26 marzo 2022

UNA LETTERA DAL FRONTE RUSSO

Una lettera può essere la chiave d'accesso al mondo di una persona e costituire un'occasione preziosa di conoscenza storica. 

In particolare, una lettera dal fronte è un documento straordinario che si presta a più livelli di lettura.

Il primo, è quello immediato: tentativi di rassicurare la famiglia, informazioni pratiche sulla corrispondenza, saluti affettuosi.

A un livello successivo, essa è anche una testimonianza: riproduce un mondo e la sua mentalità, ci dà informazioni per ricostruire il contesto in cui si sono svolti gli eventi, ci fa entrare in contatto con un passato che sentiamo lontano ma del quale ci giunge l'eco.

La lettera che pubblichiamo viene dal fronte russo, scritta da un giovane soldato della divisione Vicenza che sarebbe morto meno di due mesi dopo: Raffaele Cuozzo

Eccola, nella sua semplice essenzialità: senza trascrizione del testo, senza interpretazione delle parole meno comprensibili, senza commento o quello che con un po' di enfasi potrebbe chiamarsi apparato critico.

Nei post successivi cercheremo di interpretarla e analizzarla, ma è giusto che la prima lettura sia personale e diretta.

E' una voce che giunge dal fronte russo e parla a ciascuno di noi.





Grazie a Norma e Michelino Caldarone per aver messo a disposizione di tutti un prezioso cimelio della loro storia di famiglia.


Sulla storia di Raffaele Cuozzo:

https://radicivalvesi.blogspot.com/2022/03/raffaele-che-non-e-mai-tornato-dalla.html



G.V.

23 marzo 2022

LA PACCHIANA CHE CHIUSE DIETRO DI SÉ UN MONDO INTERO

La guerra la fa Ulisse ma non è facile essere Penelope.

Le donne la combattono nei campi, sostituendo le braccia dei mariti, dei fratelli, a volte anche dei padri; o meglio: continuando a fare il lavoro che già facevano prima ma facendolo da sole. Le donne la combattono in casa, allevando figli e tirando avanti ogni giorno, con carattere e speranza.

Le immagino così le ragazze e le donne che attendono il ritorno del loro uomo dal fronte o dalla prigionia.

Nelle lettere dal fronte, sono evocate con pudore se fidanzate, con delicatezza se sono madri, con rispetto se sono nonne, con simpatia se zie e comari. Molti soldati non sono ancora sposati. 

In guerra, scrive De André in una delle sue più celebri canzoni con parole che graffiano l'anima, "a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio". 

Morire di maggio, metafora per indicare la giovane età dei caduti.

La guerra di Ulisse e di Penelope, dunque.

Oggi voglio ricordare una donna che ha avuto il marito al fronte e che rimarrà un simbolo per tutta Valva: la nostra ultima "pacchiana", zia Pasqualina.

Zia Pasqualina Torsiello vestita da pacchiana,
con in testa lu varlirə 

Non amo il termine pacchiana usato in italiano, perché vi vedo la spia linguistica di un pregiudizio di classe. 

L'accezione negativa con la quale l'aggettivo è rimasto incagliato nelle reti della nostra lingua mi sembra ingiusta: "privo di buon gusto e di stile, vistoso, grossolano", scrive il dizionario Treccani. Sullo stesso dizionario, il termine è presentato prima come sostantivo, di area meridionale: "contadino, villano; per lo più al femminile, contadina nelle vesti tradizionali, colorate e vistose".

Quando penso al termine dialettale, invece, mi si apre un mondo straordinario, un patrimonio di cultura e di affetto. 

Le vistose e tradizionali vesti della tradizione contadina appartengono alla nostra cultura in modo profondo, costituiscono un elemento della nostra "ràdica", sono un elemento di identità non solo per le donne che le indossano e che le indossano anche quando nessun'altra lo fa: zia Pasqualina sembrava vivere in un tempo sospeso, testimoniato e reso presente.

Giorno di festa

Queste vesti sono un elemento di identità anche per la comunità intera, perché il modo di vestire è una delle prime cose che notiamo in una persona e che ricordiamo di lei quando non c'è più; sono un elemento di identità collettiva perché un abito tradizionale (non amo definirlo costume: non siamo a teatro, non siamo a Carnevale, siamo nella vita vera delle persone e delle storie) ci ricorda da dove veniamo e, dunque, anche un po' chi siamo.


Zia Pasqualina con un vivace maccaturə

Zia Pasqualina se ne è andata, coi suoi vestiti da pacchiana, il 23 marzo del 2010.

Ci sono persone, scrive Erri De Luca, che morendo chiudono dietro di loro un mondo intero. A distanza di anni se ne accetta la perdita solo concedendo che in verità morirono in tempo.

Ecco perché zia Pasqualina appartiene a tutti noi.


Un grazie alla nipote Stefania per l'affettuosa collaborazione


G.V.

