18 giugno 2025

L'ULTIMA SINFONIA: LA MORTE DI FRANK GRASSO

Morto sul podio: l’ultimo gesto di Frank Grasso è stato un movimento della bacchetta, l’ultima nota da lui ascoltata è stata una nota dell’ “Incompiuta” di Schubert. Come se la musica stessa, in quel momento, gli avesse sussurrato che il suo tempo si era compiuto.

Siamo giunti al terzo capitolo del nostro romanzo Musa valvese- La storia della famiglia Grasso.
Nel capitolo precedente ci siamo occupati di Francesco Grasso, noto negli Stati Uniti come Frank.
Lo abbiamo seguito dalla partenza da Napoli all'inizio della carriera artistica negli Stati Uniti.
Proseguiamo con il racconto.

La famiglia
Nel 1937, Frank sposa Yvonne Hardee, una giovane cantante che preferisce interrompere la carriera musicale "per essere una moglie e una madre piuttosto che una cantante di spicco in una delle orchestre più rinomate della nazione", la Vincent Lopez' orchestra, come scrive il Tampa Tribune.
Dalla loro unione nascono due figlie, Roberta e Giacinta (che porta il nome del nonno). 
A giudicare dal padre, le due bambine sembrano destinate a una carriera musicale: "Anche adesso cantano dappertutto", dice nell'intervista al Tampa Tribune.
Nel censimento del 1950 le bambine risultano avere 11 e 10 anni; risulta anche un bambino, di un anno, che si chiama Frank A.
Notiamo che la moglie ha ventidue anni meno di Frank.

La morte sul palco
Frank Grasso muore praticamente sul palco, domenica 11 gennaio 1953.
Così il suo necrologio ne ricorda la morte:
Frank Grasso è morto ieri mentre dirigeva la Tampa Synphonette, orchestra da lui diretta. Aveva 58 anni. E' collassato durante l'esecuzione dell'Incompiuta di Schubert. Il pubblico ha sentito l'orchestra terminare il concerto mentre Grasso veniva trasportato in ospedale, dove è stato dichiarato morto.

Le informazioni sulla sua vita sono meno precise, ma non per questo meno affascinanti:

Nato a Napoli, in Italia, nel giugno del 1894 (ma in realtà è nato a Valva nel 1893), Grasso arrivò negli Stati Uniti nel 1912 e a Tampa nel 1922.  Era cittadino naturalizzato e fu l'insegnante di musica di celebri cantanti come Frances Langford e Mary Hatcher.  La lunga carriera musicale di Grasso lo ha portato a suonare come flautista, basso e baritono in Europa, negli Stati Uniti, a Cuba e in parte del Sud America. 
Un maestro di musica e canto
In questa foto del gennaio 1947, il direttore Grasso è impegnato in una sessione di registrazione con la sua orchestra:

Foto 1

In queste altre due foto, dello stesso mese, Frank Grasso -direttore musicale della radio WFLA- è sul palco del Tampa Theatre con l'attrice Mary Hatcher e poi con l'attrice all'aeroporto Peter O. Knight:

Foto 2
Foto 3
Soffermiamoci sull'attività di insegnante di Frank Grasso. 
In effetti, anche La Gaceta -quotidiano della Florida in lingua spagnola- nel fare il ritratto di Don Francisco all'indomani della sua morte parla dei suoi "discípulos".
Come giustamente sottolinea il blog Gozlinus, Frank Grasso "più di ogni altra cosa fu un geniale ed amato scopritore di talenti. Alcune sue allieve diventarono famosissime stelle del firmamento di Hollywood".
Anche l'articolo del Tampa Tribune sottolinea questo aspetto di Frank, presentando il coro che si esibisce alla radio WFLA il martedì sera alle 9:

Dietro questo coro c'è uno dei musicisti e insegnanti più noti della Florida, il cui lavoro con i bambini è stato riconosciuto in tutto il mondo della musica. Senza dubbio avrete sentito cantare alcuni di questi allievi, tra cui Frances Langlord, la star del cinema Aleene Roberts, la bambina prodigio ora alla Warner Brothers, Colleen McGonigal.  

Frances Langlord, molto popolare nell'età d'oro della radio
Allene Roberts, definita “la bambina più affascinante d’America”
per il suo fascino e talento. Al tempo di questo articolo, ha 14 anni

Amicizie e impegno sociale
Il necrologio prosegue con due notizie che, se confermate, sarebbero davvero notevoli:
Ex amico e collaboratore del celebre Enrico Caruso, Grasso era anche nipote di Giovanni Grasso, definito dai critici del Literary Digest "il più grande tragediografo melo-drammatico d'Italia".
L'amicizia con Caruso viene confermata anche dal già citato articolo della Gaceta, che aggiunge anche il nome del tenore italoamericano Mario Lanza.
Appare decisamente meno verosimile la parentela con l'autore teatrale Giovanni Grasso, nato a Catania. Dai registri dell'anagrafe, il cognome Grasso risulta ben attestato a Valva già a inizio Ottocento.
Dal necrologio, Frank risulta attivo nella comunità, membro di organizzazioni come la Loggia Massonica John Darling e del tempio massonico Egypt Shrine, oltre che presidente per diversi mandati della Tampa Musicians Union. 

