24 maggio 2023

LA "LEGGENDA DEL PIAVE": UNA PROPOSTA DI ANALISI

La leggenda del Piave (nota anche come La Canzone del Piave) è scritta dopo la battaglia sul Piave del giugno 1918, la cosiddetta "battaglia del solstizio", che è importante perché l'esercito italiano riesce a bloccare l'ultima grande offensiva degli austro-ungarici.

L'autore è E.A.Mario (pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta), autore anche di altre canzoni celebri (come ad esempio Balocchi e profumi e Tammurriata nera).

Proponiamo ora un'analisi del brano. Se preferite, potete ascoltare il testo della nostra analisi insieme alla canzone in questo video: 

La prima strofa

L’inizio è molto celebre:

Il Piave mormorava
Calmo e placido, al passaggio
Dei primi fanti, il ventiquattro maggio
L'esercito marciava
Per raggiunger la frontiera
Per far contro il nemico una barriera

Sono rime baciate (passaggio: maggio, frontiera: barriera); sono in rima anche le parole mormorava: marciava.

La prima strofa riguarda il 24 maggio 1915; più che anacronismo, si tratta di una rilettura simbolica di un avvenimento storico

L’avvenimento storico è l’entrata in guerra dell’Italia, nel maggio 1915 (la guerra era iniziata nell’agosto 1914). Questo avvenimento storico viene reinterpretato, tre anni dopo, come una guerra difensiva: "l’esercito marciava per raggiunger la frontiera", è vero; "per far contro il nemico una barriera", non è vero storicamente perché in quel momento, maggio 1915, l’Italia entra in guerra attaccando.

Chi scrive la canzone la scrive dopo che il Piave è diventato il baluardo, la barriera da difendere a tutti i costi; possiamo dunque dire che nel '18 il Piave era la barriera, nel '18 si faceva contro il nemico una barriera, ma non nel '15.

Chi scrive lo fa nel 1918 e reinterpreta un avvenimento di tre anni prima, attualizzandolo perché nel frattempo il Piave ha assunto un altro valore; il Piave è abbastanza lontano dalla frontiera, difendere il Piave significa impedire che il nemico faccia irruzione nella pianura padana (che è la paura dopo Caporetto).

Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava e andare avanti
Notiamo una certa eleganza stilistica, perché nell'ordine coretto in italiano la frase dovrebbe essere "bisognava tacere e [bisognava] andare avanti". Il verso della canzone invece inizia con un verbo all'infinito ("tacere"), poi c'è un verbo che regge l'infinito ("bisognava") e alla fine del verso c'è un altro infinito ("andare"). Il verbo principale è dunque al centro e regge i due infiniti posti all'inizio  e alla fine del verso. 
S'udiva intanto dalle amate sponde
Sommesso e lieve il tripudiar dell'onde

Le onde fanno un tripudiare sommesso e lieve: è semplicemente il rumore del fiume, non siamo ancora alla sua trasformazione mitica.

L’interpretazione di questo elemento naturale, però,  conferisce a un dato naturale (il rumore dell’acqua del fiume) un valore che va ben oltre: "era un presagio dolce e lusinghiero"... Il tripudiare delle onde, sommesso e lieve, viene interpretato come un presagio dolce e lusinghiero. Spesso troviamo due aggettivi, uno accanto all’altro.

In ogni strofa il Piave dice qualche cosa.

Nella prima, mormora, anche nella seconda troviamo “mormorò”.

Nella terza il Piave è molto più deciso: "NO!"…e i fanti ripetono "NO!".

Nell’ultima strofa il Piave non parla più,  "tacque"…la guerra è vinta e quindi la missione del Piave può dirsi compiuta.

Il Piave mormorò: non passa lo straniero

Attenzione al verbo: "non passa";  è un presente indicativo, non un congiuntivo esortativo (per esprimere un augurio, ad esempio "non passi lo straniero").

Il Piave è una sorta di vedetta, come è confermato nella seconda strofa: "Ritorna lo straniero".

Non possiamo escludere però che l’uso del congiuntivo "Non passi lo straniero" sia stato avvertito dall’autore come troppo ricercato per una canzone che voleva essere patriottica e popolare.

Forse il concetto che si vuole esprimere in questo verso è simile al celebre motto spagnolo "No pasaran": non passeranno…riferito ai nemici. 

La strofa della sconfitta

Ma in una notte trista 
Si parlò di un fosco evento 
E il Piave udiva l'ira e lo sgomento 
Ahi, quanta gente ha vista 
Venir giù, lasciare il tetto 
Poiché il nemico irruppe a Caporetto. 
S'udiva allor, dalle violate sponde 
Sommesso e triste il mormorio dell'onde. 
Come un singhiozzo, in quell'autunno nero
Il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero".

Nella versione iniziale di questa canzone, per esempio quella eseguita solennemente in occasione dell'arrivo della salma del Milite Ignoto a Roma, questa seconda strofa era un po' diversa.

Durante il fascismo, per intervento diretto del governo, sono state chieste all’autore alcune modifiche.

Ma in una notte trista / Si parlò di tradimento è diventato: Si parlò di un fosco evento.

