29 novembre 2024

LA MEMORIA E' UNA CASA CHE ATTENDE ANCORA -Il monumento ai caduti di Senerchia

Oggi sono a Senerchia.
Attendo che finisca il mercato per scattare qualche foto al monumento ai caduti.
Al bar c'è un gruppo di francesi, immagino emigrati di seconda generazione. Chissà se capiscono quello che sentono al bar o in piazza, chissà se hanno ancora nonni e parenti a Senerchia o se sono qui solo perché usano la casa di famiglia come punto di appoggio. 
Ci sono anche alcuni turisti, forse della città: chiedono conferma che non si può accedere alla cascata (Oasi Valle della caccia) e la accolgono con una certa incredulità. Non dovrei dirlo, ma un po' mi consola sapere che anche negli altri comuni non tutto  funziona, almeno a livello di comunicazione, e che anche altri viaggiatori partono un po' impreparati (ne so qualcosa: il mese scorso sono andato in provincia di Treviso per visitare il sacrario di Fagaré e l'ho trovato chiuso, anche se Google diceva il contrario).
Nell'attesa che le ultime bancarelle "raccolgano i ferri" -come ancora si dice da queste parti- faccio un giro verso il paese vecchio.
Una cena interrotta
Forse Senerchia è una cena interrotta, un uscio lasciato aperto in attesa di un ritorno che non c'è più stato.
Ho questa impressione mentre fotografo alcune abitazioni vicino alla piazzetta del Borgo Antico, un tempo piazza Umberto Primo.

Una bottiglia.
Forse è questa l'immagine che io ho del terremoto.
Ricordo quella rovesciata sul tavolo a casa mia, durante l'ultima cena in quel mondo di prima. E poi la fuga.
A Senerchia ho la rappresentazione fisica di che cos'è un paese di prima.
In tutti i comuni di questa valle c'è un prima e un dopo: il 23 novembre 1980.
Qui, dopo quella data la vita è cresciuta accanto, più giù; questo è rimasto un paese santuario, un presepe nel quale cresce l'erba.

Gli usci aperti mi trasmettono una sensazione struggente. Immagino persone scappate quella domenica sera, senza essere più tornate a raccogliere le proprie cose.
Come un eroe antico
Torno nella Senerchia di oggi, dove ormai le bancarelle sono andate via e le persone tornano a casa per il pranzo; vedo famiglie con genitori che parlano ai figli in francese. 
Accanto al bar c'è il monumento ai caduti.
Le nuvole sembrano volermi fare un regalo: un fiocco bianco, quasi uno sfondo poetico al gruppo scultoreo in bronzo che rappresenta un soldato con una bomba in mano mentre sorregge un compagno ferito che stringe una bandiera.
E' un'allegoria: un soldato della Grande Guerra raffigurato come un eroe antico. E' la celebrazione del sacrificio, della forza giovane: le tracce della retorica del tempo sono evidenti, eppure non ho l'impressione di una scena fredda, di maniera. In fondo, così ai sopravvissuti è piaciuto immaginare i loro compaesani caduti: forti, fieri, protesi in avanti dove il destino e la patria li chiamavano. Se non è dolce morire per la patria -morire non è mai dolce- che sia almeno riconosciuto ai caduti il diritto a essere ricordati in un atteggiamento eroico, penso.
I caduti
Il monumento ricorda 24 caduti della Grande Guerra e 13 della seconda guerra mondiale.
Risulta abbastanza agevole la ricerca dei caduti della prima guerra.
Alcuni di questi soldati sono caduti sul campo, anche in località celebri: Errico Antonio (risulta nato a Palomonte) sul Monte Cimone, nel settembre 1916; Gasparro Vincenzo sul Carso, nell'agosto 1917; Guarnaccia Michele ad Asiago, nel 1916; Papa Antonio sul Piave, nel giugno 1918 (la "Battaglia del solstizio"). Occorre un lavoro suppletivo per individuare il fronte sul quale sono caduti Amato Giovanni (nel 1916) e Gasparro Raffaele (nel 1917).
Mi colpisce l'alto numero di morti per malattia, in ospedali da campo o in città vicine al fronte: Boffa Martino, Boffa Giuseppe, Cozzi Giulio, Gasparro Pasquale (nel 1920, a Verona), Sessa Antonio, Sessa Michele (nel 1919, a Napoli, per postumi delle ferite), Trimarco Angelo Maria, Trimarco Antonio, Trimarco Sabato (nel 1915 a Cremona, per infortunio per fatto di guerra).
Due soldati sono morti a Senerchia, di malattia: Bracco Angelo (nel 1919) e Mazzone Generoso (nel 1917).
Tre soldati sono morti durante la prigionia: Cuozzo Francesco, Izzo Alessandro, Sessa Carmine.
Benedetto Angelo è morto in Francia.
Non ho ancora trovato notizie su tre caduti: Bracco Alberto, Cannone Giuseppe, Di Marco Gennaro.
Nell'Albo d'Oro due altri caduti risultano nati a Senerchia, ma non sono ricordati nel monumento (verosimilmente si saranno trasferiti e sono ricordati in qualche altro comune): Moscatiello Rofino, morto sul campo nel 1917; Trimarco Gelsomino, disperso in Libia nel 1915.
Prima di andare via, incontro Ersilia, una mia compagna di classe.
Beviamo un caffè e parliamo di vita e di morte, che in fondo sono gli unici argomenti che davvero contano.

Approfondimento

Il nostro viaggio tra i monumenti ai caduti nei comuni dell'Alto Sele ha già fatto tappa a Castelnuovo di Conza, a Santomenna e a Calabritto:

Monumenti ai caduti dell'Alto Sele, 4 continua

G.V.