Gli Shriners sono un’organizzazione fraterna legata alla Massoneria, nata negli USA alla fine del XIX secolo. Ogni gruppo locale, chiamato “tempio” o “shrine”, ha una sede dove si tengono riunioni, eventi sociali e raccolte fondi.  
Gli Shriners sono noti soprattutto per il loro impegno in opere di beneficenza, in particolare per il sostegno agli ospedali pediatrici. 

La Tampa Musicians Union è un sindacato che tutela i diritti e le condizioni lavorative dei musicisti professionisti di Tampa, Florida. Rappresenta un punto di riferimento importante per i musicisti, coordinandone le attività e proteggendoli da sfruttamenti. 

Una notizia che fa il giro del mondo 
La notizia della sua morte è riportata addirittura da due quotidiani australiani.
Ecco l'articolo del The West Australian, di martedì 13 gennaio 1953:

Death Ends A Symphony
NEW YORK, Mon.-Mr. Frank Grasso (58) died before an audience of several hundred people at Tampa (Florida) on Sunday while directing the Tampa Symphonette Orchestra in the last number of a concert. The selection was the Unfinished Symphony.

La morte mette fine a una sinfonia
NEW YORK, lunedì - Il signor Frank Grasso (58) è morto domenica davanti a un pubblico di diverse centinaia di persone a Tampa (Florida) mentre dirigeva la Tampa Symphonette Orchestra nell'ultimo brano di un concerto. Il brano scelto era la Sinfonia Incompiuta.

Così riporta la notizia il The Newcastle Herald: 

Conductor Died At Concert
NEW YORK, January 12. A.A.P. - Mir. Frank Grasso, 58, died before an audience of several hundred persons on Sunday while directing the Tampa Synphonette Orchestra in the last number of a concert. 
Direttore d'orchestra muore durante un concerto
NEW YORK, 12 gennaio. A.A.P. - Il direttore d'orchestra Frank Grasso, 58 anni, è morto domenica davanti a un pubblico di diverse centinaia di persone mentre dirigeva la Tampa Synphonette Orchestra nell'ultimo brano di un concerto.
Il maestro Frank Grasso riposa nell'American Legion Cemetery, a Hillsborough Country, in Florida.

Una morte che diventa un monito religioso
La morte sul palco di Frank Grasso viene citata in un sito religioso americano con un paragone suggestivo:
"Il compositore austriaco Franz Schubert stava lavorando alla sua "Sinfonia Incompiuta" quando morì improvvisamente all'età di 31 anni. Frank Grasso, direttore della Tampa, Florida Synphonette Orchestra, morì improvvisamente mentre dirigeva l'ultimo brano di un concerto. Era la "Sinfonia Incompiuta" di Schubert.
Stiamo tutti suonando in quell'orchestra. Siate pronti alla fine del concerto oggi". 

Al di là dell'ora dell'ultima nota, possiamo dire che chi crea bellezza -e la trasmette con l'insegnamento e la cura degli allievi- non muore davvero.
Il concerto, in fondo, continua.
E porta con sé l'eco lontana del paese di origine. 

Fonti

Il necrologio di Frank Grasso: https://it.findagrave.com

Foto 2
Robertson and Fresh, "Frank Grasso and Mary Hatcher Onstage at the Tampa Theatre" (1947)

Foto 3
Robertson and Fresh, "Frank Grasso and Mary Hatcher at the Airport" (1947)
Robertson and Fresh Collection of Tampa Photographs. Image 755.


Musa valvese, capitolo 3
G.V.


LA MUSA MIGRANTE: IL SOGNO AMERICANO DI UN ARTISTA DI VALVA

Questa è la storia di un emigrante di successo.
Un musicista e maestro, scopritore di talenti.
Francesco Grasso nasce da Giacinto, possidente, e Maria Grazia Spiotta, donna di casa, nella notte del 22 giugno 1893, in via Santo Antonio al numero 30, come è scritto nel registro degli atti di nascita del comune di Valva.
L'atto è firmato dall'assessore Vincenzo Valletta, facente le veci del sindaco assente, e dai testimoni Vincenzo Torsiello, possidente, e Donato Vacca, messo comunale.
Dove ha studiato Francesco?
Lo ricaviamo dal suo necrologio e da un articolo importante, pubblicato dal Tampa Tribune il 27 settembre 1942.
Da queste fonti apprendiamo che il giovane studia al Conservatorio di Napoli ed è allievo del direttore dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma, Francesco Postiglione. 

L'America
Nel 1912 Francesco parte da Napoli alla volta degli Stati Uniti, dove arriva nel mese di ottobre. 
Nell'articolo citato, leggiamo che sbarca a New York "la notte in cui Woodrow Wilson fu eletto presidente": per la cronaca, il 5 novembre. Se interpretiamo il verbo "sbarcò" in senso lato, la circostanza diventa plausibile, considerando la fine del periodo di quarantena alla quale erano sottoposti coloro che approdavano a Ellis Island.
Dallo stesso articolo apprendiamo che il nostro Francesco -che forse già ha cominciato a farsi chiamare Frank- suona al Jardin de Paris nello stesso spettacolo di una coppia famosa, Vernon e Irene Castle, ballerini da sala e insegnanti, molto attivi a Broadway e nei film muti all'inizio del XX secolo.
Frank arriva in Florida nel 1914 con la Creatore's band, nella quale si esibisce come solista e flautista.
Nel 1917 gli Stati Uniti entrano nella Prima guerra mondiale, l'anno dopo Frank si arruola nell'esercito americano e viene congedato nel 1919. In guerra è assistente maestro della banda nell'89° Reggimento di Fanteria.
Tornato in America, ottiene la cittadinanza americana e diventa a tutti gli effetti Frank Grasso

