25 aprile 2025

I TRE PARTIGIANI DI VALVA

Valva ha avuto tre partigiani: Michele Cecere, nato e vissuto in paese, Luigi Del Plato, nato in provincia di Taranto da madre valvese, Filiberto Martinelli, nato a Valva ma trasferitosi a Rieti dopo la guerra.

Michele Cecere, un partigiano nelle valli di Fenoglio
Al partigiano più noto in paese, il signor Michele Cecere, abbiamo dedicato diversi post, cercando di inquadrarne la vicenda nel contesto della Resistenza nelle valli Ellero e Corsaglia, in provincia di Cuneo.
Ci siamo occupati del giornale clandestino Rinascita d'Italia, pubblicato nell'estate del 1944 dai "patrioti" di queste valli cuneesi; ecco il post, che presenta una piccola antologia di brani tratti dal giornale: 👉Il giornale partigiano stampato in un santuario
Questi sono gli altri nostri post dedicati al partigiano Michele Cecere:
👉Il partigiano di Valva 
👉Michele, partigiano catturato dai fascisti 
Abbiamo anche raccontato l'emozionante incontro tra la nipote Luciana e la signora Caterina, una donna che ancora ricorda il partigiano venuto dal Sud Italia:
👉La signora che ricorda il partigiano di Valva
👉Le rose e la memoria: omaggio floreale alla donna che ricorda il partigiano Michele Cecere 

Il partigiano Barba
Il preziosissimo lavoro di ricerca storica del prof. Aldo Menna ha consentito di scoprire la vicenda del partigiano "Barba", morto nell'Oltrepò Pavese nel 1945.
fonte: Aldo Menna, Il coraggio di rinascere
Il partigiano si chiamava Luigi Del Plato, figlio di una donna valvese: Rosina Del Plato, figlia di Michele.
Padre e figlia di trasferiscono da Valva in provincia di Taranto, a Leporano, come braccianti; Rosina è già diventata mamma di Francesco; Luigi nascerà in Puglia il 13 luglio 1923.
In questa foto vediamo i due fratelli Francesco e Luigi: entrambi moriranno in guerra, Francesco di malattia a Rodi, Luigi in combattimento a Borgo Priolo (PV), il 21 aprile 1945.

Luigi (a destra) e Francesco

Il partigiano carabiniere
Abbiamo scoperto anche un terzo partigiano di Valva.
Ecco la sua scheda:  

Filiberto Martinelli, di Benedetto e di Maria Petricone, nasce a Valva il 2 dicembre 1919, tre anni dopo il fratello Flavio.
I genitori non sono di Valva: il padre è maresciallo dei carabinieri, la madre risulta "nobildonna".  
Filiberto inizia la sua carriera militare l'11 marzo 1939 come volontario nei Carabinieri e il 27 agosto dello stesso anno è assegnato alla Legione di Roma. Non è certo se abbia partecipato ai combattimenti contro i nazisti a Roma dopo l’8 settembre 1943. Dal 1° ottobre 1943 al 12 giugno 1944 fa parte della formazione partigiana "Giulio Porzio" nel Cicolano, con il ruolo di vicecomandante. Dopo la guerra, si presume si sia trasferito a Rieti, probabilmente a Borgocollefegato. 
Filiberto Martinelli muore a Roma l'8 febbraio 1972; risulta coniugato con la signora Antonietta Granada.

Il dovere della memoria
Ricordare le storie di Michele, Luigi e Filiberto significa tenere viva la memoria e riconoscere l’importanza delle loro scelte, del loro coraggio e del loro impegno nella costruzione di un’Italia diversa, libera e democratica.
G.V.


11 aprile 2025

IL PIU' POVERO TI SVENTOLI: DUE POESIE PER PIETRO VUOCOLO

Pietro Vuocolo non ha avuto un sacerdote ad accompagnarlo nell'ultimo viaggio ma ne ha avuti due come testimoni dell'atto di nascita.
Forse uno scherzo del destino -sa essere spiritoso, ma non sempre le battute gli riescono- o forse una mera coincidenza; sicuramente, una circostanza curiosa.