22 novembre 2024

CADUTI IN GUERRA IN DUE ESERCITI DIVERSI: LA STORIA DEI FRATELLI CUOZZO

Quando nel 1918 offre i suoi cinque dollari per l'acquisto della statua di San Michele, da donare alla chiesa di Sant'Antonio a Batavia, in America, forse ha già deciso di arruolarsi nell'esercito statunitense.

Quella di Giuseppe Cuozzo è una scommessa. Mi arruolo, vado in guerra, torno in Europa a combattere nello stesso schieramento della mia Italia, ma con una divisa di un altro colore. Se torno, divento cittadino americano. 

Nato a Valva il 27 febbraio 1889, da Giacomo e Maria Michela Vuocolo, Giuseppe ha deciso di ripartire da qui, dall'America. Con lui, c'è suo fratello Donato.

Quello che ancora non può sapere è che non tornerà più dall'Europa: cadrà in guerra, proprio come suo fratello rimasto in Italia.

Giovanni Cuozzo, nato a Valva il 18 giugno 1897 risulta infatti morto a Vicenza, per malattia, il 25 marzo 1917.

Giovanni combatte nel 236 Reggimento Fanteria, Brigata "Piceno". 

La brigata è costituita in provincia di Vicenza. Il 25 marzo 1917 è trasferita a Piano e il 9 aprile è schierata sulla linea di resistenza nei pressi del Loner settentrionale (Trentino).

Proprio il giorno in cui la sua Brigata è trasferita, Giovanni muore.

Suo fratello Giuseppe, negli Stati Uniti, si arruola nel settembre 1917; nel maggio 1918 inizia il suo servizio, che dura "to Death", fino alla morte, avvenuta il 20 settembre 1918.

Combatte in Francia nel 309th. Infantry Regiment, 78th Division. 

Il 309° Reggimento ebbe un ruolo fondamentale in alcune battaglie decisive nella Grande guerra: partecipò all'offensiva della Mosa-Argonne, all'Offensiva di St. Mihiel e alla Campagna della Lorena.

Possiamo ipotizzare che Giuseppe sia caduto nella battaglia di St. Mihiel, combattuta tra il 12 e il 19 settembre tra 14 divisioni americane e 4 francesi da un lato, 10 tedesche e una ungherese dall'altro. Le perdite americane furono di 7mila uomini,  quelle tedesche e ungheresi 2mila.

Soldati statunitensi di ritorno dal fronte di Saint-Mihiel; fonte

Giuseppe riposta al cimitero americano di St. Mihiel, a Thiacucourt, in Francia (nel settore D, fila 24, tomba 12).

La sua morte è notificata al fratello Donato, residente a Buffalo, al numero 35 di Shanley Street.


Giovanni e Giuseppe Cuozzo, dunque.

I loro nomi, uno dopo l'altro, sono al monumento ai caduti di Valva.

Quando nel 1924 i loro concittadini costruiranno il monumento, anche grazie al contributo del circolo valvese di Newark, decideranno di ricordare tutti i valvesi caduti, sia quelli morti combattendo nel Regio Esercito che quelli caduti con la divisa statunitense.

Tutti figli di Valva e vittime della guerra; alcuni di questi giovani, vittime anche dell'emigrazione.

Un omaggio alla loro memoria

Nella parola "fratelli", il poeta Ungaretti vede una forma di ribellione spontanea, quasi istintiva, dei soldati: di fronte alla tragedia della guerra, essa fa emergere la vera natura di ogni uomo, che vede nell'altro un fratello.

Ai fratelli Cuozzo dedichiamo questi immortali versi:

Di che reggimento siete
fratelli? 

Parola tremante
nella notte 

Foglia appena nata 

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità 

Fratelli

Un sentito ringraziamento al signor Carminuccio Del Plato e alla signora Valentina Cuozzo.

G.V.

21 novembre 2024

L'ARCANGELO GUERRIERO: IL SAN MICHELE DEI VALVESI IN AMERICA

L'identità passa anche attraverso la devozione popolare al santo patrono e una statua è il segno visibile di un legame profondo.
E' il 1918, siamo a Batavia, nello stato di New York, contea di Genesse; a circa 80 chilometri, le cascate del Niagara, mentre la città di Buffalo è un po' più vicina.
Batavia è una città in rapida crescita demografica, grazie all'arrivo di immigrati polacchi e italiani: la popolazione arriva a circa diecimila abitanti; da tre anni la città ha ottenuto lo status di "città incorporata", ovvero di municipalità ufficialmente riconosciuta.
La statua
Tra gli italiani, c'è una nutrita comunità di valvesi.
Oltre quaranta di essi partecipano alla colletta per l'acquisto di una statua di San Michele Arcangelo, patrono di Valva.
La statua viene collocata nella chiesa di Sant'Antonio; oggi la chiesa è chiusa, ma la statua c'è ancora: è nella chiesa dell'Ascensione.
Ecco l'elenco dei valvesi che hanno partecipato alla sottoscrizione:

Oltre un terzo dei partecipanti si chiama Michele o è figlio di un Michele; notiamo che è ancora poco diffuso il nome Gerardo (san Gerardo è stato canonizzato da meno di quindici anni). Si segnala la presenza di due donne. I cognomi sono abbastanza vari, compresi alcuni oggi poco diffusi a Valva o non più attestati.