La parola tradimento è una parola forte, suggerita all’autore da un drammatico bollettino del generale Cadorna che di fatto dava la colpa ai soldati per la sconfitta di Caporetto. In epoca fascista sono stati tolti questi riferimenti così netti. 

Il verso Per l'onta consumata a Caporetto è diventato Poiché il nemico irruppe a Caporetto, un verso quasi descrittivo.  La parola onta sicuramente non gettava buona luce sull’esercito italiano. 

Profughi ovunque, dai lontani monti
Venivano a gremir tutti i suoi ponti

Sono i profughi italiani, il cui esodo inizia già nel 1916, dopo la cosiddetta "Spedizione punitiva": dalle zone occupata da tedeschi e austriaci si spostano nel resto d'Italia. 

S'udiva allor, dalle violate sponde
Sommesso e triste il  mormorio dell'onde
Come un singhiozzo, in quell'autunno nero
Il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero".

Violate sponde: "violate" è un aggettivo forte, il fiume è sacro, dunque c’è una profanazione delle sponde.

Si udiva sommesso e triste: prima il mormorio era sommesso e lieve, adesso diventa triste.

Come un singhiozzo in quell’autunno nero: non è più un presagio dolce e lusinghiero.

Questa è una strofa impegnativa anche emotivamente, perché questa è la strofa della sconfitta, è il racconto del domani della sconfitta, dopo Caporetto.

Dire autunno nero significa dire che l’Italia è in ginocchio, sembra crollare, non solo il fronte di guerra ma anche il fronte interno sembra crollare…  

Il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero". Torna il ruolo di vedetta svolto dal Piave.  

La strofa del Piave che combatte contro il nemico feroce

E ritornò il nemico
Per l'orgoglio, per la fame
Volea sfogare tutte le sue brame
Vedeva il piano aprico
Di lassù, voleva ancora
Sfamarsi e tripudiare come allora. 

"No" disse il Piave, "No" dissero i fanti
Mai più il nemico faccia un passo avanti 
E si vide il Piave rigonfiar le sponde 
E come i fanti combattevan le onde 
Rosso del sangue del nemico altero. 
Il Piave comandò: "Indietro va', straniero".

E ritornò il nemico: nel primo verso troviamo un riferimento al verso conclusivo della strofa precedente ("Ritorna lo straniero"). 

In  questa quarta strofa troviamo subito alcuni versi di grande drammaticità: 

Per l'orgoglio, per la fame
Volea sfogare tutte le sue brame

Il nemico è paragonato a un lupo affamato che ritorna per l’orgoglio e per la fame; era venuto la prima volta nel '16, ora torna nel '17 (l’anno della battaglia di Caporetto). 

Come un animale feroce, affamato che "volea sfogare tutte le sue brame". Il nemico fa paura; deve essere per definizione presentato come brutto e cattivo, affamato e pieno di brame. 

Vedeva il piano aprico
Di lassù, voleva ancora
Sfamarsi e tripudiare come allora. 

Piano aprico significa esposto al sole.

Tripudiare significa esultare in modo clamoroso e vivace, dice il dizionario Treccani; ora tripudiare è attribuito non più al Piave ma allo straniero, che vuole vincere di nuovo, come ha vinto nel 1916, vuole sfamarsi e vuole esultare.

"No" disse il Piave, "No" dissero i fanti
Mai più il nemico faccia un passo avanti 

A livello testuale il verso è molto efficace.

Il Piave ora dice, non mormora più.

Finora avevamo sempre trovato il soggetto (il Piave), il verbo (mormorò), due punti, le virgolette e poi il discorso diretto.

Adesso l’affermazione perentoria, netta (No) viene messa prima del verbo. I fanti rispondono: No.

Il Piave non è più una vedetta, ora è una guida. 

Mai più il nemico faccia un passo avanti. Mai più all'inizio del verso, in una posizione di rilievo; solo dopo c'è il soggetto ("il nemico"). 

La conseguenza qual è? 

La conseguenza è che il Piave entra in guerra a tutti gli effetti.

E si vide il Piave rigonfiar le sponde 
E come i fanti combattevan le onde 
Rosso del sangue del nemico altero. 
Il Piave comandò: "Indietro va', straniero". 

Il Piave partecipa alla guerra, rigonfia le sponde…perché è quello che fanno i fiumi in autunno e in inverno.

Un fatto davvero accaduto, che ha reso la guerra più difficile (per tutti!). Il Piave rigonfia le sponde e come i fanti combattono le onde combatte anche lui, rosso del sangue del nemico altero (altero è un aggettivo messo alla fine di un verso che inizia con il colore del sangue: ora al nemico non serve più essere altero, cioè fiero, orgoglioso, superbo). 

Il Piave comandò: "Indietro va', straniero".

Il Piave comandò: il Piave che diventa un generale

Qui troviamo un esempio di climax: tre elementi che sono messi in scala, ascendente o discendente, tre aggettivi o tre verbi in cui il primo ha un’intensità, il secondo ne ha una maggiore e il terzo è ancora più intenso.