Siamo nell'aprile 1945, la guerra non è ancora conclusa ma già si annunciano le tensioni che caratterizzeranno il lungo dopoguerra italiano e internazionale.
Già prima della scomunica contro i comunisti, a Valva si decide di non concedere i funerali in chiesa a un contadino accusato di essere comunista.
L'11 aprile Pietro muore di nefrite. 
In famiglia è rimasta la memoria delle sue urla durante l'agonia.
Lascia la moglie Carmela -che sarà una donna molto attiva nelle lotte comuniste contadine di Valva, anche tesserata alla locale sezione- e cinque bambini.
In paese ancora si raccontano due episodi: al funerale il suo feretro venne portato in processione per il paese e davanti al cimitero il farmacista Merolla tenne l'orazione funebre.
Eppure, nell'atto di nascita datato 3 giugno 1906 (Pietro era nato il 31 maggio) i due testimoni erano stati due sacerdoti, entrambi residenti a Valva: Geremia Avallone (di 63 anni) e Donato Cuozzo (di 31anni).
Tra l'altro, il giorno in cui Michele Vuocolo va in comune a denunciare la nascita del bambino è la domenica di Pentecoste e si celebra la festa dello Statuto. Comune aperto, due sacerdoti che fanno da testimoni nel giorno di una festa solenne nel calendario religioso e in quello civile.

A Pietro Vuocolo dedichiamo due poesie.
La prima è di Pier Paolo Pasolini: Alla bandiera rossa.

Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui esista:
chi era coperto di croste è coperto di piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese africano,
l'analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli. 
Pasolini sogna una bandiera capace di ridiventare straccio, oggetto concreto e umile, da restituire al popolo: si augura che gli ultimi della terra, gli esclusi -qui rappresentati dal mondo offeso delle plebi meridionali- si riapproprino di una lotta che appartiene ai più poveri.
Tessera del Partito Comunista Italiano, 1945

Questi altri versi sono tratti da Teatro degli Artigianelli, di Umberto Saba:

Falce martello e la stella d'Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno sul quel muro!
[...]
Tra un atto e l'altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l'amico
dell'uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.

La bandiera del Partito comunista torna a sventolare: è un segno della liberazione; anche se la guerra non è finita (la poesia è scritta nel settembre 1944), il fascismo è caduto e i cittadini tornano a manifestare liberamente le proprie opinioni politiche.
Saba sottolinea che la libertà è stata riconquistata a caro prezzo: Ma quanto/ dolore per quel segno su quel muro!
Molto suggestiva la personificazione del vino, definito amico/dell'uomo, al quale dà sollievo, facendogli dimenticare le sofferenze. L'uomo sofferente si scalda al sole come chi ha freddo si scalda al sole.

A Pietro Vuocolo abbiamo dedicato il post Il funerale negato.

Grazie per la gentile collaborazione a Ortensia Vuocolo e Lucia Farella.
G.V.

IL FUNERALE NEGATO

Di Pietro Vuocolo ho sempre sentito raccontare un episodio della sua vita: l'ultimo, il funerale non celebrato in chiesa perché era "comunista".
Immagine generata con l'intelligenza artificiale
Mi risulta l'unico caso nella storia di Valva, se sbaglio mi correggerete.
Forse dovremmo tornare indietro alle storie dei briganti per trovare qualcosa di simile e credo basti questo dubbio per riflettere sulla portata della decisione.
L'11 aprile 1945 Pietro muore a 38 anni; lascia cinque figli piccoli (tre femmine e due maschi), uno è già morto a soli due mesi, nel 1943, mentre Raffaela -la figlia maggiore- morirà a undici anni nel 1946.
Pietro ha sposato Carmela nel 1930, l'anno dopo ha perso il padre (anche lui giovane).
Nell'aprile '45 la guerra in Italia non è ancora finita, a Valva sì.
In realtà, un'altra guerra sta covando: la forte contrapposizione ideologica che caratterizzerà la vita politica e sociale dell'Italia del Dopoguerra, chierico rosso contro chierico nero, dirà Montale.
La scomunica contro i comunisti sarà pronunciata solo nel 1949, da Pio XII; il papa bergamasco che inviterà a distinguere tra errante ed errore -guardando prima alla persona e poi alle sue idee- è ancora di là da venire, si chiamerà Giovanni.
Dunque, c'è ancora la guerra.
Il Nord non è ancora liberato, l'avanzata alleata e la lotta partigiana contro i nazifascisti non hanno ancora vinto. DC e PCI fanno parte del governo di unità nazionale, ma nel Paese sono già divisi, anche nelle realtà più piccole.
Non sono riuscito a trovare documenti o testimonianze che potessero fugare il mio dubbio principale sulla vicenda: perché proprio a Valva e perché proprio il fratello di mio nonno?
Questo dubbio ne racchiude altri: perché una scomunica prima di quella papale? quale pericolo poteva venire a Santa Romana Chiesa dalle idee di un contadino morto a 38 anni?
So poco della situazione politica valvese nei mesi dopo la caduta del fascismo; evidentemente il partito comunista era uscito dalla clandestinità e so che annoverava tra le sue file anche alcune donne; ce n'è una celebre, a Valva: proprio la moglie di Pietro, zé Carmela.
Credo che quel contadino morto così giovane meriti almeno la fine di una sorta di damnatio memoriae alla quale i tempi -drammatici e confusi- lo hanno condannato, in quel giorno di aprile del 1945, quando una guerra non era ancora finita e un'altra -meno cruenta ma ugualmente lacerante- si stava preparando.
La ricerca continua.
G.V.