Quante storie, dietro quei nomi...
Tra le persone che riteniamo di aver identificato, c'è un valvese che di lì a pochi mesi morirà nella Grande Guerra: Giuseppe Cuozzo
Nato a Valva il 27 febbraio 1889, figlio di Giacomo e di Maria Michela Vuocolo, risulta "killed in action" in Francia il 20 settembre 1918. Combatteva nel 309th Infantry Regiment, 78th Division.
Con molta probabilità Giuseppe è il fratello di Giovanni, che risulta morto per malattia a Vicenza il 25 marzo del 1917, ventenne: è a tutti gli effetti un caduto in guerra valvese. 
Approfondiremo i documenti per ricostruire una storia che merita di essere raccontata: due fratelli caduti nella stessa guerra, combattendo in due eserciti diversi. Vittime della guerra e dell'emigrazione.
Forse abbiamo identificato un altro nome: un altro valvese che sta per combattere con l'esercito americano, Pietro Falcone
Negli Stati Uniti dal 1913, nel 1918 risulta in guerra: parte il 22 maggio da Hoboken (New Jersey) per raggiungere la Francia. 
Nei documenti militari del viaggio di andata troviamo il nome el fratello Michele, in quelli del viaggio di ritorno la sorella Giuseppina. Pietro è nella Quarta Batteria di mortai da trincea.
Pietro tornerà negli Stati Uniti nell'aprile 1919. Si sposerà nel luglio 1921. 
Più sicura è l'identificazione di Onofrio Marcello; il nome è meno diffuso, il cognome è scritto in una variante abbastanza rara, dunque siamo quasi certi che sia la stessa persona che compare in questo documento:

E' un'assicurazione legale, serve a garantire che Onofrio gestisca correttamente il patrimonio del defunto Pasquale Cecere, anch'egli emigrato valvese: una misura di sicurezza per evitare problemi o perdite per lo stato o per gli eredi.
Pasquale Cecere è morto senza lasciare testamento: dunque Onofrio deve amministrarne correttamente il patrimonio, pagare eventuali debiti del defunto, distribuire i beni agli eredi, seguire le istruzioni del tribunale. Per fare questo, stipula una polizza assicurativa (con la United States Fidelity and Guaranty Company), che promette di pagare fino a 5mila dollari se Onofrio non adempie ai suoi doveri di amministratore.

Le foto della statua di San Michele e dell'elenco dei valvesi che hanno contribuito al suo acquisto sono state fornite dal signor Carminuccio Del Plato, che ringraziamo per la gentile collaborazione.  

Pasquale Cecere è morto lavorando alla costruzione delle ferrovie americane. 
Sua figlia Antonia, lasciata bambina a Valva, sarebbe un giorno diventata la mia bisnonna.

G.V.

10 novembre 2024

NON DIMENTICHEREMO I VOSTRI NOMI


Have you forgotten yet?... 
Look up, and swear by the green of the spring that 
you’ll never forget.
Sigfried Sasson, Aftermath

Non hai ancora dimenticato?... 
Guarda giù e giura sugli uomini uccisi dalla guerra che 
non dimenticherai mai.
Sigfried Sasson, Dopo

Nel suo centesimo compleanno, torna a splendere il monumento ai caduti di Valva.

Eretto nel 1924 per iniziativa degli ex combattenti, riuniti in un Comitato Pro Monumento, e dei valvesi emigrati a Newark, nel New Jersey, il monumento sorse su un terreno che il marchese Francesco d'Ayala-Valva aveva donato al comune nel 1922.

Il circolo valvese di Newark organizzò una serata di beneficienza per raccogliere i fondi da inviare a Valva per "l'erigendo monumento". 
A quella serata stiamo dedicando il documentario Di radici e di sangue.

Nei giorni scorsi è stato fatto un intervento di pulitura della statua in marmo -un fante con fucile- e delle epigrafi con i nomi dei caduti e con il ricordo delle "cospicue offerte" della Casa marchesale.

Ecco alcune immagini significative:

Visione frontale: prima e dopo

fonte: Catalogo Beni Culturali

Dopo l'intervento di pulitura
Tornano leggibili i nomi di tutti i caduti della Grande Guerra:

Ora è maggiormente leggibile l'epigrafe che ricorda il contributo della Casa marchesale:

Nei giorni scorsi nel monumento si è svolta la cerimonia del 4 Novembre, alla presenza dei cittadini e degli studenti del plesso di Valva dell'Istituto Comprensivo "Pascoli".

Ecco un breve passo del discorso del sindaco, Giuseppe Vuocolo:

Questo monumento è anche un simbolo di unità tra chi è rimasto e chi è emigrato. Un legame rinsaldato grazie alla memoria comune dei caduti in guerra. Erano distanti migliaia di chilometri, eppure i nostri concittadini non dimenticarono mai la loro terra d'origine, l'amata Valva. Oggi come allora, la loro memoria ci ricorda il valore della comunità. 

Riteniamo particolarmente suggestiva questa foto.  

Mentre i giovani membri del coro dell'istituto "Pascoli" -diretti dalla prof.ssa Serena La Barbera- eseguono il loro repertorio, ad ascoltarli ci sono le due figlie di un soldato morto per le conseguenze della guerra e un nipote di un soldato disperso in Russia:

Da destra, le signore Michelina e Angela Falcone, figlie di Michele;
il signor Silvio Annunciata, nipote di Prospero

Per le foto, un caloroso ringraziamento a Giovanna Feniello, Luca Forlenza e Gianfranco Fumo. 
un secolo di memoria, 6

G.V.