19 marzo 2022

RAFFAELE, CHE NON E' MAI TORNATO DALLA RUSSIA

A maggio non compirà cento anni, perché quando ancora non ne aveva ventuno è risultato disperso in Russia, durante la ritirata.

Raffaele Cuozzo, di Michele e Spiotta Maria Michela, è nato a Valva il 13 maggio 1922.

Il 9 maggio 1941, insieme a molti suoi concittadini, viene dichiarato abile e arruolato; nel gennaio del 1942 è chiamato alle armi. 


Al comune di Valva risulta disperso in Russia il 23 gennaio 1943, mentre nella banca dati del Ministero della Difesa la data è il 31 gennaio, in una località ignota. Anche il documentato sito dell'Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia riporta la data del 31 gennaio.

Entrambe le date, comunque, rientrano nel periodo della ritirata dell'armata italiana.

La campagna di Russia

Nell'estate del 1941 il corpo di spedizione italiano in Russia parte per il fronte; è impiegato in territorio ucraino.

Nella primavera del 1942 arriva in Russia l'Ottava Armata, chiamata ARMIR (Armata Italiana in Russia).

Raffaele Cuozzo che fa parte del 156.mo Battaglione Mitraglieri; la sua compagnia è distaccata a Cervignano, in provincia di Udine, come dimostra questa cartolina da lui inviata alla famiglia.

Dal timbro postale vediamo che nel giugno 1942 Raffaele è ancora in Italia. 

Alle truppe italiane in Russia viene affidata la difesa del fronte sul Don. 

La ritirata 

La controffensiva russa inizia nell'agosto 1942.

Pochi giorni prima del Natale del 1942 viene dato alle truppe italiane l'ordine di ripiegare: inizia così la drammatica ritirata dell'Amir. 

A metà gennaio 1943, sul Don avviene lo sfondamento decisivo da parte delle truppe russe: il Corpo d'Armata alpino e la Divisione Vicenza si sfasciano; sono costretti ad attendere nelle loro posizioni perché l'ordine di ripiegamento, che deve giungere dal comando tedesco, non arriva. 

Nei durissimi scontri di Varvàrovka, il 156.mo Battaglione Mitraglieri subisce perdite molto gravi, insieme al 156.mo Battaglione Misto Genio e al 278.mo Reggimento Fanteria della Divisione (quasi completamente annientato). 

Il 26 gennaio, in piena ritirata, avviene la sanguinosa battaglia di Nikolajewka: muoiono dai quattro ai seimila soldati. 

La rotta si conclude il 31 gennaio, quando la Divisione Tridentina raggiunge i primi avamposti tedeschi a Sebekino. 

Le cifre ufficiali delle perdite durante la battaglia sul Don e la ritirata parlano di quasi 85 mila militari indicati come "dispersi", oltre a 30 mila feriti e congelati che riuscirono a rientrare. 

Dei dispersi, solo diecimila faranno ritorno in Italia dopo la guerra. 

Ritirata, fonte

Nei prossimi post torneremo sulla Campagna di Russia, che ha visto un altro valvese disperso, Prospero Annunciata, e alcuni reduci. 

Anche nei comuni della Valle del Sele ci sono stati diversi dispersi in Russia. Ad esempio, Carmine Vernino di Colliano Rufolo Gerardo di Oliveto Citra erano nello stesso reparto di Raffaele e risultano dispersi lo stesso giorno.

Approfondimenti

Orrore bianco -La campagna di Russia 1942-1943, documentario di Agostino Pozzi, prodotto da Rai Storia

Una puntata di Passato e presente dedicata alla ritirata di Russia

Ritorno sul Don: la campagna di Russia raccontata dai reduci, articolo di Focus.it https://www.focus.it/cultura/storia/ritorno-sul-don-la-campagna-di-russia-raccontata-dai-reduci


Un sentito ringraziamento alla nipote Norma Caldarone, che ha fornito materiale prezioso.

G.V.


17 marzo 2022

Valva e l'Unità d'Italia

Il corteo reale all'apertura del Parlamento del Regno d'Italia; fonte

Mi piace pensare che Lorenzo Cuozzo fosse il nonno di mio nonno.

Sicuramente un mio trisavolo si chiamava così, ma quello che ho in mente io è nato il 26 febbraio 1861, di professione pastore; suo padre si chiamava Francesco, sua madre Domenica Strollo.

Penso a lui oggi perché dalle liste di leva dell'Archivio di Stato di Salerno risulta l'ultimo valvese maschio nato prima della proclamazione ufficiale del Regno d'Italia, avvenuta il 17 marzo 1861.

Un mio antenato, nato prima che l'Italia fosse.

Michele Spiotta, di Giovanni e Raffaela Falcone, è invece il primo maschio nato a Valva nel Regno d'Italia.

All'Unità d'Italia anche Valva ha dato il suo contributo di sangue; cinque morti prima del 1861, altri ventiquattro nella Seconda e Terza guerra di indipendenza.

