06 novembre 2023

IO AMO LA VITA: I RICORDI DI ZIA ROSINA

IO AMO LA VITA
intervista di Lucia Farella

Io amo la vita è il ricordo della guerra di una bambina di 9 anni, Rosa Torsiello, vedova Valletta, oggi ultranovantenne, una signora elegante nei modi e nel portamento.                

Zia Rosina, cosa ricordi della guerra?     
Ero una bambina di nove anni, ricordo che sentivo e vedevo gli aerei volare basso, mio padre diceva che erano aerei tedeschi. Abitavo con la mia famiglia in località Piano dei salici. Ogni volta che li sentivo quando ero all'aperto mi nascondevo sotto agli alberi dalla paura. 
Quando avete capito che bisognava scappare?
Un giorno ero sola in casa perché il resto della famiglia era nei campi. Quando sentii il rumore degli aerei sempre più vicino corsi a nascondermi in soffitta, scesi solo quando non li sentii più; al rientro mio padre disse che era arrivato il momento di scappare e di andare a nasconderci in montagna: così andammo ad Acquafredda

Acquafredda, foto di Valentino Cuozzo

Cosa avete portato con voi?
Prima di lasciare la nostra casa i miei genitori scavando un grande fosso, poco distante da casa, ci nascosero quello che avevamo.
Ricordo una macchina da cucire Singer (mia madre con quella ci cuciva gli abiti, anche la biancheria intima), il corredo, alcuni viveri, poi ricoprirono tutto con la terra. Poi raccolsero tutto il bestiame, caricarono l'asino con i viveri da portare e partimmo, le bestie davanti, le pecore, le mucche e all'incirca più di venti tacchini, non ricordo se portammo anche le galline e noi dietro con l'asino. 
Come vi siete organizzati in montagna?
Quando arrivammo ad Acquafredda mio padre arrangiò una capanna e lì siamo stati, non ricordo per quanto tempo, ricordo solo che era estate, per fortuna. Eravamo in molti, era come un paese, altri erano più sopra, presso il Sierro delle rose, ricordo che per prendere l'acqua alla fontana bisognava fare la fila.
La fontana di Acquafredda; foto di Valentino Cuozzo
Quando finivano i viveri necessari, i grandi scendevano in paese a recuperare qualcosa, compreso quello che lasciavano gli americani presso località Bosco. Scatolette, pane scuro, pasta e il rancio (delle scatole più grandi delle scatolette con dentro carne mista) e poi le caramelle! E noi a vederle, io e la mia sorella gemella che purtroppo è morta qualche anno fa (qui la signora Rosa si ferma un poco, il suo volto si rattrista)... abbiamo provato tanta gioia. 

Cappellina dedicata alla Madonna, Sierro delle rose;
foto di Valentino Cuozzo
Zia Rosina, come erano quelle caramelle? Buone? 
Magnifiche! Le abbiamo divise io e mia sorella, gli altri fratelli erano tutti più grandi. Dopo che passarono gli americani siamo tornati a casa, abbiamo sistemato e recuperato la roba sottoterra. 
Ricordo che passavano gli sfollati, persone scappate dalla guerra, brave persone, qualcuno rimase per un periodo a garzone presso famiglie di Valva.
Parlavano una lingua che non comprendevo. 
Questo è  tutto quello che ricordo...       
Vorrei chiederti una considerazione su quello che hai vissuto, anche pensando a quello che sta succedendo oggi nel mondo..
Abbiamo patito tanto, c'era tanta miseria, ma abbiamo reagito e siamo andati avanti, fino ad oggi, spero che queste guerre finiscano e che nessuno possa più patire...
Valva, 2 novembre 2023

Post scriptum
Due parole sul titolo.
Lo ha scelto Lucia: le è sembrato quello giusto per riassumere le lezioni di saggezza che le dà la signora Rosa, che spesso conclude i suoi racconti dicendo: "Io amo la vita".
Amare la vita, anche nelle difficoltà, nel pericolo, nella fuga per mettersi in salvo.
Amare la vita e ricominciare. Sempre.


Un abbraccio alla signora Rosa e un doveroso ringraziamento a Lucia Farella, autrice dell'intervista.
G.V.



04 novembre 2023

UN EROE CITTADINO D'ITALIA -Il Milite Ignoto

Dopo la Grande Guerra, molti Paesi scelsero una sepoltura simbolica per rappresentare tutti i caduti in guerra: il Milite Ignoto.
In Italia, l'idea della sepoltura solenne di un soldato non identificabile venne proposta dal generale Giulio Douhet, che scrisse:

Nel giorno in cui la sacra Salma trionfalmente giungerà al suo luogo di eterno riposo, in quel giorno tutta l'Italia deve vibrare all'unisono, in una concorde armonia d'affetti. [...] Tutti i cittadini debbono far ala alla via trionfale, unendosi in un unanime senso di elevazione ideale nel comune atto di reverenza verso il Figlio e il Fratello di tutti, spentosi nella difesa della Madre comune.    

