25 novembre 2022

AVETE DISTRUTTO L'UOMO


Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato  agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice. [...] anche noi siamo rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e a reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo.

Primo Levi, Se questo è un uomo  

Nel campo di Buchenwald, i prigionieri credevano che questa fosse la quercia di Goethe

La loro vita è breve ma il loro numero è sterminato. Sono loro, i Muselmanner [i deboli], i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica,
dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina,
già troppo vuoti per soffrire veramente.

Una quercia preservata dagli stessi nazisti che pure avevano abbattuto il bosco per creare il campo. Nel 1944 l'albero viene distrutto durante un bombardamento.

Immaginare il grande poeta tedesco sostare sotto questa quercia era per i prigionieri un modo per evadere dalla terribile realtà quotidiana.

Sullo sfondo della foto, l'inconfondibile sagoma della ciminiera di un forno crematorio.

Ecco altre foto del campo di Buchenwald; le parole delle didascalie sono tratte da Se questo è un uomo, di Primo Levi:

Ricostruzione del patibolo e di uno strumento di lavoro.
Mi ha raccontato la sua storia, e oggi l'ho dimenticata, ma certo era una storia dolorosa, crudele e commovente; ché tali sono le nostre storie, centinaia di migliaia di storie,
tutte diverse e tutte piene di una tragica sorprendente necessità.
Ce le raccontiamo a vicenda a sera, e sono avvenute in Norvegia, in Italia, in Algeria, in Ucraina, e sono semplici e incomprensibili come le storie della Bibbia.
Ma non sono anch'esse storie di una nuova Bibbia?

Intorno, tutto ci è nemico. Sopra di noi, si rincorrono le nuvole maligne, per separarci dal sole;
da ogni parte ci stringe lo squallore del ferro in travaglio.
I suoi confini non li abbiamo mai visti, ma sentiamo, tutto intorno,
la presenza cattiva del filo spinato che ci segrega dal mondo. 


Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Essi popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero.
La Shoah ha caratteristiche peculiari nelle modalità e nelle dimensioni della tragedia: questo post non vuole individuare analogie ad ogni costo con gli Internati Militari Italiani ma invitare a rivolgere il pensiero e la pietà al dolore di coloro che sono stati prigionieri: le parole di Levi sono un modo per rendere loro omaggio e uno stimolo alla nostra riflessione.
I motivi [suonati dalla banda musicale] sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l'ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l'espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomoni per ucciderci poi lentamente.


G.V.


19 novembre 2022

LA MAMMA DI CARMINE

A Valva, nell'antica cappella della Madonna degli Angeli, c'è una targa in marmo che ricorda che nel 1971 la signora Cuozzo Caterina ha contribuito al restauro dell'edificio sacro "in memoria del caro figlio Carmine".


Suo figlio Carmine Corrado era morto a ventitré anni il 31 dicembre 1943, in un ospedale austriaco della Carinzia, per una tubercolosi miliare.
Si trovava lì perché era stato fatto prigioniero dai tedeschi sul fronte greco, in seguito agli eventi dell'8 settembre 1943. 
Dopo la Seconda guerra mondiale, molte salme di soldati morti in Austria sono state traslate e riunite nel cimitero di Mauthausen; tra queste, anche quella di Carmine, che riposa nel settore del cimitero dedicato a militari e civili internati dopo l'8 settembre 1943 nei campi di concentramento nazisti.
In uno dei primi post del nostro blog, dal titolo👉 Carmine, che riposa a Mauthausen, abbiamo pubblicato l'atto di morte del giovane prigioniero, già dichiarato "internato militare italiano"; eccolo:
Il documento proviene dall'Archivio Arolsen; un grazie a Maurizio Corona che lo ha ottenuto contattando l'archivio
Nell'atto di nascita di Carmine leggiamo che era nato in via "Madonna degli Angioli", secondo la grafia dell'epoca.
Il papà di Carmine era un contadino che aveva imparato a fare la sua firma; l'atto di nascita era stato sottoscritto da due testimoni:
una guardia campestre e un giovane telegrafista.
Per approfondire, è possibile consultare il post 👉 Un bozzetto di vita valvese.