Da un post di Gozlinus, ricaviamo la seguente lista di valvesi caduti durante le tre guerre del Risorgimento italiano:

Campagna del 1860 (conquista del Sud da parte di Garibaldi)

1. Civo Francesco di Felice                            Soldato

2. Feniello Giuseppe di Luigi                         Soldato

3. Gigantiello Rocco di Vitale                        Soldato

4. Marcelli Ludovico di Saverio                     Soldato

5. Strollo Michele                                           Appuntato

Campagna del 1866 (Terza Guerra d’Indipendenza)

1. Alfano Saverio                                              Tamburino

2. Corona Martino di Vito                                Soldato

3. Cozza Francesco di Pasquale                         Soldato

4. Cuozzo Antonio di Giuseppe                        Soldato

5. Cuozzo Domenico di Orazio                        Soldato

6. Cuozzo Donato di Pietro                              Soldato

7. Del Giglio Antonio                                       Soldato

8. Falcone Giuseppe di Amato                          Soldato

9. Falcone Giuseppe di Vito                             Soldato

10. Feniello Alfonso di Giacomo                        Soldato

11. Feniello Antonio di Francesco                      Soldato

12. Feniello Michele di Pasquale                        Soldato

13. Figliulo Michelangelo                                  Soldato

14. Grippo Donato di Carmine                          Soldato

15. Spatola Michele di Onofrio                          Appuntato

16. Spiotta Angelo di Raffaele                            Appuntato

17. Spiotta Antonio di Giacomo                        Appuntato

18. Spiotta Michele di Alessandro                      Appuntato

19. Strollo Mario di Pietro                                 Appuntato

20. Strollo Pasquale                                            Appuntato

21. Torsiello Michele                                         Caporale

22. Torsiello Michele di Pietro                           Soldato

Campagna del 1870 (detta anche Campagna di Roma, che si chiuse con l’annessione della città allo Stato italiano)

1. Spiotta Orazio di Giovanni                          Appuntato

2. Strollo Giovanni Battista*                            Appuntato

* Partecipò anche alla campagna del 1866


La fonte consultata da Gozlinus è il volume Combattenti per l'Indipendenza Italiana della Provincia di Salerno, a cura di Romolo Amilcarella.

G.V.

09 marzo 2022

I CENTO ANNI DI UN CAVALIERE

Un cognome che testimonia la stagione in cui l'azienda agricola del marchese d'Ayala attirava a Valva lavoratori stagionali che spesso provenivano dalla Puglia.

Santovito è un cognome tarantino, uno di quelli che sono rimasti in paese anche dopo la stagione dei marchesi.

Finita la Prima guerra mondiale, nella quale aveva combattuto nei "Cavalleggeri di Saluzzo", Cosimo Santovito sposò Pasqualina Cuozzo: il cognome più diffuso a Valva che si intrecciava a uno dei "forestieri".

Cosimo e Pasqualina sono i genitori di Enrico Santovito, che oggi compie cento anni.

Una foto di zio Enrico militare, a Pinerolo (1942)

Nell'atto di nascita di zio Enrico troviamo una curiosità, segno d'altri tempi. E' l'annotazione di un errore: il cognome della madre risulta Falcone, ma "deve leggersi ed intendersi per Cuozzo", come stabilito dal tribunale di Laviano nell'agosto 1947, poche settimane prima del matrimonio dei giovani Enrico e Rosina.

E' nato un bambino di sesso mascolino che egli mi presenta e a cui dà il nome di Enrico
(Atto di nascita)

Tra la nascita e il matrimonio, la dura esperienza della guerra in Albania e quella della prigionia, di cui parleremo nei prossimi post.

Ne parleremo perché quando le esperienze diventano racconto arricchiscono un'intera comunità, ma oggi è il giorno della festa, questo è il momento degli auguri a uno degli ultimi soldati della Seconda guerra mondiale ancora viventi: la sua voce ancora riesce a trarre dalle pagine del romanzo della sua vita frammenti di ricordi, che ha donato tante volte ai figli, ai nipoti, agli amici.

Tre valvesi soci dell'Associazione Arma di Cavalleria
deceduti nel 1971 (Cosimo Santovito è nella foto centrale)

Come frasi augurali, gli dedichiamo il motto delle "Guide", il suo reggimento, e quello dei "Cavalleggeri di Saluzzo", nei quali ha combattuto suo padre: Alla vittoria ed all'onor son guida e Quo fata vocant (Dove chiama il destino).

Perché ci sono cavalieri che lo sono non solo per aver combattuto nei Cavalleggeri.


Un grazie riconoscente alla nipote Rosanna per la preziosa collaborazione.

G.V.





