'esperienza della guerra, fino allo sbandamento nazionale dell'8 settembre. È quasi una piccola autobiografia della nazione, tra fede, disincanto e lenta rinascita.

🙏Un caloroso ringraziamento al nipote Carlo Figliulo, che ha raccolto queste preziose foto.
G.V.

TRA RIGORE E CLEMENZA: IL PROCESSO A UN SOLDATO DI VALVA

Dopo la fine della Grande Guerra, i tribunali militari italiani sono impegnati a giudicare molti soldati accusati di diserzione. Non sempre si tratta di gesti di codardia: spesso infatti sono scelte legate a motivi familiari ed economici. La giustizia militare tende comunque a punire le assenze ingiustificate, giudicate una violazione dei doveri del soldato.
Il 1919 è un anno molto delicato dal punto di vista sociale ed economico per l'Italia. 
La società è attraversata da conflitti (scioperi, proteste dei reduci, problemi legati alla smobilitazione). 
In questo difficile contesto, il legislatore e i tribunali sembrano oscillare tra severità e clemenza: da un lato riaffermano la disciplina militare, dall'altro adottano provvedimenti di amnistia e condono, anche per alleggerire il carico giudiziario e per favorire il reinserimento dei soldati nella vita civile.

Una storia emblematica
La storia che stiamo per raccontare dimostra bene questo clima tra rigore e clemenza.
Siamo nell'Egeo, a Rodi.
E' il 27 giugno 1919.
Il Tribunale militare di guerra dell'Egeo emette la sentenza n. 677 nel processo n. 68, contro il soldato F.S. di Valva.
Il soldato ha 23 anni ed è arruolato nel 4° Reggimento speciale d'Istruzione in Rodi.
E' accusato di diserzione, per non essere rientrato al proprio corpo (37° Reggimento Fanteria, 1514 Compagnia mitragliatrici Fiat) dalla licenza scadutagli il 4 aprile 1918, essendosi spontaneamente costituito il 15 maggio 1918 al Deposito dell'81° Reggimento Fanteria in Roma.
Immagine creata dall'AI
Nel dibattimento, così vengono riassunti i fatti:

La licenza gli era stata concessa l'11 marzo dal Comando del 37° Reggimento Fanteria dislocato in zona di guerra, "per recarsi a Valva in provincia di Salerno", con l'obbligo di rientrare entro il 4 aprile. L'imputato non solo non ritornò, ma si rese irreperibile, presentandosi poi spontaneamente al Deposito Fanteria in Roma il 15 maggio 1918.
Dopo l'intervento del pubblico ministero, prende la parola l'accusato, che ammette il fatto addebitatogli "affermando però di essere a ciò indotto dalle miserevoli condizioni economiche in cui versava la famiglia".
Il collegio giudicante non ritiene accettabili le motivazioni addotte dal soldato, "poiché lo Stato obbliga i cittadini al servizio militare unicamente per tutelare gli interessi delle collettività che lo formano, per provvedere all'incolumità delle istituzioni e alla inviolabilità del suo territorio e, per questo, qualunque cittadino arruolato nei ranghi dell'Esercito, esimendosi arbitrariamente dagli obblighi assunti viene a violare senza dubbio di sorta la compagine della milizia cui egli appartiene che si basa e si compenetra nell'osservanza delle discipline e delle leggi che la regolano".
Con l'esimersi illegittimamente dagli obblighi del servizio militare, l'imputato "deve dichiararsi responsabile del reato di diserzione".
A questo punto, il collegio giudicante individua delle attenuanti: l'imputato non è un disertore da un reparto di prima linea in presenza del nemico, né disertore per la terza volta nonostante l'ammonimento, né disertore armato che abbia commesso il reato previsto dall'art. 4 del Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917 n. 1952, che stabilisce:

Il disertore armato, o accompagnato da una o più persone armate, che si rifiuti di obbedire alla prima intimazione di arrendersi, ovvero faccia uso delle armi è punito di morte.
Alla stessa pena soggiacciono le persone armate che accompagnano il disertore.
Il giudizio sarà in ogni caso di competenza dei tribunali militari.