La fine di un'epoca
Nel 1922 si stabilisce a Tampa, in Florida, dove si esibisce in vari teatri sia come solita sia come direttore d'orchestra.
Sceglie questa città perché vi ritrova un clima cordiale e un'atmosfera che gli ricorda Napoli. 
A Tampa diventa direttore musicale della radio cittadina e poi direttore dell'Orchestra Sinfonica. 
Non siamo ancora riusciti a trovare documenti che ci aiutino a collocare cronologicamente la sua carriera di direttore musicale della radio.
Un concerto del 15 dicembre 1928 è molto atteso dal sindaco di  Tampa, McKay, che lo annuncia con queste parole: "Poche città del paese dispongono di un amplificatore collegato a un'orchestra, e credo che il concerto di domenica con l'amplificatore avrà molto successo".
Dunque si tratta di un concerto con un nuovo sistema di amplificazione radio-fonografico, una tecnologia innovativa per l'epoca.
Frank Grasso vive in prima persona l'avvento del sonoro del cinema, come dimostra la conclusione dello stesso articolo:

Grasso e la sua orchestra, che hanno suonato per diversi mesi al Tampa Theater, termineranno il loro servizio sabato sera.. I musicisti saranno sostituiti dai nuovi film sonori proiettati lì. Il signor Grasso ha diretto l’orchestra anche al Franklin e al Victory Theater, oltre che al Tampa, e i suoi musicisti hanno continuamente incontrato il favore degli appassionati di cinema locali.
Finisce un'epoca. Quel sabato sera segna la fine di un’era: è l’ultima volta che Frank e la sua orchestra si esibiscono dal vivo al Tampa Theater, un luogo che per anni ha ospitato la loro musica. Da quel momento in poi, il teatro si trasforma in una sala esclusivamente dedicata alla proiezione di film sonori, con colonne musicali registrate.
È  un evento simbolico di cambiamento: il passaggio dalla musica dal vivo agli spettacoli cinematografici tecnologicamente avanzati, che segna l’inizio di una nuova era nell’intrattenimento.

Ecco Frank Grasso in una foto del Tampa Tribune:


Ancora con la bacchetta in mano
Dal 1929 al 1933 dirige la Tampa Symphony, rappresentando la Florida all'Esposizione Universale di Chicago. 
Da alcune fonti apprendiamo che dopo il suo arrivo negli Stati Uniti si esibì a Broadway e fu primo flautista nell'orchestra di Victor Herbert. Iniziò la sua carriera teatrale come direttore al Victory Theater.
Ecco una foto di questo teatro:

Da lì passa al Franklin e poi allo Strand Theater, dove forma una delle orchestre più note del Sud in quell’epoca.
Nel 1948 fonda la Tampa Synphonette; continua a dirigere anche la sua orchestra da ballo, la Don Francisco's Orchestra, e si afferma come insegnante di musica.
Ecco la copertina di uno spartito in cui è fotografata l'orchestra:
fonte: Gozlinus
Frank Grasso infatti non è solo un musicista: è un maestro che scopre e coltiva talenti, un protagonista della cultura musicale della Florida, un uomo il cui nome rimane legato alla crescita artistica di tanti allievi.

Approfondimenti e crediti:
- Articolo per gentile concessione del Tampa Tibune, 27 settembre 1942, pag. 37. 
- A Frank Grasso Gozlinus ha dedicato diversi post, tra i quali segnaliamo quello più ricco di informazioni: 👉Il maestro delle stelle.
                                                             Musa valvese, capitolo 2

G.V.


COME UN ROMANZO. LA FAMIGLIA GRASSO

Una famiglia di artisti e, all'occorrenza, di soldati.
Due fratelli hanno combattuto la Prima guerra mondiale-militando in due eserciti diversi- altri due nella Seconda.
La famiglia Grasso meriterebbe un romanzo.
Un romanzo come quello di Francesco, detto Frank, diventato americano e famoso oltreoceano: musicista, direttore d'orchestra, insegnante di musica, scopritore di talenti. Morto sul palco, in Florida, mentre dirigeva l'Incompiuta di Schubert.
O un romanzo breve, malinconico, come quello di Ascanio, tornato dalla Grande Guerra con il respiro spezzato ma ancora attaccato alla vita, quando scriveva canzoni d’amore e dipingeva.
Oppure il romanzo semplice e colorato di Giovannino, pittore naïf con la barba ottocentesca e le sue figure essenziali.  
L'emigrazione in Venezuela, il ritorno a Valva.
Anche l'altro fratello, Rodolfo, dipingeva.
E poi il nipote, figlio di Rosa,  Antonio Freda, detto Nuccio, scomparso di recente: degno erede di questa stirpe di creativi.

Emiciclo di bellezza
Il romanzo della famiglia Grasso potrebbe avere come copertina una foto della Villa d’Ayala, con il suo emiciclo che celebra la bellezza, incorniciato da statue dedicate alle arti: la musica, la pittura, la poesia.
Un luogo sospeso, come la memoria.
Un titolo possibile: Musa valvese. Il romanzo della famiglia Grasso.