A Valva molti ricordano "zia Caterina", con il tradizionale vestito da pacchiana, nella sua abitazione non lontano dalla cappella della Madonna degli Angeli.
Ecco una bella foto dell'affresco cinquecentesco riemerso nella chiesetta dopo i lavori di restauro in seguito al sisma del 1980:
fonte
Un'immagine di grande tenerezza materna: una giovane mamma che allatta il suo bambino.
All'ingresso della cappella, poche e semplici parole ricordano il gesto di una mamma non più giovane in memoria di un figlio che non è tornato dalla guerra.
























G.V.

P.s. Un sentito ringraziamento al signor Giovanni Perna, che mi ha fatto notare la presenza della piccola epigrafe nella cappella e mi ha ricordato, con la sua bonaria ironia, che occorre sempre guardarsi intorno quando si entra in un luogo. Credo se ne possa trarre una piccola ma utile lezione di vita.

07 novembre 2022

I RACCONTI DELL'ULTIMO COMBATTENTE

L'ultimo valvese che ha combattuto la Seconda guerra mondiale è sulla soglia dei cento anni e ha ancora voglia di raccontare.

Nato il 24 febbraio 1923, Giuseppe Feniello è stato prigioniero in Africa per oltre tre anni ed è tornato in Italia solo nel settembre 1946.

Ha compiuto venti anni quattro giorni prima di giungere sul fronte di guerra, quando è tornato a casa non ha trovato più il Re: mentre lui era prigioniero, l'Italia aveva scelto la Repubblica nel referendum istituzionale del 1946.

Grazie alla preziosa collaborazione della nipote Gerardina Rocco, abbiamo raccolto la sua testimonianza, nell'intervista che ci onoriamo di pubblicare.


Giuseppe Feniello in mezzo ai militari del Reggimento logistico "Garibaldi" di Persano
durante la cerimonia del 4 novembre (2022)

Valva, 6 novembre 2022, una domenica a pranzo 

Nonno, cosa facevi durante il servizio militare?

A Santa Maria Capua Vetere (Caserta) mi arruolarono come marconista ma poco dopo mi trasferirono al genio artiere, non avendo titoli di studio. Lì ero in attesa di ordini. Poi venni spedito in Africa, con l'aereo, che venne anche bombardato dagli alleati e quindi fummo costretti a un atterraggio di emergenza, e sotto di noi c'erano le bombe tedesche, che nonostante stessimo atterrando non scoppiarono! 

Come si legge nel suo foglio matricolare, Giuseppe Feniello si è imbarcato a Castelvetrano (Sicilia)
ed è giunto in Africa Settentrionale "via aerea" il 28 febbraio 1943,
due giorni dopo aver compiuto venti anni

Arrivato in Africa cosa facevi? 
La guerra l'ho vista poco perché il 6 aprile venni fatto prigioniero degli inglesi. 

Ricordi come sei diventato prigioniero? 
Fummo circondati dagli inglesi mentre marciavamo e ci trovammo di fronte un carrarmato, per questo il plotone dovette cedere. Consegnammo le armi e ci portarono nel campo di prigionia. Da prigionieri avevamo avuto anche l'ordine di chiudere l'otturatore, prenderlo e buttarlo via per evitare di consegnarlo al nemico.

Non possiamo stabilirlo con certezza, ma la data del 6 aprile 1943 ci fa ipotizzare che Giuseppe Feniello abbia preso parte a quella che è stata definita "la Stalingrado africana", una battaglia che il generale inglese Montgomery definirà nelle sue memorie "la più violenta e selvaggia dopo El Alamein". 
Ecco un 👉 approfondimento sul sito del Ministero della Difesa.

In quali posti sei stato?
Tunisi, Tripoli, Alessandria d'Egitto. Ci avrebbero portati anche a Gerusalemme e a fare una visita in Terra Santa ma 24 ore prima fui liberato.

Ricordi il nome di qualche campo? 
No, però ricordo di essere stato per un periodo nella Gabbia 1.