05 marzo 2022

"Pacchisti" e "magroni": l'ossessione della fame

Oggi dopo aver mangiato una consueta orribile "sbobba" di cavolo rapa mi sono deciso ad iniziare a scriverti questa lettera per parlarti un po' della mia vita perché tu sappia un giorno, quando capirai, quanto e come papino abbia sofferto nella sua lunga e durissima via crucis. Questa descrizione oltre a non essere completa (ci vorrebbe troppo tempo e carta per dirti tutto) non ti darà neppure una pallida idea della vita bestiale da me vissuta dall'11 settembre '43 in poi, perché solo chi l'ha vissuta può veramente comprendere.

La distribuzione della "sbobba" in baracca; fonte

Così inizia il diario di un internato italiano.
Da lettere e diari capiamo che una delle principali sofferenze patite dagli IMI, nei lager come al lavoro coatto, è la denutrizione.

Anche le testimonianze dei prigionieri valvesi sottolineano spesso la fame patita e il fatto di essere tornati a casa ormai diventati magrissimi.

In diversi casi le calorie giornaliere sono meno di 1000.              

Il pasto principale è la Suppe, detta "sbobba", una brodaglia di rape (in alcune lettere viene chiamata "acqua sporca"), con l'aggiunta o l'alternativa di un po' di pane di segala, 20-25 grammi di margarina, un cucchiaio di marmellata, 25 grammi di zucchero, 500 grammi di patate ogni due o o tre giorni, crauti crudi, un mestolo di brodo nero detto caffè e poche altre varianti.

Mancano del tutto carne, verdura e frutta fresca: questo incide drasticamente sull'assunzione di vitamine e favorisce malattie come pleuriti, tubercolosi e tifo esantematico.
Il cibo è scadente, a volte perfino avariato, spesso trattato senza il rispetto delle più elementari norme igieniche.

Gli internati militari italiani non possono avere l'assistenza della Croce rossa, a causa del loro status giuridico. Di conseguenza, l'unico vero aiuto arriva dalle famiglie attraverso i pacchi alimentari, ma questo avviene per i militari originari delle regioni del Nord Italia sotto il controllo dei tedeschi e della Repubblica di Salò, tanto che tra i prigionieri nasce una discriminazione tra i cosiddetti "pacchisti" e i "magroni".

Un prigioniero siciliano scrive:

I settentrionali ricevono pacchi e (Dio mio!) si allontanano da noi. La nostra miseria li fa appartare.

La "sbobba" è una specie di pastone come quello che si dà ai maiali; una mezza gavetta di acqua con pezzi di cavolo rapa, una specie che gli italiani non hanno mai visto fino ad ora.

Un soldato la descrive nei dettagli: 

Nella minestra o "sbobba" trovi ogni ben di Dio, gli ingredienti vengono lessati così come vengono dalla madre terra e cioè con fango, terriccio, sabbia, pietruzze, parti legnose e putride e piene di vermi. Per parecchio tempo questo luridume ci è stato somministrato senza sale e perciò più nauseabondo. Non potrai immaginare mai e poi mai come sia ributtante questa roba fino a che lo stomaco non si abitua a questa specie di alimentazione. 

La distribuzione della sbobba avviene in modo faticoso e umiliante. 

Un prigioniero racconta che per mangiare la fila dura anche sei o sette ore: migliaia di prigionieri al freddo e affamati, che cercano di sostenersi l'uno con l'atro per stare in piedi, mentre le guardie se vedono che qualcuno si sposta leggermente lo colpiscono con uno stiletto sulle gambe o gli aizzano contro i cani.

Al momento della distribuzione gli internati fanno la massima attenzione e a volte sorgono accese discussioni, per fare in modo che il cibo sia ripartito senza imbrogli e favoritismi.

Spesso alla sbobba vengono aggiunti disinfettanti e purganti.

Un internato militare prigioniero a Dachau scrive che questi hanno effetti fastidiosi debilitanti: "Qui quello che va più stitico va sedici volte al giorno. C'è un giro di diarrea che ci porta via tutti quanti".

Pur di mangiare, i prigionieri sembrano disposti a tutto, anche a dare la caccia ai topi; spesso si accontentano degli scarti alimentari nell'immondizia (e a volte si gettano nella melma del letamaio per prendere carote marce, mentre i tedeschi ridono).

Un internato militare valvese a Dachau, Pasquale Volturo, è protagonista di un significativo episodio legato al tema del cibo, così raccontato dalla figlia Fiorenza:

Il cibo era scarso e pessimo; come tanti, di notte, approfittava del buio per andare dietro alle ricche mense dei tedeschi e cercare tra i rifiuti una buccia di carota, di rapa, o, con maggiore fortuna, qualche patata. Fu proprio furante una di quelle notte che un militare tedesco lo soprese a "rubare cibo" e gli pianto la punta della sua baionetta nel polpaccio sinistro. Lui ce la fece a scappare e nascondersi. Si salvò. Da quell'episodio e da quella vita, che vita non era, aveva preso l'abitudine di raccogliere sempre le briciole dalla tavola apparecchiata e portarla alla bocca: era il suo marchio [...] di un soldato italiano fedele alla sua Patria.