Il Dovere, 24 agosto 1920; fonte


Il ministro Guerra Giulio Rodinò presentò un disegno di Legge intitolato "Onoranze al soldato ignoto".
Lo presentò con queste parole:
[...] benché non individuato da nessun nome, una qualsiasi di quell salme, scelta a caso fra quella muta e inerte folla ignota, ha la virtù di un simbolo e di un monito; perché rappresenta da sola l'eroismo del soldato italiano che con la propria morte, con la soppressione della propria individualità, ha contribuito ad assicurare la vita ed il prestigio della Patria, ad imporre il nome di essa al rispetto ed all'ammirazione del mondo.                                                    fonte
La legge 11 agosto 1921, n. 1075, stabilì la sepoltura in Roma, sull'Altare della Patria, della salma di un soldato ignoto caduto in guerra; ecco cosa prevedeva l'articolo 1:
II 4 novembre 1921, nel terzo compleanno della Vittoria, alla salma non riconosciuta di un soldato caduto in combattimento nella guerra 1915-1918, sarà data, a cura dello Stato, solenne sepoltura in Roma sull'Altare della Patria. 
Dopo l'approvazione della legge, il Ministero della guerra nominò una commissione che scelse undici salme, una per ognuna di queste zone: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, tratto da Castegnevizza al mare. 
I corpi vennero trasportati nella basilica di Aquileia.
La scelta della salma venne affidata a Maria Bergamas, una donna il cui figlio era disperso in guerra.

Maria Bergamas era di Gradisca d'Isonzo (che apparteneva all'impero austro-ungarico). Suo figlio Antonio, arruolatosi sotto falso nome nell'esercito italiano, era caduto in combattimento nel 1916. Successivamente, un tiro di artiglieria sconvolse l'area dove era stato sepolto e, non potendosi più riconoscere la sepoltura, il soldato fu dichiarato disperso.
Nella solenne cerimonia del giorno 28 ottobre 1921, la donna scelse il decimo feretro, sul quale si lasciò cadere.
La bara prescelta venne caricata su un affusto di cannone, che poi venne collocato su questo vagone ferroviario:

Il convoglio ferroviario si mosse sulla linea Aquileia-Venezia-Bologna-Firenze e giunse a Roma il 2 novembre.
Al passaggio in ogni stazione si assiste a una commossa partecipazione popolare.
Così scrive il corrispondente del Corriere della sera, il 30 ottobre:

[...] dove il treno passava rapido, gruppi fermi ai passaggi a livello salutavano, agitando i fazzoletti. Pareva che salutassero un essere caro tanto atteso.

Il 4 novembre 1921 il Milite Ignoto fu tumulato all'Altare della Patria.

Gli venne concessa la medaglia d'oro, con questa motivazione:

Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglia e cadde combattendo senz'altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria.

In occasione del centesimo anniversario del Milite Ignoto, oltre tremila comuni italiani gli hanno conferito la cittadinanza onoraria. 


G.V.

03 novembre 2023

UN EBOOK DEDICATO AI CADUTI IN GUERRA

In occasione della ricorrenza del 4 Novembre, il blog "la ràdica" ha realizzato un eBook dedicato ai Caduti in guerra valvesi.

Eccolo: 👉clicca qui:


Alcuni suggerimenti

Per una visualizzazione ottimale, è preferibile utilizzare il computer.

Si può scegliere di visualizzare le pagine in coppia, in questo modo:

Ecco, ad esempio, come si visualizzerà la dedica:

Indice dell'eBook

Pima Guerra Mondiale 1915-1918

Dispersi
Caduti 
Ufficiali caduti sul campo
Soldati caduti sul campo
Soldati morti per la guerra

Seconda Guerra Mondiale 1940-1945

Caduti e dispersi

La guerra dei soldati valvesi- Cronologia

1915
1916
1917
1918
Dopo il 1918

Ci sono link a post del blog "la ràdica" e foto

Ci sono anche video

Approfondimenti

Valmorbia [Eugenio Montale]
La leggenda del Piave [E.A.Mario] testo e analisi
Quel mazzolin di fiori testo e analisi

Testo, foto, audio

Buona lettura, buon ascolto, buona visione.

G.V.


02 novembre 2023

IL SOLDATO TEDESCO CHE CERCAVA I "CHICCHIRICHÌ"

Con zia Maria ho un legame particolare.

Ero con lei la mattina del terremoto del 1980, a raccogliere castagne. Escludo che il mio contributo sia stato determinante per riempire il  secchio, ma mi piace credere di sì.

Ora la montagna torna, mentre mi parla di località che non ho mai sentito nominare, con nomi dialettali divertenti e suggestivi: Cierr di Pintillo, Pietra di Cantone, Chian d' Barbariell (dove c'erano molte persone, precisa). 

Nella foto di Valentino Cuozzo si intravede "Valva vecchia".
Una delle località citate da zia Maria dovrebbe essere alle sue spalle.

