05 agosto 2025

"SCUSATE IL RITARDO": IL PARLAMENTO UNITO NELLA MEMORIA DEGLI INTERNATI ITALIANI

Nel giugno del 1944, in un rapporto riservato, si leggeva:
“I prigionieri si trovano al gradino più basso nella scala degli oppressi... Alcuni si direbbero spettri viventi... L'impressione destata da questi uomini, ridotti a così mal partito, è quanto di più avvilente si possa mai provare.”
Padova, Museo nazionale dell'Internamento; fonte
Con queste parole, tratte da un documento d’epoca, l’onorevole Giorgio Mulè, primo firmatario e relatore della proposta di legge per l’istituzione di una giornata nazionale dedicata agli Internati Militari Italiani (IMI), ha aperto il suo intervento alla Camera durante il voto finale.
L'onorevole Giorgio Mulè
La sua proposta di legge ha ottenuto l'unanime approvazione del Parlamento: la Giornata sarà celebrata il 20 settembre di ogni anno, per ricordare i 650mila soldati italiani deportati nei Lager dopo l'8 settembre 1943 a causa del loro rifiuto di aderire al nazifascismo.
Come abbiamo già ricordato nei nostri precedenti post, la data scelta ha un valore simbolico: il 20 settembre 1943 Hitler dichiarò i militari italiani "internati militari" e non più "prigionieri di guerra", per escluderli dalla protezione della Convenzione di Ginevra.
In Aula si sono alternate voci diverse, dei vari schieramenti politici, unite nel riconoscimento del sacrificio degli internati militari.
L’onorevole Mulè ha sottolineato il valore unitario della legge affermando che, in questa occasione, tutte le forze politiche hanno messo da parte le appartenenze di partito per ritrovarsi attorno a una memoria condivisa, fondamento dei valori repubblicani.
 
Il dibattitto alla Camera
Diamo conto del dibattito alla Camera raggruppando gli interventi per ambiti tematici. 
Quando il “no” diventa memoria
Mulè ha citato la testimonianza di Michele Montagano:
Ho detto sempre “no”. Sono stato due anni a dire sempre “no”. Ci trattavano come traditori, ci comandavano a bastonate dalla mattina alla sera, tutti i mezzi erano buoni per abbatterci. Ho fatto la Resistenza più che la prigionia. Mi sono sempre sentito resistente. Il mio più grande amore è l'Italia.
Mulè ha infine concluso il suo intervento affermando: "Scusate il ritardo. Con questa legge l'Italia si inchina all'esempio e al sacrificio dei 650.000 soldati".
Nel corso del dibattito, la memoria è emersa anche attraverso le storie personali. 
Ad esempio, l’onorevole Maria Elena Boschi (Italia Viva) ha condiviso un ricordo familiare: suo nonno Gloriano, giovane contadino toscano, fu uno degli IMI. Tornò dalla Germania a piedi, segnato dalla prigionia e dalla malattia.
Boschi ha sottolineato la lezione morale da trarne:
Io credo che giornate come questa ci tengano dritta la barra sui valori autentici su cui abbiamo fondato la nostra Repubblica.
Il valore morale del rifiuto
L’onorevole Pino Bicchielli (Noi Moderati) ha affermato:
Ci sono atti, nella storia di una Repubblica, che meritano di essere ricordati quanto quelli di chi, alla propria stessa vita, antepone il rifiuto ad assoggettarsi all'occupazione straniera. Vi è in esso il senso stesso della patria, della fedeltà ad essa e della libertà di comunità che si rivendica, pur sapendo di perdere quella personale.
Per l’onorevole Marco Pellegrini (M5S) è importante specificare la motivazione del rifiuto:
La precisazione inequivocabile che sancisce e afferma in maniera netta che i militari italiani furono deportati e internati perché si rifiutarono di collaborare con lo Stato nazionalsocialista e con la Repubblica Sociale Italiana, con i fascisti della Repubblica Sociale Italiana.
Le tante facce della Resistenza
L’ onorevole Andrea De Maria (Partito Democratico) ha ribadito l'unità delle diverse forme di Resistenza:

Il fatto che la scelta degli internati militari italiani fu una scelta di resistenza e che, quindi, c'è un'unità nelle diverse forme di resistenza: quella armata nel Paese, i civili che sostennero i partigiani, appunto, la scelta che fecero gli internati militari italiani.