Per approfondire
📙Mario Avagliano - Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz'armi (1943-1945), il Mulino, 2020

Citazioni
Le informazioni e le citazioni contenute in questo post sono tratte dalle pagine 237-246 del libro di Avagliano e Palmieri

La testimonianza di Fiorenza Volturo relativa al padre Pasquale è tratta da questo suo articolo: 


28 febbraio 2022

LA PRIMA RESISTENZA: I VALVESI CHE NON SI ARRESERO AI TEDESCHI

All'indomani dell'8 settembre, la Divisione Acqui di stanza nell'isola di Cefalonia è chiamata a una scelta drammatica.

Arrivano infatti ordini contraddittori: il comandante dell'XI Armata emana l'ordine di resa ai tedeschi in tutta la Grecia, ma il comandante della Divisione, Gandin, prende tempo; solo il 13 settembre arriva dal Comando Supremo italiano l'ordine di resistere alle forze tedesche, che devono essere considerate nemiche.

Con l'ultimatum tedesco accade qualcosa di inedito: una consultazione fra le truppe italiane; ai soldati viene chiesto se consegnare le armi o combattere contro i tedeschi, quasi tutti decidono di combattere.

Il 15 settembre inizia la battaglia. 

fonte

Le truppe tedesche, grazie ai rinforzi giunti dall'entroterra e soprattutto grazie all'appoggio aereo, hanno la meglio sui soldati italiani dopo circa una settimana di combattimenti.

Gli italiani si arrendono il 22 settembre, ma questo non ferma il massacro; il 24, le salme degli ufficiali trucidati nella "Casetta rossa" vengono gettate in mare, i corpi dei soldati bruciati.

"Ecco la divisione Acqui che sale in cielo", dicono ancora oggi nella vicina isola di Itaca quando vedono nuvole nere all'orizzonte, alludendo a quelle tragiche fiamme.

Nei tre giorni seguenti, i massacri si ripetono a Corfù, dove i tedeschi sono sbarcati il 24 settembre.

La tragedia della Divisione Acqui non finisce a Cefalonia.

Tre navi che trasportano i prigionieri vengono affondate, causando oltre mille morti. Circa seimila sopravvissuti iniziano un viaggio di oltre un mese verso i campi di prigionia nell'Europa dell'Est.


I valvesi sul fronte greco

A Cefalonia risulta disperso Alfonso Feniello, a Corfù Giuseppe Macchia (classe 1911). Un altro valvese, Enrico Fusella, risulta disperso a Rodi. 

Due valvesi sono caduti in Grecia nell'estate del 1943: Giuseppe Macchia (classe 1921) e Michele Macchia.

Amodio Cuozzo e Settimo Fasano sono stati fatti prigionieri in altre due isole: Rodi e Coo.

Altri due valvesi sono stati fatti prigionieri sul "fronte greco", ma ancora non siamo in grado di indicare con precisione il luogo; sono Cosimo Feniello e Angelantonio Marciello.


Per approfondire

Un breve video di Rai Cultura:

https://www.raicultura.it/storia/articoli/2021/05/Leccidio-di-Cefalonia-6c4e0188-5bc8-4ccd-bce3-077e3fac2f7a.html

Una sintesi dei fatti, con foto significative:

https://museonazionaleresistenza.it/story/il-massacro-della-divisione-acqui/

Un articolo del Corriere, che presenta uno studio di Elena Aga Rossi, edito da il Mulino: 

https://www.corriere.it/cultura/16_settembre_04/cefaonia-eccidio-il-mito-elena-aga-rossi-generale-gandin-7410820c-72ab-11e6-9754-0294518832f8.shtml

Un articolo di Giorgio Rochat: 

http://www.isrecbg.it/web/wp-content/uploads/2014/03/65-Cefalonia_Rochat1.pdf

L'elenco dei caduti della Divisione Acqui:

http://www.associazioneacqui.it/it/pagine/reduci-m-patria.html


G.V.

26 febbraio 2022

"E' ARRIVATO IL MOMENTO DI PARLARE 'TEDESCO' CON QUESTE CAROGNE"

Finalmente è arrivato il momento di parlare "tedesco" con queste carogne. Finora abbiamo dovuto andarci piano, con questi signori, altrimenti ci avrebbero accusati di diffamare uno stato alleato. Ma d'ora in avanti tirerà un'altra aria...Adesso non useremo certo molti riguardi, e finalmente impareranno qui, da noi, che cosa vuol dire lavorare.

Foto segnaletica per la scheda personale
Fonte

I pregiudizi contro gli italiani

Non erano pochi i pregiudizi tedeschi contro gli italiani, soprattutto quelli meridionali, e non erano recenti. Da secoli, infatti, i tedeschi attribuivano agli italiani alcune caratteristiche negative, come l'ozio, la cattiveria, l'avarizia, la doppiezza, la mancanza di spirito combattivo.