Foto di Valentino Cuozzo
Il muratore diventato possidente
Questo romanzo inizia con il profumo della calce.
Francesco Grasso e Rosa Feniello si sposano il 9 agosto 1847.
Francesco è muratore, come suo padre Pasquale, e porta il nome del nonno. Sua madre è Irene Annunciata
Quando Pasquale muore, nel 1855, sull’atto di morte è indicata la professione di “fabbricatore”.
Rosa, nata l’8 maggio 1827, è figlia di Giacomo Feniello, possidente, e di Vincenza Feniello.
Francesco morirà a 82 anni, il 27 gennaio 1901 (lo stesso giorno in cui, a Milano, muore Giuseppe Verdi).

Una curiosità: l’atto di morte di Francesco viene firmato alle 11:30. Solo 15 minuti prima, Vito Feniello registra la nascita del figlio Salvatore, che diventerà ultracentenario.

Giacinto e Maria, genitori di artisti
Il 24 giugno 1852 nasce Giacinto Giambattista Maria.
Il primo nome è quello di uno zio, deceduto a diciannove anni nel 1850, calzolaio.
Il secondo nome è dovuto al giorno di nascita, festa della natività di san Giovanni Battista; il terzo è assai diffuso in quegli anni a Valva (quasi tutti i maschi hanno come secondo nome Maria).
I testimoni dell’atto di nascita sono probabilmente fratelli: don Costantino Freda, farmacista, e don Alessandro Freda, sacerdote.
Giacinto sposerà Maria Grazia Spiotta, figlia di Sabato: saranno i genitori di Francesco, Arcadio, Rodolfo e Giovanni. La figlia Rosa (chiamata Rosina) sarà la madre di un altro pittore, Antonio Freda, detto Nuccio.
Giacinto morirà in via Sant'Antonio l'8 luglio 1941. In quella data, la moglie risulta ancora in vita. Nell'atto di morte Giacinto viene definito "possidente".

Racconteremo le storie di questi artisti, soldati, emigranti. Le storie di questa famiglia valvese.
Ecco una presentazione del nostro progetto:

Musa valvese, capitolo 1
G.V.



15 giugno 2025

IL VALORE ANTROPOLOGICO DELLA FESTA DI SAN VITO

La festa di San Vito è ricca di significati antropologici, anche legati alla tradizione religiosa valvese.

Un noto proverbio diffuso nel Sud Italia dice: 

A San Vito ogni mugliera vatte ‘o marito 
(A San Vito ogni moglie picchia il marito)

È un proverbio d’ispirazione carnevalesca; mi fa pensare alla 'libertas Decembris', che nell’antica Roma caratterizzava i 'Saturnalia': nei giorni dal 17 al 23 dicembre, infatti, in ricordo dell'età dell'oro veniva lasciata allo schiavo la libertà di prendere in giro il padrone, impartendogli ordini per un giorno.  

Era una sospensione temporanea dell’ordine abituale della società, in cui le regole abituali venivano sovvertite per un giorno, per poi tornare alla normalità il giorno successivo. Una "libertà controllata", quasi una valvola di sfogo collettiva. 

In una sua satira, il poeta Orazio dice al suo schiavo: 

Di’ pure: ti serva di schermo la libertà decembrina, dacché la sancirono gli avi

Alla festa di San Vito è legato anche il fenomeno del tarantismo.

San Vito era infatti considerato il santo protettore delle persone morse dalla taranta, il mitico ragno che si credeva fosse responsabile di crisi isteriche, convulsioni e stati di trance, soprattutto nelle donne.

La pizzica tarantata era la danza frenetica utilizzata come rito di guarigione, accompagnata da musica ritmata e tamburelli.

Così la descrive Vinicio Capossela, nella sua celebre canzone "Il ballo di San Vito":

Le nocche si consumano, ecco iniziano i tremori
Della taranta, della taranta, della tarantolata...

Durante queste estasi coreutiche, San Vito veniva invocato come figura sacra, capace di intercedere e portare sollievo.

Anche questo rito costituiva una sospensione delle norme, una forma di espressione corporea e spirituale in cui il corpo femminile trovava un canale per comunicare tensioni interiori, disagi sociali e dolori repressi.

La data non è casuale: a San Vito inizia il periodo della mietitura, un momento decisivo nel calendario agricolo.

A San Vito ogni moglie picchia il marito”.

Il potere si rovescia, la donna conquista il centro della scena, con il suo ritmo sfrenato, come una menade al ridestarsi dei riti in onore di Dioniso.

Nella foto – tratta da Valva Foto Storiche di Valentino Cuozzo – la statua di San Vito è portata in processione accanto a quella di San Michele. Con ogni probabilità, l’immagine si riferisce alla festa di quest’ultimo, patrono di Valva.

I due santi sono uniti in una suggestiva leggenda locale, legata alla figura della cosiddetta “zingara” che avrebbe contaminato l’acqua di una delle due vasche della Grotta di San Michele, lavandovi i panni e scatenando così la maledizione del santo: “Grano in Puglia e felci a Valva”.

La tradizione racconta però anche dell’intervento di San Vito in favore del popolo valvese, che avrebbe mitigato la maledizione con le parole: “Lasciane un po’ per il mio cane”.

E così, se a Valva ancora oggi cresce il grano lo dobbiamo proprio all’intercessione di San Vito

G.V.