09 aprile 2025

L'AMORE AI TEMPI DELLA GUERRA: NICOLA E LAURETTA, UN MATRIMONIO PER PROCURA

Questa storia comincia con una torta e un matrimonio.
La torta è quella che si vede in tante foto degli album di famiglia a Valva, tra gli anni Sessanta e Settanta: un bambino o una bambina festeggia il compleanno, tutte le bottiglie di alcolici presenti in casa (anche quelle ornamentali) schierate a decorare la scena e, al centro,  una torta grande e bellissima.
Molto spesso, quella torta era opera di zia Lauretta, signora D'Antona, pasticcera provetta.
Il matrimonio è il suo, celebrato di martedì, il 6 marzo 1941.
Lo sposo però non c'è: è in guerra, ad Addis Abeba. A rappresentarlo, l'amico lavianese Pasquale Nappi. 
E' un matrimonio per procura.
Per capire meglio questa storia occorre fare un passo indietro.
Nicola D’Antona (all'anagrafe Nicola Gerardo Vincenzo) è nato a Laviano l'8 febbraio 1911, in via Garibaldi, da Raffaele (muratore) e Chiarina Trapanese. 
Nell'atto di nascita si nota una particolarità: la firma di papà Raffaele; non capita spesso di trovare la firma del genitore sui registri di nascita (a volte nemmeno i testimoni, a meno che non siano possidenti -quindi benestanti- firmano) 
Nel 1941, mentre l'amico Pasquale firma al suo posto l'atto di matrimonio, Nicola si trova alla sua seconda guerra, sempre in Africa.
C’era già stato infatti tra il 4 ottobre 1935 e il 20 ottobre 1936, durante la campagna d’Etiopia che culminò con l’ingresso del maresciallo Badoglio ad Addis Abeba. È la stessa vicenda ricordata dal discorso di Mussolini rimasto famoso per il riferimento ai "colli fatali di Roma", sui quali torna a risplendere l’Impero.
Sul foglio matricolare di Nicola compare anche l’importo del premio di mobilitazione: 300 lire. 
Riceverà la Medaglia commemorativa della campagna d’Africa Orientale (1935–1936) e, nel febbraio del 1937, la Croce al Merito di Guerra.
Nicola è un muratore come suo padre, ma in questa foto sembra quasi un attore a un provino cinematografico:

Nel 1939 si arruola volontario per l’Africa Orientale Italiana, con una ferma di due anni. È assegnato al 10º Reggimento Granatieri di Savoia. Parte da Napoli e sbarca a Massaua il 29 febbraio 1939 (sì, c'è scritto proprio il 29!). Torna ufficialmente in guerra l’11 giugno 1940, il giorno dopo il celebre discorso di Mussolini a Palazzo Venezia.
Il periodo tra febbraio e marzo 1941 è particolarmente intenso: il 10° Reggimento Granatieri d'Africa fa parte della 65ª Divisione fanteria "Granatieri di Savoia", che proprio per le vicende militari di quei giorni riceverà la Medaglia d'Argento al Valor Militare, con questa motivazione:

Salda unità costituita da granatieri e bersaglieri, in prolungata aspra battaglia contro preponderanti forze terrestri ed aeree, superba nel valore come nel sacrificio, opponeva con incrollabile tenacia valida resistenza agli attacchi dell'agguerrito avversario, contribuendo a mantenere in grande onore il prestigio delle armi italiane.