Sono da lei per chiederle di raccontarmi il settembre 1943 vissuto dai valvesi, tra tedeschi e americani. Aveva undici anni, compiuti proprio in quei giorni.

"Eravamo tre famiglie: la nostra e quelle delle mie zie. Mio zio Antonio Cuozzo ci portava acqua e cibo, insieme alle notizie dal paese. Dormivamo in pagliai costruiti con i 'cuorm' [steli]. Al passaggio degli aerei ci nascondevamo", racconta.

Zia Maria ricorda che alla notizia dell'arrivo degli americani scesero dalla montagna rapidamente; le più veloci furono lei e la sorella piccola, piene di entusiasmo.

Pensando che il pericolo fosse finito, a casa prepararono un bel  piatto di fusilli ma dalle colline di Oliveto Citra sentirono dei colpi di artiglieria e  andarono a nascondersi di nuovo.

Ricorda un pericolo corso da suo padre.

I tedeschi volevano requisire provviste e lo minacciavano con un fucile, intimandogli di consegnare i "chicchirichì"; erano convinti che le galline fossero nascoste nel terreno.

"Mio padre invocò San Michele, il soldato scivolò e lui riuscì a scappare", aggiunge zia Maria piena di entusiasmo: sembra quasi sorprendersi ancora, a ottanta anni esatti di distanza.

I tedeschi si accontentarono di patate, cipolle e zucche, portandole in paese. 

Per la verità, qualcosa nascosto nel terreno c'era: una cassa con i panni, che però in seguito avrebbero trovato rovinati.

Zia Maria ricorda la vicenda di Aurelio, il sedicenne morto su una mina. Ricorda due caduti in guerra: Giacomo Cuozzo, che lasciò moglie e figli, e Ottavo Fasano.

Penso a quelle giovani esistenze spezzate, una in Spagna e l'altra in Africa, come a promesse non mantenute dalla vita.

Penso che fino a quando ci sarà qualcuno in grado di ricordare il giorno in cui un soldato è tornato dalla guerra o dire "erano tutti bassi quei fratelli", il passato non sarà passato del tutto e continuerà a essere radice del presente.

È l'ennesima lezione che ricevo da zia Maria. 

Un cerro ("quercus cerris"); fonte

Un cordiale ringraziamento alla figlia Michelina Mastrolia.
G.V.





 

30 ottobre 2023

UN TRATTO DI LAPIS BLU SULLA STORIA DI GIUSEPPE, CADUTO PER QUOTA 144

Un tratto di lapis blu sul foglio matricolare e l'aggiunta, secca e definitiva: morto.

Archivio di Stato di Salerno, Fogli matricolari 1893
Leggo che Giuseppe è autorizzato a fregiarsi della medaglia interalleata della vittoria. Quando però gli viene concesso questo onore, il giovane fante è già caduto in combattimento sul Carso, a Quota 144, davanti al lago di Doberdò.
Lago di Doberdò; foto tratta dal sito del comune di Doberdò del Lago-Doberdob

Allora l'aggiunta mi sembra avere una involontaria ma sinistra ironia; certo, mi spiegano che il riconoscimento serviva alla famiglia, ma questo non addolcisce l'amaro dell'impressione che questa morte porta con sé. Se penso che il nome di Giuseppe Del Buono manca nella banca dati del Ministero e che il suo cognome non esiste più nel suo paese, mi viene da pensare come Ungaretti: forse solo io so che visse. 

Non voglio che sia così e allora ritengo doveroso tentare di ricostruirne la storia, partendo da quel foglio sfregiato.

Giuseppe è biondo, di colorito roseo e ha una cicatrice. È un contadino, non sa leggere né scrivere. Di lui ci è giunto il nome della madre, Nicolina, che lo ha messo al mondo nell'aprile 1893.

Alla vigilia del suo ventesimo compleanno, è lasciato in congedo illimitato, ma è richiamato alle armi il 22 maggio 1915, alla vigilia della dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria.

Giunge in territorio dichiarato stato di guerra l'11 agosto 1915 e successivamente raggiunge il deposito rifornimento uomini del 2° Reggimento Fanteria, il 28 agosto.

A settembre è assegnato al 145 Reggimento Fanteria mobilitato e vi giunge il 19.

Esattamente un anno dopo, il 28 settembre 1916 muore in combattimento.

Cerchiamo di ricostruire i movimenti del 145 Reggimento in questi mesi.