Di conseguenza, l'imputato rientra nel beneficio dell'articolo 13 del Regio Decreto del 21 febbraio 1919, n. 157:
Le pene restrittive della libertà personale [...] esclusi i militari disertori da un reparto di prima linea in presenza del  nemico, o passati al nemico, i militari disertori per la terza volta nonostante l'ammonimento, e i militari disertori armati [...], sono ridotte al massimo della pena stabilita dall'art. 145, prima parte, del Codice penale per l'esercito [...], qualora si tratti di disertori compresi in alcuna delle categorie indicate nei numeri 1,2,3, e 4 dell'articolo precedente, la cui assenza o le cui assenze arbitrarie dal corpo, abbiano avuto una durata complessiva superiore ai 15 giorni.
L'imputato rientra inoltre nella prima categoria articolo precedente:
[...] E' concessa l'amnistia qualora l'assenza o le assenze arbitrarie dal corpo non abbiano avuto una durata complessiva superiore ai quindici giorni, comprese in tale periodo anche le assenze, per cui sia intervenuto un provvedimento generale o particolare di esenzione da pena, di condono o commutazione, e si tratti di disertori compresi in alcuna delle seguenti categorie:
1. disertori che si siano ripresentati spontaneamente prima del 31 ottobre 1918
Non è compreso nel novero delle persone escluse da tale beneficio ai termini dell'articolo 18:
coloro che al tempo del commesso reato avevano riportato più di una condanna, per reato contro le persone o contro la proprietà, a pena superiore ai sei mesi di reclusione ordinaria o militare ovvero si trovino sottoposti alla vigilanza speciale della pubblica sicurezza.
Di conseguenza, deve essere condannato al massimo della pena stabilita dalla prima parte dell'articolo 145 del Codice penale dell'Esercito:
La diserzione in tempo di guerra sarà sempre punita colla reclusione militare da tre a cinque anni. 
Per la  lodevole condotta del soldato durante il servizio militare e per i suoi ottimi precedenti penali, il Tribunale ritiene  doversi sospendere l'esecuzione della condanna, a norma dell'articolo 105 del regolamento di procedura da seguirsi davanti ai Tribunali di guerra. Alla condanna segue l'obbligo del risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali.
La condanna è sospesa, dunque il Tribunale ordina la scarcerazione del condannato se non detenuto per altra causa.

Una conclusione significativa
Una nota datata 1 novembre 1919, in fondo al documento, ci informa che con Declaratoria 31 ottobre 1919, in applicazione del R.D. 2-IX-1919 n. 1502, la pena è amnistiata.
La conclusione della storia di F.S. è emblematica: sul piano formale, la condanna resta; su quello pratico, viene cancellata. Lo Stato sembra voler voltare pagina, pur ribadendo in linea di principio l'autorità della legge e l'importanza della disciplina militare.
La vicenda del giovane valvese è inserita in una fase storica di tensione tra la disciplina militare e la necessità di pacificazione sociale.

Una sintesi per orientarsi nel processo

Il tribunale condanna formalmente F.S. al massimo della pena prevista dal Codice penale dell’Esercito per la diserzione in tempo di guerra, cioè cinque anni di reclusione militare. Tuttavia, la condanna viene subito sospesa per la buona condotta del soldato, e pochi mesi dopo, con l’amnistia dell' ottobre 1919, la pena viene completamente cancellata. 

F.S. ha rischiato la pena di morte?
No, perché la pena di morte scattava solo in alcuni casi particolari previsti dal Decreto Luogotenenziale 10 dicembre 1917, n. 1952 (art. 4): diserzione armata; diserzione in presenza di complici armati; se il disertore si rifiuta di arrendersi alla prima intimazione o fa uso delle armi. Il collegio giudicante esclude che F.S. rientri in queste ipotesi aggravanti: non è disertore da reparto in linea davanti al nemico, non è recidivo (terza volta), non era armato né ha opposto resistenza. 

Le attenuanti
Grazie al Regio Decreto 21 febbraio 1919, n. 157, i disertori che si erano ripresentati spontaneamente entro una certa data potevano usufruire di una riduzione di pena o dell’amnistiaF.S. rientra in questa categoria, quindi la pena viene ridotta al massimo della reclusione prevista (3–5 anni), ma non è passibile di pena capitale.