Il Piave mormorò (prima strofa)…Il Piave disse (seconda strofa)…Il Piave comandò (questa terza strofa)…

Dal mormorare al dire si arriva al comandò. 

Il Piave comandò: "Indietro va', straniero". Indietro va' è scritto con l'apostrofo per indicare che è un imperativo: vai indietro, vattene.  

Fanteria italiana attraversa il Piave su un ponte galleggiante; fonte

La strofa della vittoria

Indietreggiò il nemico
Fino a Trieste, fino a Trento
E la vittoria sciolse le ali al vento
Fu sacro il patto antico 
Tra le schiere furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti. 
Infranse alfin l'italico valore 
Le forche e l'armi dell'impiccatore
Sicure l'Alpi, libere le sponde
E tacque il Piave, si placaron l' onde
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi
La Pace non trovò né oppressi né stranieri.

Fino a Trieste, fino a Trento: Trieste e Trento vengono conquistate alla fine della guerra, negli ultimi giorni.

E la vittoria sciolse le ali al vento
Fu sacro il patto antico 

L’ultima strofa è quella della vittoria: chi ha scritto ha immaginato la conclusione della guerra oppure questo è stato modificato e aggiunto dopo?

Il poeta sta immaginando la vittoria: la vittoria sciolse le ali al vento, la vittoria sta volando…il patto è un riferimento al Risorgimento, il popolo che lotta per riprendersi il sacro suolo, “il suolo fatal” direbbe Verdi, “fratelli su libero suol” scrive Manzoni: è il Risorgimento.

Tra le schiere furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro, Battisti

Vengono citati tre esponenti del cosiddetto irredentismo (cittadini con passaporto austriaco che vivano in territori come Trento, Trieste, l’Istria e lottavano perché queste zone diventassero italiane).

Cesare Battisti era stato impiccato nel 1916 a Trento (si era arruolato nell’esercito italiano ma viveva in una città non ancora italiana; catturato dagli austriaci, fu impiccato).

Nazario Sauro fu impiccato a Pola, città istriana oggi in Croazia,  sempre nel 1916.

Guglielmo Oberdan era stato impiccato a Trieste nel 1882.

La Leggenda del Piave introduce questi patrioti, figure care alla memoria di quei luoghi (parlando di Trieste si parla di Sauro e di Oberdan, parlando di Trento si parla di Battisti).

Infranse alfin l'italico valore 
Le forche e l'armi dell'impiccatore
Un verso molto solenne, un elegante endecasillabo.

Prima il verbo, poi l’aggettivo e infine il soggetto (valore).

Il valore degli italiani infranse/distrusse infine che cosa? Le truppe e l’armi dell’Impiccatore, termine con cui i patrioti italiani chiamavano l’imperatore (Francesco Giuseppe morto nel novembre 1916).

E tacque il Piave, si placaron l' onde

Questi ultimi versi sono particolarmente significativi.

Una volta che le Alpi erano ormai sicure, che le sponde (Adriatico) sono ormai libere, il Piave tace. Il Piave ha finito di guidare gli italiani alla resistenza contro il nemico.

Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi
La Pace non trovò né oppressi né stranieri

I torvi imperi (austro-ungarico, tedesco, impero ottomano). Erano nostri alleati fino a pochi anni prima. Adesso sono definiti torvi; "torvo" significa minaccioso (esprime astio o malanimo, minaccia o diffidenza, riferito allo sguardo o all’espressione del volto). Qui è riferito ai nemici.

La pace non trovò stranieri? Dal punto di vista degli abitanti di alcune zone, ad esempio il nostro Alto Adige (o Sud Tirolo) è una zona a stragrande maggioranza di popolazione di lingua e cultura tedesca. Dal punto di vista italiano, non ci sono stranieri lì!

Non ci sono oppressi? Magari…la pace trova oppressi dal punto di vista socio-economico, trova vecchie questioni mai risolte (ad esempio la questione agraria), sta per iniziare un periodo di tensione sociale ed economica che poi sfocerà nell’affermazione del fascismo.

Una reinterpretazione di fatti storici

La leggenda del Piave reinterpreta, dopo i fatti, alcuni avvenimenti e lo fa perché il Piave ha assunto un valore simbolico, di resistenza, di invito alla lotta contro il nemico; è un elemento capace di unire gli italiani verso uno sforzo comune, è un simbolo di identità, di appartenenza.

Il Piave è un confine simbolico, ideologico, di identità.

Il testo che ho cercato di analizzare ben rappresenta questo valore del fiume.

Grazie per la vostra attenzione.

G.V.