23 ottobre 2024

FLAVIO, LIBERATO NELL'ALBA DELLA RISCOSSA EUROPEA

Abbiamo già raccontato la storia di Flavio Caldarone  e della sua  "guerra infinita": prima in Africa Settentrionale (gennaio 1941), poi in Albania (settembre 1941), quindi in Francia (novembre 1942). Catturato dopo le vicende dell'8 settembre 1943, viene liberato dagli Alleati l'8 ottobre 1944 e torna in Italia, ancora nell'esercito (il suo foglio matricolare riporta varie tappe, fino al congedo del 1946).

Una bella foto di Flavio Caldarone
Un dato in particolare colpisce la nostra attenzione: Flavio risulta liberato già nell'ottobre 1944, dunque a questa data non può che trovarsi in Francia, visto che i Lager in Germania e nei paesi occupati dai nazisti saranno liberati a partire dalla data -rimasta simbolica- del 27 gennaio 1945.

Dal foglio matricolare di Flavio Caldarone; Archivio di Stato di Salerno

Anche se dedicato all'analisi della cattura degli internati militari in altri contesti geografici, il prezioso lavoro di Maria Teresa Giusti (Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945) ci fornisce delle cifre interessanti:

In totale dopo l'8 settembre 1943 i tedeschi disarmarono, su 2.000.000 di effettivi, 1.007.000 italiani. Di questi, 197 mila circa riuscirono a sfuggire alla deportazione dandosi alla fuga; dei rimanenti [...], 197.000 aderirono alla collaborazione con i tedeschi nel periodo tra la cattura e la primavera del 1944.  [...] Le reazioni delle 35 divisioni dislocate all’estero e delle 24 in Italia furono diverse: in Italia centrale e settentrionale consegnarono le armi 416 mila militari, a Roma e nel sud 102 mila, nella Francia meridionale circa 59 mila. [p.35]

Quanti hanno scelto di collaborare con i tedeschi (e con la Repubblica di Salò)?

I “fedeli all’alleanza” o i “recuperati immediatamente all’alleanza”, cioè subito dopo l’8 settembre, come li aveva definiti il comando supremo della Wehrmacht, erano circa 94.000 italiani appartenenti a tutte le forze armate. Divisi per aree geografiche, dei 94.000 che aderirono immediatamente, 13.000 circa erano sul territorio nazionale, 32.000 in Francia e 49.000 nei Balcani. Di questi approssimativamente 20.000 appartenevano alla milizia volontaria fascista; i rimanenti alle forze armate regolari [pp.72-73]

Dunque, dei 59 mila soldati italiani catturati dai tedeschi in Francia, collaborano in 32mila: oltre la  metà. Tra questi, non c'è Flavio Caldarone, che resta in Francia come internato e viene liberato nell'ottobre 1944.

La liberazione della Francia

Cerchiamo di ricostruire il contesto nel quale è avvenuta la liberazione di Flavio.

Dopo lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, Parigi è liberata il 25 agosto.

Rimangono nella storia le parole del generale De Gaulle:

Parigi! Parigi oltraggiata! Parigi spezzata, Parigi martirizzata, ma Parigi libera! Libera da sola, liberata dal suo popolo con la collaborazione degli eserciti di Francia e il supporto e la cooperazione dell'intera nazione, di una Francia che combatte, dell'unica Francia, della vera Francia, della Francia eterna.

Dopo Parigi, gli Alleati si concentrano sulla liberazione del resto della Francia e avanzano verso il Reno, barriera naturale verso la Germania. I tedeschi, in ritirata, si difendono tenacemente. Solo tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 la Francia può dirsi liberata. Il comandante delle forze Alleate, Eisenhower, scriverà: "Senza i partigiani francesi la liberazione della Francia e la disfatta del nemico in Europa occidentale si sarebbero protratte molto più a lungo e ci sarebbero costate maggiori perdite".

Un'ipotesi

Non sappiamo quale sia stato il campo di prigionia di Flavio.

Proviamo comunque a fare un'ipotesi: lo Stalag XII, che ha avuto diverse dislocazioni; dall'ottobre 1943 al novembre 1944 lo troviamo nella città francese di Forbach, al confine con la Germania (oggi nella regione del Grand Est, che ha come capoluogo Strasburgo).

E' un'ipotesi ancora da verificare, ma ci sembra plausibile perché all'epoca la città di confine è di fatto annessa alla Germania (e in effetti il foglio matricolare di Flavio non parla esplicitamente di Francia).


Per la foto, un sentito ringraziamento al nipote Antonio Caldarone.


Approfondimenti

Il precedente post dedicato alla vicenda di Flavio è il seguente: 
👉La guerra infinita: la storia di Flavio, liberato in Francia

Per le vicende della liberazione della Francia: Sulle macerie del nazismo: la liberazione di Parigi, Storica, National Geographic

Maria Teresa Giusti, Gli internati militari italiani: dai Balcani, in Germania e nell'Urss. 1943-1945

G.V.

07 settembre 2024

UN NOME CADUTO IN DUE GUERRE: LA STORIA DI UNO ZIO E DI UN NIPOTE

Questa è la storia di uno zio e di un nipote che non si sono mai conosciuti ma che hanno in comune il nome e la morte in guerra.

Il nome è Pietro, i conflitti sono la Prima e la Seconda guerra mondiale, il comune di nascita è Laviano, nell'Alta Valle del Sele.

Pietro Grande vi nasce il 28 giugno 1894, vigilia della festa di san Pietro: è probabile che sia questo il motivo del nome. I suoi genitori si chiamano Antonio e Fusella Maria. 
Pietro è biondo, con i capelli ricci e gli occhi grigi; dal suo foglio matricolare possiamo ricavare due segni particolari: ha una cicatrice alla fronte e la sua dentatura non è sana. 
Il 2 aprile 1914, alla visita militare della leva della classe 1894 il giovane estrae il numero 90.