Il 145 e il 146 Reggimento Fanteria costituiscono la Brigata Catania.
Nei primi mesi del 1916 la brigata è dislocata nella zona carnica. Viene poi inviata a Palmanova sotto il comando della 19.ma Divisione. I due reggimenti che costituiscono la Catania vengono divisi: il 145 nel Vicentino e il 146 tra Corte di Zané e Monte Summano.
A fine giugno la brigata è incaricata della difesa della Val d'Astico e tenta di conquistare l'Altipiano di Tonezza, senza successo.
A metà luglio viene sostituita e sosta a riposo nel Vicentino. Successivamente si sposta in Trentino e subisce un periodo di riordino.
A metà settembre viene trasferita a Begliana dove il 17 agosto il 145° è nuovamente operativo sul Debeli, agli ordini della 16.ma Divisione.
Nel mese di ottobre la brigata compie azioni per conquistare Quota 144, ma subisce pesanti perdite.
Nel periodo che va dal 17 settembre all'8 novembre ("azioni per l'occupazione di Quota 144") il 145° Reggimento perde 208 uomini della truppa e 20 ufficiali, i dispersi saranno 153.

Quota 44

Il 16 settembre 1916, nel corso della Settima battaglia dell'Isonzo, la Brigata Cremona e i bersaglieri del Genova Cavalleria conquistano Quota 144. Pur difendendo la vetta nei giorni successivi, non riescono a sfruttare il successo per proseguire nell'offensiva. Gli austriaci predispongono mitragliatrici, linee di reticolati, camminamenti scavati nella roccia e riescono a resistere fino al maggio 1917 quando, con la Decima battaglia dell'Isonzo, gli italiani riusciranno a muovere la linea. 

fonte

Fanti a riposo, magri come Cristi nelle vecchie sacrestie

Ecco come L. Bartolini rievoca i giorni di "Quota 144":

Bisognava vederli i soldati che tornavano da quota 144! Se uno avesse fatto una raccolta di Cristi, i più magri che gli antiquari vanno a scovare per le vecchie sacrestie...e li avesse vestiti di sbrindellato grigio verde, sporco di terra rossastra, avrebbe resa, al vero, la scena dei fanti a riposo.

Tre valvesi

Nel 45°Reggimento, Giuseppe ha avuto almeno due compaesani, uno dei quali suo superiore: i fratelli Anacleto ed Edoardo. Anacleto è sottotenente e muore nel luglio di quell'anno, durante il tentativo di conquistare la vetta del monte Tonezza; Edoardo morirà a Valva di malattia, nel novembre 1918, poche settimane dopo la fine della guerra. Alla loro vicenda abbiamo dedicato due post:

👉Il petto contro un plotone di nemici: la morte di Anacleto, medaglia d'argento

👉Se solo poteste vincere il fato, sarete due Marcelli

G.V.

26 ottobre 2023

PASQUALE, CADUTO SULL'ALTRA RIVA DEL PIAVE

Un soldato valvese è morto nella battaglia di Vittorio Veneto. E' morto sul Piave, dopo essere riuscito ad oltrepassarlo e giungere all'agognata riva sinistra. 
Il 28 ottobre 1918 muore sul campo, per le ferite riportate in combattimento, Pasquale Torsiello di Domenico e Domenica Spiotta, nato il 1 dicembre 1888.
Pasquale appartiene al 7° Reggimento Fanteria, che insieme all'8° costituisce la Brigata Cuneo
La Brigata è impegnata sul Piave. Ecco alcune notizie relative ai suoi movimenti in quei giorni:

Nella battaglia di Vittorio Veneto la Cuneo fa parte del XXVII Corpo d'Armata: deve oltrepassare il Piave tra Onigo e Fontana del Buoro.
Il 24 ottobre mattina è riunita a ridosso della strada militare poco sotto la sommità del versante sud del Montello; a sera si attesta sulla strada sulla destra del fiume, in attesa di ripassarlo, ma le operazioni sono possibili solo la sera del 26, a causa delle avverse condizioni atmosferiche.  

Il difficile passaggio del Piave

Nella notte i fanti della Cuneo raggiungono la riva sinistra e portano il loro attacco alla linea avversaria tra Molino Pilonetto e C. Bastiani. Non è stato semplice attraversare il Piave: il ponte costruito dal XXII Corpo d'Armata è interrotto, l'artiglieria nemica colpisce furiosamente. Vinta la resistenza nemica, i fanti della Cuneo procedono verso Moriago e Mosnigo.

Ponte sul Piave; fonte

La sera del 27 ottobre la Cuneo si attesta lungo la linea Bosco Case Paludotti-pressi di Mosnigo, linea che difende nonostante i continui contrattacchi nemici e le ingenti perdite (328, di cui 19 ufficiali).  
Quella stessa sera il Comando dispone di tentare il gittamento di un ponte di equipaggio nella zona dell'Abbazia di Vidor, per farvi transitare la 51.ma Divisione, ma le mitragliatrici nemiche iniziano a battere la zona del ponte dalle alture del Vidor.  
La Cuneo rimane praticamente isolata e allora il Comando del XXVII Corpo d'Armata dà ordine alla Brigata di attaccare con la massima decisione e di conquistare a qualunque costo le alture di Vidor, per farne sloggiare il nemico e consentire la costruzione del ponte; il Comando invita inoltre il Comando della 66.ma Divisione a provvedere per mezzo di traghetti a inviare alla Cuneo munizioni e viveri, richiesti da questa con insistenza; infine, chiede al Comando Aeronautica di provvedere attraverso gli aerei al lancio di munizioni ai reparti che hanno oltrepassato il Piave.