Com'era la vita da prigioniero? Lavoravi?
Non era tanto male. Alla mattina c'era la conta, poi facevamo ogni tanto alcuni lavori.
Un episodio che ricordo fu quando venni portato, insieme ad altri prigionieri, in un baraccone a saldare ferro e alluminio e veniva in continuazione un soldato inglese ad insultarci facendo smorfie [qui fa il verso "gnaa gnaa", ndr] e io persi la pazienza e, avendo in mano un martello, gli diedi tre martellate e per questo fui punito a mangiare per cinquantuno giorni pane e acqua e a spaccare legna in cucina. In Africa poi l'inverno non esisteva, faceva sempre caldo. 

Ricordi il nome di qualche commilitone? Anche tedesco?
No, non ricordo e poi italiani e tedeschi erano separati nei campi.

Un episodio che ti è rimasto impresso? Una persona?
Ricordo che da prigioniero veniva a girarmi intorno un carrarmato e io gli urlavo contro: "Spostati da qua" "Vai via".
Poi un'altra volta che tornammo alla Gabbia 1, digiuni da due, tre giorni e affamati, un colonnello fece buttare via la razione di pasta che era per noi.
Perché a ognuno era riservata al giorno una patata bollita e un morso di pane, e ogni tanto ci davano un cucchiaio do farina, che accumulavo insieme agli altri (eravamo in sei o sette) per poi fare i cavatelli.
I soldati inglesi non erano così male con noi, infatti c'era un maresciallo scozzese che simpatizzava per il fascismo e, sapendo che io ero fascista, aveva una certa simpatia per me; infatti quando terminarono i cinquantuno giorni di punizione mi portò con lui in cucina e comandò di darmi quello che volevo.
Molte volte poi stavamo digiuni, non sempre c'era da mangiare, anche le bucce di fave le facevano con lo spezzatino.
Sono stato ricoverato anche in un ospedaletto da campo per un problema all'intestino e nel padiglione dove stavo eravamo un fila e si moriva (moriva uno sì e uno no) e io pensavo che sarebbe dovuto arrivare anche il mio turno stando lì.
Quando poi ci mandavano a un'altra destinazione, in Egitto, venivano intorno a noi dei bambini che ci deridevano dicendo: "Italiani grrh" [qui fa il gesto di una mano al collo, ndr] e io appena ebbi l'occasione presi per i capelli un bambino di quelli e lo scaraventai lontano.
Avete saputo della fine della guerra? Perché ti hanno tenuto prigioniero ancora?
Certo che sapevamo che la guerra era finita ma noi non c'entravamo più con la guerra: eravamo prigionieri e lo siamo stati fino al 9 agosto 1946. La nostra condizione non è cambiata. La guerra era finita ma i comandi no!
Riuscivi a scrivere ai familiari? Le risposte arrivavano?
Potevamo scrivere una sola lettere ogni mese, a volte passavano due mesi. Noi le consegnavamo al comando e poi arrivavano dopo diversi mesi a destinazione. Le risposte arrivano anche dopo diciotto mesi. Una lettera che mi aveva scritto Margherita, la mia fidanzata, arrivò dopo mesi e mesi.

Una volta liberato dove sei andato?

Sono stato liberato e portato a Porto Said il 9 agosto 1946, dove ci siamo imbarcati sulla nave che ci ha portato a Napoli.
In Italia sono arrivato il 7 settembre e a casa, a Valva, il 20. Sono arrivato con il treno fino a Contursi e Angelino (dei C'nes) che mi aveva visto ha avvisato la mia famiglia del mio arrivo e sono venuti incontro i miei fratelli Michele e Vitantonio.                                

È stato un momento commovente.  Anche quando sono rientrato a casa, io che ero un gran bevitore, figlio di un altro grande bevitore, mio padre mi ha detto: "Se sei ancora il mio Peppino finisci questo fiasco di vino". Io l'ho bevuto anche se mi ha dato alla testa.

Vino in Africa non ne bevevi?
Ogni tanto riuscivamo a comprarlo con quello che ci davano, poche monete.