Gli studi sui lavoratori stagionali nella Germania di fine Ottocento dimostrano che i tedeschi distinguevano fra gli italiani del Nord, considerati efficienti, frugali e laboriosi, e quelli de Sud, ritenuti brutali, rozzi e arretrati.                                               

Con la fine dell'alleanza italo-tedesca, dopo l'8 settembre tornarono a galla vecchi stereotipi e pregiudizi che la propaganda aveva represso per anni, quando l'Italia fascista era alleata della Germania nazista. 

In questa nuova fase, la propaganda tedesca fu abile a strumentalizzare l'indignazione nazionale contro gli italiani, ora considerati "traditori"; i militari italiani non disposti a continuare la guerra a fianco della Germania vennero considerati nemici e di conseguenza denigrati come un esempio assai negativo. 

Il cambiamento di status dopo il 1943

Nell'autunno del 1943 la Germania decise di considerare i militari italiani come manodopera nell'industria bellica, una vera e propria "massa da impiegare nell'economia di guerra"; dall'autunno del 1944 fino alla fine della guerra gli internati militari furono considerati "lavoratori civili".

In un primo tempo i soldati italiani furono considerati nemici e quindi prigionieri di guerra, distinti in due tipologie: quelli che non erano disposti a collaborare ma che comunque si erano arresi senza combattere, e quelli che avevano opposto resistenza; i primi vennero avviati al lavoro nell'industria pesante come prigionieri di guerra, i secondi vennero puniti con l'assegnazione a lavori più gravosi, a ridosso della linea del fronte orientale.

Il 20 settembre 1943 i soldati italiani considerati fino a quel momento prigionieri di guerra vennero trasformati in "internati militari italiani" (IMI): venivano considerati tali i prigionieri che avevano opposto una resistenza sostanzialmente passiva.

Il dibattito storiografico sul cambiamento di stato

Perché questo cambiamento di status?
Secondo la storiografia italiana, questa sarebbe stata una misura punitiva contro l'ex esercito italiano: in questo modo i tedeschi avrebbero sottratto gli italiani alla competenza in materia di assistenza ai prigionieri di guerra, spettante alla Croce Rossa.

Nel suo Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, dal quale sono tratte queste informazioni, Gabriele Hammermann ritiene invece che se i militari catturati dai tedeschi avessero mantenuto lo status di prigionieri di guerra essi sarebbero stati considerati prigionieri di un paese nemico e ciò avrebbe comportato il riconoscimento del Regno del Sud e del governo guidato da Badoglio. Ci sarebbero dunque motivazioni politiche alla base di questo cambiamento di statuto voluto da Hitler: riconoscere il governo di Salò, che si stava formando in quelle settimane, come l'unico legittimo rappresentante del popolo italiano.


Per approfondire
📙Gabriele Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania 1943-1945, il Mulino, 2004

Citazioni
Le informazioni e le citazioni contenute questo post sono tratte dal testo di Hammermann e precisamente:
- pagine 50-58 (Politica e razzismo nel trattamento dei militari internati)  
- pagine 42-44 (Il cambiamento di status nel settembre 1943)


G.V.

23 febbraio 2022

QUANDO UN COGNOME DIVENTA RICORDO

Prima o poi -promesso- tornerò a occuparmi degli argomenti per i quali questo blog è nato: ricostruire le vicende dei valvesi internati militari in Germania (non avevano lo status di "prigionieri di guerra") e dei caduti nella Seconda guerra mondiale, almeno in una prima fase di lavoro.

Quando si fa una ricerca, però, a volte ci si imbatte in nuovi sentieri che è un po' rischioso seguire perché, pieni di fascino, rischiano di portare lontano: un labirinto amico che nasconde storie, rivela nomi, suggerisce collegamenti e ipotesi...

Gli ultimi post pubblicati sulla Radica hanno dato un contributo a una storia dei cognomi valvesi, prendendo prima in esame uno strumento di ricerca (il sito dell'Archivio di Stato di Salerno), poi occupandosi dei cognomi materni dei giovani chiamati alla visita militare. 

Cognomi solo femminili: ho verificato che non ci fossero attestazioni maschili. Il cognome di una donna verosimilmente originaria di un altro comune, nella seconda metà dell'Ottocento, è prezioso e fragile: in una comunità piccola è destinato a perdersi, anche se a volte è attestato due volte perché -ipotizzo- due sorelle hanno sposato uomini valvesi. 

Oggi vi parlo di alcuni cognomi maschili che erano presenti a Valva nello stesso periodo (anche in più famiglie) e che oggi -a quanto mi risulta- non lo sono più.

Alcuni di questi cognomi sono stati incisi nella pietra della lapide del Monumento ai Caduti, e dunque resteranno fino a quando qualcuno li leggerà: la memoria passa anche attraverso il gesto, semplice ma non scontato, di leggere le lapidi.