Ponte Vidor sul fiume Piave, distrutto durante la guerra; fonte 

Nella notte tra il 27  e il 28 la Brigata tenta di concludere i lavori per il gittamento sul ponte di fronte a Vidor, ma il tiro delle artiglierie e delle mitragliatrici nemiche impone di interrompere i lavori prima dell'alba: anche nella giornata del 28 la Brigata Cuneo rimane isolata sulla riva sinistra del Piave.  Sarà vettovagliata per mezzo di stormi di aeroplani che scendono a bassa quota.
Il 28 ottobre 
Alle 11.30 inizia comunque l'azione per rioccupare Mosnigo, persa nel pomeriggio del giorno precedente. L'attacco è preceduto da un violento fuoco di artiglieria, allo scopo di interdire i movimenti nemici. La Brigata riesce a superare Mosnigo e a catturare prigionieri e cannoni; poi, contrattaccata da forze superiori dell'avversario, è costretta a ritirarsi nuovamente sul margine sud di Mosnigo e sull'allineamento di partenza Casa Rica Alta-Casa Paludotti-Mosnigo (escluso). Qui subisce un altro attacco nemico, che riesce a respingere. A questo punto il Comando dispone che l'unità non faccia ulteriori operazioni e attenda l'arrivo della Brigata "Reggio", per riprendere l'attacco la mattina del 29 ottobre. 
Il giorno dopo non sorgerà per Pasquale Torsiello. I suoi compagni riusciranno a rompere l'accerchiamento e a proseguire l'avanzata, sempre contrastata dalle retroguardie avversarie; sosterranno a Farra di Soligo dal 30 ottobre al 4 novembre 1918, ultimo giorno di guerra.
La condotta ammirevole delle truppe della Brigata Cuneo sarà premiata con la concessione alle bandiere dei due reggimenti della medaglia d'argento al valor militare.
Idealmente, la medaglia d'argento è anche per il valvese Pasquale Torsiello, caduto una settimana prima della fine della guerra.

Approfondimento

Le informazioni sulla Brigata Cuneo sono tratte da:

Ministero della Difesa - Stato Maggiore dell'Esercito, L'esercito italiano nella Grande Guerra, vol. V, tomo 2

www.frontedel piave.info

G.V.



22 ottobre 2023

LE DONNE NEGLI SCIALLI CHE CHIEDEVANO NOTIZIE ALLA MAESTRA FERNANDA

Le ricorda ancora, in fila nei loro scialli contadini.

Mentre ascolto questo racconto, mi sembra di vederle: donne della mia terra, madri e mogli di soldati che non danno notizie da tempo.

Ho il piacere di parlare con l'avvocato Michele Gaudiosi, figlio della signora Fernanda, come tutti a Valva ancora chiamano colei che è stata la maestra del paese per oltre trent'anni.

Non ho mai conosciuto la "maestra dei valvesi", ma fin da piccolo ne sento parlare; è una figura familiare, perché torna spesso nei racconti e negli aneddoti, che la memoria ha fissato perché quello che accade da piccoli è davvero importante e merita di restare. 

Fine anni Trenta-inizio anni Quaranta:
la signora Fernanda in classe; fonte

Mentre ascolto suo figlio che ne parla, per una volta mi sembra di vederla uscire dall'aula e allontanarsi dal dettato e dalla lettura, per avvicinarsi alla preoccupazione di altre donne e madri come lei.

Era corrispondente della Croce Rossa Internazionale e scriveva per chiedere notizie sui feriti e prigionieri valvesi. Aveva fatto in tempo a essere la maestra almeno dei soldati più giovani, ora le donne andavano da lei per avere notizie sui loro uomini. "Quando purtroppo arrivava una brutta notizia, mia madre andava a casa della famiglia del soldato a comunicarla", aggiunge l'avvocato Gaudiosi.

1933, davanti a Palazzo Gaudiosi un gruppo di studenti di Valva
con la divisa del corpo di appartenenza;
la maestra Fernanda ha in braccio il figlio Michele; fonte

Raccogliendo racconti sul periodo di guerra avevo già incontrato la signora Fernanda nei vicoli di Valva, mentre accompagnava i suoi scolari a fare visita alla madre di un soldato caduto in guerra. Me ne ha parlato la signora Marietta Marciello, nel post La divisa del sabato e gli ordigni bellici: la guerra della piccola Marietta.

So chi era la donna che piangeva il figlio, dovrei solo controllare nei miei appunti la data di morte del giovane soldato, che mi pare sia avvenuta in Croazia. In fondo, però, penso che non sia davvero importante essere precisi in questo momento: mi viene da immaginare la maestra del piccolo paese che va a consolare una madre che ha perso un figlio in guerra e penso a quella madre come a una sorta di figura simbolo della maternità offesa dalla violenza della guerra, a una donna che rappresenta tutte le madri che non hanno più abbracciato un figlio soldato. 