A.O. 1°febbario-1°marzo 1941

Consapevole del rischio di non tornare vivo dalla guerra in Africa, durante la permanenza in Etiopia Nicola propone a Laura D'Arcangelo, di Valva, di sposarsi.
Non sappiamo di preciso quando si sono conosciuti, ma la figlia Annamaria ci aiuta a ricostruire il contesto: Nicola era a Valva per motivi di lavoro. Possiamo dunque immaginare che i due giovani si siano conosciuti e tra di loro, con le modalità e la timidezza del tempo, sia nato un sentimento reciproco.
Come detto, il matrimonio si celebra a Valva il 6 marzo 1941. 
Poco dopo, il 1° aprile, Nicola viene fatto prigioniero.
Forse, in quel momento, il suo primo pensiero è stato quello di aver fatto bene a sposare la sua Lauretta.
Resterà prigioniero degli inglesi fino al 13 ottobre 1943, quando finalmente rientra in Italia.
Ai figli racconterà di aver sofferto di dissenteria durante la prigionia e di essere stato poi operato allo stomaco.
Possiamo ipotizzare che Nicola D'Antona sia stato liberato proprio per motivi di salute; generalmente i prigionieri degli Alleati vengono liberati molto tardi, sicuramente dopo la fine della guerra. 
Viene ricoverato all’Ospedale Militare di Bari; dopo due settimane ottiene una licenza di 90 giorni. A fine gennaio 1944 torna in ospedale per una visita di controllo. 
Nell’aprile dello stesso anno viene posto in congedo illimitato.
Nicola D'Antona è l'uomo a sinistra; 
accanto a lui, la suocera Maria Del Plato,
che tiene una mano sulla spalla di Laura D'Arcangelo;
la donna con la bimba in braccio è Caterina D'Arcangelo.
La pasticcera dal sorriso gentile, continuerà a preparare le torte per i bambini di Valva. Oggi, sfogliando gli album di famiglia, quelle torte parlano ancora; raccontano anche una storia d'amore e di attesa, di guerra e di ritorno.

Un cordiale ringraziamento alla signora Anna Maria D'Antona.

G.V.

23 marzo 2025

LEGGERE UN VESTITO, ASCOLTARNE LA VOCE

23 marzo
Giornata dell'abito tradizionale valvese

In occasione del Giorno della Pacchiana, il blog "la ràdica" pubblica un album dedicato al vestito della nostra identità: si intitola 👉 L'abito delle nostre radici (basta cliccare sul titolo per vederlo).

La copertina

Ecco la prefazione al lavoro:

Quello che un abito racconta

Il Giorno della Pacchiana è un’occasione per riscoprire e onorare le tradizioni legate al vestito tradizionale della nostra comunità, simbolo di identità, cultura e memoria.
In questa giornata rendiamo omaggio alla nostra storia attraverso un abito che parla di amore e sacrificio.
Quello da “pacchiana”, infatti, non è solo un abito, non è solo tessuto; è un viaggio che attraversa le generazioni, portando con sé la forza di una tradizione, le emozioni racchiuse nei ricordi e i legami che sfidano il tempo.
Di molti abiti restano solo le foto, testimonianze silenziose di momenti che il tempo ha reso immortali. Donne che sorridono nell'eterno spazio della memoria, donne in posa, fiere e consapevoli della propria identità, del loro ruolo nella famiglia e nella comunità. Nei loro abiti trasmettono orgoglio e dignità. L'esuberanza delle giovani, la compostezza delle anziane: diverse modalità di esprimere la propria femminilità.
Alcuni abiti, per fortuna, si sono conservati e ancora ci parlano.
Ogni abito racconta l’amore e la dedizione con cui è stato tramandato e custodito, diventando simbolo di un affetto che va oltre le epoche. Lo stupore che proviamo oggi nel contemplarlo nasce dal sentimento del legame profondo che unisce il passato al presente in un abbraccio senza tempo.

La pagina introduttiva

Un esempio di pagina dedicata a una parte dell'abito

La presentazione del corpetto

La dedica

Alla Giornata del costume tradizionale valvese, che potremmo sintetizzare con Il Giorno della Pacchiana, abbiamo dedicato i seguenti post:

20 marzo 2025

L'ABITO DA SPOSA DI ROSA

 [...] vestivi un abito rosa
per farti – novissima cosa! – ritrarre in fotografia…
Guido Gozzano

Il 2 marzo 1935 è un sabato.
Alle 9 del mattino, due giovanissimi valvesi sono in chiesa per celebrare il loro matrimonio.
Pietro Grasso, di 22 anni, è figlio di Ferdinando e di Maria Michela Feniello.
Rosa Figliulo, ventenne, è figlia di Michele e di Maria Corrado.
L'abito della sposa è arrivato fino a noi e, a novanta anni di distanza, continua a raccontarci la sua storia.
Il rosa delicato del vestito, ormai sbiadito ma ancora riconoscibile, conserva l’eleganza di un’epoca lontana.

