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Anni Cinquanta, sagrato della Chiesa Madre Giovanni Grasso è in compagnia di Giuseppe Caprio fonte: Gozlinus |
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Collezione privata |
Uno strumento di ricerca storica per ricostruire e custodire la memoria dei valvesi caduti o fatti prigionieri in guerra
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Anni Cinquanta, sagrato della Chiesa Madre Giovanni Grasso è in compagnia di Giuseppe Caprio fonte: Gozlinus |
Un naïf pittore e scultore:
GIOVANNI GRASSO
Giovanni Grasso vive a Valva (Salerno), un paese medioevale, abbarbicato alle rocce, dimenticato.Nel suo studio silenzioso, accogliente, fantasia e ricordi gli sono compagni.Pittore schivo, che opera in punta di piedi, in un'epoca in cui l’arte è così soffocata dalle teorie, ci fa scoprire un mondo di fiaba e di magia.I colori violenti, rubati alla sua terra e alla sua gente arguta e rude, consapevole di vivere per vivere l’essenziale, sono un atto d’amore, la fonte prima della sua ispirazione.Le nature dei suoi quadri sono ricche, travolgenti, ma tutto, nonostante tutto, è profondamente naïf.Vissuto per lungo tempo in Venezuela, dove lo ha spinto la sua natura di artista-esploratore, nelle foreste sulle rive dell’Orinoco, «il grande fiume» dei popoli indios, Giovanni Grasso ha appreso l’arte della scultura lignea, ingenua ed essenziale.Egli ci presenta, in questa personale, tele pervase da una «istintività» che lo accosta ai grandi «semplici», e, in omaggio a popoli che ha conosciuto o che sogna di conoscere, idoli di una eleganza stupenda, che portano impressa l’arcana magia delle cose lontane, proibite.
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Pavone su un ramo; fonte: Gozlinus |
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Ritratto di Vito Feniello, Guardia Civica; collezione custodita presso il Municipio di Valva |
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Collezione privata |
I suoi genitori si sono sposati nel 1890. Dal registro dei matrimoni ricaviamo alcune informazioni anagrafiche: i genitori di Michelangelo, Giuseppe e Margherita Del Vecchio, risultano già deceduti; i genitori di Assunta sono Domenico (deceduto) e Filomena Giuliano.
Nel 1894 nasce Giuseppe, morto a soli tre mesi; nel 1895 nasce la sorella Amalia.
Quest'anno Castelnuovo di Conza celebra i cento anni del suo monumento ai caduti e dunque rivolgo un pensiero ai suoi giovani morti in guerra, alcuni dei quali così vicini ai miei compaesani nella sepoltura lungo la linea del Piave come lo furono in vita, contadini, pastori o artigiani dalle parti del Sele.
Sono al sacrario di Fagarè della Battaglia con un proposito non molto razionale: trovare la sepoltura di due -forse anche tre- miei concittadini caduti lungo la linea del Piave, tra il novembre 1917 ("Prima battaglia del Piave") e i mesi di giugno-luglio 1918 ("Battaglia del Solstizio").
Le possibilità di successo sono scarse, perché da tempo associazioni e appassionati hanno individuato, tra i caduti sepolti qui, alcuni soldati il cui luogo preciso di sepoltura era fino ad allora sconosciuto, aggiornando così l'Albo d'Oro con nuove informazioni: se accanto al nome dei miei concittadini non compare questo sacrario, ne deduco che non riposano qui.
Però sono qui perché sentivo di dover esserci.
Sui lati della facciata sono scolpiti quattro bassorilievi in marmo opera dello scultore Marcello Mascherini, provenienti da un precedente monumento, che illustrano tappe significative della partecipazione italiana alla guerra.
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L'entrata dell'Italia in guerra, 24 maggio 1915 fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali |
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Di qui non si passa, 15 giugno 1918 fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali |
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La barbarie nemica sul suolo della Patria, 24 ottobre 1917 fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali |
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Trionfo delle armi italiane, 4 novembre 1918 Fonte: Catalogo generale dei Beni Culturali |
Mi viene in mente il verso immortale di Orazio
In questo processo collettivo di elaborazione del lutto e costruzione di una memoria nazionale, fondamentale è il ruolo simbolico che assume il Piave.
"No" disse il Piave, "No" dissero i fantimai più il nemico faccia un passo avantiE si vide il Piave rigonfiar le spondeE come i fanti combattevan le ondeRosso del sangue del nemico alteroIl Piave comandò: "Indietro va', straniero".
Fagarè della Battaglia, 1 -continua-
“...non me ne potevo andare, perché lontano da questa terra sarei stata come gli alberi che tagliano a Natale, quei poveri pini senza radici che durano un po' di tempo e poi muoiono.” [Isabel Allende, La casa degli spiriti]
Come ci ricorda Isabel Allende, senza radici si rischia di seccare. E' con questo spirito che abbiamo creato la ràdica: per restare legati alla terra e alla memoria.