07 maggio 2023

DUE FRATELLI ALLA GRANDE GUERRA IN DUE ESERCITI DIVERSI

Due fratelli combattono la Grande Guerra in due eserciti diversi.
Anche a questo porta l'emigrazione italiana di fine Ottocento.
I fratelli sono Michele e Amedeo Catino, nati a Valva; sono figli di Francesco e di Nunziata Papio.
Michele nasce il 25 marzo 1882; partecipa alla Prima guerra mondiale come soldato del 26.mo Reggimento Lancieri Vercelli. Cade sul Carso il 29 giugno 1916 per ferite riportate in combattimento; riposa al Sacrario Militare di Redipuglia (Gorizia).
Amedeo  è nato due anni prima, il 21 gennaio 1890. 
A sedici anni, emigra negli Stati Uniti, dove arriva il 15 ottobre 1906, a bordo della nave Moltke; è diretto a Torrington, una città del Connecticut che i lettori del nostro blog già conoscono: è infatti la città della famiglia di Antonio Porcelli, di cui abbiamo parlato ricostruendo la vicenda del soldato Henry.
Nei documenti, troviamo un segno particolare di Amedeo: scar of forehead (una cicatrice sulla fronte). Dichiara di raggiungere Concetta Feniello (ma la lettura del nome non è agevole).

Nell'esercito statunitense
Amedeo si arruola nell'esercito americano e il 31 agosto si imbarca da Hoboken, diretto in Francia.

Dichiara che la persona da contattare in caso di emergenza è Concetta Feniello, definita aunt, zia.

La nave che la marina statunitense utilizza per il trasporto delle truppe in Europa nel corso della Grande guerra è un transatlantico di fabbricazione tedesca con un  nome significativo:  Leviathan.

La nave Leviathan; foto Alamy

Il trasporto durante la pandemia di Spagnola del 1918 risulta una pagina tragica. Ecco come lo descrive Wikipedia:

Durante la pandemia della Spagnola del 1918, la Leviathan partì per la Francia da Hoboken in New Jersey con a bordo novemila soldati: all'arrivo a Brest, una settimana dopo, i malati erano circa duemila e si erano avuti novanta decessi; negli scompartimenti del "Leviathan" [...] "lo spazio tra i letti a  castello era così ridotto che le infermiere non potevano evitare di lasciare le loro impronte insanguinate tra l'uno e l'altro"; con i letti più alti inutilizzabili dai malati, "gli uomini, semicoscienti, furono sistemati sui ponti, che presto diventarono scivolosissimi a causa del sangue e del vomito". Quando approdò nel porto della Bretagna, il Leviathan appariva "una nave della morte".  

Amedeo Catino è assegnato al 59.mo Pionier Infantry Regiment, col grado di soldato. Il suo è un reggimento di fanteria istituito nel 1917 e assegnato alla 4a divisione di fanteria in Francia.
In Francia, Amedeo Catino combatte a Verdun; una nipote ricorda che i gas respirati in guerra gli avevano provocato problemi di salute. 
Questa informazione troverebbe conferma nella richiesta avanzata nel 1939 da Amedeo, testimoniata in questo documento, una richiesta di indennizzo per i veterani, presentata nel maggio 1939 (quando risulta residente a Philadelphia):


Da un altro documento leggiamo effettivamente che Amedeo è wounded in action: espressione utilizzata per i soldati feriti in combattimento.
Il 21 luglio 1919 parte da Brest, in Bretagna, e rientra negli Stati Uniti. Concetta Feniello è ora indicata come sister, sorella.

Amedeo Catino eserciterà la professione di barbiere fino a quando rientrerà in Italia.
Morirà a Valva nell'aprile 1971.

Approfondimento
Non abbiamo ancora individuato con certezza la signora Concetta Feniello; il cognome dovrebbe essere quello del marito, che nei documenti americani risulta come Charles ma verosimilmente si sarà chiamato Carmine. 
Carmine Feniello è nell'elenco dei valvesi che il 17 febbraio 1924 partecipano a Newark alla serata di raccolta fondi per costruire il monumento valvese ai caduti per la patria.


Per un approfondimento sul tema della guerra combattuta con divise diverse si veda anche il post La divisa nella quale combattere.


P.s. Documents are taken by www.ancestry.com.

G.V.

04 maggio 2023

IN MEMORIA DI GIUSEPPE FENIELLO

In memoria di
GIUSEPPE FENIELLO 
1923-2023

ultimo reduce valvese della Seconda Guerra Mondiale 


Hanno l'impercettibile sussurro, 
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.

Giuseppe Ungaretti, Non gridate più



Soldato della Seconda Guerra Mondiale
10° Reggimento genio-marconisti di Santa Maria Capua Vetere
catturato in Africa Settentrionale il 6 aprile 1943
prigioniero degli inglesi fino al 9 agosto 1946
rientrato a casa il 20 settembre 1946

Giuseppe Feniello nella festa del suo centesimo compleanno

Al signor Giuseppe Feniello il blog la ràdica ha dedicato alcuni post e un eBook:


Le nostre sentite condoglianze ai familiari tutti.

01 maggio 2023

UNA SOCIETA' OPERAIA PIANGE I SUOI CADUTI NELLA GRANDE GUERRA

A Valva c'è una lapide che forse nessuno legge perché posta in alto e ormai non più chiarissima. 

Non sono insoliti il tono e il lessico -caratteristici delle epigrafi del periodo- ma certamente la firma merita una riflessione.