Il ruolo della società civile e delle associazioni 
L’ onorevole Laura Cavandoli (Lega) ha riconosciuto il ruolo delle associazioni:

Associazioni che ci hanno preceduto e ci hanno stimolato per questa proposta legislativa, hanno fatto da guida, essendo già attive da tempo nella promozione per la diffusione di questi alti valori che hanno ispirato i nostri predecessori, che ancora oggi possiamo chiamare eroi o anche martiri.

Questo dibattito in Aula ha avuto luogo tra il 16 e il 19 settembre 2024, quando c’è stata la votazione finale: 256 favorevoli su 256 votanti.
 
“Un seme di democrazia e libertà”: anche il Senato approva
Nella seduta n. 259 del giorno 8 gennaio 2025, in Senato c’è stata l’approvazione definitiva del disegno di legge.
Nel corso del dibattito finale, la senatrice Petrenga -relatrice- ha evidenziato l'obiettivo di 
conoscenza del valore storico, militare e morale della vicenda degli internati e di ricordo delle sofferenze da loro patite in violazione di tutte le leggi di guerra e dei diritti inalienabili della persona, nonché quale messaggio di pace rivolto alle giovani generazioni.
La senatrice Raffaella Paita (Italia Viva) ha definito l’iniziativa “giusta e opportuna” e ha concluso sottolineando l'unità dell'Aula:
Questa è una bellissima giornata perché... oggi potremo essere tutti uniti nel riconoscere una centralità anche a queste persone e per restituire loro dignità e orgoglio.
Il lungo oblio degli IMI
Il senatore Zanettin (Forza Italia) ha ricordato l’amaro dopoguerra degli IMI:

Il rientro a casa degli IMI fu estremamente complicato per la mancanza di un efficace coordinamento da parte dello Stato italiano" e come la loro tragedia fosse stata "interpretata, nel migliore dei casi, come sfortunato corollario della guerra o letta  come prova di vigliaccheria e rifiuto di combattere.

Il senatore Paganella (Lega) ha messo in luce la marginalità vissuta da questi soldati –“veri e propri eroi della Resistenza”- nel secondo dopoguerra, quando che si sentirono "emarginati, messi da parte, considerati quasi rappresentanti di una Resistenza di serie B".
Ha inoltre messo in luce la scelta di coscienza degli internati italiani:

I combattenti italiani si erano trovati senza una guida, soli davanti alla loro coscienza" e che seppero "conservare la dignità anche in un momento altamente drammatico della storia nazionale.

Il senatore Lucio Malan (FdI) ha condiviso il ricordo del padre internato. Si è soffermato sulle condizioni degli internati, costretti al lavoro coatto, minacciati, malnutriti e alloggiati in luoghi inadeguati.
La loro fu una forma silenziosa ma concreta di Resistenza: scelsero di non aderire alla Repubblica Sociale Italiana né di collaborare con il regime nazista, pagando un prezzo altissimo per difendere la propria dignità.
Ha inoltre parlato  di una memoria finora rimasta fuori dalla narrazione ufficiale e ha concluso: 
Ora questa legge rimedia all’oblio al quale queste centinaia di migliaia di italiani erano stati sottoposti.
Una memoria che parla ai giovani
Il senatore Marton (M5S) ha utilizzato un’immagine potente:

La loro resistenza silenziosa è un seme piantato nel terreno della democrazia e della libertà che noi oggi continuiamo a coltivare.

Ha concluso con un monito per le future generazioni:

Non dimentichiamo che la storia si ripete solo quando si perde la memoria. Non dimentichiamo che la libertà non è mai scontata. Non dimentichiamo che ognuno di noi, oggi come allora, può essere chiamato a scegliere tra il giusto e il comodo.

La Resistenza in tutte le sue forme
Come aveva fatto alla Camera il suo collega De Maria, il senatore Dario Parrini (PD) ha proposto il concetto di “tante resistenze”:

Quella in armi dei partigiani, quella silenziosa e coraggiosissima di tantissimi cittadini... la Resistenza degli IMI che, senza armi, hanno detto no alla collaborazione con Hitler e Mussolini.

Parrini ha inoltre rimarcato la complementarietà della Giornata del 20 settembre con il Giorno della Memoria (27 gennaio) e la Festa della Liberazione (25 aprile), vedendola come "un evento simbolo di una delle tante forme di Resistenza al nazifascismo".
 
Prima alla Camera, poi al Senato.
A ottant’anni dal loro rientro – per chi è riuscito a tornare – il “No” di 650.000 soldati italiani è diventato un “Sì” della Repubblica.
Il Parlamento ha riconosciuto il valore di quel rifiuto: un atto di Resistenza, una scelta morale.
Ora la memoria è legge e la legge un impegno per il futuro.