Fonti:
La ricostruzione del processo si basa sulla documentazione dell'Archivio Centrale dello Stato: https://tecadigitaleacs.cultura.gov.it/
[Sentenza del Tribunale militare di guerra dell'Egeo in Rodi n. 677 del 27 giugno 1919 contro F.S., processo n. 68]

G.V.

20 agosto 2025

LA CAMICIA NERA PRIGIONIERA DEI TEDESCHI E DEI PARTIGIANI JUGOSLAVI

La storia di Scipione Marciello è emblematica: racconta la complessità della guerra, la rapidità dei cambiamenti, il disorientamento che ha colpito giovani uomini che avevano creduto nel regime fascista e nel valore della lotta; lascia intuire, inoltre, lo scontro ideologico che attraversava il conflitto.
Scipione Marciello nella sua divisa di guardia comunale
Foto di Michele (Foto Falco) Falcone, fonte Gozlinus
La sua carriera militare ha due fasi molto diverse tra loro.
Nato a Valva il 19 gennaio 1910, fino al 1932 non presta alcun servizio alle armi, in quanto dispensato dal compiere la ferma e lasciato in congedo illimitato.

In Libia
Poi inizia una seconda fase, ricca di avvenimenti.
Il 16 settembre 1939 lo troviamo mobilitato nel 140° Reggimento della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, la cosiddetta Legione Aquila, con sede a Salerno.

Era un reparto della MVSN, composto in prevalenza da volontari. Aveva compiti di deposito e di addestramento. La MVSN era una milizia politica, una forza armata volontaria e uno strumento di controllo del territorio; i suoi compiti spaziavano dall'ordine pubblico alla partecipazione diretta ai conflitti.
Il 10 ottobre Scipione si imbarca a Napoli per la Libia. Viene rimpatriato e smobilitato il 24 maggio 1940.

La disciplina della Milizia
La carriera militare di Scipione registra una pausa di due anni, almeno a leggere il suo foglio matricolare. 
Il 26 luglio 1942 infatti è richiamato alle armi, nella stessa 140ª legione delle Camicie Nere. Lo stesso giorno lo vediamo destinato al Battaglione Smistamento 143, del campo di Pietrelcina in provincia di Benevento. Nel mese di agosto viene trasferito al 162° Reggimento delle Camicie Nere, al Comando Truppe n. 8 per essere avviato alle operazioni oltremare.
La sede del comando truppe n.8 è il Policlinico di Bari: Scipione stava attendendo di essere imbarcato verso la sua destinazione operativa. Dal suo foglio matricolare possiamo ipotizzare che il Policlinico di Bari fosse utilizzato come sede logistica e amministrativa militare, visto che leggiamo la dicitura "Tappa n. 8-Policlinico di Bari". Le tappe erano strutture militari che gestivano i movimenti di personale e materiali.
La disciplina all'interno della Milizia è molto rigida: i comandi enfatizzano l'ordine, la gerarchia e la lealtà a Mussolini. Di conseguenza, anche assenze brevi ma ingiustificate vengono punite e possono anche compromettere il futuro del milite.
Il 10 settembre 1942 lo troviamo presso il 162° Battaglione Camicie Nere. 

In Jugoslavia: guerra e prigionia
Fino al 31 agosto 1943 Scipione prende parte alle operazioni di guerra in Balcania, più precisamente in Jugoslavia con 162° Reggimento Camicie Nere nel 10° gruppo.
Il 1 settembre 1943 Scipione viene trasferito all'84° Reggimento Fanteria, 1° Battaglione  Compagnia.
A questo punto sul foglio matricolare di Scipione Marciello troviamo due voci assai stringate, che racchiudono un periodo sicuramente terribile per il giovane soldato.
Il 21 ottobre 1943 viene catturato dai tedeschi e "ristretto in campo di concentramento in Iugoslavia"
Il 10 settembre 1944 risulta "prigioniero dei partigiani Iugoslavi".
La sintesi burocratica non può restituire il contesto storico degli eventi nella regione balcanica, ma ci fa intuire l'instabilità del periodo: da alleati d'acciaio, i tedeschi diventano i principali nemici dell'Italia; i partigiani jugoslavi lottano contro i tedeschi, ma rappresentano comunque un destino incerto per chi finisce nelle loro mani.