07 maggio 2025

IL SUONO DELLA FESTA: IL TAMBURO DI SAN MICHELE

Non è semplice stabilire quando sia cominciata, a Valva, la tradizione del tamburo di San Michele. 
Certe cose ci sono, si tramandano, si portano avanti ed è bello così, ma legarle a un contesto o a un avvenimento può farcele sentire più vicine e apprezzare ancora di più.
Prima dell'alba, nei giorni che precedono la festa patronale dell'8 maggio, mentre tutto dorme un tamburo gira per il piccolo borgo.
Un rullare amico, un suono che precede la luce e dà segno / della festa che viene -direbbe il poeta- ed a quel suon diresti / che il cor si riconforta.
Dal 2012, il tamburo è affidato al signor Michelino Cuozzo, che lo suona con dedizione -e gratuitamente- ogni mattina della novena. «È giusto portare avanti certe tradizioni, finché si riesce», ci dice.  
Qualche anno fa ha rinunciato al compenso che il comitato festa voleva riconoscergli e ha chiesto che con quei soldi fosse comprato il tamburo, come è stato fatto. 
Ecco il signor Michelino in azione:

Un tamburo per far tornare i soldati a casa
Le testimonianze finora raccolte ci riportano agli anni del dopoguerra. 
La signora Feodora D'Ambrosio collega la tradizione proprio a quel contesto storico. Finita la guerra, le mamme attendevano il ritorno a casa dei figli che erano al fronte. A suo avviso è probabile che l'usanza di suonare il tamburo per la festa di San Michele sia nata come atto di devozione, insieme all'abitudine in quel periodo di fare molte processioni per ottenere il ritorno dei soldati. Il comitato della festa patronale ricompensava il suonatore del tamburo con un chilo di pane al giorno.
Ricorda una scena in particolare: una madre gettatasi ai piedi di una statua in processione, disperata per il mancato ritorno dei due figli.
C'è un episodio molto significativo legato al tamburo.
Uno dei primi a suonarlo -ricorda zia Dora- era il signor Matteo Cozza. Quando si ammalò gravemente, la moglie fu costretta ad andare a vendere il tamburo a Oliveto e col ricavato riuscì a comprare un po' di pasta per la sua numerosa famiglia (otto figli, due erano morti bambini).
La signora Antonia, vedendo il marito rattristato per la perdita del tamburo a cui era tanto affezionato, gli promise che lo avrebbero ricomprato una volta guarito.
Purtroppo Matteo morì nel 1953, a poco più di cinquant'anni.

I ricordi di zio Antonio
Dai ricordi rimasti in paese, altri nomi emergono tra i suonatori del tamburo negli anni del dopoguerra.
Antonio Cozza e Giuseppe Alfano, ad esempio. 
Zio Antonio – recentemente scomparso – suonava un tamburo appartenente a Bonaventura Megaro, storico maestro di banda. Ricordava che, per un certo periodo, era Michele Alfano detto Girinea, l’altro capobanda del paese, a scegliere chi dovesse suonarlo. Zio Antonio ha raccontato anche un episodio buffo: una mattina, nel silenzio dell’alba, mentre faceva rullare il suo tamburo tra i vicoli deserti del centro storico, trovò un uomo ubriaco addormentato all’aperto, davanti alla chiesa madre. 

Il recupero della tradizione
Verso la fine degli anni Ottanta,  il signor Pietro Cozza raccontava ad alcuni nipoti di quando, anni prima, organizzava le feste patronali di Valva. 
Grande appassionato di musica, aveva persino fondato una propria banda musicale. Con il terremoto, però, gli strumenti andarono perduti; tutti, tranne un tamburo, che riuscì a recuperare.
Fu proprio da quei racconti che nacque l’idea di riportare in vita la tradizione del tamburo di San Michele. Il tamburo venne sistemato, e così due nipoti di zio Pietro — prima Salvatore, poi suo fratello Michele — ripresero la tradizione, più o meno all’inizio degli anni Novanta.

Quando una tradizione è viva
Quando ero uno studente delle medie, ho contribuito a realizzare un giornalino di classe in cui ho curato la pagina dedicata al tamburo di San Michele. Qualche anno fa, il blog "Gozlinus" ha pubblicato quella pagina: 

fonte

A distanza di quasi quaranta anni da quelle semplici frasi- scritte a macchina dalla mia professoressa di italiano- continuo a pensare che il tamburo "sta a indicare la gioia della popolazione per la festa in arrivo", anche se forse sono meno convinto che la tradizione affondi "le radici nella notte dei tempi", ma non è importante. Perché se una tradizione non è antica, non necessariamente perde valore; la sua forza si misura nella capacità di continuare a parlarci: di far sognare i bambini, di far attendere una festa di paese con le bancarelle, di confortare il sonno fragile di una persona anziana, di strappare il primo sorriso della giornata.
A tenerla viva è anche la sua capacità di adattarsi senza perdere identità, di rinnovarsi senza snaturarsi. 
Quest'anno, ad esempio, il signor Michelino è stato accompagnato da un gruppetto di persone, tra le quali il parroco e in un caso anche il sindaco. 
Un sorriso all'alba
(foto tratta dalla pagina Facebook
della Parrocchia San Giacomo Apostolo)
Alcune famiglie hanno lasciato il caffè pronto davanti alla porta, una signora ha accolto il piccolo gruppo offrendo dei cioccolatini. 
Un caffè per il suonatore
(foto di Stefania Feniello)
Piccole storie, di ieri e di oggi, che sono come dei battiti che fanno capire che il cuore di una piccola comunità è vivo.