Avallone, Catino, Del Buono, Fratangelo "caduti sul campo" e poi D'Urso tra i "soldati morti per la guerra": forse leggere questi cognomi nell'elenco dei Caduti è uno dei pochi modi per farli rivivere ancora, in quel paese in cui erano militari, contadini, calzolai, impiegati telegrafisti.


Altri cognomi non hanno accompagnato giovani valvesi alla morte in guerra, ma alla visita militare sì: Anastasio e Calabrese (attestati in quattro famiglie di giovani chiamati alla leva), Florio, Giarla e Sfratta (tre famiglie), Gigantiello, Grieco, Libero, Marcello e Miccoli (due famiglie), Perillo Sansone (una). Alcuni di questi cognomi sono ancora diffusi, anche in zona, ma non a Valva.

Sicuramente ce ne possono essere altri ancora: ad esempio, cognomi di famiglie con figlie femmine; in questo caso, la ricerca nelle liste di leva non è uno strumento adeguato e occorrerebbe uno studio sui registri all'anagrafe comunale.

Il lavoro da fare aumenta (e penso sia un bene).

Un cognome, uno almeno, se ne è andato in America: lo ha portato un valvese che a diciotto anni era già cittadino americano (come si evince dal documento di sbarco a Ellis Island). Suo fratello, nato negli Stati Uniti, dopo qualche anno sarebbe tornato in Italia a combattere durante la Prima guerra mondiale: Sabato Fratangelo, classe 1895, calzolaio, settimo nome tra quelli dei  soldati caduti sul campo, incisi sulla lapide del Monumento ai Caduti. 

A questa vicenda sarà dedicato un prossimo post sulla Radica, perché ci sono storie che chiedono di essere raccontate e che a volte sembrano impazienti: non rispettano il programma di lavoro stabilito da chi fa delle ricerche storiche, sembrano non voler più aspettare. Ci sono storie che meritano di tornare alla luce, hanno atteso già troppo.


G.V.


22 febbraio 2022

COGNOMI MATERNI A VALVA NELL'OTTOCENTO


E
il divagar m'è dolce...
Ecco alcuni cognomi registrati a Valva nell'Ottocento e ora non più presenti. 
Sono i cognomi materni dei giovani sottoposti alla visita militare; la fonte è il sito dell'Archivio di Stato di Salerno.
Non è un argomento strettamente connesso a quelli per i quali questo blog è nato, ma ogni tanto si può imboccare una deviazione (provvisoria): trattandosi di una ricerca, generalmente si fanno interessanti scoperte.

A

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Anselmo Caterina

Anselmo Angela Maria 


Figliulo Nicola

Grippo Carmine

* Mancano i nomi dei figli: è registrata solo la data di nascita (1842)

Nocera, Pagani

Auria Maria Caterina     

Sansone Agnello, padre di due gemelli, Raffaele e Donato (1855)

Non attestato in provincia

 
B

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Boniello Rosa

Boniello Irene

Falcone Antonio, padre di Pietro (1893)

Torsiello Antonio, padre di Vito (1883) e di Sabato (1887)

Molto diffuso a Colliano

 

 

 

 
C

Cognome
Coniuge
Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato
Campanile Maria           



Campanile Domenica     
 
Vuocolo Michele, il nome del figlio non è riportato (1842)

Spiotta Francesco,      padre di Donato Maria (1859)
Costiera amalfitana
Carolo Maria Giuseppa
Vuocolo Emidio, padre di Vito Antonio (1884)      
 /
 Carrano Gaetana
Strollo Pasquale, padre di Angelo (1896)        
 Molto diffuso, soprattutto in costiera amalfitana, a Castellabate e a Teggiano
Cerone Maria Michela 
Corrado Ferdinando, padre di Carmelo (1880) Costa cilentana

Contursi Maria

Cuozzo Michele,
padre di Antonio (1900)
Agro nocerino-sarnese
Cotignola Candida                            
Torsiello Francesco, padre di Leonardo (1837) e Vito Antonio Maria (1854)Assai diffuso a Teggiano e nel Vallo di Diano
Capra Anna Maria                Falcone Michele, padre di Arcangelo (1886)

Cione Angela
Marcello Pasquale, padre di due gemelli: Santo Pasquale Giuseppe e Santo (1843); non si esclude un errore nella trascrizione, con confusione tra nome e cognome di uno dei figli. 

Accanto al nome dei due figli della signora Cione alla voce "professione" leggiamo "sartore", forma antica di "sarto".