Il contesto balcanico
Nel periodo tra il 1943 e il 1944 la Jugoslavia è teatro di intensi combattimenti tra i partigiani titini e le truppe di occupazione dell'Asse. 
Dopo l'8 settembre, molti soldati italiani vengono catturati dalle forze tedesche e inviati in Germania come internati militari; anche in Jugoslavia ci sono campi di concentramento: uno dei più noti è il campo di Jasenovac, gestito dal regime ustascia croato, che ospitava principalmente detenuti civili e politici.
Alcuni italiani vengono  catturati dai partigiani jugoslavi, che in molti casi li trattano come prigionieri di guerra o li utilizzano come forza lavoro forzata.
Nel settembre 1944, la liberazione dei campi di concentramento nazisti in Jugoslavia è ancora in una fase iniziale. I partigiani, guidati dal maresciallo Tito, nella loro azione sono sostenuti dall'Armata Rossa.
 
Un'ipotesi su Scipione
Ipotizziamo che Scipione Marciello, dopo essere stato liberato dai partigiani jugoslavi, sia stato trattato come prigioniero di guerra, a differenza degli altri italiani liberati nella primavera del 1945 dalle Forze Alleate. 
A confermare la nostra ipotesi potrebbe essere la data del rimpatrio: alla fine del 1946, ovvero un anno e mezzo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Infatti, Scipione viene rimpatriato solo il 28 novembre 1946, quando risulta assegnato al Centro Alloggio di Bari.


Dal foglio matricolare di Scipione Marciello siamo riusciti a ricostruire vicende che ci ricordano quanto fossero complesse le scelte dei giovani soldati in quegli anni e quanto fosse alto il prezzo della fedeltà alla patria, servita da volontario. 
Una vicenda individuale che fa comprendere le contraddizioni e le tragedie di un’intera epoca.
G.V.



18 agosto 2025

LA TOMBA DI SANSONE

Orribil furon li peccati miei; 
ma la bontà infinita ha sì gran braccia, 
che prende ciò che si rivolge a lei.                            

Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia 
di me fu messo per Clemente allora, 
avesse in Dio ben letta questa faccia,                       

l’ossa del corpo mio sarieno ancora 
in co del ponte presso a Benevento, 
sotto la guardia de la grave mora.                              

Or le bagna la pioggia e move il vento 
di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde, 
dov’e’ le trasmutò a lume spento. 

                    Dante, Purgatorio, canto terzo                      

Non sappiamo se i peccati di Emidio fossero così grandi da meritargli la sepoltura in terra non consacrata a ridosso del muro del cimitero né se la severità del giudizio fosse da paragonare all'incapacità delle autorità di allora di riconoscere in Dio anche la faccia della misericordia, come lamenta il personaggio dantesco del canto terzo del Purgatorio. 
Sappiamo però che questo è stato il destino del suo cadavere. Secondo il custode del cimitero di Valva,  a oltre centodieci anni di distanza lo scheletro era praticamente integro. 
Dicembre 1887. Emidio Sansone viene ucciso in piazza dai carabinieri, almeno secondo il racconto popolare che stiamo cercando di verificare con i documenti.
L’immagine è una ricostruzione storica in stile fotografico,
realizzata con l’ausilio di intelligenza artificiale, a cura del blog la ràdica
Viene sepolto fuori del cimitero, dove rimane fino all'inizio degli anni Duemila, quando il comune di Valva esegue dei lavori di ampliamento. 
La tomba di Emidio Sansone; fonte
In quell'occasione, i resti di Emidio sono stati composti in un loculo, con la stessa epigrafe in pietra che per tanti anni ne aveva testimoniato il nome, la data e la giovane età della morte:
A questa figura tra lo storico e il leggendario vogliamo dedicare un lavoro di ricerca, perché riteniamo giusto ricostruirne la storia. Raccontarla, significa almeno tentare di restituire dignità a questo giovane valvese (originario di Acerno) e inserirla nel più ampio contesto della nostra memoria collettiva.