Ora i racconti del passato mi consegnano l'immagine della maestra, elegante con i suoi capelli a crocchia, che entra nelle case dei contadini per portare notizie dagli ospedali da campo e dai campi di prigionia, per leggere loro un telegramma come questo:

Segretaria del Fascio femminile, la signora Fernanda era sposata con don Balduccio (Publio Garibaldi, all'anagrafe); anche se era stato podestà per un periodo, il marito era un liberale che nutriva una notevole diffidenza verso il fascismo, tanto da rischiare caro in tempo di guerra, ascoltando Radio Londra.

In questo post abbiamo concentrato l'attenzione sulla figura della maestra Fernanda Superchi Gaudiosi. Torneremo sui racconti del figlio Michele: Valva durante il fascismo, il settembre 1943 e i rapporti con i tedeschi, l'arrivo degli americani, l'arrivo delle truppe marocchine inquadrate nell'esercito francese.

Un sentito ringraziamento all'avvocato Michele Gaudiosi per averci accompagnato in questo viaggio nel passato e alla figlia Sonia per la gentile collaborazione.
G.V.




19 ottobre 2023

LA DECISIONE SUL VOLTO DEL COMANDANTE SCUGNIZZO

Ultima puntata con l'analisi del fumetto Le avventure di Scugnizzo, disegnato da Guido Zamperoni, pubblicato nella Repubblica di Salò nel 1944 e ambientato nell'Alto Sele dopo lo sbarco di Salerno del settembre 1943. 

Il fumetto è ora presente nel sito di If Edizioni.

Abbiamo già fatto un'introduzione generale al fumetto, anche inquadrandolo all'interno della stampa per ragazzi di epoca fascista, e analizzato le prime due vignette, in cui è evidente l'influenza delle disposizioni sulla stampa e delle leggi razziali (nella rappresentazione stereotipata e razzista dei soldati americani).

Analizziamo ora le altre vignette.

3- Una forte colonna nemica percorreva la strada       4- A un certo punto la colonna nemica si divise:
statale n. 91 che da Eboli, attraverso l'Appennino        parte andò in esplorazione verso Colliano e
Napoletano, si snoda verso la vallata del fiume Sele.   Valva, mentre il grosso proseguì il suo cammino.

Il riferimento alla Statale 91 ci consente un approfondimento.

Questa statale è una strada storica del nostro territorio. Fu voluta da re Ferdinando IV di Borbone, su proposta del marchese di Valva Giuseppe Maria Valva, soprintendente di strade e ponti.

Aveva l'obiettivo di congiungere i comuni dell'entroterra campano e lucano, da Eboli ad Atella. Era chiamata la "via del grano", perché assicurava il trasporto del grano e degli altri prodotti agricoli dalla Puglia a Napoli.

Nel suo punto di inizio venne costruito un epitaffio con questa lapide.

Ecco il testo dell'iscrizione:

Durante il regno di Ferdinando IV, provvidentissimo re delle Sicilie, da questo luogo fino ad Atella dei Lucani, per circa 7 miglia, dopo aver scavato monti, livellato valli, dopo aver costruito ponti dove il cammino era interrotto dalla forza dei torrenti e dai fiumi, attraverso luoghi impervi e inaccessibili rese la strada notevole e facilitò gli scambi commerciali dispersi tra le province, sotto la guida di un uomo estremamente abile, il marchese Giuseppe Valva, intendente del re.                                                 
Anno 1797 
5- In un secondo bivio i comandanti della colonna        6-Un giovane ufficiale italiano, da un 
esplorativa tennero rapporto per fissare l'incontro      rudimentale osservatorio alle pendici del 
dell'indomani, perché parte della colonna doveva        Monte Marzano, poté seguire i movimenti
raggiungere Colliano e parte Valva.                                  delle truppe e calcolarne le forze.

Nella vignetta 6 ci sono vari elementi che contribuiscono alla celebrazione dell'eroe italico.

Un giovane ufficiale: forse l'intento è quello di dimostrare che l'educazione militare e morale ricevuta durante il fascismo ha dato i suoi frutti.

Da un rudimentale osservatorio alle pendici del monte Marzano: la situazione difficile esalta l'ingegno e stimola l'eroismo La natura si mostra alleata, pur nella difficoltà che deve essere fronteggiata.

Poté seguire i movimenti della colonna e calcolarne le forze: qui notiamo il senso pratico, la rapidità di azione, l'abilità del giovane ufficiale.

Una cinquantina di uomini sono decisi a continuare la lotta contro l'invasoreLa natura offre un riparo nascosto e consente agli uomini di organizzare la loro lotta. Dopo il rudimentale osservatorio, ora troviamo la radura: la natura è presentata come alleata nella lotta contro gli invasori che vengono dal mare.