D

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Del Pinto Domenica

Feniello Michele, padre di Carmine Maria (1853)

E' assai diffusa la versione Pinto (ad esempio nel Vallo di Diano e nella Costiera amalfitana; nei comuni vicini: Laviano)

 Di Fazio D'Urso Letizia    

Foselli Vincenzo, padre di Orazio (92), Gaudioso (93), Enrico (95), Emilio (99)


Di Nicola Rosaria


Di Nicola Porzia   

Corrado Michele, padre di Matteo (1863)

Calabrese Giuseppe, padre di Domenico (1882)

Molto diffuso a Santomenna e a Laviano


Fili della memoria: Foselli  Gaudioso morirà durante la Prima guerra mondiale; suo fratello Emilio sarà a lungo protagonista della vita civile e politica di Valva nel Novecento.

F

Cognome

 

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è attestato

Faustino Eselmina

Falcone Michele, padre di Giuseppe (1902)

(una sola attestazione in provincia)

Fazio Maria Luigia

Feniello Antonio, padre di Pasquale Vincenzo Maria (1864)

Salerno, Cava, Cilento

Femillo (ma forse corruzione di Feniello, visto che non è attestato in provincia)

 

Cuozzo Giannicola; il nome del figlio non è riportato (1842)

 

Ferraioli Carmela

Freda Antonio,          padre di Michele (1887), Luigi (1891), Alessandro (1896 )

Molto diffuso, soprattutto nella zona di Angri e nell’agro nocerino-sarnese

Frasca Lucia

Del Monte Francesco, padre di Gerardo (1897)

Colliano, Palomonte

 Ferraro Rosa

Del Plato  Antonio, padre di Angelo (1859)

 Non attestato


Una curiosità: Ferraioli è il cognome della madre di Luigi Freda, che ha firmato come testimone l'atto di nascita di Carmine Corrado, il prigioniero di guerra sepolto a Mauthausen. Luigi risulta "studente" alla visita di leva, "telegrafista" quando firma l'atto di nascita; suo fratello Alessandro alla visita di leva si dichiara "telegrafista", evidentemente come il fratello più grande, che nel frattempo avrà iniziato quel mestiere.

I

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Iervolino Rosa

Miranda Ferdinando, padre di Eugenio (96) e Francesco (98)

Montecorvino Pugliano, Scafati


L

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Lisanti Carmela

Cappetta Pasquale, padre di Michele (1889), Livio (1890), Giuseppe (1893) e di altri i cui nomi non compaiono ancora nell'archivio digitale dell'AdS di Salerno

Colliano, Buccino

 

 

 


Sulla signora Lisanti, si rimanda al post di Gozlinus dedicato alla famiglia Cappetta e a quello della Radica dedicato al sito dell'Archivio di Stato di Salerno.

M

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Martingano Rosa

Merolla Biagio,              padre di Federico Camillo, (1843, "clerico")

Costiera amalfitana

Mollo Anna

Caldarone Michelarcangelo,  padre di Antonio (1892)

Cicerale

Mari Caterina    

Alfano Antonio, padre di Giuseppe (1882), Giacomo (1889), Carmelo (1895), Michele Benedetto (1891)

Molto diffuso, soprattutto a Salerno e nella Valle dell'Irno.

 
Una pista da seguire: Merolla Biagio è anche il nome di uno dei Caduti valvesi nella Grande Guerra.
Curiosità: Alfano Giacomo risulta "studente di filosofia"; suo fratello, solo "studente"; è plausibile che quest'ultimo sia il sacerdote don Giuseppe Alfano.


 P

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Panico Carminella   

Finiello (sic!) Matteo, padre di Michele Arcangelo (1836)

Abbastanza diffuso a Colliano e a Laviano

Puccillo Mariantonia

 

Puccillo Maria Giuseppa

 Sfratta Giacomo, padre di Giuseppe Maria (1847)

Spiotta Michele, padre di  Angelo Maria (1834)

 Non presente

 

 

 

Curiosità:  Spiotta Angelo Maria, nato nel1834 (classe di leva 1838), al momento è tra i riferimenti anagrafici più antichi emersi in questa ricerca; lo stesso dicasi per Finiello Michele Arcangelo, nato nel 1836 (classe di leva 1837).

T

Cognome

Coniuge

Comuni della provincia di Salerno in cui è particolarmente attestato

Torella Carmela

D’Urso Tito, padre di Carmine (1895, impiegato telegrafico)

Buccino

Tortora Maria Michela Feniello Pasquale,              padre di Pietro (1884) e Michele (1890) Assai diffuso
Trotta Antonia Valletta Gaetano, padre di Vitantonio (1847)
Feniello Vito,                  padre di Francesco (1897) e Michele (1902, musicante)

Assai diffuso in provincia; in zona, molto diffuso a Campagna; alcuni casi attestati a Colliano

Turi Filomena

Feniello Vito, padre di Francesco (1897) e Michele (1902, musicante)Santomenna

Vite spezzate: alla visita di leva dichiarò di essere impiegato telegrafico; di lì a pochi anni, purtroppo, Carmine D'Urso sarebbe caduto nella Prima guerra mondiale.



G.V.