Valva, Giuseppe Feniello -aiutato dal nipote omonimo e dal sindaco Giuseppe Vuocolo-
partecipa alla cerimonia del 4 novembre

Lo scorso 4 novembre, Giuseppe Feniello -il nonno di Valva- ha partecipato alla manifestazione al monumento ai caduti. 
Ha voluto fare un omaggio alla statua del milite ignoto e poi ha seguito la cerimonia in mezzo ai militari.
L'applauso che gli hanno tributato i bambini e i ragazzi delle scuole di Valva, presenti alla cerimonia, sono il finale più bello per questo post.

 Si ringrazia la signora Marinella Cozza per la gentile collaborazione

Approfondimenti
Per la ricostruzione del contesto storico, si suggerisce questa puntata di Passato e presente.
Molto ricca la voce di Wikipedia dedicata alla Campagna del Nord Africa.

Blog Questi i post più dedicati alle vicende dei soldati valvesi in Africa:




G.V.

31 ottobre 2022

SE SOLO POTESTE VINCERE IL FATO, SARETE DUE MARCELLI

Heu, miserande puer, si qua fata aspera rumpas,
tu Marcellus eris.
O, giovane degno di pietà, se solo potessi rompere il tuo fato crudele, 
tu sarai un Marcello.
Così nell'Eneide di Virgilio si parla di un nipote di Augusto destinato a morire giovane.
Ho pensato a questi versi quando ho visto la bellissima foto di Eduardo Marcelli pubblicata da 👉Gozlinus e ho trovato alcune brevi notizie su di lui e su suo fratello Anacleto.
fonte: Gozlinus
Anacleto ed Eduardo Marcelli sono due fratelli nati negli ultimi anni dell'Ottocento (1895 e 1897), in una delle famiglie più illustri di Valva.
Il padre si chiama Francesco Ferdinando, nato nel 1857: bastano i due nomi a far intuire le simpatie borboniche di nonno Francesco.
Poi la storia prende una direzione diversa e i due fratelli Marcelli si trovano al fronte, nello stesso reggimento di fanteria del Regio esercito dell'Italia unita, durante la Prima guerra mondiale.
Anacleto diventa sottotenente di complemento.
Nell'estate del 1916 partecipa, in Veneto, all'attacco sull'Altopiano di Tonezza, che il 24 luglio torna italiano. 
Insieme al suo reggimento, Anacleto è insignito della medaglia d'argento al Valor Militare.
A causa delle ferite riportate in combattimento, muore il 25 luglio.
Sulla sua figura, Gozlinus ha pubblicato due post: 👉Due giovani eroi e un solo destino (che dà notizia del ritrovamento della sepoltura di Anacleto Marcelli nel cimitero di Thiene, in provincia di Vicenza) e 👉La foto dell'eroe ritrovato, che contiene questa bella foto del giovane ufficiale:

Il 29 novembre 1918, poche settimane dopo la fine della guerra, suo fratello Eduardo muore a Valva per una malattia contratta in guerra: risulta infatti a tutti gli effetti un caduto in guerra per il Ministero della Difesa e nel monumento ai caduti a Valva risulta tra i "morti per la guerra".
Possiamo con ragionevole certezza ipotizzare che non abbia partecipato all'attacco di Tonezza.
Entrambi i fratelli sono morti a ventuno anni, due anni in più rispetto al personaggio a cui sono riferiti i commoventi versi virgiliani citati all'inizio, che si concludono con parole di commosso omaggio:
[...] versate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei

Una famiglia nel contesto valvese
Spesso le nostre ricerche partono dal sito dell'Archivio di Stato di Salerno anche perché questo strumento ci consente di fare alcune riflessioni di carattere socio-economico a partire da semplici dati anagrafici. 
Ad esempio, prendiamo in esame i giovani valvesi della famiglia Marcelli che nella seconda metà dell'Ottocento hanno sostenuto la visita militare: la professione indicata (possidente, proprietario, studente) testimonia un'agiata condizione.
Le liste di leva sono importanti anche per le informazioni che danno sui cognomi femminili: nel nostro caso troviamo tre cognomi molto rari a Valva: Cozzarelli (la madre), Zuccari (la nonna), Olivieri (forse una zia), cognomi che indicano che le signore erano "forestiere", una circostanza diffusa nelle famiglie notabili del tempo.
G.V.