Nel nostro percorso di crescita, abbiamo pensato che un sito potesse favorire la promozione dei contenuti del blog la ràdica.
Il sito è una sorta di vetrina che mette in evidenza i principali contenuti principali del blog, suddivisi per categorie.
In questo modo i nostri lettori potranno conoscere meglio le varie iniziative delle ràdica e, magari, ritrovare post meno recenti, che verranno rilanciati per garantirne una maggiore visibilità.
In occasione della nascita del nostro sito, abbiamo anche adottato un logo che, almeno per ora, possa rappresentare la natura del nostro lavoro:
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Immagine creata da Google Gemini |
👉https://sites.google.com/view/laradica/home-page
Il sito è ovviamente visualizzabile anche da smartphone e tablet, ma probabilmente si apprezza meglio da computer, dove i contenuti sono disposti in modo più chiaro e completo.
Ogni radice racconta una storia. Il sito è il nostro modo per intrecciarle e condividerle. Vi aspettiamo.
G.V.
Un decoratore lavorava in contesti molto diversi tra loro: abbelliva edifici religiosi, si occupava della decorazione di saloni, camere e facciate di palazzi privati o della scenografia di teatri e caffè. Nei cantieri collaborava con muratori e falegnami. Decorava pareti con pannelli o cornici intagliate, applicando pitture ornamentali o durature, soprattutto se aveva competenze nell'intaglio e nella lavorazione del legno.
Proviamo a immaginare qualche decorazione da lui realizzata, magari all'interno del palazzo di una famiglia benestante di Valva o della zona. Ci aiutiamo con l'intelligenza artificiale, alla quale abbiamo fatto analizzare alcuni dipinti di Giovanni Grasso per ispirarsi al suo stile naïf, con colori vivaci e un'aria fiabesca.
Dalle fonti che abbiamo consultato, non emerge con chiarezza dove fosse esattamente mobilitata la 6ª Compagnia Genio Ferrovieri nel giugno 1940. Sappiamo che il Reggimento Genio Ferrovieri mobilitò 13 battaglioni di lavoro e 3 gruppi "esercizi linee". Spesso le compagnie del Genio Ferrovieri venivano riorganizzate e spostare rapidamente, soprattutto all'inizio della guerra. Sappiamo però con certezza che la 6ª Compagnia era attiva nei teatri di guerra dal 1941 in poi, soprattutto in Nord Africa (1941-42) e successivamente in altri fronti (come quello greco-albanese). Sappiamo inoltre che dal 1943 l'Italia settentrionale e centrale fu affidata al 3° Raggruppamento Genio Ferrovieri, con sede a Castel Maggiore. Questa struttura coordinò sette battaglioni di lavoro, un battaglione ponti metallici smontabili, e diverse sezioni di esercizio. Queste unità furono impegnate per preservare la rete ferroviaria e assicurare la necessaria manutenzione, ripristinare linee e ponti danneggiati dai bombardamenti.
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Giovanni Grasso è accanto a suo nipote, anch'egli artista, Antonio Freda. Foto Falco, fonte: Gozlinus |
Ora le ragazze pure di cuore
Ancora sentono le parole
Delle ombre nel vacile
Dentro l'acqua continuare a dire
[…]
Ora le ragazze per San Giovanni
Chiedono al fuoco di svelare gli inganni
Chiedono al cardo chiedono al piombo
Chi avranno un giorno per compagno intorno
E anche le crude Masciare
Questa notte vogliono volare
E ognuno indaga nel cielo
Qualche segno dal mondo del vero
Tornato dalla Grande Guerra, Arcadio Grasso lotta contro le conseguenze del terribile gas che ha respirato in battaglia. Rimane però attaccato alla vita, come il fante Ungaretti durante la sua Veglia accanto a un compagno massacrato.
Arcadio vive la
sua attesa della morte -che lo raggiungerà a soli trentuno anni- dipingendo e
scrivendo canzoni d’amore.
Il blog Gozlinus
ha pubblicato il testo di una canzone d’amore di Arcadio Grasso.
Proponiamo un’analisi
del testo.
Tre strofe
di otto versi ciascuna; l’ultimo verso è sempre tronco; si alternano senari.
Sei bella nel tempio
di bruno vestita.
Coperta hai la fronte
da un pudico velo.
Dei dolci peccati
sei forse pentita,
mi sembri una santa
discesa dal ciel.
Il
nipote Antonio Freda ricordava una versione leggermente diversa di questa
strofa:
Sei bella, sei splendida/ di bianco vestita,/coperta la fronte/da un candido velo…/dei dolci peccati/sei forse pentita,/mi sembri una santa/ discesa dal ciel…
Nelle
due versioni che ci sono pervenute, cambia il colore del
vestito della giovane donna: il bianco fa subito pensare a una sposa, mentre il
nero potrebbe farci pensare a una suora (ipotesi rafforzata dalla presenza di
un “pudico velo”).