Una storia che inizia da lontano
Il 22 gennaio 1848, davanti al notaio Pasquale Budetta in Occiano -"villaggio" di Montecorvino Rovella, del Principato Citra del Regno delle Due Sicilie- si presenta il signor Aniello Sansone del fu Luca, di professione casiere, domiciliato in Acerno, che dichiara che suo nipote Vito Sansone, figlio del fu suo figlio Luca e della vivente Maria Giuseppa Sansone, "avendo conchiuso volersi maritare con la nominata Carolina Salvatore di anni diciotto" ha bisogno del consenso del suo avo paterno (=nonno).
Non potendo il signor Aniello recarsi di persona ad Acerno,
"col presente atto espressamente e formalmente dà e presta il suo consenso e piacere per detto matrimonio del nipote, facultando l'uffiziale dello stato civile a riceverne la solenne promessa ed il parroco a celebrare le nozze, come se vi fusse presente esso consensiente Aniello Sansone".
Vito (o Vitantonio o Vito Antonio) Sansone e sua moglie Carolina avranno una bambina ad Acerno, di nome Maria Giuseppa, e poi si trasferiranno a Valva.
Qui il 17 dicembre 1857 nascerà Emidio Sansone.
Morirà a trenta anni. Spetta a noi scoprire dove e come.

Continueremo a occuparci di Emidio Sansone, seguendone le tracce tra documenti e memoria popolare.

Un sentito ringraziamento al signor Eliseo Feniello, per le preziose informazioni e la consueta disponibilità.
G.V.

13 agosto 2025

IL BERSAGLIERE MUTILATO SUL MONTE CUCCO

In un precedente post abbiamo già raccontato la vita di Martire Perna, avvolta in un alone di mistero che si sta diradando grazie all'appassionata ricerca di un suo giovane discendente, Gianluca.
Ora entriamo nel cuore della sua esperienza più drammatica e significativa: il servizio militare durante la Grande Guerra, nei Bersaglieri.
Martire, chiamato alle armi il 24 novembre 1915, entra poi a far parte del 21° Reggimento Bersaglieri, costituito il 27 aprile 1917.
Durante la Decima Battaglia dell'Isonzo, il 21° Reggimento Bersaglieri, inserito nella 60ª Divisione, è impegnato sul Monte Cucco (Kuk) è un'altura strategica a nord di Gorizia.
Il 15 maggio, insieme al 127° Reggimento Fanteria, i bersaglieri partecipano all’attacco per la conquista di quota 535, lo sperone più importante del Monte Cucco. 
La resistenza austro-ungarica è dura, ma l'esercito italiano riesce  a occupare le posizioni previste.
Il 16 maggio i bersaglieri respingono ripetuti contrattacchi nemici volti a riconquistare lo sperone. 
In questa occasione Martire riporta gravi ferite da pallottole d'arma da fuoco alla spalla sinistra e al viso, con la frattura della mascella sinistra e la perdita di sedici denti.  In seguito a queste ferite otterrà la dichiarazione di mutilato di guerra, con la quarta categoria a vita (un'invalidità che non era la più grave ma era comunque permanente e non migliorabile).
La lotta sul Monte Cucco è durissima. Il bollettino di guerra del Comando Supremo del 17 maggio 1917 riporta:
Aspra e lunga fu la lotta nella zona fra Monte Cucco e Vodice, ove forti forze nemiche, sostenute dal fuoco di numerose batterie, si lanciarono più volte contro le nostre nuove posizioni. Furono costantemente ributtate. L’intero baluardo roccioso di Monte Cucco fra Quota 611 e Quota 524 rimane in nostro saldo possesso.  fonte
Martire ottiene le decorazioni che vediamo nelle foto:
Significativa è l'espressione "Guerra per l'unità italiana"



Il precedente post dedicato a Martire Perna:
Martire il bersagliere e sua madre Arcangela- La memoria da ricucire

Anche questo post è stato possibile grazie al prezioso lavoro di Gianluca Parisi Perna, che desidera esprimere un sentito ringraziamento al signor Michele Strollo per la gentile e preziosa collaborazione.
G.V.


08 agosto 2025

UNA GIORNATA PER GLI IMI: MEMORIA CONDIVISA O MEMORIA FRAMMENTATA?

In questo quarto approfondimento che “la ràdica” dedica alla nuova legge istitutiva della Giornata nazionale degli Internati Militari Italiani, ripercorriamo le critiche che ci sembrano più significative emerse nel dibattito pubblico e accademico dopo l’approvazione della norma.
Padova, Museo nazionale dell'internamento; fonte

L'antifascismo dimenticato?