Fonti

G.V.

MARTIRE IL BERSAGLIERE E SUA MADRE ARCANGELA- LA MEMORIA DA RICUCIRE

Gianluca Parisi Perna è un giovane che vive in Germania, figlio di genitori emigrati da Valva. Da qualche anno si è appassionato alla storia della sua famiglia d’origine e, con pazienza e competenza, è diventato un esperto di ricerche genealogiche. È  riuscito a ricostruire rami familiari  presenti oggi in vari Paesi del mondo e a mettersi in contatto con parenti lontani.

In questo periodo, Gianluca sta concentrando le sue ricerche su un personaggio che lo affascina particolarmente: il suo trisavolo Martire Perna. La sua figura è avvolta da un’aura di mistero. Nato a Valva, compare in alcuni documenti con il nome di Matteo e sembrerebbe iscritto nelle liste di leva di un comune in provincia di Isernia -dato però non confermato- nonostante si sia sposato a Valva e sia poi sempre vissuto qui. Combatté nella Prima Guerra Mondiale, fu dichiarato invalido e ricevette decorazioni militari, ma molte informazioni sono andate perdute.

Ecco le notizie che Gianluca è riuscito a raccogliere fino ad oggi.

Martire Perna nasce a Valva, in provincia di Salerno, il 12 gennaio 1898
Dall’atto di nascita apprendiamo il nome della madre, Arcangela Perna, nata a Valva nel 1873 da Antonio Maria Perna e Marta Maria Fasano.
Un primo piccolo giallo: nell'atto di nascita di Arcangela, sembra che il nome della madre sia Martira. Dovrebbe però essere Marta Maria. Al momento non escludiamo una deformazione popolare del nome. Questo spiegherebbe, tra l'altro, il nome dato da Arcangela a suo figlio: sarebbe quello di sua madre.

Anche gli altri due figli di Arcangela hanno il cognome Perna: Giuseppe, nato morto a Valva nel 1903, e Angelo Michele, nato a Sturno nel 1907. Una figlia di quest’ultimo, Gorizia Keefe vive in Inghilterra, dove è emigrata nel 1962.  

Una vita difficile
La vita di Arcangela Perna fu segnata dalla povertà: infatti, al momento della morte, avvenuta a Castelmauro in provincia di Campobasso, risulta “mendicante”.

Arcangela Perna risulta deceduta il 13 agosto 1909 alle ore sette pomeridiane, al numero 15 della casa posta in Corso Italia; di anni trentadue [in realtà trentasei] residente in Valva Sturno, nata in Valva da Antonio, domiciliato in Valva e da..................domiciliata in vita in valva.
In nota leggiamo: "Al dodicesimo rigo del presente atto si sono cancellate le parole 'Valva' perché erroneamente scritte".
Da notare che manca il nome della madre di Arcangela.

Per molto tempo a Valva si è pensato che la famiglia di Martire provenisse da Sturno, in provincia di Avellino, probabilmente a causa della confusione con il fratellastro Angelo Michele. Le ricerche di Gianluca hanno però chiarito che Martire è nato a Valva e qui si è sposato ed è diventato padre; anche sua madre Arcangela è certamente nata a Valva; per lei però rimangono due punti da chiarire: il trasferimento a Sturno (dove ha dato alla luce il figlio Angelo Michele) e la morte in Molise.

Foto come tessere di un mosaico
Martire era descritto come un uomo alto e magro, noto in paese con il soprannome dialettale “Martrucc”.

Nel 1919 Martire sposa Maria Michela Torsiello, figlia di Carmine Maria Torsiello e Angela Cuozzo

La signora Maria Michela Torsiello

La coppia avrà nove figli.
In una foto datata 1966, Maria Michela — affettuosamente chiamata da Gianluca “nonna Chela” — è ritratta in abito da lutto, con il velo nero tipico del costume tradizionale da pacchiana. E' l’anno della morte di Martire, avvenuta il 12 gennaio 1966, proprio nel giorno del suo 68° compleanno.

La foto è stata scattata a Sturno, in occasione della prima visita di Gorizia dopo il suo trasferimento in Inghilterra; in essa si vede anche una delle figlie di Martire, Gerardina, che ha in braccio una bambina (sua figlia). La foto viene pubblicata per gentile concessione della signora Maria Rosa Keefe, figlia di Gorizia. 