Ecco il testo: 

foto di Maria Rosaria Feniello

PUGNANDO DA FORTI

PER LA LIBERAZIONE DEI SACRI CONFINI

PEL TRIONFO DEI DIRITTI PIU' SACRI DELL'UOMO

CADDERO

BENEDICENTI AL DOVERE

CONDANNA IMPERITURA DELLA BARBARIE TEUTONICA

CATINO MICHELE - MARCIELLO ANTONIO

TORSIELLO ANTONIO-TORSIELLO PASQUALE

LA SOCIETA' OPERAIA INDIPENDENTE

FIERA DI AVERLI AVUTI TRA I SOCI

NE ETERNA IL NOME E LA GLORIA

1915-1918

Dunque anche a Valva esisteva una società operaia.

Queste associazioni si diffondono nella seconda metà dell'Ottocento, con diversi scopi: il mutuo soccorso in caso di malattia e di inabilità permanente al lavoro (una prima forma di welfare, come diremmo oggi), la creazione di cooperative per l'acquisto di prodotti e mezzi per l'agricoltura, la promozione dell'istruzione e dell'educazione dei soci, con iniziative culturali.

Il mutuo soccorso è una forma di solidarietà che potremmo definire dal basso: i soci versano una quota, che garantisce loro un sussidio in caso di malattia, invalidità o morte.

Solo lentamente lo Stato unitario attua delle riforme in campo sociale, recependo sempre di più le funzioni assolte dalle Società di Mutuo Soccorso: si pensi alla Cassa Nazionale di Assicurazione contro gli infortuni (1883) e alla Cassa Nazionale di Previdenza per invalidità e vecchiaia (1898); nel 1910 viene inserita una sezione dedicata alla maternità e nel 1912 nasce l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni.

Possiamo considerare queste società anche come una prima forma di sindacato. In occasione della Grande guerra, esse si mostrano generalmente non interventiste; negli anni del conflitto si prodigano nell'assistenza alle famiglie dei soldati.

Non abbiamo ancora trovato informazioni sull'associazione valvese, ma è certamente significativo che anche nell'Alto Sele ci fossero società operaie; la ricerca va dunque estesa agli altri comuni della Valle.

I soldati citati nell'epigrafe

Ecco alcune informazioni sui quattro soldati citati nell'epigrafe.

Catino Michele di Francesco, nato il 25 marzo 1882; soldato del 26.mo Reggimento Lancieri Vercelli, caduto sul Carso il 29 giugno 1916 per ferite riportate in combattimento; riposa al Sacrario Militare di Redipuglia (Gorizia). Torneremo a occuparci di lui, perché abbiamo scoperto che suo fratello Amedeo ha combattuto la Grande guerra nell'esercito americano (in Francia).

Marciello Antonio di Michele e Torsiello Filomena, nato il 30 dicembre 1883, pastore (altre volte compare come contadino); soldato del 238.mo Reggimento Fanteria, morto il 19 giugno 1917 sul monte Forno per ferite riportare in combattimento. 

Il 238.mo Reggimento Fanteria "Grosseto" ha preso parte alla battaglia del monte Ortigara, combattuta dal 10 al 29 giugno 1917 sull'altopiano dei Sette Comuni e conclusasi con la ritirata italiana. Nell'attacco al monte Forno il Reggimento "Grosseto" e il 214.mo Reggimento persero quasi 1500 uomini, praticamente senza avanzare [Wikipedia].

Torsiello Antonio di Francesco e Spatola Filomena, nato il 30 dicembre 1891, falegname; soldato del 112.mo Reggimento Fanteria, morto il 18 giugno 1916, in un ospedale campo, per ferite riportare in combattimento.    

Torsiello Pasquale di Domenico, nato il 1 dicembre 1888, soldato del 7.mo Reggimento Fanteria, morto il 28 ottobre 1918 in un ospedale da campo per ferite riportate in combattimento. 

G.V.

25 aprile 2023

SONO DI NUOVO UN UOMO E NON PIU' UN NUMERO

Mentre nell'aprile 1945 si compiva la liberazione italiana dal nazifascismo e dall'occupazione tedesca, altri italiani ottenevano la libertà, in Germania.

Uno di quest è Giovanni Milanese, sottotenente internato militare prima a Siedlce (in Polonia), poi a Bramekford e infine, dal novembre 1944, nel campo di Wietzendorf, un campo in cui è attestata la presenza di alcuni internati illustri, come lo scrittore Giovannino Guareschi e il futuro segretario del PCI Alessandro Natta.

Campo di Wietzendorf; fonte

La gioia incontenibile, poi il timore che tutto sia un'illusione o una manovra dei tedeschi, il sentirsi sospesi in una situazione di incertezza: sono molti gli stati d'animo che Giovanni Milanese vive nelle ultime due settimane dell'aprile del 1945 che porteranno alla liberazione del campo di Wietzendorf.

Possiamo seguire i sentimenti e le attese del militare prigioniero leggendo le parole del suo diario, pubblicato dall'editore Palladio con il titolo di Frammenti di storia.

Vi presentiamo alcuni brani relativi ai giorni della liberazione del campo. In queste pagine emergono la mitezza di Giovanni Milanese e la sua lucidità nel descrivere alcune situazioni, pur caotiche; non manca un tentativo di analizzare il futuro dell'Italia e dell'esercito.