Questo post è poca cosa, ma è dedicato alla memoria del signor Antonio Cozza la cui voce ho riascoltato -con emozione- mentre scrivevo queste righe.

Un cordiale ringraziamento:
Al signor Michelino Cuozzo, innanzitutto per la dedizione con cui consente a questa tradizione di conservarsi e anche per la sua preziosa testimonianza (grazie anche alla figlia Valentina che l'ha raccolta).
Alla signora Feodora D'Ambrosio, che ha condiviso i suoi ricordi e ha offerto un'interessante chiave di interpretazione della tradizione.
Alla signora Marinella Cozza, che ha raccolto la testimonianza del caro papà Antonio.
Alla signora Norma Caldarone, che ha consentito di ricostruire le vicende del recupero della tradizione.
Alla signora Stefania Feniello, autrice del video e della foto del caffè.
Alla signora Anna Cecere, nipote del signor Matteo Cozza, che ha contribuito a ricostruire la storia del tamburo di famiglia.
G.V.

25 aprile 2025

I TRE PARTIGIANI DI VALVA

Valva ha avuto tre partigiani: Michele Cecere, nato e vissuto in paese, Luigi Del Plato, nato in provincia di Taranto da madre valvese, Filiberto Martinelli, nato a Valva ma trasferitosi a Rieti dopo la guerra.

Michele Cecere, un partigiano nelle valli di Fenoglio
Al partigiano più noto in paese, il signor Michele Cecere, abbiamo dedicato diversi post, cercando di inquadrarne la vicenda nel contesto della Resistenza nelle valli Ellero e Corsaglia, in provincia di Cuneo.
Ci siamo occupati del giornale clandestino Rinascita d'Italia, pubblicato nell'estate del 1944 dai "patrioti" di queste valli cuneesi; ecco il post, che presenta una piccola antologia di brani tratti dal giornale: 👉Il giornale partigiano stampato in un santuario
Questi sono gli altri nostri post dedicati al partigiano Michele Cecere:
👉Il partigiano di Valva 
👉Michele, partigiano catturato dai fascisti 
Abbiamo anche raccontato l'emozionante incontro tra la nipote Luciana e la signora Caterina, una donna che ancora ricorda il partigiano venuto dal Sud Italia:
👉La signora che ricorda il partigiano di Valva
👉Le rose e la memoria: omaggio floreale alla donna che ricorda il partigiano Michele Cecere 

Il partigiano Barba
Il preziosissimo lavoro di ricerca storica del prof. Aldo Menna ha consentito di scoprire la vicenda del partigiano "Barba", morto nell'Oltrepò Pavese nel 1945.
fonte: Aldo Menna, Il coraggio di rinascere
Il partigiano si chiamava Luigi Del Plato, figlio di una donna valvese: Rosina Del Plato, figlia di Michele.
Padre e figlia di trasferiscono da Valva in provincia di Taranto, a Leporano, come braccianti; Rosina è già diventata mamma di Francesco; Luigi nascerà in Puglia il 13 luglio 1923.
In questa foto vediamo i due fratelli Francesco e Luigi: entrambi moriranno in guerra, Francesco di malattia a Rodi, Luigi in combattimento a Borgo Priolo (PV), il 21 aprile 1945.

Luigi (a destra) e Francesco

Il partigiano carabiniere
Abbiamo scoperto anche un terzo partigiano di Valva.
Ecco la sua scheda:  

Filiberto Martinelli, di Benedetto e di Maria Petricone, nasce a Valva il 2 dicembre 1919, tre anni dopo il fratello Flavio.
I genitori non sono di Valva: il padre è maresciallo dei carabinieri, la madre risulta "nobildonna".  
Filiberto inizia la sua carriera militare l'11 marzo 1939 come volontario nei Carabinieri e il 27 agosto dello stesso anno è assegnato alla Legione di Roma. Non è certo se abbia partecipato ai combattimenti contro i nazisti a Roma dopo l’8 settembre 1943. Dal 1° ottobre 1943 al 12 giugno 1944 fa parte della formazione partigiana "Giulio Porzio" nel Cicolano, con il ruolo di vicecomandante. Dopo la guerra, si presume si sia trasferito a Rieti, probabilmente a Borgocollefegato. 
Filiberto Martinelli muore a Roma l'8 febbraio 1972; risulta coniugato con la signora Antonietta Granada.

Il dovere della memoria
Ricordare le storie di Michele, Luigi e Filiberto significa tenere viva la memoria e riconoscere l’importanza delle loro scelte, del loro coraggio e del loro impegno nella costruzione di un’Italia diversa, libera e democratica.
G.V.


11 aprile 2025

IL PIU' POVERO TI SVENTOLI: DUE POESIE PER PIETRO VUOCOLO

Pietro Vuocolo non ha avuto un sacerdote ad accompagnarlo nell'ultimo viaggio ma ne ha avuti due come testimoni dell'atto di nascita.
Forse uno scherzo del destino -sa essere spiritoso, ma non sempre le battute gli riescono- o forse una mera coincidenza; sicuramente, una circostanza curiosa.