Gianluca ha trovato nell'album di matrimonio dei suoi nonni Mario e Maria una foto scattata nella casa di nonna Chela in corso Vittorio Veneto a Valva, nella quale si intravede una decorazione militare dedicata a Martire, con medaglie e la scritta “Bersagliere”, a testimonianza del suo servizio nella Prima Guerra Mondiale.

Questa iscrizione nel cimitero di Valva è un ulteriore segno del suo impegno militare:

All'invalido della guerra 1915-1918 Perna Martire
nato 12-1-1898
morto 12-1-1966

Una difficile ricerca
Recuperare documenti ufficiali sul suo servizio militare, però, si è rivelato complicato.
L’Archivio di Stato di Salerno non conserva il suo foglio matricolare, ma dalla lista di leva risulta che una nota di renitenza fu poi annullata perché Martire aveva prestato servizio sotto il nome di Matteo Perna, nel comune di Pietrabbondante (provincia di Isernia). 
Tuttavia, nelle liste del comune di di Pietrabbondante- conservate all'Archivio di Stato di Isernia- non compaiono i nomi di Matteo o Martire Perna per le classi 1898 e 1899.
Un dettaglio curioso, forse rivelatore, emerge dall’atto di matrimonio di Martire e Maria Michela: la firma dello sposo sembra riportare il nome “Matteo”. Questo potrebbe aver generato – o rafforzato – la confusione che si riscontra nei documenti militari, in cui Martire Perna risulta talvolta registrato come “Matteo”. Un errore grafico o una svista burocratica, che oggi Gianluca cerca di decifrare oltre un secolo dopo.
Infatti il giovane non si arrende. Con la stessa passione e tenacia che ha guidato finora le sue ricerche, continuerà a cercare la verità sulla vita e sulla storia del suo trisavolo, ad esempio presso l' Archivio di Stato di Campobasso, dove sono custoditi i ruoli matricolari.

Riscattare la memoria
Ricostruendo la vita di Martire, Gianluca non sta semplicemente cercando notizie su un suo antenato: sta ridando voce a una storia dimenticata. Nel farlo, si confronta con la confusione che a volte troviamo nei registri del passato (del resto comprensibile, visti i mezzi dell’epoca).
Forse ad animare Gianluca è anche il desiderio di riscattare la memoria della sua antenata Arcangela. 
Ricostruirne la storia è un piccolo atto di giustizia, un risarcimento simbolico a una madre coraggiosa che allevò i suoi figli in un contesto difficile, segnato dalla povertà e dall’emarginazione.
Per anni, il suo nome è rimasto confinato in un ingiallito registro, accanto alla parola “mendicante”. Oggi, grazie all’amore di un giovane discendente, torna a essere persona, storia, memoria.


🙏Gianluca and the blog "la ràdica" would like to thank Mrs. Maria Rosa Keefe, daughter of Gorizia, for her kindness and invaluable collaboration. A warm greeting to Mrs. Gorizia as well.    
Gianluca e il blog "la ràdica" desiderano ringraziare la signora Maria Rosa Keefe, figlia di Gorizia, per la sua gentilezza e la preziosissima collaborazione. Un affettuoso saluto anche alla signora Gorizia.

📃
Se anche voi avete ricordi, documenti, foto o semplicemente storie tramandate su Martire Perna o sulla sua famiglia, Gianluca sarà felice di ascoltarle.

G.V.


04 agosto 2025

20 SETTEMBRE, LA GIORNATA DEGLI INTERNATI MILITARI

 Legge 13 gennaio 2025, n. 6

Istituzione della “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale” 
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 2025

Il 13 gennaio 2025 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge che istituisce il 20 settembre come “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale”.
Approvata all’unanimità, la legge riconosce ufficialmente questa data per onorare la memoria degli italiani – militari e civili – che furono deportati e costretti al lavoro forzato nei lager nazisti, dopo aver rifiutato di collaborare con il regime nazifascista in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Lo scopo è promuovere la conoscenza di questa tragica vicenda storica, specialmente tra le giovani generazioni, in continuità con il Giorno della Memoria (27 gennaio) e con la Festa della Liberazione (25 aprile).
Padova, Museo nazionale dell'Internamento- Tricolore dal Lager di Mittelbau-Dora, 
donato dal cav. Sisto Santin

Proponiamo una sintesi dei quattro articoli della legge, anche attraverso una serie di domande e risposte.