Tra le riflessioni più lucide e argomentate, spicca l’intervento pubblicato il 28 luglio 2024 sul quotidiano Domani, a firma di Orlando Materassi (ex presidente di Anei) e dello storico Daniele Susini dal titolo 👉 La proposta di Mulè dimentica l'antifascismo degli internati militari.
Gli autori rivendicano il valore della scelta compiuta da circa 600.000 soldati italiani catturati dopo l’8 settembre 1943, definita “una Resistenza condotta nei lager” e soprattutto “una scelta antifascista”: un gesto collettivo che per decenni è stato trascurato o rimosso dalla memoria pubblica.
Tuttavia, il loro articolo solleva alcune critiche alla legge e ne evidenzia rischi e ambiguità, che qui proviamo a sintetizzare.
Mancanza di consultazione 
Secondo gli autor, l’ANEI (Associazione Nazionale ex Internati nei Lager nazisti) non è stata coinvolta nella stesura della proposta; lamentano una “totale assenza di comunicazione” da parte del promotore Giorgio Mulè.
Sovrapposizione e ridondanza
Gli autori ricordano che l’esperienza degli IMI è già riconosciuta dalla legge del 2000, che istituisce il Giorno della Memoria (27 gennaio) e cita esplicitamente i “deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Introdurre una giornata separata rischia quindi di essere superfluo.
Isolamento e frammentazione della memoria 
Gli autori paventano il rischio che la nuova ricorrenza possa isolare la vicenda degli IMI dalla più ampia narrazione della Resistenza e della Liberazione, celebrata il 25 aprile. La moltiplicazione delle giornate commemorative rischia di indebolire il senso di unità e coerenza della memoria collettiva.
Assenza del termine “antifascismo” nel testo di legge 
L'articolo considera grave che la legge non  attribuisca esplicitamente la qualifica di “scelta antifascista” alla decisione degli IMI. Il termine compare solo per descrivere le associazioni coinvolte, non i protagonisti della vicenda, segno – secondo gli autori – di una “scarsa attenzione della politica”.
Incoerenze politiche 
L'articolo denuncia anche ambiguità tra alcuni promotori della legge, appartenenti a partiti che -secondo gli autori- faticano ad assumere una posizione netta sul fascismo. In particolare, viene citata una dichiarazione di Ignazio La Russa che avrebbe ridotto la scelta degli IMI a “una prigionia di comodo”, senza riconoscerne la natura etica e politica. Gli autori auspicano un impegno più deciso da parte del governo nel rifiutare ogni ambiguità sull'antifascismo.
In conclusione, l’articolo definisce la proposta Mulè come “velleitaria”, priva di una chiara “logica storica e di memoria”, e auspica che ci sia un ripensamento o almeno un dibattito più consapevole e inclusivo.

La risposta di Giorgio Mulè

Il giorno dopo, "Domani" ha ospitato la replica di Giorgio Mulè, in un articolo dal titolo 👉 La proposta di legge per la giornata degli internati militari è sincera e condivisa.
Mulè respinge le critiche di Materassi e Susini, difendendo con decisione la proposta e chiarendo alcuni aspetti centrali.
Una proposta nata da una necessità storica
Mulè si dichiara dispiaciuto per la definizione di proposta “velleitaria” e priva di “logica storica e di memoria”, affermando invece che nasce dalla necessità di colmare un vuoto a lungo ignorato e di restituire dignità e onore agli Internati Militari Italiani.
Il riconoscimento della scelta antifascista
Mulè sottolinea che la legge cita esplicitamente la Repubblica di Salò e che è animata da un’ispirazione antifascista. Ricorda che gli IMI “scelsero consapevolmente di rifiutare qualsiasi collaborazione con nazisti e fascisti” e li definisce “eroi civili e militari”, il cui sangue è alle fondamenta della Repubblica italiana come quello di chi cadde nella Resistenza.
Un clima di concordia
A sostegno della proposta, Mulè richiama il messaggio del Presidente Mattarella sull’importanza di una “memoria condivisa” e sottolinea che la legge è stata approvata all’unanimità alla Camera, rappresentando una “bellissima pagina” di concordia tra le forze politiche.
Il nodo della consultazione
L'autore della proposta di legge rivendica di essersi ispirato al lavoro dell’ANRP e dell’ANEI, e dichiara di aver già incontrato la presidente dell’ANEI, Anna Maria Sambuco, che avrebbe espresso dissenso verso le critiche di Materassi e Susini, con un ulteriore incontro in programma.
Un rifiuto netto delle accuse
Respinge la richiesta di “ripudio del fascismo”, definendola un’offesa alla sua storia, al suo impegno politico e alla sua coscienza, e accusa gli autori dell’articolo di superficialità, dichiarando di non perdonarla, “a maggior ragione da chi si fregia del titolo di ‘storico’”.