08 ottobre 2022

COL SANGUE, CON LA LIBERTA': QUEI NO PAGATI CARO

Il podcast "Il giorno dopo" è giunto al suo decimo episodio.
Agli eventi legati alle conseguenze dell'8 settembre 1943 è dedicato un ricco episodio, diviso in tre parti; la terza parte analizza le vicende in Grecia e nelle isole.
Il 9 settembre 1943 in Grecia vengono catturati Minente Figliulo e Cosimo Feniello (quest'ultimo ad Atene). 
E' probabile che anche Carmine Corrado sia stato catturato nella zona di Atene, visto che apparteneva allo stesso reggimento di Cosimo Feniello. 
Carmine morirà di malattia durante la prigionia e sarà sepolto a Mauthausen, dove ancora oggi riposa. Ci siamo occupati di lui in tre post del nostro blog: 

La divisione Acqui
Cefalonia e Corfù hanno una posizione strategica; i tedeschi inviano truppe in zona già in estate, considerando più probabile uno sbarco alleato in questa area che in Sicilia. 
Dopo la proclamazione dell'armistizio, la Divisione Acqui -di stanza nell'isola di Cefalonia e  con una parte delle truppe a Corfù- è chiamata a una scelta drammatica. 
Gli ordini che giungono sono contraddittori: prima si autorizza l’uso  delle armi in caso di attacco da parte dei tedeschi (di di fatto si sostiene la neutralità italiana), poi la sera del 9 settembre il comandante dell'XI Armata, Vecchiarelli, emana l'ordine di resa ai tedeschi in tutta la Grecia, ma il comandante della Divisione, Antonio Gandin, prende tempo, perché considera l’ordine in contrasto con la dichiarazione dell’armistizio (le truppe italiane sarebbero in balìa di quelle tedesche). Gandin inizia le trattative con il comandante tedesco cercando di rinviare la resa. 
A Corfù il comandante italiano Lusignani rifiuta nettamente ogni trattativa con i tedeschi. 
Dopo vari tentativi falliti di contattare telefonicamente il governo italiano, solo il 13 settembre arriva dal Comando Supremo italiano, che si trova a Brindisi dopo la fuga, l'ordine di resistere alle forze tedesche, che devono essere considerate nemiche. 
Quando giunge l'ultimatum tedesco accade qualcosa di inedito: una consultazione fra le truppe italiane; ai soldati viene chiesto se consegnare le armi o combattere contro i tedeschi, quasi tutti decidono di combattere. 
A Cefalonia, il 15 settembre inizia la battaglia. 
Tante testimonianze ricordano il forte spirito di corpo e la determinazione mostrata dai soldati italiani contro i tedeschi. 
Le truppe tedesche, grazie ai rinforzi giunti dall'entroterra e soprattutto grazie all'appoggio aereo, hanno la meglio sui soldati italiani dopo circa una settimana di combattimenti. 
Gli italiani si arrendono il 22 settembre, ma questo non ferma il massacro; il 24, le salme degli ufficiali trucidati nella "Casetta rossa" vengono gettate in mare, i corpi dei soldati bruciati. 
Nei tre giorni seguenti, i massacri si ripetono a Corfù, dove i tedeschi sono sbarcati il 24 settembre. 
La tragedia della Divisione Acqui non finisce a Cefalonia e a Corfù. 
Tre navi che trasportano i prigionieri vengono affondate, causando oltre mille morti (tremila, secondo altre fonti). Circa seimila sopravvissuti iniziano un viaggio di oltre un mese verso i campi di prigionia nell'Europa dell'Est. 

I valvesi nella Divisione Acqui
Due valvesi appartenenti al Battaglione mitraglieri di corpo d’armata della Divisone Acqui risultano dispersi in combattimento il 9 settembre; entrambi sono della classe 1911:
Alfonso Feniello
Da civile esercitava il mestiere di mulattiere; verrà dichiarato “morto presunto a Cefalonia” da una sentenza del tribunale di Salerno nel 1956.  
Giuseppe Macchia 
Disperso a Corfù. Negli anni precedenti, ha partecipato alle operazioni di guerra sul fronte albano-greco-jugoslavo fino alla resa della Grecia e ha ricevuto il distintivo del Regio Governo d’Albania. Successivamente, è stato aggregato al Battaglione mitraglieri. 
Un post di Gozlinus del giugno 2019 parla della loro vicenda e mostra anche le loro (rare) foto.
Della divisione Acqui fa parte anche Pasquale Cappetta, chiamato alle armi a maggio e fatto prigioniero a settembre. Sarà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A.  
Di lui, gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte
In quel momento, Pasquale non ha ancora compiuto venti anni.