Fino al 1907, l'estrazione a sorte dettava l'ordine dei coscritti alla "prima categoria", fino a raggiungere il numero previsto dalla legge per il contingente che quel determinato distretto era chiamato a fornire. Gli altri arruolati erano assegnati alla "seconda categoria";  quelli che si trovavano in alcune condizioni giuridiche particolari, generalmente di famiglia, o fisiche erano assegnati alla "terza categoria".
Una legge del 1907 stabilisce che "tutti i cittadini idonei sono arruolati nel Regio Esercito ed assegnati alla prima categoria ove non abbiano diritto all'assegnazione alla seconda o alla terza categoria per ragioni di famiglia nei casi previsti dalla legge". L'estrazione a sorte venne comunque mantenuta, allo scopo di determinare quale parte dei soldati di "prima categoria" dovesse essere lasciata in congedo perché eccedente il numero di uomini che, in base alla legge di bilancio, possono essere trattenuti alle armi ogni anno. 

Pietro è lasciato in congedo illimitato.
Il giorno del suo ventesimo compleanno, una pallottola cambia la storia del Novecento: è l'attentato di Sarajevo, anticamera della Grande Guerra.
Successivamente, il 7 settembre 1914 Pietro è rinviato in congedo illimitato provvisorio in attesa del "congedamento "(oggi diremmo congedo) del fratello Nicola, della classe 1889, "per presentarsi alle armi otto giorni dopo il congedamento del fratello".
Il 5 novembre 1914 Pietro giunge alle armi, essendosi congedato il fratello. Il 9 novembre 1914 è arruolato nel 70° Reggimento Fanteria.
Giunge in territorio dichiarato in stato di guerra in un giorno particolarmente importante per la storia italiana: il 24 maggio 1915.
Di lui il foglio matricolare non riporta altre notizie se non l'ultima, in data 11 luglio 1916: "Morto nel 238° Reparto someggiato, in seguito a ferite riportate per fatto di guerra".

Per ipotizzare i luoghi e le circostanze del ferimento letale, possiamo seguire le vicende del suo Reggimento.
Il contesto è quello dell'offensiva austriaca e della controffensiva italiana nel Trentino: è la cosiddetta "Battaglia degli Altipiani". L'offensiva austriaca è conosciuta con il termine di "Spedizione punitiva". 
La battaglia dura dal 15 maggio 1916 al 27 luglio 1916; a metà giugno inizia la controffensiva italiana. Si stima che le perdite italiane ammontino a quasi 150mila uomini.
Il 70° Reggimento Fanteria costituisce insieme al 69° la Brigata Ancona (Campagna risulta tra le sedi di reclutamento).
Ipotizzando che Pietro sia deceduto pochi giorni dopo la ferita in combattimento, potrà essere utile sapere che il 23 giugno la brigata si trasferisce nel settore del Pasubio e partecipa alla controffensiva italiana, avanzando fino a Valmorbia e concorrendo alla riconquista di Monte Trappola. 
Dal 22 giugno al 31 dicembre la Brigata è nella zona di Vallarsa-Settore Pasubio-Monte Corno- Altipiano Col Santo.
Dunque Pietro muore quando è in cura nel reparto someggiato della 38.ma sezione Sanità.

Durante la Grande Guerra furono mobilitate 89 sezioni di sanità; ciascuna era divisibile in un reparto carreggiato (con uso di carreggio) e due reparti someggiati (con uso di muli), contraddistinti da numerazione espressa in centinaia, con il numero della sezione nelle unità (poi decine) e il progressivo nelle centinaia (nel nostro caso, 38 sezione di sanità, 238 reparto someggiato; l'altro reparto someggiato era il 138). fonte
Cinque mesi dopo, il 22 dicembre 1916, sua sorella Concetta -moglie di Francesco Borriello- dà alla luce un bambino al quale dà il nome di Pietro.
Quando nel maggio 1937 viene dichiarato rivedibile alla visita di leva, forse Pietro Borriello pensa che non diventerà un soldato; l'anno dopo, però, è chiamato alle armi il 25 marzo e lo stesso giorno lo troviamo nel 31° Reggimento Fanteria.
Pietro Borriello è abbastanza alto per l'epoca, ha i capelli lisci castani, il viso lungo e il mento sporgente, come riporta il suo foglio matricolare. 
Anche nel suo caso, viene annotato che la dentatura è guasta: è un elemento molto ricorrente nei fogli matricolari dei soldati delle due guerre, un chiaro indizio delle condizioni difficili in cui vivevano i giovani che si presentavano alla visita di leva. 
Pietro sa leggere e scrivere, come vediamo nel retro della foto:

Ancora non sa che subirà lo stesso destino dello zio da cui ha preso il nome.
Evidentemente Pietro è  in gamba, visto che già nel mese di luglio è nominato fante scelto; il 15 agosto è promosso col grado di caporale.
Il 25 settembre 1939 è trattenuto alle armi e il 28 gennaio 1940 è inviato in licenza straordinaria senza assegni di un mese, a Laviano; rientra al reparto il 27 febbraio.
Il 1 marzo 1940 lo troviamo nel 32° Reggimento Fanteria, Divisione Siena, con sede a Caserta.
Lo troviamo ricoverato proprio all'ospedale militare di Caserta dal 16 al 26 aprile; successivamente, è inviato in licenza di convalescenza.
L'11 giugno 1940 lo troviamo in territorio dichiarato in stato di guerra: Benito Mussolini ha da pochi giorni annunciato che l'Italia è entrata in guerra.
Il reggimento, che era dislocato in Piemonte con compiti di riserva, partecipa alla campagna contro la Francia.
Il 1 luglio Pietro parte dal territorio dichiarato in stato di guerra e il 20 settembre si imbarca a Bari; sbarca d Durazzo, in Albania, il 22 settembre.
Il 32° Reggimento è alle dipendenza del Corpo d'Armata della Ciamuria: viene schierato nella parte meridionale dello scacchiere di guerra, in Epiro.
Il 28 ottobre troviamo Pietro "in zona di operazioni": è una data importante, perché proprio in questo giorno in cui ricorre l'anniversario della marcia su Roma Mussolini decide di attaccare la Grecia, dall'Albania. 
In questa data il suo reggimento riceve l'ordine di preparare la partenza verso in confine greco-albanese.
La successiva informazione presente sul foglio matricolare di Pietro Borriello è la seguente: Tale deceduto in seguito a ferite riportate in combattimento, il 5 dicembre 1940.

🙏Un fratello di Pietro, Giovanni, chiamerà uno dei figli come il giovane soldato caduto in guerra. 
Proprio oggi il signor Pietro Borriello, che ha collaborato a questo post con le informazioni e le foto, compie ottanta anni. 
A lui il nostro ringraziamento per la collaborazione e un fervido augurio di buon compleanno.

Approfondimento
Sulle vicende sul fronte greco-albanese, si veda il post: 
👉 La meglio gioventù

Ai caduti in guerra di Laviano abbiamo dedicato tre post, in occasione dei cento anni dall'inaugurazione del monumento che li ricorda:
👉I cento anni del monumento ai caduti di Laviano- Un secolo di memoria
👉Dalla gleba oscura- I caduti di Laviano
👉All'ombra solitaria dei monti nativi -Le storie dei caduti lavianesi

Le notizie sulla Brigata Ancona sono tratte da www.storiaememoriadibologna.it

G.V.

22 agosto 2024

LA MEMORIA È LIBERTÀ -Il monumento ai caduti di Calabritto (parte 1)

Stamattina volevo iniziare il mio giro tra i monumenti dell'Alto Sele da Santomenna, ma la mia tendenza a girare senza un piano rigidamente scandito e il mio discutibile senso di orientamento mi hanno portato prima a Castelnuovo. Ora supero il fiume e per logica dovrei cominciare da Caposele: ecco che invece mi trovo a Calabritto e poi tornerò al comune nel quale nasce il fiume che dà nome alla valle.

Non è un problema, mi dico. L'importante è ricordare tutti i caduti della zona in cui sono nato, dei comuni che posso abbracciare con lo sguardo dal balcone di casa, quelli da cui provengono le persone che trovo sul pullman quando ritorno a Valva. L'ordine logico di un percorso lo lascio a quelli più precisi di me (quasi il resto dell'umanità, forse).

Dunque, Calabritto: il comune che quando ero bambino mio nonno mi presentava come il comune in cui la ricostruzione post terremoto era più avanzata. 

Bella questa vittoria alata "come donna vestita all'antica", leggo nel Catalogo generale dei beni culturali. Mi verrebbe da chiedere cosa significhi di preciso "all'antica" e come potrebbe mai essere vestita una statua femminile che sia l'allegoria della vittoria, ma oggi sento che sono qui per fare domande più che per ottenere risposte.

Oltre a persone a me care che qui hanno preso il cognome, noto un elemento che in qualche modo mi avvicina a questo luogo, che accomuna questo monumento a quello da cui è partita l'idea del mio blog: il monumento di Valva.

Entrambi, infatti, sono sorti grazie al contributo degli emigrati nella città di Newark

New Jersey: nel 1924 la raccolta fondi dei valvesi, nel 1928 quella dei calabrittani (almeno è questa la data che leggo incisa sul monumento).


Società patria Libertà e lavoro.

È comprensibile che un gruppo di italiani emigrati in America abbia scelto questo nome per un'associazione di mutuo soccorso.

Liberando dal bisogno, il lavoro riconosce e valorizza la dignità umana. Forse questa è anche una definizione della memoria. Ricordare -nella verità e nella corretta contestualizzazione storica- libera dal rancore e dal fanatismo; ricordare -nella consapevolezza che la verità storica è sempre una conquista fragile e mai assoluta- libera dalla boria e dalla tentazione di fare della storia un tribunale morale in servizio permanente.  

A cento anni di distanza, non si avvertono più il profumo dell'incenso e l'eco della retorica, ma restano i nomi di giovani caduti in guerra e le loro età fissatesi per sempre in un numero inaccettabilmente piccolo. 

Questo blog non cerca eroi, ma radici; non si propone di celebrare vite inimitabili d'una eletta stirpe guerriera, ma di raccontare semplici vicende umane spezzate dalla guerra, che ha sottratto tanti giovani ai campi o a un lavoro da artigiano, alla vita nella famiglia e nella comunità.

Spesso seguiamo la traccia delle radici anche fuori dall'Italia, lungo i percorsi dell'emigrazione. Abbiamo dedicato un episodio del documentario Di radici e di sangue all'associazionismo italiano negli Stati Uniti. 

Proprio dalla biblioteca di Newark emergono foto di emigranti di Calabritto. Ritratti di famiglia che hanno varcato l'oceano nel fagotto degli emigranti, foto di processioni di epoca fascista direttamente da Calabritto, come queste:

fonte: Internet Archive

La scritta alla parete non è completa, ma possiamo ricostruirla sulla scorta di scritte simili: Il ricordo delle antiche prove freme nei nostri cuori così come l'impeto verso il futuro.