Siamo nell'aprile 1945, la guerra non è ancora conclusa ma già si annunciano le tensioni che caratterizzeranno il lungo dopoguerra italiano e internazionale.
Già prima della scomunica contro i comunisti, a Valva si decide di non concedere i funerali in chiesa a un contadino accusato di essere comunista.
L'11 aprile Pietro muore di nefrite. 
In famiglia è rimasta la memoria delle sue urla durante l'agonia.
Lascia la moglie Carmela -che sarà una donna molto attiva nelle lotte comuniste contadine di Valva, anche tesserata alla locale sezione- e cinque bambini.
In paese ancora si raccontano due episodi: al funerale il suo feretro venne portato in processione per il paese e davanti al cimitero il farmacista Merolla tenne l'orazione funebre.
Eppure, nell'atto di nascita datato 3 giugno 1906 (Pietro era nato il 31 maggio) i due testimoni erano stati due sacerdoti, entrambi residenti a Valva: Geremia Avallone (di 63 anni) e Donato Cuozzo (di 31anni).
Tra l'altro, il giorno in cui Michele Vuocolo va in comune a denunciare la nascita del bambino è la domenica di Pentecoste e si celebra la festa dello Statuto. Comune aperto, due sacerdoti che fanno da testimoni nel giorno di una festa solenne nel calendario religioso e in quello civile.

A Pietro Vuocolo dedichiamo due poesie.
La prima è di Pier Paolo Pasolini: Alla bandiera rossa.

Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui esista:
chi era coperto di croste è coperto di piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese africano,
l'analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli. 
Pasolini sogna una bandiera capace di ridiventare straccio, oggetto concreto e umile, da restituire al popolo: si augura che gli ultimi della terra, gli esclusi -qui rappresentati dal mondo offeso delle plebi meridionali- si riapproprino di una lotta che appartiene ai più poveri.
Tessera del Partito Comunista Italiano, 1945

Questi altri versi sono tratti da Teatro degli Artigianelli, di Umberto Saba:

Falce martello e la stella d'Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno sul quel muro!
[...]
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.

La bandiera del Partito comunista torna a sventolare: è un segno della liberazione; anche se la guerra non è finita (la poesia è scritta nel settembre 1944), il fascismo è caduto e i cittadini tornano a manifestare liberamente le proprie opinioni politiche.
Saba sottolinea che la libertà è stata riconquistata a caro prezzo: Ma quanto/ dolore per quel segno su quel muro!
Molto suggestiva la personificazione del vino, definito amico/dell'uomo, al quale dà sollievo, facendogli dimenticare le sofferenze. L'uomo sofferente si scalda al sole come chi ha freddo si scalda al sole.

A Pietro Vuocolo abbiamo dedicato il post Il funerale negato.

Grazie per la gentile collaborazione a Ortensia Vuocolo e Lucia Farella.
G.V.

IL FUNERALE NEGATO

Di Pietro Vuocolo ho sempre sentito raccontare un episodio della sua vita: l'ultimo, il funerale non celebrato in chiesa perché era "comunista".
Immagine generata con l'intelligenza artificiale
Mi risulta l'unico caso nella storia di Valva, se sbaglio mi correggerete.
Forse dovremmo tornare indietro alle storie dei briganti per trovare qualcosa di simile e credo basti questo dubbio per riflettere sulla portata della decisione.
L'11 aprile 1945 Pietro muore a 38 anni; lascia cinque figli piccoli (tre femmine e due maschi), uno è già morto a soli due mesi, nel 1943, mentre Raffaela -la figlia maggiore- morirà a undici anni nel 1946.
Pietro ha sposato Carmela nel 1930, l'anno dopo ha perso il padre (anche lui giovane).
Nell'aprile '45 la guerra in Italia non è ancora finita, a Valva sì.
In realtà, un'altra guerra sta covando: la forte contrapposizione ideologica che caratterizzerà la vita politica e sociale dell'Italia del Dopoguerra, chierico rosso contro chierico nero, dirà Montale.
La scomunica contro i comunisti sarà pronunciata solo nel 1949, da Pio XII; il papa bergamasco che inviterà a distinguere tra errante ed errore -guardando prima alla persona e poi alle sue idee- è ancora di là da venire, si chiamerà Giovanni.
Dunque, c'è ancora la guerra.
Il Nord non è ancora liberato, l'avanzata alleata e la lotta partigiana contro i nazifascisti non hanno ancora vinto. DC e PCI fanno parte del governo di unità nazionale, ma nel Paese sono già divisi, anche nelle realtà più piccole.
Non sono riuscito a trovare documenti o testimonianze che potessero fugare il mio dubbio principale sulla vicenda: perché proprio a Valva e perché proprio il fratello di mio nonno?
Questo dubbio ne racchiude altri: perché una scomunica prima di quella papale? quale pericolo poteva venire a Santa Romana Chiesa dalle idee di un contadino morto a 38 anni?
So poco della situazione politica valvese nei mesi dopo la caduta del fascismo; evidentemente il partito comunista era uscito dalla clandestinità e so che annoverava tra le sue file anche alcune donne; ce n'è una celebre, a Valva: proprio la moglie di Pietro, zé Carmela.
Credo che quel contadino morto così giovane meriti almeno la fine di una sorta di damnatio memoriae alla quale i tempi -drammatici e confusi- lo hanno condannato, in quel giorno di aprile del 1945, quando una guerra non era ancora finita e un'altra -meno cruenta ma ugualmente lacerante- si stava preparando.
La ricerca continua.
G.V.

