12 luglio 2025

DOVE IL PIAVE COMANDÒ

Sono al sacrario di Fagarè della Battaglia con un proposito non molto razionale: trovare la sepoltura di due -forse anche tre- miei concittadini caduti lungo la linea del Piave, tra il novembre 1917 ("Prima battaglia del Piave") e i mesi di giugno-luglio 1918 ("Battaglia del Solstizio").

Le possibilità di successo sono scarse, perché da tempo associazioni e appassionati hanno individuato, tra i caduti sepolti qui, alcuni soldati il cui luogo preciso di sepoltura era fino ad allora sconosciuto, aggiornando così l'Albo d'Oro con nuove informazioni: se accanto al nome dei miei concittadini non compare questo sacrario, ne deduco che non riposano qui.

Però sono qui perché sentivo di dover esserci.

Mi accoglie con gentilezza il custode, un militare che mi confessa di essere contento di parlare con i visitatori, visto che non sempre vengono.

Il Sacrario è in stile neoclassico, in marmo bianco; ha nove navate.

Nei due vestiboli sono presenti delle lapidi con alcuni celebri bollettini di guerra del Comando Supremo: quelli delle due battaglie del Piave, il Proclama della vittoria.

Mi colpiscono due grafici delle battaglie del Piave. Belli, chiari; sembrano pagine illustrate di un manuale di storia, diventate pietra:


Al centro del porticato c’è una cappella decorata, con un mosaico intitolato L’Apoteosi: un fante morente avvolto nella bandiera italiana, sostenuto da Cristo. Un'immagine che sottolinea il valore del sacrificio dei soldati, interpretato come una sorta di martirio per la patria. 

E' l'idea del soldato come alter Christus. Lo storico Sergio Luzzatto, in un bellissimo saggio dedicato a Padre Pio, sottolinea come nella cultura religiosa e ideologica del dopoguerra i militari fossero rappresentati come figure redentrici: uomini caduti per la patria che rievocavano l'immagine del Cristo sofferente per l'umanità.

Sui lati della facciata sono scolpiti quattro bassorilievi in marmo opera dello scultore Marcello Mascherini, provenienti da un precedente monumento, che illustrano tappe significative della partecipazione italiana alla guerra.

L'entrata dell'Italia in guerra, 24 maggio 1915
fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali

Di qui non si passa, 15 giugno 1918
fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali

La barbarie nemica sul suolo della Patria, 24 ottobre 1917
fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali

Trionfo delle armi italiane, 4 novembre 1918
Fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali

All'esterno, lungo le siepi di cinta del sacrario, in teche di vetro sono conservati frammenti originali di muro che recano due frasi passate alla storia, scritte durante la Battaglia del Solstizio (dal 15 al 24 giugno 1918).

Le frasi sono anche riportate sulle pareti esterne laterali del sacrario.

Questa è una delle più iconiche, attribuita a Ignazio Pisciotta, bersagliere impiegato nel servizio propaganda:



A lui viene attribuita anche quest'altra frase, resa celebre da un discorso di Mussolini del 1928 (la commemorazione del maresciallo Diaz) e incisa poi su alcune monete:


Ecco le altre due iscrizioni sulle pareti laterali:


Mi viene in mente il verso immortale di Orazio 

Dulce et decorum est pro patria mori 

che il poeta inglese Owen, soldato della Grande Guerra, definirà The old Lie, "la vecchia menzogna".

Il discorso sarebbe lungo, in effetti; basta però questa contrapposizione per far emergere tutto il contrasto tra la retorica del sacrificio e l'esperienza concreta della guerra.

Il decorum antico indica ciò che è appropriato e onorevole, il valore civico di morire per la patria "come si conviene" a un buon cittadino romano; non mi sorprende che in una di queste iscrizioni sia diventato "uomo onorato", mentre mi colpisce l'aggettivo "divino", che mi sembra tipico della costruzione della memoria dei caduti; il soldato che muore non solo  compie un atto onorevole ma entra in una dimensione sacra: è la "religione della Patria".

Questo sacrario è stato infatti inaugurato nel 1935, durante il fascismo, dopo oltre quindici anni di lenta e dolorosa elaborazione del lutto nazionale. In quegli anni, la memoria del sacrificio dei soldati divenne uno strumento potente di coesione e propaganda, capace di tenere insieme dolore, orgoglio, fede e ideologia. Anche questo luogo mi pare ne sia testimonianza evidente.

In questo processo collettivo di elaborazione del lutto e costruzione di una memoria nazionale, fondamentale è il ruolo simbolico che assume il Piave.


Qui è stato scelto uno dei versi più celebri della Leggenda del Piave, per farne l'iscrizione principale del sacrario.
A ben vedere, però, da queste parti il Piave non si limitò a sussurrare; sempre citando la celebre canzone:
"No" disse il Piave, "No" dissero i fanti
mai più il nemico faccia un passo avanti
E si vide il Piave rigonfiar le sponde
E come i fanti combattevan le onde
Rosso del sangue del nemico altero
Il Piave comandò: "Indietro va', straniero".
Questa sponda del grande fiume ha visto la riscossa italiana dopo Caporetto e la vittoria decisiva del giugno 1918.
È anche un sacrario alla rinascita, dunque, questo luogo che ha elaborato il lutto nelle forme che la mentalità del tempo suggeriva e lo ha trasformato in memoria collettiva, dove il Piave guidò la riscossa.


Sugli argomenti affrontati si vedano anche i seguenti post:

Fagaré della Battaglia, 1 -continua-

G.V.