Oggi queste parole ci appaiono senz'altro come un indizio di fascistizzazione della memoria della guerra, con un accenno fallace a un futuro di potenza. Con la distanza temporale che abbiamo a disposizione, possiamo ricostruire il clima culturale ed emotivo nel quale sono sorti monumenti e sono state scritte queste frasi.

Si noti il patriottismo che emerge da questa foto, con la scritta W il Re sullo sfondo di una processione con molte statue (come un tempo si usava il giorno della festa patronale):

fonte: Internet Archive
Altre frasi della propaganda fascista sono leggibili in questa foto:
fonte: Internet Archive

In queste altre foto vediamo la processione della Madonna della Neve e di San Giuseppe negli Stati Uniti:

fonte: Internet Archive

fonte: Internet Archive

Un altro elemento mi porta in America. A pochi metri dal monumento ai caduti, infatti, vedo una fontana con la statua di Umberto I. L'epigrafe è vergata con la retorica di inizio Novecento:

Lo stesso busto lo ritrovo in una cronaca dell'Illustrazione italiana (celebre settimanale illustrato), dell'ottobre 1904:
fonte: Internet Archive

Il signor Alfonso Monaco, emigrato negli Stai Uniti, dona al suo paese natale un monumento al "re martire", con un pensiero che l'articolo definisce "geniale": "se dall'America partì il regicida, anche dall'America si mostrasse il valore dei calabritti ivi emigrati".
Credo che la fine della monarchia abbia suggerito di ricollocare il busto. Anche la memoria deve fare i conti col vento che cambia. 

Il mio senso dell'orientamento mi ha portato in America; per parlare del monumento di Calabritto occorre un secondo post. Confido nella vostra pazienza. 

Le foto delle processioni vengono dalla Gerard Zanfini and Michael D. Immerso First Ward Italian collection, presso: Charles F. Cummings New Jersey Information Center, Newark Public Library.

Newark, Newark

Il monumento di Calabritto è legato alla città americana di Newark.
Segnaliamo queati due episodi del documentario Di radici e di sangue:
L'episodio numero 4 ha come titolo 👉Patrie-Tra identità e integrazione.
Presenta le attività delle associazioni di mutuo soccorso, che nascono non solo dalla necessità di fornire assistenza agli iscritti ma anche da quella di costituire un punto di riferimento per persone che vivono in un mondo così diverso da quello nel quale sono cresciute. 
Queste associazioni sono fondamentali anche per l'integrazione degli emigrati negli Stati Uniti, oltre che a mantenere viva la loro identità, il legame con le radici.
Il quinto episodio si intitola 👉Come al paese -Una piccola Valle del Sele in America.
Si concentra sui circoli degli emigranti della Valle del Sele (Valva, Caposele), con particolare attenzione alla dimensione religiosa (ad esempio, la processione di San Gerardo a cura della comunità di Caposele). 

Approfondimento

Il nostro viaggio tra i monumenti ai caduti nei comuni dell'Alto Sele ha già fatto tappa a Castelnuovo di Conza e a Santomenna:

Monumenti ai caduti dell'Alto Sele, 3 continua

G.V.



 

20 agosto 2024

LA MEMORIA È UNA COLONNA SPEZZATA -Il monumento ai caduti di Santomenna

Santomenna mi ricorda un bel giorno della mia infanzia, il mio quarto d'ora di celebrità calcistica locale -molto locale e senza alcun seguito, per la verità- in un giorno delle vacanze natalizie, pochi anni dopo il terremoto del 1980; assistman d'eccezione, il giovane parroco.

Mi ricorda anche l'inauguazione della bellissima e struggente mostra Fate presto! a cura di Mimmo Jodice; era il 2000 e mi sembrava un segno di rinascita, ospitata nella chiesa madre ancora non restituita al culto. 

C'ero anche il giorno della riapertura della chiesa e ricordo un'atmosfera di grande emozione. Il sindaco di allora mi regalò delle cartoline che negli anni Ottanta l'amministrazione aveva stampato per lanciare un messaggio agli emigrati: Ritornate, ricostruiamo Santomenna. Cito a memoria, ho sempre un po' di timore nell'aprire i cassetti del passato. Ricordo il finale di un mio articolo scritto in quella occasione: qui hanno voglia di lottare, di certo venderanno cara la pelle.

Emozioni oggi non ne attendo, anche perché sono qui solo per il monumento e mi accorgo che, provenendo da Castelnuovo di Conza, praticamente non devo fare svolte, non mi imbatterò per caso in qualche dettaglio capace di portarmi lontano. Al massimo, lungo la strada noto qualche targa tedesca o francese, come è normale da queste parti nei giorni di Ferragosto: il mito di generazioni di emigranti, ma non so quanto sia ancora attuale. 

Non conosco il paese o almeno non ricordo più nulla. Lo vedrò un'altra volta, mi dico; oggi è la giornata che voglio dedicare ai monumenti ai caduti dell'Alto Sele: ho visto quello di Castelnuovo, poi voglio superare il fiume e visitare quelli di Calabritto e di Caposele.

Il monumemto mi appare appena supero il municipio. 

Piccolo, in un angolo appartato, in questo sabato d'agosto. 

Una colonna spezzata in un'aiuola recintata.

Così lo descrive il Catalogo generale dei beni culturali:  

Monumento  costituito da una base gradinata sulla quale è sovrapposto un basamento che, sul prospetto principale, presenta l'elenco dei caduti della Seconda guerra mondiale e, sul lato destro, l'iscrizione commemorativa che ricorda i caduti della Grande Guerra. Sul basamento poggia una colonna spezzata. 