Non è solo una testimonianza della moda di quegli anni: è il segno di un amore giovane, puro, pieno di speranza.
Un abito non è solo tessuto; è un viaggio che attraversa le generazioni: ecco perché continua a raccontare la forza di una tradizione, le emozioni della memoria, i legami che vanno oltre il tempo.
Un abito racconta anche l’amore e la cura con il quale è stato tramandato e custodito; un abito è lo stupore con cui oggi lo ammiriamo, è un legame che abbraccia il presente e il passato.


Un sentito ringraziamento alla signora Rosa Grasso.

G.V.

11 marzo 2025

23 MARZO: IL GIORNO DELLA PACCHIANA

  23 marzo
Giornata dell'abito tradizionale valvese

Il nostro blog non ha la possibilità di istituire ufficialmente nuove ricorrenze, ma può sicuramente lanciare delle idee. Eccone una: facciamo del 23 marzo la Giornata dell'abito tradizionale valvese.

Un’occasione per rendere omaggio alla nostra cultura, alle donne della nostra storia e alle mamme, nonne e antenate delle nostre famiglie.

Quelli della cultura contadina sono molto più di semplici abiti: sono un patrimonio che affonda le radici nella nostra storia e che rappresenta un simbolo di identità, non solo per le donne e gli uomini che li indossavano, ma per tutta la comunità.

Perché il 23 marzo?

L'ultima "pacchiana" di Valva

Proprio il 23 marzo di 15 anni fa, se ne andava con il suo abito da "pacchiana" la signora Pasqualina Torsiello, vedova Cuozzo, meglio conosciuta da tutti come zia Pasqualina.

Se coinvolgiamo tutti, potremmo trasformare questa giornata in una vera e propria festa della nostra cultura. Non servono grandi risorse, ma solo collaborazione e buona volontà.

Alcune idee per celebrare questa giornata

  1. Istituire la festa con una delibera comunale.
  2. Coinvolgere le scuole con un lavoro di ricerca storica: consultando album di famiglia, raccogliendo fotografie e dividendole per temi (ad esempio: il vestito quotidiano, il vestito da sposa, il vestito dello sposo), studenti e insegnanti potranno dare un contributo fondamentale, anche dal punto di vista simbolico, perché le tradizioni devono parlare -e raccontare- soprattutto alle nuove generazioni.
  3. Gli appassionati di storia locale potrebbero contribuire condividendo testimonianze, ricordi e fotografie.
  4. Creare un portale online dove raccogliere il materiale.
  5. Allestire una mostra interattiva e permanente, con contenuti accessibili tramite codice QR. Ovviamente, si può pensare anche a una mostra fotografica più tradizionale, simile a quella, bellissima, che si sta allestendo al Castello.
  6. Le associazioni culturali e turistiche locali potrebbero partecipare scegliendo l'aspetto che meglio rispecchia la loro sensibilità.
  7. Si potrebbe intitolare un vicolo del centro storico all'abito tradizionale valvese o - se si vuole un'espressione più icastica- denominarlo "Vicolo della pacchiana".

Insieme, possiamo dare vita a un momento di memoria e di festa, che celebra la nostra tradizione e il nostro legame con la storia: perché l'abito tradizionale valvese è un elemento di memoria collettiva che ci aiuta a comprendere meglio chi siamo e da dove veniamo.

Per concludere, una breve galleria di immagini tratte da Gozlinus:

Anni Venti del Novecento

1929: per il battesimo del figlio,
i genitori indossano l'abito del loro matrimonio

Monumento ai Caduti, inverno 1941.
Da sinistra: Caterina D’Arcangelo, Livia, modella padovana e (?)

G.V.