7- In una radura, al riparo di un folto querceto,      8- Là si diresse il giovane ufficiale che i suoi uomini 
una cinquantina di uomini, decisi a continuare la  chiamavano familiarmente "O Scugnizzo".
lotta contro  l'invasore, avevano stabilito il loro     Nel viso del Comandante lessero la decisione ed
attendamento.                                                                  esultarono.

Analizziamo l'ultima vignetta.

Là si dirette il giovane ufficiale che i suoi uomini chiamavano familiarmente O Scugnizzo. Nel viso del Comandante lessero la decisione ed esultarono.

Il comandante non parla, questa è un'immagine ieratica, come se fosse l'apparizione di un nume: i suoi uomini, quelli che hanno con lui un rapporto di familiarità tanto da potersi riferire a lui chiamandolo con un soprannome, leggono nel suo viso la decisione.

Possiamo interpretare il termine come "prontezza, sicurezza nell'agire", ma potrebbe avere anche un significato implicito, in una sorta di trama sotterranea.

Nelle vignette precedenti si è parlato due volte di bivio.

Al primo, i nemici si dividono e una parte di loro si dirige verso Valva e Colliano, al secondo bivio leggiamo che una parte deve dirigersi a Valva e una a Colliano.

Il bivio può essere una metafora della scelta, della decisione tra due strade.

Il comandante Scugnizzo ha la decisione impressa sul volto e al suo dirigersi verso l'attendamento, nella radura messa a disposizione dalla natura complice e amica, questo volto diventa luminoso, tanto da infondere gioia e sicurezza nei suoi uomini che infatti esultano quando lo vedono e, soprattutto, quando lo guardano in volto.

Si noti il suo incedere marziale: il movimento sembra non naturale, vuole trasmettere autorità, la sua posa è quasi intimidatoria.


Approfondimento
Qui trovate gli altri due post dedicati alle avventure del Comandante Scugnizzo:
👉Analisi di un fumetto fascista sullo sbarco di Salerno
👉'O Scugnizzo, il fumetto del comandante che combatte contro gli angloamericani nell'Alto Sele

G.V.

17 ottobre 2023

ANALISI DI UN FUMETTO FASCISTA SULLO SBARCO DI SALERNO

Abbiamo già presentato il fumetto "Le avventure di 'O Scugnizzo" di Giulio Zamperoni, pubblicato nel 1944 nella Repubblica di Salò e ora presente nel sito di If Edizioni.

Trascriviamo e analizziamo le vignette. Ecco le prime due:


[1]                                                                                             [2]
Favoriti dal tradimento monarchico                               La nostra terra conobbe gli orrori dell'invasione  
gli anglo-americani sbarcarono a Salerno                     di orde di ogni razza, sotto il triste sguardo degli
dove furono impegnati dalle eroiche truppe                abitanti.
germaniche.

Nella prima vignetta di parla del tradimento monarchico: nella propaganda fascista, il re ha tradito e questo ha favorito lo sbarco anglo-americano. Da notare l’aggettivo “eroiche” riferito alle truppe germaniche.

La seconda vignetta è particolarmente significativa.

La nostra terra: il richiamo alla terra è fondamentale in un discorso identitario.

La nostra terra conobbe gli orrori dell’invasione di orde di ogni razzatutti i sostantivi di questa frase sono fortemente connotati dal punto di vista politico-ideologico.

Orrori...invasione...orde, addirittura, nell'accezione di gruppo disordinato di armati che si sposta compiendo violenze e razzie.

Il fatto che le "orde" siano di "ogni razza" è percepito nel fumetto come un elemento negativo, non certo come una ricchezza. Gli effetti della propaganda razziale sono ancora ben evidenti. Ad esempio, il Manifesto della razza (1938) si concludeva così:

I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee [...] Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.

Sotto il triste sguardo degli abitanti... 

E' significativa la rappresentazione del soldato di colore al centro della vignetta, che guarda una donna in maniera ambigua, non esplicitamente minacciosa ma certo non cordiale, non rassicurante. 

La donna italiana è disegnata con tratti puri, delicati, mentre il soldato di colore ha tratti somatici accentuati ed è presentato in maniera quasi caricaturale: si noti il cinturone a tracolla.

"I caratteri somatici dei personaggi dovranno essere spiccatamente italiani", recitava un'Ordinanza del Ministero della Cultura Popolare sulla stampa periodica per ragazzi del 1938. Evidentemente, la rappresentazione di un soldato americano di colore  la funzione di marcare la sua diversità rispetto alla donna italiana.

"La stampa per ragazzi dovrà essenzialmente assolvere una funzione educativa, esaltando l'eroismo italiano soprattutto militare, la razza italiana, la storia passata e presente dell'Italia", leggiamo ancora nell'Ordinanza citata.

Nella vignetta, vediamo anche un soldato che esca da una casa con la refurtiva in un sacco; in un'altra casa, sventrata dalla guerra, una donna osserva due soldati che stanno facendo una razzia.

***2- continua***

G.V.