È forte il simbolo di una colonna spezzata. Dice con icastica evidenza il dramma della guerra, che spezza le giovani colonne di una comunità. L'anima del soldato vola via dalle membra- dicono gli eterni versi omerici- rimpiangendo il proprio destino, lasciando la forza e la giovinezza. Su quella colonna non sarà costruita una famiglia, non poggerà un progetto che guarda al futuro. Restano il sangue, il nome, l'orgoglio e l'esempio, come ricordano le solenni parole incise a lettere capitali alla base del monumento:

ALLA PATRIA IL SANGUE
ALLA STORIA IL NOME
AI CONTEMPORANEI L'ORGOGLIO
AI POSTERI L'ESEMPIO  

SANTOMENNA  
EVOCA E CELEBRA
I SUOI FIGLI
EROI E MARTIRI 
CADUTI 
NELLA GUERRA REDENTRICE
E VINDICE
DI LIBERTÀ E DI GIUSTIZIA 
NEL MONDO  
XI NOVEMBRE MCMXIX
Alcune osservazioni sui nomi.
Sono incisi su due lati.
Il primo elenco è il seguente:

Troviamo subito due nomi che richiedono un po' di attenzione.
Il sottotenente Rendina Donato, infatti, non risulta tra i caduti nati a Santomenna. Possiamo ipotizzare che sia il soldato nato a Muro Lucano nel 1885, arruolatosi nel Distretto Militare di Potenza e morto nel 1916 che troviamo nell'Albo. Il suo nome nel monumento di Santomenna ci fa immaginare un matrimonio qui o comunque un cambio di residenza.
Possiamo formulare la stessa ipotesi per il sergente Cianci Gerardo, il cui nome è nel monumento ma non nell'Albo d'Oro tra i nati a Santomenna: pensiamo sia il soldato che risulta nato a Sant'Andrea di Conza nel 1895, arruolatosi nel Distretto Militare di Avellino e morto nel 1917.

Ecco la seconda parte dell'elenco, con tredici nomi:

Due osservazioni preliminari: i nomi non sono in ordine alfabetico e non è chiaro il motivo della diversa intensità del colore dei caratteri.
Nell'Albo d'Oro dei caduti troviamo  quello che verosimilmente è un errore: Manziani Francesco dovrebbe essere Manziano, come scritto sull'epigrafe e come risulta all'Archivio di Stato (nei fogli matricolari c'è una sola attestazione della variante in -i, a metà Ottocento, ma in un altro comune).
Un dubbio riguarda un caso di omonimia: tra i nomi del monumento troviamo Turi Giuseppe, ma nell'Albo sono due i caduti di Santomenna con questo nome. Giuseppe di Carmine, classe 1885, è morto di malattia a Voghera nel dicembre 1918 (dunque a guerra finita); Giuseppe di Pasquale Emilio, classe 1883, è morto in un ospedaletto da campo per ferite riportate in combattimento, nel 1916. 
In uno dei post della nostra trilogia dedicata ai cento anni del monumento di Laviamo ci siamo occupati del caso di Fasano Francesco, il cui nome è nel monumento di Laviano ma risulta nato a Santomenna (classe 1890, morto in prigionia nel 1918). Anche per lui abbiamo ipotizzato un matrimonio a Laviano.
Ricapitolando, i nomi incisi sul monumento sono 19, nell'Albo d'Oro i caduti nati a Santomenna risultano 25 ma ne conosciamo due che pur non originari di questo comune risultano tra quelli del monumento. 
Inoltre, sappiamo che nel giugno 1919 il sindaco di Santomenna comunicava alla sottoprefettura di Campagna che i caduti in guerra erano 21 (non erano distinti dai dispersi e dai morti a causa di malattie contratte in guerra).
*****
Me ne vado da Santomenna un po' distratto. Penso alle foto da scegliere tra quelle che ho scattato mentre intercettavo frammenti di saluti e conversazioni tra passanti, mi chiedo quale sia il grado di realismo inderogabile nel reportage di un non professionista come me. Forse sceglierò una mia idea del monumento ai caduti e sarà il mio modo di firmare questo lavoro.
Altre foto, di altri autori, è giusto che restino nella storia di questa comunità. Continuo a osservare la sublime semplicità di alcune fotografie scattate a Santomenna negli anni Ottanta da un maestro e mi viene da pensare che la vita cerca di riprendere il suo corso anche mentre si attende il ritorno di un giovane dalla guerra o di una famiglia dall'emigraziome, anche mentre un paese piange le sue colonne spezzate.

Francesco Jovane, Santomenna-Chiesa (negativo)
fonte: Catalogo generale dei beni culturali
Francesco Jovane, Santomemma-Case prefabbricate (negativo)
fonte: Catalogo generale dei beni culturali

Nei prossimi giorni aggiorneremo questo post con l'elenco completo dei caduti di Santomenna e alcune informazioni significative (data di nascita, reparto, data, luogo e causa di morte).

Post scriptum
Popolazione residente al censimento del 1911, l'ultimo prima della Grande Guerra: 1350 (193 in meno rispetto a dieci anni prima e 219 in più rispetto al 1921: un ch
iaro segno del fenomeno migratorio). 
Popolazione residente al 1 gennaio 1924 (sito Istat): 387. 
Vittime del terremoto del 1980: 64.

Approfondimento

Il nostro viaggio tra i monumenti ai caduti nei comuni dell'Alto Sele ha già fatto tappa a Castelnuovo di Conza:

Monumenti ai caduti dell'Alto Sele, 2 continua

G.V.