03 marzo 2025

"PECCATO FINIRE COSI' PRESTO": VITANTONIO, MORTO AD ADUA

Una lapide sulla torre dell'orologio, nel cuore del centro storico di Valva, ricorda la morte del tenente Vitantonio Cappetta, 

CHE NELLE GOLE D'ADUA IMMOLAVA
GIOVINEZZA AVVENIE VALORE 

Nato nella notte del 10 settembre 1867, in via Fontana, Vitantonio era figlio di Michele, falegname, e di Arcangela Annunziata, tessitrice. Il padre non firma l'atto di nascita in quanto "illetterato", ma Vitantonio riesce comunque a fare carriera nell'esercito: diventa tenente del 4° Battaglione Fanteria.

fonte: Gozlinus

 Un giornale dell'epoca, il settimanale La Tribuna, riporta queste notizie di lui:

il prode giovane, nato nel 1867, era diventato ufficiale nel 33° Fanteria nel 1890. Era un distintissimo schermidore.

Vitantonio rimane vittima nella battaglia di Adua (o Abba Garima), domenica 1 marzo 1896.

Lo stesso giornale riporta:

[...] un superstite narra che il Cappetta, ferito mortalmente al principio dell'azione, ebbe la forza di guardar l'orologio e dire: "Peccato di finir di combattere così presto!...".

La battaglia d'Abissinia

Il 1° marzo 1896 la guerra di Abissinia tra il Regno d'Italia e l'Impero Etiopico giunge a una svolta con la battaglia di Adua. Controllare la regione è cruciale per le ambizioni imperialistiche italiane nel Corno d'Africa, ma l'avanzata verso l'interno dell'Abissinia incontra la resistenza dell'impero di Menelik II. Adua si trova nella regione settentrionale dell'Etiopia. Le truppe italiane sono più numerose, ma scarsamente coordinate, mentre quelle abissine conoscono meglio il territorio. Nonostante alcuni successi iniziali, l'esercito italiano subisce gravi perdite e la ritirata si trasforma in una fuga disastrosa. La vittoria abissina diventa simbolo della resistenza di un paese africano contro le potenze coloniali europee, rivestendo un'importanza storica notevole. Le ripercussioni in Italia sono significative: il governo deve riconsiderare le proprie politiche coloniali.

La notizia a Valva

La notizia della morte del tenente Cappetta viene registrata all'anagrafe di Valva solo nel 1898, il 21 ottobre.

L'assessore anziano Vincenzo Valletta, che sostituisce il sindaco mancante, annota di aver ricevuto "con l'ordinario di ieri sera" dal Ministero della Guerra una copia autenticata dell'atto di morte del giovane soldato valvese e di trascriverne la copia intera e fedele:

Estratto dell'atto di morte del Tenente Cappetta Vitanntonio, inscritto sul Registro tenuto dal Deposito della Colonia Eritrea in Napoli [...] . Io sottoscritto Maggiore Nicola Tenente Contabile incaricato della tenuta dei registri di stato civile pressoil Deposito della Colonia Eritrea in Napoli dichiara che nel Registro degli atti di morte  [...] trovasi scritto quanto segue:
L'anno mille ottocento novantasei, ed alli primo del mese di Marzo, nel combattimento di Adua mancava ai vivi alle ore ___ in età di anni ventinove il tenente di fanteria Cappetta Vitantonio, nativo di Valva, provincia di Salerno, figlio di Michele e di Annunziata Arcangela, ammogliato con ___, vedovo di ___, morto in seguito a ferita d'arma da fuoco, sepolto a ___, come consta dalle dichiarazioni in data 30 Marzo, 15, 16 Maggio 1897 rilasciate dai soldati Mascagni Domenico , Bertolazzi Giov. Battista, e Loncini Cesare, ricevute nei verbali dei tenenti Gambi Enrico, Moltedo Guido, e del Capitano Loffredo Vincenzo, in data 30 marzo, 31 Maggio e 22 Maggio 1897. Per copia autentica. 

Ecco la lapide che i suoi concittadini dedicarono al tenente Cappetta, al quale il 3 aprile 1898 fu conferita la medaglia d'argento al valor militare:

Fonti

Un prezioso post di Gozlinus riporta, tra le altre, le testimonianze del giornale da noi citato: 👉120 anni fa. La morte di un eroe valvese

Per il documento all'Anagrafe di Valva: 👉Portale antenati

G.V.