Frammentare la Resistenza non serve

A pochi mesi dal primo intervento critico, Orlando Materassi e Daniele Susini sono tornati sull’argomento con un nuovo articolo pubblicato il 7 dicembre 2024 su Domani, dal titolo 👉 Perché “frammentare” laResistenza non aiuta a conoscere la nostra storia.
Nel frattempo, il disegno di legge Mulè ha proseguito il suo iter: approvato all’unanimità dalla Camera dei Deputati il 19 settembre, è passato in Commissione al Senato nel mese di ottobre.
Il secondo intervento degli autori conferma e approfondisce i punti già espressi, ampliando la riflessione sulle implicazioni storiche, politiche e simboliche della legge.
Una memoria "depotenziata"?
Materassi e Susini temono che una giornata dedicata agli IMI, anziché valorizzarne la memoria, contribuisca a frammentarla, in un contesto già affollato di commemorazioni che rischiano di indebolire la coerenza del racconto storico collettivo.
I due studiosi citano come esempio le numerose giornate dedicate a categorie diverse di vittime (civili innocenti, lavoratori coatti, stragi nazifasciste), che rischiano di trasformare la memoria in un elenco disgiunto anziché in una narrazione coerente e condivisa. 
Una mescolanza forzata?
Gli autori criticano anche la scelta del legislatore di accomunare militari e civili, nonostante le profonde differenze tra le rispettive esperienze di deportazione. Questa “mescolanza di destini” viene giudicata fuorviante e poco rispettosa della complessità delle vicende storiche.
Una scelta antifascista, morale e politica
Al centro dell’analisi resta la natura della decisione degli Internati Militari Italiani: una scelta morale, ideologica e, per certi versi, politica, che rappresenta – secondo gli autori – una completa negazione del ventennio fascista. La loro fu a tutti gli effetti una scelta antifascista, e come tale dovrebbe essere pienamente integrata nella memoria della Resistenza plurale. Viene citato lo storico Giorgio Rochat, che ha definito il comportamento degli IMI un esempio di “straordinario valore politico-morale”.
Riconoscimenti già esistenti e lacune della nuova legge
Materassi e Susini ricordano che gli IMI sono già equiparati ai partigiani dal 1977 e 1983: di conseguenza, il loro ricordo dovrebbe trovare spazio il 25 aprile. Criticano inoltre l’assenza del termine “antifascismo” nel testo di legge, un'omissione che conferma – a loro avviso – la debolezza simbolica e politica della norma.

Rischi pratici e simbolici
Vengono sollevate anche criticità di ordine pratico e simbolico: la data del 20 settembre, troppo vicina all’inizio dell’anno scolastico, rende difficili le attività educative, mentre l’assenza di fondi dedicati rischia di limitarne l’impatto. 
Infine, la scelta di consegnare in quella data le Medaglie d’Onore è considerata inadeguata, perché sottrae agli IMI il riconoscimento istituzionale che meriterebbero in ricorrenze più solenni.

I testi sono sintetizzati a fini di commento e informazione,  con l’obiettivo di alimentare il dibattito su un tema centrale per il nostro blog
Gli articoli completi sono disponibili sul sito del quotidiano "Domani", da cui sono stati tratti e sintetizzati. Gli articoli citati hanno un link che rimanda direttamente alla fonte.

Per concludere

Il confronto tra voci diverse è essenziale per dare profondità alla memoria collettiva. Solo attraverso il dialogo tra prospettive storiche, culturali e civili possiamo cogliere la complessità di scelte simboliche come l’istituzione di una nuova giornata nazionale.
Torneremo presto sul tema, con nuovi spunti e riflessioni.

G.V.