16 ottobre 2023

MICHELE MACCHIA, FERITO IN LIBIA NEL 1911

Il 18 ottobre 1912 finiva ufficialmente la Guerra italo-turca, combattuta tra il Regno d'Italia e l'Impero ottomano a partire dal 29 settembre 1911: con il trattato di Losanna l'Italia annette la Libia e il Dodecaneso.
Alla partecipazione dei valvesi alle guerre combattute in Africa abbiamo dedicato due  post: 
👉I valvesi alla guerra in Africa
👉Due soldati valvesi sul bel suol d'amore
Abbiamo già raccontato la storia di Michele Feniello, ora ci occupiamo della vicenda di Michele Macchia.
In questo documento, custodito da alcuni suoi discendenti, troviamo la sua vicenda riassunta con molti dettagli:

Facciamo prima un passo indietro, ricostruendo il contesto politico in cui è maturata la guerra.

Il dibattito in Italia
La guerra contro l'Impero ottomano suscita in Italia un vivace dibattito, politico e culturale. 
I nazionalisti, guidati da Enrico Corradini, ritengono che l'Italia -nazione proletaria- debba convogliare la propria energia in una politica estera di conquista. Si fanno promotori di una campagna mediatica per la conquista della Libia.
In uno dei nostri post dedicati all'argomento, abbiamo ricordato l'orazione "La grande proletaria si è mossa" di Giovanni Pascoli, nella quale la conquista della Libia è presentata come un rimedio all'emigrazione; Pascoli immagina che i contadini italiani possano diventare "agricoltori sul terreno della patria" anche in Libia.
Non tutti, però, sono favorevoli alla guerra: il Partito Socialista di Turati, ad esempio, vi si oppone.

Una guerra difficile
La guerra italo-turca ha un triste primato: per la prima volta gli aerei da combattimento sono utilizzati per bombardare la popolazione.
Le truppe italiane sono impreparate al deserto, al colera e alla guerriglia urbana (la tattica scelta dai turchi).
Foto: Mary Evans/ Scala, Firenze; fonte

La guerra di Michele
Michele Macchia, figlio di Raffaele e di Rosa Spiotta, nasce a Valva il 3 febbraio 1890.
Chiamato alle armi, è assegnato prima al 27.mo e poi al 22.mo Reggimento Fanteria.
Il 21 ottobre 1911 si imbarca per la Tripolitania e la Cirenaica.
Il 24 novembre subisce una ferita d'arma da fuoco al torace e al braccio sinistro durante un combattimento nei pressi della città di Derna.
Cartolina d'epoca; fonte

Dopo la ferita, torna in Italia e sbarca a Taranto; successivamente ottiene una licenza straordinaria di convalescenza.
Richiamato di nuovo alle armi nell'agosto 1914, in seguito al Regio Decreto del 2 agosto (che modifica l'ordinamento militare della Tripolitana e della Cirenaica e autorizza la costituzione di bande irregolari nella Cirenaica), vi giunge il giorno 8.
Il giorno 14 agosto è mandato in congedo illimitato, per determinazione del direttore dell'Ospedale militare di Cava dei Tirreni.

La Grande guerra
C'è una data particolarmente significativa nel foglio matricolare di Michele Macchia: il 24 maggio 1915.
Due giorni prima, Vittorio Emanuele III firma questo decreto:
A decorrere dal 23 corrente è considerato in istato di guerra il territorio delle provincie di Sondrio, Brescia, Verona, Vicenza, Belluno, Udine, Venezia, Treviso, Padova, Mantova, Ferrara, e quello delle isole e dei Comuni costieri dell'Adriatico, nonché di tutte le fortezze che siano dichiarate in istato di resistenza per ordine dei ministri della guerra e della marina.
Questo decreto significa, per l'Italia, l'entrata nella Prima guerra mondiale.
Proprio nella data che sarebbe poi rimasta celebre nella memoria nazionale, il 24 maggio 1915, Michele Macchia giunge al 63.mo Reggimento di Fanteria.
Viene però collocato a riposo "per infermità proveniente da causa di servizio". Successivamente, sarà collocato in congedo assoluto.
Dal blog Gozlinus Valva pubblichiamo anche questo documento,  rilasciato dalla Direzione generale delle pensioni di guerra presso il Ministero delle Finanze:
E' una dichiarazione del 7 marzo 1940, che cita una visita "passata" in data 24 marzo 1927 presso la Commissione Medica di Cava dei Tirreni; nel referto, si fa riferimento alla ferita in combattimento a Derma, il 24 novembre 1911.
All'ex soldato viene concessa la pensione vitalizia di settima categoria.

Michele Macchia ottiene due decorazioni: la croce di guerra e la medaglia libica della guerra 1911-12.
Medaglia commemorativa; fonte


Un sentito ringraziamento alla signora Lucia Farella per la gentile collaborazione e a Filippo Vuocolo per la ricerca all'Archivio di Stato di Salerno.
G.V.