Il riferimento ai “dolci peccati” e soprattutto quel “forse” che rende il pentimento non certo fanno pensare a un giovanile errore, come direbbe Petrarca, a una precedente fase della vita della donna.
Ha amato un uomo e poi si è
sposata o ha preso i voti?
Io pure ti vidi
ancora più bella
laggiù sulla rena
ai rialzi del mare.
Sul timido piede
ancora più bella,
che tutto il mio cuore
tremava d’amor.
Anche della seconda strofa il nipote
Antonio ricordava un’altra versione:
Io pure ti vidi/ancora più bella/laggiù nella rena/ai riflessi del mare,/sul timido piede/sì plastica e snella,/che tutto il mio core s’infiamma d’amor…”
C’è stato un momento in cui la donna è
stata ancora più bella: non l’amore santificato dal sacramento (nel “tempio”),
ma l’amor profano, con l’io lirico che ricorda le proprie emozioni (“tutto il
mio cuore/ tremava d’amor”) alla visione del corpo della donna; una pudica
sineddoche suggerisce di citare solo “il timido piede” ma fa immaginare il
resto di un corpo giovanile; da segnalare, comunque, che nella versione
tramandata da Antonio Freda i riferimenti alla fisicità sono più espliciti: “sì
plastica e snella”.
O soave fanciulla,
bell’angel di Dio,
riposa tranquilla
nei sogni d’amore
e, se sarà scritto
nel mio destino,
un giorno mia sposa
sarai dal ciel.
Dopo l’evasione sensuale, è il momento
del ritorno all’ordine morale.
La donna è chiamata “fanciulla”, un
termine che sembra privarla di ogni riferimento sensuale; per rafforzare il
concetto, la donna è definita “bell’angel di Dio”, un’immagine che rafforza e
supera i versi che concludevano la prima strofa: mi sembri una santa /discesa
dal ciel. Non c’è più “mi sembri”, che conferiva alla sensazione una dimensione
soggettiva e non certa; non più santa ma angelo: quel “santa” era ancora
pericolosamente vicino alla memoria dei “dolci peccati”, qui il distacco è
compiuto, l’anima è salva, e la donna è
invita a riposare “nei sogni d’amore”.
Cosa significa, di preciso? Riposare nei sogni nel senso che questi devono
riposare e la donna non deve più pensare all’amore del passato?
E’ forse morta? In questo caso, il
colore nero della prima strofa assumerebbe un significato di crudo realismo.
L’allusione finale, la speranza che la donna sia la sposa dell’io lirico “dal ciel”, può forse far pensare a un ricongiungimento di due amanti in un’altra vita o comunque a una dimensione più puramente spirituale nella quale un amore terremo può trasformarsi.
*****
Analisi
metrica e stilistica
Le rime, le assonanze e le consonanze sono
semplici (vestita/ pentita, bella/ bella, mare/ amore, Dio/mio). Le espressioni
"santa discesa dal ciel" e "bell'angel di Dio" rafforzano
l'idealizzazione. L'aggettivo "timido" riferito al piede è
particolarmente evocativo e aggiunge un tocco di delicatezza e pudore.
Anche il lessico è
semplice, con parole che afferiscono al campo semantico del sacro ("tempio", "velo", "santa/ discesa dal ciel", "angel di Dio"), del pudore ("pudico velo", "coperta la fronte"), dell’amore
sognato ("soave fanciulla", "sogni d’amore", "mia
sposa").
Tra le figure retoriche, si noti la similitudine “mi sembri una santa / discesa dal ciel”.
Dal
punto di visto fonosimbolico, efficace l’allitterazione in “tremava d’amor”,
tra l’altro in una strofa ambientata davanti al mare.
*****
Commento
Con il tono minore di una poesia tardo
romantica e forse crepuscolare, forse in questi versi si avverte il dramma del Canzoniere
di Petrarca: l’amore come passione che allontana da Dio, la speranza di un
superamento post mortem della dimensione materiale di questo sentimento devastante.
Nella canzone non si avverte però mai il dramma, ma il sospiro: un atteggiamento
crepuscolare, di un sogno nutrito di abbandono.
L’autore non vuole sorprendere con
artifici stilistici o con l’erudizione; vuole esprimere con sincerità e
profondità un sentimento giovanile, che l’ascoltatore della sua canzone possa sentire
vicino. Lo fa con la semplicità e la grazia di un repertorio amatoriale di
canzoni d’amore.
Il testo sembra seguire la traccia della
poesia lirica amorosa, sia pure a un livello chiaramente amatoriale.
La donna è idealizzata e desiderata a un
tempo; al presente della bellezza pudica -nel tempio- si contrappone il passato
del ricordo, in una dimensione più terrena anche se pur sempre eterea.
Il desiderio non diventa mai concretezza
fisica.
E’ una poesia dei sentimenti discreti e
pudichi.
Ricorda l’ultima stagione del Romanticismo italiano, quella patetica e sentimentale dei componimenti d’amore languidi, letti da giovani in lacrime.