13-4-45 
E' la più bella giornata della mia vita. I tedeschi se ne sono andati. Siamo soli.  
Vorrei scrivere tante cose, ma la gioia e l'emozione me lo impediscono. Vorrei vestirmi a festa, ma non posso farlo perché sono ridotto a brandelli. 
Ci si incontra e ci si bacia. 
Iddio ci ha fatto la grazia. Dia lodato. Oggi è venerdì. 

16-4-45  
[...] Ordine del giorno della liberazione del Col. Pietro Testa comandante del Campo Italiano.  
Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani del Campo di Wietzendorf. 
- Siamo liberi-. 
Le sofferenze di 19 mesi di un internamento peggiore di mille prigionie sono finite.
Siamo degni di ricostruire
Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani ricordiamo i morti di stenti ma fieri nelle face sparute, sotto gli abiti a brandelli, con una fede inchiodata alta come una bandiera.  
Salutiamo la Patria che risorge, che noi dobbiamo far risorgere.
W il Re. W l'Italia. W le Nazioni alleate.
Ten. Col. Pietro Testa.

18-4-45
Qui non si può essere mai  sicuri di niente. Solo nell'aiuto di Dio bisogna sperare ed io in quello fido moltissimo.
[...] Quindi noi siamo ancora completamente nelle mani dei tedeschi, sebbene non sorvegliati.
In questi giorni si sta mangiando moltissimo.

Milanese aggiunge che quasi tutti nel campo hanno la diarrea; anche lui è stato male per una scorpacciata di patate. Ritiene un bene non tornare a casa subito perché, con tutta la fame che hanno, rischierebbero di morire mangiando con avidità "roba di sostanza e condita".

19-4-45
Stanotte si son sentiti molti colpi in giro, però gli inglesi ancora non si vedono.
Ho riavuto con gran piacere la tessera ferroviaria.
[...] Son molto preoccupato per la stasi di questi giorni. Sembra già tutto finito. Invece!...
Siamo ancora fra "coloro che son sospesi".
Voglia Iddio che un giorno di questi non ci riservi la sgraditissima sorpresa di vederli ritornare nel campo.  

21-4-45
Stamattina presto c'è stato il rapporto.
Domattina alle 7 si parte. Il col. Duluc fu chiamato ieri sera dal col. tedesco, comandante del settore di combattimento, il quale gli comunicò che dovevamo partire per andare dagli inglesi.
E' mai possibile? Io non ho mai capito niente in questa guerra, ma ora si raggiunge il limite del credibile.
Al comando ci assicurano che realmente si va dagli inglesi. Che i tedeschi non giochino uno dei loro soliti tiri? [...]
Io in questi giorni non sto vivendo più.
Madonna mia aiutami. 

22-4-45
Che giornata meravigliosa!
Tutti i miei dubbi sono risolti.
Alle 9,13 abbiamo varcato l'ultima porta del reticolato, alle 11,50 abbiamo attraversato la prima linea (c'è stata una tregua per farci passare) ed abbiamo trovato gli autocarri alleati che ci hanno trasportati a Bergen.
Alle 16 circa siamo sistemati nelle villette requisite dove troviamo di tutto: farina, latte, birra...insomma tutto.
Anche scatole di carne, ciliegie allo spirito.
Finalmente son sicuro di essere libero.
Sono di nuovo un uomo e non più un numero. 
Molti si sono dati alla razzia insieme ai russi e francesi. Rompono tutto nelle case: piatti, bicchieri, lampadari.

Gli ormai ex prigionieri vengono alloggiati in abitazioni requisite; alcuni mangiano con imprudente voracità quello che trovano (subendone conseguenze intestinali), altri si danno ad atti di vandalismo e di razzia, ma non Giovanni Milanese, che condanna con decisione questi comportamenti.

In particolare, Milanese parla di "orde di russi" che rubano tutto; considera queste bande "il castigo peggiore che Iddio ha voluto dare al popolo che ha sconvolto con una guerra inutile e disumana tutto il mondo". 

Nei giorni seguenti aggiunge che anche francesi e italiani si sono dati alle razzie e rivela "Io odio per natura i tedeschi, ma questa situazione mi fa tanto male". Confessa inoltre: "Visto che l'unico a non mangiare bene sono io, anch'io ho preso qualcosa nei limiti della mia coscienza".

Particolarmente interessante le riflessioni che Milanese affida alla pagina del 29 aprile:

Ci vorranno molti anni per rifare l'esercito italiano, in particolare la classe degli ufficiali.
Ci sono fra noi dei colleghi che forse starebbero bene in una stalla. In quattro hanno aggredito un camion che trasportava latte per i francesi, asportando qualche bidone. Un ufficiale di marina raccattava mozziconi nella piazza principale del paese. Un altro si lavava il viso in uno scolo di fognatura.

Il primo maggio torna a Wietzondorf e con tristezza nota che dalle case requistite i soldati italiani arrivano ai camion trascinando carrettini, carrozzelle per bambini e bagagli di ogni genere. Commenta amaro e profetico:

Forse sarà anche naturale in un paese d'occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna.
Bisogna rifare l'Italia, ma prima c'è da forgiare l'italiano nuovo.