G.V.

01 ottobre 2022

OTTO VALVESI PRIGIONIERI

Dopo l'8 settembre diversi valvesi vengono fatti prigionieri dai tedeschi in Jugoslavia, Albania, Grecia, Dodecaneso. 
Di sei prigionieri valvesi non siamo però in grado di indicare il luogo di cattura né, in quasi tutti i casi, il fronte di guerra.

Mastrolia Carmine, classe 1923, fante
Carmine Mastrolia risulta prigioniero dall'8 settembre.
E' giunto alle armi nel gennaio 1943, assegnato al 67.mo Reggimento Fanteria in Como. Il suo reggimento nel settembre 1943 risulta in Puglia; a fine settembre, sarà la prima grande unità militare del nuovo Esercito Cobelligerante Italiano, che combatterà accanto alle forze alleate. 
Non siamo ancora in grado di dire dove sia stato catturato il fante valvese.

Mastrolia Onofrio, classe 1923, fante
Nemmeno di un altro fante valvese, Onofrio Mastrolia, siamo in grado di indicare con precisione il luogo di cattura. 
Sappiamo che anche lui è giunto alle armi nel gennaio 1943, assegnato al 49.mo Reggimento Fanteria in Ascoli Piceno. 
Nel settembre 1943 il reggimento risulta impegnato in Albania. Di Onofrio Mastrolia l'Archivio Arolsen conserva un documento significativo: la scheda compilata dagli Alleati il 9 luglio 1945. Egli sarà rimpatriato l'8 settembre 1945, esattamente due anni dopo la cattura. 
Negli anni successivi, emigrerà in Francia.

Spiotta Sabino, classe 1920 
Risulta prigioniero dei tedeschi il 12 settembre 1943 e rimpatriato il 4 agosto 1945. E' assegnato al reparto distrettuale Savona. In un documento degli Archivi Arolsen risulta presente in Germania dal 1 gennaio al 7 aprile 1945: è probabilmente un elenco di internati che lavorano in un'azienda in Bassa Sassonia; nel foglio che alleghiamo, si nota la nazionalità degli altri prigionieri: polacchi, ucraini, olandesi.

Si notino due refusi: Solino al posto di Spiotta e Valoa al posto di Valva

Torsiello Pietro, classe 1920, fante
Quando il 22 aprile 1939 è dichiarato abile e arruolato, Pietro Torsiello rinuncia al beneficio del congedo anticipato; è chiamato alle armi nel febbraio 1940, assegnato all'85.mo Reggimento Fanteria. 
A questo punto, la sua storia diventa difficile da ricostruire.
Il prezioso sito www.regioesercito.it informa che il reggimento è impegnato in Africa; viene sciolto nel 1941 a causa delle gravi perdite subite; nei mesi successivi, con i superstiti anche di altri reggimenti viene costituito il Reggimento di Fanteria "Sabratha", sciolto poi nell'estate 1942 nella zona di El Alamein. Il personale e il materiale superstiti vengono trasferiti al 61.mo Reggimento Fanteria della Divisione "Trento", che a sua volta sarà sciolto per eventi bellici il 25 novembre 1942. 
Seguendo le vicende del reggimento al quale è stato assegnato, dobbiamo ipotizzare che Pietro Torsiello sia stato in Africa, ma il documento custodito negli Archivi Arolsen  che pubblichiamo ne testimonia sicuramente la presenza in Germania come internato militare italiano. 
Il documento è un elenco, redatto a Monaco nel 1946; Pietro Torsiello risulta in Germania dal settembre 1944 all'aprile 1945.