14 febbraio 2025

L'ULTIMA FIERA DI CANIO, IL FORESTIERO Morte nella locanda Feniello

Valva nell'Ottocento, 4
La locanda di Donato Feniello ogni tanto ospita forestieri di passaggio. Commercianti, soprattutto. Si spostano per i loro affari e per loro fermarsi lungo la strada è indispensabile.
Siamo nel 1841.
Il 16 giugno è un mercoledì, sono le 13.
Accade qualcosa di insolito. Forse Donato lo prende come un funesto presagio per la sua locanda.
Non so altro della locanda, nemmeno dove si trovi esattamente.
Però so cosa accade alle ore 13 di quel mercoledì 16 giugno 1841.
Lo so perché, un'ora dopo, Lorenzo Di Gregorio e Donato Mastrantonio si presentano dal sindaco Gabriele Valletta: nella locanda Feniello è morto un forestiero.
Immagine creata in collaborazione con ChatGPT
Il suo nome è Canio Padula, di Rionero; ha quarantadue anni e, come suo padre Gianbattista, è un commerciante.
Sua moglie si chiama Carminella Santoro, non so ancora se hanno dei figli, forse sì.
Non so nemmeno perché si trovi a Valva; quelli sono i giorni di San Vito, forse da qualche parte c'è una fiera e Valva per Canio è solo una tappa nel suo viaggio.
Gli appuntamenti di un anno sono scanditi con regolarità da feste e fiere: probabilmente Canio ha alloggiato altre volte da Donato, forse ci sono locande in località più comode per lui, ma ormai è di casa in questa locanda e anche oggi ha pranzato qui.
Poi ha avuto questa strana idea di morire, lontano da Rionero e da sua moglie Carminella.
Non so se di Canio si è parlato ancora nella locanda e in paese.
Non so se a Rionero qualche discendente ne conosce la storia.
Forse a questo commerciante, morendo, è tornato in mente un proverbio che suo padre gli raccontava fin da bambino: "Il Padre Eterno non si paga i sabati".
Già: il destino o la volontà divina non seguono le leggi del commercio umano; ci sono giorni in cui il guadagno non conta mentre il vento d'estate continua il suo giro.
G.V.

11 febbraio 2025

I PATTI LATERANENSI E I MATRIMONI A VALVA

L'11 febbraio 1929 Benito Mussolini e il Cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri sottoscrivono i Patti Lateranensi tra il Regno d'Italia e la Santa Sede.

Una delle conseguenze di questo storico accordo riguarda il matrimonio: quello celebrato secondo il rito cattolico può ora essere trascritto dall'ufficiale di stato civile, acquistando effetti legali.

Tra le leggi attuative del Concordato, la numero 1159 del 24 giugno all'articolo 10 prevede:

L'uffiziale dello stato civile, ricevuto l'atto di matrimonio, ne cura, entro le ventiquattro ore, la trascrizione nei registri dello stato civile.

Proprio in quei giorni, precisamente il 15 giugno, a Valva si sposano Falcone Giuseppe – figlio di Antonio e di Strollo Filomena – e Feniello Anna – figlia di Ciro e di Spiotta Antonia. I testimoni sono Caprio Amedeo, calzolaio, e Spiotta Michele, possidente.

Questo è l'ultimo matrimonio celebrato secondo le modalità precedenti al Concordato, quando il matrimonio religioso non aveva effetti civili e si rendevano necessarie due cerimonie distinte.

A questo punto, il registro dei matrimonio del Comune di Valva dell'anno 1929 -E.F. VII- si conclude e viene sostituito dalla parte seconda, "Serie B".

Ora il podestà Bonocore deve trascrivere l'atto di matrimonio ricevuto dal parroco, don Lorenzo Spiotta.

Il primo matrimonio celebrato secondo le nuove regole è quello di Angelo Michele Cuozzo -figlio di Francesco Carmine e di Torsiello Anna- con Falcone Gerardina -figlia di Falcone Michele fu Gennaro e di D'Ambrosio Caterina fu Gennaro.

La cerimonia si svolge in chiesa il 25 agosto, i testimoni sono Cuozzo Donato, un sacerdote, e Caprio Generoso.

La svolta decisiva è in queste parole scritte da don Lorenzo nell'atto:

Subito dopo manifestato il consenso, alla presenza dei sopradetti testimoni ho spiegato agli sposi oltreché gli effetti sacramentali del matrimonio contratto, anche i civili, dando lettura degli articoli del codice civile 130, 131, 132, riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi.

Dopo di che ho redatto l'atto di matrimonio in doppio originale, dei quali uno si conserva in questo archivio parrocchiale, l'altro è destinato all'ufficio di stato civile di questo comune di Valva per essere trascritto nei registri civili.