09 aprile 2025

L'AMORE AI TEMPI DELLA GUERRA: NICOLA E LAURETTA, UN MATRIMONIO PER PROCURA

Questa storia comincia con una torta e un matrimonio.
La torta è quella che si vede in tante foto degli album di famiglia a Valva, tra gli anni Sessanta e Settanta: un bambino o una bambina festeggia il compleanno, tutte le bottiglie di alcolici presenti in casa (anche quelle ornamentali) schierate a decorare la scena e, al centro,  una torta grande e bellissima.
Molto spesso, quella torta era opera di zia Lauretta, signora D'Antona, pasticcera provetta.
Il matrimonio è il suo, celebrato di martedì, il 6 marzo 1941.
Lo sposo però non c'è: è in guerra, ad Addis Abeba. A rappresentarlo, l'amico lavianese Pasquale Nappi. 
E' un matrimonio per procura.
Per capire meglio questa storia occorre fare un passo indietro.
Nicola D’Antona (all'anagrafe Nicola Gerardo Vincenzo) è nato a Laviano l'8 febbraio 1911, in via Garibaldi, da Raffaele (muratore) e Chiarina Trapanese. 
Nell'atto di nascita si nota una particolarità: la firma di papà Raffaele; non capita spesso di trovare la firma del genitore sui registri di nascita (a volte nemmeno i testimoni, a meno che non siano possidenti -quindi benestanti- firmano) 
Nel 1941, mentre l'amico Pasquale firma al suo posto l'atto di matrimonio, Nicola si trova alla sua seconda guerra, sempre in Africa.
C’era già stato infatti tra il 4 ottobre 1935 e il 20 ottobre 1936, durante la campagna d’Etiopia che culminò con l’ingresso del maresciallo Badoglio ad Addis Abeba. È la stessa vicenda ricordata dal discorso di Mussolini rimasto famoso per il riferimento ai "colli fatali di Roma", sui quali torna a risplendere l’Impero.
Sul foglio matricolare di Nicola compare anche l’importo del premio di mobilitazione: 300 lire. 
Riceverà la Medaglia commemorativa della campagna d’Africa Orientale (1935–1936) e, nel febbraio del 1937, la Croce al Merito di Guerra.
Nicola è un muratore come suo padre, ma in questa foto sembra quasi un attore a un provino cinematografico:

Nel 1939 si arruola volontario per l’Africa Orientale Italiana, con una ferma di due anni. È assegnato al 10º Reggimento Granatieri di Savoia. Parte da Napoli e sbarca a Massaua il 29 febbraio 1939 (sì, c'è scritto proprio il 29!). Torna ufficialmente in guerra l’11 giugno 1940, il giorno dopo il celebre discorso di Mussolini a Palazzo Venezia.
Il periodo tra febbraio e marzo 1941 è particolarmente intenso: il 10° Reggimento Granatieri d'Africa fa parte della 65ª Divisione fanteria "Granatieri di Savoia", che proprio per le vicende militari di quei giorni riceverà la Medaglia d'Argento al Valor Militare, con questa motivazione:

Salda unità costituita da granatieri e bersaglieri, in prolungata aspra battaglia contro preponderanti forze terrestri ed aeree, superba nel valore come nel sacrificio, opponeva con incrollabile tenacia valida resistenza agli attacchi dell'agguerrito avversario, contribuendo a mantenere in grande onore il prestigio delle armi italiane.

A.O. 1°febbario-1°marzo 1941

Consapevole del rischio di non tornare vivo dalla guerra in Africa, durante la permanenza in Etiopia Nicola propone a Laura D'Arcangelo, di Valva, di sposarsi.
Non sappiamo di preciso quando si sono conosciuti, ma la figlia Annamaria ci aiuta a ricostruire il contesto: Nicola era a Valva per motivi di lavoro. Possiamo dunque immaginare che i due giovani si siano conosciuti e tra di loro, con le modalità e la timidezza del tempo, sia nato un sentimento reciproco.
Come detto, il matrimonio si celebra a Valva il 6 marzo 1941. 
Poco dopo, il 1° aprile, Nicola viene fatto prigioniero.
Forse, in quel momento, il suo primo pensiero è stato quello di aver fatto bene a sposare la sua Lauretta.
Resterà prigioniero degli inglesi fino al 13 ottobre 1943, quando finalmente rientra in Italia.
Ai figli racconterà di aver sofferto di dissenteria durante la prigionia e di essere stato poi operato allo stomaco.
Possiamo ipotizzare che Nicola D'Antona sia stato liberato proprio per motivi di salute; generalmente i prigionieri degli Alleati vengono liberati molto tardi, sicuramente dopo la fine della guerra. 
Viene ricoverato all’Ospedale Militare di Bari; dopo due settimane ottiene una licenza di 90 giorni. A fine gennaio 1944 torna in ospedale per una visita di controllo. 
Nell’aprile dello stesso anno viene posto in congedo illimitato.
Nicola D'Antona è l'uomo a sinistra; 
accanto a lui, la suocera Maria Del Plato,
che tiene una mano sulla spalla di Laura D'Arcangelo;
la donna con la bimba in braccio è Caterina D'Arcangelo.
La pasticcera dal sorriso gentile, continuerà a preparare le torte per i bambini di Valva. Oggi, sfogliando gli album di famiglia, quelle torte parlano ancora; raccontano anche una storia d'amore e di attesa, di guerra e di ritorno.

Un cordiale ringraziamento alla signora Anna Maria D'Antona.

G.V.