Falcone Giuseppe, classe 1915, fante
Il soldato Giuseppe Falcone risulta assegnato al 90.mo Reggimento Fanteria Salerno. Il reggimento risulta in Russia; dopo il rimpatrio, viene sciolto dopo l'8 settembre, mentre è ancora in fase di riordinamento in Lombardia. Al comune di Valva risulta fatto prigioniero di guerra il12 settembre, mentre nella sua scheda nell'Archivio IMI la data di cattura risulta il 25 settembre.
Un documento custodito negli Archivi Arolsen riporta il nome  della località presso la quale egli lavorava. Non siamo ancora in grado di indicare il luogo e le circostanze della cattura. 

Nelle convulse vicende del "giorno dopo", cioè a partire dall'indomani dell'annuncio dell'armistizio, altri soldati valvesi vengono fatti prigionieri dai tedeschi, in zone sicuramente diverse dai Balcani. Di questi soldati, conosciamo il fronte in cui sono stati catturati e, in due casi, anche il luogo preciso: in Italia, evidentemente prima della nascita della Repubblica di Salò (che avverrà il 23 settembre 1943).

Strollo Domenico, classe 1921
Risulta catturato sul fronte francese il 9 settembre.
Non conosciamo il luogo preciso. Di lui conosciamo il campo di internamento, lo Stalag VI D, a Dortmund. 

Strollo Giuliano, classe 1921, fante
Assegnato al 4 Reggimento Fanteria Carrista, è catturato il 10 settembre a Vercelli

Perna Michele, classe 1923, fante
Risulta catturato a Trieste. Il suo reggimento, il 24.mo Fanteria, è in territorio jugoslavo, con compiti di presidio e controguerriglia. 

Falcone Giuseppe è il numero 284; Kr.Gef. significa "prigioniero di guerra"


🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sui valvesi prigionieri o caduti nella Seconda guerra mondiale.


Blog


Questi i post più recenti dedicati agli altri prigionieri valvesi:


G.V.

30 settembre 2022

IL GIORNO DOPO NEL DODECANESO ITALIANO

In occasione della pubblicazione del decimo episodio del podcast "Il giorno dopo", dedichiamo un approfondimento all'isola di Rodi.
L'episodio "La prima Resistenza" è particolarmente ricco di informazioni ed è pertanto diviso in tre parti: ci occupiamo dei primi italiani che si oppongono ai tedeschi e cadono sul campo o sono  fatti prigionieri, su un fronte che va dai Balcani all'Egeo.
Nella terza parte dell'episodio analizziamo le conseguenze dell'8 settembre sui soldati italiani in Grecia, nel Dodecaneso italiano e in altre isole.

L'Italia a Rodi e nel Dodecaneso
I soldati italiani sono impiegati nel controllo delle isole del Dodecaneso, nell'Egeo. Queste isole sono state conquistate durante la Guerra italo-turca (1911-1912), trasformate in colonia e poi in possedimento d'oltremare, nel 1926.

Così, nel 1936, l'Enciclopedia Treccani presentava la popolazione di Rodi:

La popolazione è formata da quattro elementi diversi per lingua e per religione, per quanto tutti gli abitanti siano cittadini italiani. Gl'indigeni, però, sono privi di diritti politici ma non hanno obblighi di servizio militare. Gl'Italiani d'origine sono quasi tutti cattolici, di rito latino.  [...]

La grande maggioranza della popolazione si dedica ad attività particolari. Gli ortodossi sono dediti per lo più al commercio e alla pesca, in campagna all'agricoltura e alla pastorizia. I musulmani all'artigianato e all'agricoltura, gl'israeliti esclusivamente al commercio e alle banche. L'elemento cattolico, ossia italiano, è rappresentato, oltre che da funzionari, da contadini, da operai specializzati, da commercianti, industriali, imprenditori.