La riforma è arrivata a Valva.

Gli altri matrimoni del 1929

Il 23 settembre il podestà Vincenzo Bonocore registrerà un altro matrimonio, quello di Strollo Donato e Torsiello Filomena, celebrato il giorno prima.

Dall’ottobre del 1929 sul registro dei matrimoni troviamo la firma del delegato Masi cav. Antonio.

Il primo matrimonio registrato dal nuovo podestà sarà quello di Marzullo Rocco, macellaio di Quaglietta, e di Porcelli Enrica Eunice. Una curiosità: uno dei testimoni è Caprio Amedeo, che abbiamo già trovato nell’ultimo matrimonio celebrato davanti al sindaco, a giugno; insieme a lui, il falegname Caprio Antonio.

A dicembre saranno trascritti tre matrimoni: quello di Cuozzo Salvatore e Torsiello Ginetta, quello di Taddeo Stefano (della provincia di Taranto ma domiciliato a Rieti) e D’Arcangelo Antonia e infine quello di Spiotta Vito (figlio di Michele, “domiciliato negli Stati Uniti dell’America del Nord”) e Garofalo Nicolina (“nei registri dello stato civile Viola”).

I testimoni in chiesa saranno sempre gli stessi: il sacerdote Cuozzo Donato e Caprio Generoso.

Valva, un abito da sposa degli anni Trenta

Fonte

https://antenati.cultura.gov.it/

G.V.


09 febbraio 2025

LA MORTE CHE VIENE DAL FUOCO D'AGOSTO

                                                    Valva nell'Ottocento, 3

Il 29 agosto 1842, due valvesi si recano in municipio e dichiarano al sindaco Gabriele Valletta che alle nove del mattino è morta
nella casa del Signor Marchese la Signora Donna Chiara Savelli, di anni settanta, brugiata (sic!) dal fuoco.
Nobildonna, era nata a Taranto da Don Felice Fanelli, possidente; il nome della madre era Vienna, il cognome è ignoto ai testimoni e al sindaco che redige l'atto di morte.
Cerco di formulare delle ipotesi sulle cause della morte. Credo che a fine agosto non sia plausibile pensare a un fuoco in casa. Ipotizzo un incendio.
Intanto, sfoglio la pagina del registro e trovo che lo stesso giorno gli stessi testimoni hanno dichiarato che è morto 
nella casa del Signor Marchese Don Gaspare Pepe brugiato  (sic!) dal fuoco, di anni nove.
Il bambino è figlio di Don Baldassarre Pepe, fattore, e di Donna Grazia Maresca. E' nato a Valva, ma i registri a disposizione non consentono di stabilire se i genitori si siano sposati nel paese dove sicuramente hanno seguito il marchese, da Taranto.
Nel 1842, il marchese di Valva è Francesco Saverio, che ha unito il suo cognome D'Ayala a quello dello zio Giuseppe Maria Valva.
Dunque, due vittime del fuoco, a fine agosto.
La corte del marchese è visitata dalla morte come le case dei contadini di Valva; la deferenza suggerisce a chi compila il registro di definire "Don" anche il giovane figlio del fattore del marchese.
Immagine creata con la collaborazione di ChatGPT
Uno dei due testimoni è un mio antenato: Felice Vacca.
E' un "bracciale" (bracciante) ma è anche impiegato comunale -"servente comunale", nella prosa dell'epoca- ed è spesso citato come testimone di nascite, matrimoni e morti. E' anche il custode del cimitero (ipotizzo sia stato il primo o comunque uno dei primi). 
Probabilmente è toccato a lui dare sepoltura a queste due vittime di un fuoco di fine agosto.
Erano due forestieri, sicuramente salutati con rispetto dai valvesi, che si saranno tolti il cappello davanti alla "Signora Donna Chiara" e che avranno chiamato, come il sindaco, "Don Gaspare" il figlio di Don Baldassarre, il fattore del marchese.
Scrivendo questi due nomi, penso al presepe e ai Magi.
Forse la vita si muove come i Re Magi, tra l'umile e il divino, tra la nobiltà e la povertà.
Forse la morte unisce mondi così distanti.
C'è sicuramente dell'ironia nella scelta di chiamare il proprio figlio Gaspare da parte di un uomo di nome Baldassarre, non ce n'è affatto nella morte che viene dal fuoco in un giorno di fine agosto.
G.V.