Qualche giorno più tardi, scrive parole molto dure:

Penso con terrore all'Italia di domani.
Penso quello che sarà quando rientrerà la massa dei nostri soldati abituati ora a predare, a mangiare a crepapelle senza lavorare.
Quando invece saranno costretti a lavorare e sodo per mangiare un tozzo di pane, cosa succederà?
Io sono sicurissimo che molti non vorranno sottostare a quella che è una legge più che umana, divina: lavorare per mangiare.
Prevedo che la massa aderirà all'idea comunista.

G.V

Approfondimento
Al diario di Giovanni Milanese, Frammenti di storia- Diario di guerra e di prigionia 1943-1945, Principato, abbiamo dedicato i seguenti post:


24 aprile 2023

IL GIORNALE PARTIGIANO STAMPATO IN UN SANTUARIO

Si intitolava RINASCITA D'ITALIA, era il foglio di informazioni dei partigiani del cuneese, chiamati sempre "patrioti".

Il giornale esce dal 20 luglio al 20 ottobre 1944, su iniziativa di don Giuseppe Bruno (noto come "il prete dei partigiani") e dei fratelli Bassignana, tipografi di Mondovì.

I primi nove numeri sono stampati nel santuario di Santa Lucia a Villanova Mondovì, dove i partigiani si nascondono nel sottotetto, protetti dalle suore.

Il giornale riporta notizie sulla guerra in generale e sulle attività dei "patrioti" della provincia di Cuneo, avvisi, una rubrica di consigli medici, barzellette.

Gli ultimi quattro numeri sono composti presso il rifugio Mettolo Castellino al Pian della Tura.

Il 20 ottobre esce un'edizione straordinaria, che però non viene diffusa: è costituita da un unico articolo intitolato "Risposta anticipata", che fa esplicito riferimento a un testo di un settimanale fascista sottratto dal Servizio segreto della divisione partigiana.

Nei mesi successivi, i rastrellamenti nazifascisti impediscono altri numeri del giornale. 

Il nostro blog si occupa con particolare attenzione delle vicende dei partigiani del cuneese perché un soldato valvese, Michele Cecere, ha partecipato alla lotta di liberazione in Valle Ellero, dal luglio 1944 al giugno 1945, ricevendo il riconoscimento della qualifica di "partigiano combattente".

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PICCOLA ANTOLOGIA

I brani dii Rinascita d'Italia che vi presentiamo vengono dal progetto Stampa clandestina, dell'Istituto Nazionale Ferruccio Parri.

Qui trovate il link al sito, dove potete leggere i numeri della rivista e le schede a cura dell'Istituto.

Vi proponiamo un percorso antologico, scegliendo alcune pagine che ci sembrano particolarmente significative.

Partiamo dalla testata:

Nel foglio dei "patrioti" troviamo notizie sulle attività dei partigiani; ecco un esempio:

Numero 2, 27 luglio 1944
La guerra purtroppo porta violenza: senza molti giri di parole, il giornale testimonia la pratica della "pelatura" delle donne che collaboravano con i nazifascisti. 

In questo avviso, si affronta il problema dell'approvvigionamento di materiale e di viveri e si cerca di rassicurare i contadini:

Numero 1, 20 luglio 1944
Non mancano testi finalizzati a motivare i patrioti; ecco un esempio:
Numero 1, 20 luglio 1944
Interessante la presenza della preghiera dei patrioti (non dimentichiamo che molti numeri del giornale sono stati stampati in un santuario e che tra i promotori c'è un sacerdote):

Numero 3, 3 agosto 1944

Tra i consigli medici, quelli su come comportarsi in caso del morso di una vipera, come proteggersi dagli sbalzi di temperatura in montagna o come fare un soccorso d'urgenza.

Rami d'arancio tra le stelle alpine

C'è spazio anche per le notizie più leggere, che sembrano quasi un tentativo di tornare alla normalità, come questa che riguarda il  matrimonio di un partigiano, in montagna:

Numero 9, 14 settembre 1944

Partigiani come damerini

Troviamo anche notizie che mostrano una certa spavalderia, non senza autoironia:

Numero 2, 27 luglio 1944

Nota linguistica: gagarone è l'accrescitivo, ormai desueto, del termine gagà, una voce onomatopeica che dopo la Grande guerra era utilizzata sui giornali umoristici per indicare un giovane fatuo, che ostenta un'affettata eleganza nel parlare e nel comportarsi.

Quassù è la vera Italia

Ecco l'articolo dal titolo Un giorno con voi (numero 8); oggi lo chiameremmo un reportage in una zona controllata dai partigiani. 

Il tono si fa più solenne, con riferimenti alla vittoria finale presentata epicamente come calata dalle montagne. 
La conclusione è quasi mistica, con i patrioti che sentono la voce dei defunti che ricorda loro il sacrificio di chi è caduto e giurano di seguirla:
Numero 8, 7 settembre 1944
Attività partigiana nelle valli Ellero e Corsaglia

Nel numero 13 della rivista, pubblicato il 19 ottobre, troviamo alcune interessanti notizie sulle attività partigiane nelle valli Ellero e Corsaglia. 