Dopo l'8 settembre
L'8 settembre 1943, il comandante delle truppe italiane in Grecia, il generale Vecchiarelli, proclama che gli italiani non rivolgeranno le armi contro tedeschi, ma reagiranno ad ogni violenza armata. 
Pressato dai tedeschi, il 9 settembre invita a cedere loro le armi. Tra i soldati c'è disorientamento. Vecchiarelli crede alle parole dei tedeschi, che promettono di riportare le truppe in Italia; accetta il disarmo, anche se gli italiani sono più numerosi dei tedeschi.
I comandanti in Grecia in maggioranza obbediscono, ma quelli delle isole no; sulle isole gli italiani sono di più e sanno che esse sono importanti per gli anglo-americani. 
Rodi ha una grande importanza strategica per il controllo dell'Egeo, ma gli Alleati non la occupano dopo l'armistizio (anche perché sono impegnati a sbarcare a Salerno). 

La caduta di Rodi
L'isola è occupata quasi subito, nonostante la superiorità delle truppe italiane. 
Anche a Rodi c'è una resistenza, con perdite tra gli italiani. 
Uno dei dispersi in battaglia è il valvese Enrico Fusella
Nato nel 1923, chiamato alle armi nel febbraio 1942, Enrico Fusella è assegnato alla Nona Compagnia sussistenza di Bari. 
Alla stessa compagnia è assegnato Amodio Cuozzo, che sempre a Rodi sarà fatto prigioniero il 25 settembre. 
Abbiamo raccontato la sua storia nel post Un uomo mite dal nome insolito.

Il diario di un valvese
Un soldato nato a Valva, Giovanni Milanese, ci ha lasciato un diario della sua prigionia da internato militare italiano, prima nella Polonia occupata dai nazisti e poi in Germania. 
Il suo "Frammenti di storia" [Palladio, 1997] ci aiuta a ricostruire le vicende di cui ci stiamo occupando ed è una testimonianza preziosissima per ricostruire le condizioni di prigionia degli internati militari italiani.
Anche lui viene catturato a Rodi. 
Ecco come racconta i giorni dopo l'8 settembre. 


    8 settembre 1943

Alle ore 20.30, a quota 99 di Ofanto, so dell'armistizio con le potenze alleate.

    9 settembre 1943 

[...] Bisogna lasciar passare i tedeschi, purché non abbiano intenzioni ostili [...]

    11 settembre 1943

[...] Alle 17 i tedeschi entrano in Rodi, facilitati dall'inerzia e fare ambiguo di molti ufficiali superiori e dall'aiuto dato da un battaglione di camicie nere esistenti sul territorio.

Alle 19 ci vien dato l'ordine di cedere le armi e di arrenderci. Grande costernazione!

Il capitano di fanteria Romeri [...] va dal colonnello Manna per pregarlo di prendere qualche iniziativa ma il colonnello Manna risponde che si è combattuto fino allora coi tedeschi e bisogna continuare a combattere a loro fianco.

    12 settembre 1943
Si attendono ordini.

    13 settembre 1943
Si attendono ordini.

    15 settembre 1943
Ci ritiriamo a Calitea [frazione di Rodi].



La caduta di Coo
A Coo e in altre isole gli inglesi riescono a far sbarcare piccoli contingenti, ma non si riesce a evitare l'occupazione tedesca. Coo viene occupata il 4 ottobre: 600 inglesi e 2500 italiani sono fatti prigionieri. 
Tra i prigionieri condotti nei campi di internamento in Germania c'è il nostro Settimo Fasano, catturato il 4 ottobre. Suo fratello Ottavo è già morto nell'Africa Settentrionale italiano, da quasi tre anni. Abbiamo raccontato la loro storia nel post Settimo ha un fratello di nome Ottavo, ma non è una fiaba.
Uno storico inglese ha scritto:

Gli italiani fiduciosi che si erano uniti agli inglesi dopo abbondanti promesse di aiuti britannici, si trovarono abbandonati da tutti [...] Agli occhi degli inglesi non erano importanti; agli occhi dei tedeschi non erano altro che traditori dell'Asse.

[P.C. Smith e E. Walker, War in the Aegean, London, 1974; citato in: Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando, Il Mulino]


Per le foto del Sacrario italiano a Rodi ringraziamo il signor Michele Tammaro per la gentilissima collaborazione.

🔍Approfondimenti

Per la ricostruzione storica, fondamentale il seguente testo:

- Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando -8 settembre 1943, il Mulino, 2003

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G.V.