Sono le valli in cui ha combattuto Michele Cecere, ma possiamo ipotizzare che in questi giorni fosse prigioniero delle brigate nere di Cuneo. Non possiamo però affermarlo con certezza, perché conosciamo solo la data della sua liberazione (25 novembre).


Numero 13, 19 ottobre 1944

Ecco un esempio di come avvenivano gli scambi di prigionieri:

Numero 9, 14 settembre 1944

Nel Dizionario della Resistenza (Torino, Einaudi) leggiamo che ogni partito del Comitato di Liberazione Nazionale ha un suo periodico, stampato e distribuito in clandestinità grazie alle staffette. Ci poi pubblicazioni, spesso anche di un solo numero, prodotte dalle stesse formazioni partigiane e ad esse destinate. Le pubblicazioni clandestine non possono avere una periodizzazione regolare; è significativo il sottotitolo di una di esse: "Esce quando può e come può". Le tecniche di stampa sono legate alle circostanze e alle possibilità; praticamente, manca sempre tutto: carta, ciclostili, inchiostro, spazi sicuri.

G.V.

Approfondimento

Ecco i nostri post dedicati alla Resistenza:

23 aprile 2023

MICHELE, PARTIGIANO CATTURATO DAI FASCISTI

Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l'avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com'è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì si sentì investito [...] in nome dell'autentico popolo d'Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell'uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra.
                                                      Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny 

Sembra davvero pronto a piegare il vento e la terra come scrive Fenoglio,  Michele Cecere, mentre guarda con fierezza un po' sbarazzina il fotografo.

Come abbiamo raccontato nel post Il partigiano di Valva, il signor Michele non amava parlare delle due vicende di soldato e di partigiano.

Con l'ausilio dei documenti, ne possiamo ricostruire l'attività di partigiano in Piemonte, in provincia di Cuneo.

Dopo l'8 settembre 1943, Michele Cecere in fuga dalla Francia trova ospitalità presso una famiglia "borghese" a Pianfei.

Nell'estate del 1944, inizia la sua attività di partigiano, con il nome di battaglia Michele.

Nell'Archivio dei Partigiani d'Italia troviamo la sua scheda, che dimostra che gli è stata riconosciuta la qualifica di partigiano combattente:

Scheda tratta dal sito Partigiani d'Italia

Sappiamo che è stato fatto prigioniero dalle brigate nere fasciste. Certamente non amava parlare della sua prigionia, dunque possiamo fare solo delle ipotesi sulla scorta dei pochi elementi che abbiamo a disposizione.

Da questo documento leggiamo la data in cui è stato liberato: 

Scheda tratta dal sito Partigiani d'Italia

Possiamo ipotizzare che la liberazione sia avvenuta in uno scambio di prigionieri.

Quasi compaesani

L'Istituto piemontese per la storia della Resistenza ha calcolato che ottomila partigiani combattenti, patrioti e benemeriti provenienti dal Sud Italia hanno svolto attività durante la lotta di Liberazione in Piemonte. 

Leggiamo che nella Brigata Valle Ellero dal 15 novembre 1944 al 7 giugno 1945 ha combattuto anche un partigiano di Caposele (Av): Gherardo Cetrullo, classe 1914, barbiere; risulta anche ferito.

Il Monumento alla Resistenza di Cuneo riproduce un'esplosione di un cristallo,
che guarda in direzione di Boves, luogo della prima strage compiuta nell'Italia occupata dai tedeschi; fonte

Approfondimenti 

La strage di Pianfei

Nell'operazione di rastrellamento delle Valli Pesio, Ellero, Vermenagna, Briga Alta, il 12 aprile 1944 a Pianfei vengono uccisi tre uomini (contadini, uno dei quali quindicenne). Sono i giorni di uno degli scontri più gravi della lotta di Liberazione nelle valli della provincia di Cuneo, tra i partigiani e la Wehrmacht tedesca.
Dai documenti, risulta che Michele Cecere a questa data non ha ancora intrapreso la lotta partigiana. Nell'estate del 1944 il movimento partigiano si allargherà in tutte le valli cuneesi e anche Michele inizierà la sua lotta.

Le commissioni per le qualifiche dei partigiani

Dopo la guerra vengono istituite delle commissioni regionali con il compito di accertare e riconoscere le qualifiche ai partigiani. Sono previsti i seguenti gradi: "partigiano combattente", "caduto per la lotta di liberazione", "mutilato o invalido", "patriota".

Viene riconosciuta la qualifica di "partigiano combattente" a coloro che a nord della linea Gotica, hanno militato per almeno tre mesi in una formazione armata partigiana o gappista regolarmente inquadrata nelle forze riconosciute e dipendenti dal C.V. L. e che abbiano partecipato ad almeno tre azioni di guerra o di sabotaggio. Il grado di "patriota" viene riconosciuto a tutti coloro che, avendo i requisiti previsti per i "partigiani", hanno militato nelle formazioni partigiane o collaborato con esse per un periodo inferiore a tre mesi.

G.V.