Articolo 1 – Istituzione e finalità della Giornata

Perché il 20 settembre?
È il giorno in cui, nel 1943, Hitler modificò arbitrariamente lo status dei militari italiani catturati dopo l’armistizio: da prigionieri di guerra a internati militari. Questo li privò delle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929 e li espose a trattamenti disumani.
Padova, Museo nazionale dell'internamento
Qual è l’obiettivo della Giornata?
La Giornata vuole conservare la memoria degli italiani deportati nei campi di concentramento, dove subirono violenze e furono costretti al lavoro coatto per aver rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e al regime nazista.
La Giornata vuole anche onorare i militari uccisi per quel rifiuto, trasformando il ricordo in un messaggio di pace rivolto alle nuove generazioni.

Qual è il contesto storico in cui si inserisce la vicenda degli internati italiani?
Dopo l’8 settembre 1943, circa 800.000 italiani furono deportati nel Terzo Reich. Di questi, oltre 650.000 furono Internati Militari Italiani (IMI): scelsero la prigionia al collaborazionismo. Circa 50.000 morirono per fame, malattia, esecuzioni o bombardamenti.
Padova, Museo nazionale dell'internamento

Quali iniziative sono previste il 20 settembre?
Province ed enti locali possono promuovere cerimonie commemorative (anche presso l’Altare della Patria a Roma); il conferimento della medaglia d’onore; incontri, dibattiti, mostre, ricerche, pubblicazioni; momenti di riflessione per diffondere il valore storico e morale della vicenda degli internati.

Qual è il rapporto con le altre ricorrenze?
Le celebrazioni del 20 settembre si affiancano a quelle del 27 gennaio (Giorno della Memoria) e del 25 aprile (Liberazione).

Medaglia d’onore
In occasione della Giornata, è conferita la medaglia d’onore prevista dalla legge finanziaria del 2006, destinata a internati e deportati (militari e civili) nei lager nazisti e ai loro familiari.

Gustavo Antonelli, La catena per il trasporto del ranciofonte
Articolo 2 – Coinvolgimento delle istituzioni e delle associazioni
I Ministeri dell’Istruzione, Università, Cultura, Difesa e Interno stabiliranno le linee guida per il coinvolgimento di scuole e università, di amministrazioni pubbliche.
Il tutto nel rispetto dell’autonomia scolastica e universitaria, con l’obiettivo di promuovere il valore storico ed educativo della Giornata.

Associazioni coinvolte
Attraverso un protocollo d’intesa con i ministeri, partecipano alla Giornata le seguenti associazioni: ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti), ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati nei Lager Nazisti), ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, Internamento e Guerra di Liberazione).
L’ANRP assume anche funzioni di coordinamento tramite il proprio centro studi.

Padova, Museo nazionale dell'internamento

Articolo 3 – Natura della Giornata
Il 20 settembre non è considerato solennità civile: non comporta orario ridotto negli uffici pubblici né obbligo di imbandieramento degli edifici.
Padova, Museo nazionale dell'internamento
Articolo 4 – Copertura finanziaria
L’attuazione della legge non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: tutte le attività saranno realizzate con risorse già disponibili.

La legge che istituisce la "Giornata degli internati italiani" è sicuramente un passo decisivo per la difesa di una memoria ancora poco conosciuta in Italia, ma fondamentale per la Resistenza.
Più volte il nostro blog ha citato queste parole di un internato italiano celebre, lo scrittore Giovannino Guareschi. Le ripetiamo, perché ci sembrano una significativa sintesi del valore della scelta degli IMI, una scelta incentrata sulla dignità come forma  silenziosa ma incrollabile di resistenza:

Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente...sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi che non sono meno micidiali delle palle di schioppo...Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano. 
Giovanni Guareschi, Diario clandestino 

Approfondimento




G.V.

31 luglio 2025

NEL NOME DI GORIZIA: SOGNO PATRIOTTICO E MORTE AL FRONTE

A Valva, nel settembre del 1915 un maestro originario di Santomenna registrava la nascita di due gemelle e dava loro  nomi che portavano con sé un sogno e una speranza patriottica: Gorizia e Gradisca Italiana.
Due nomi che evocavano luoghi lontani, simboli di una terra da riconquistare.
Per Gorizia, però, sarebbe stato necessario attendere quasi un anno: la sua presa definitiva arriverà solo nell’agosto 1916. Gradisca, addiritura, sarà italiana solo alla fine della guerra.
Prima della conquista di Gorizia, migliaia di giovani soldati persero la vita nelle sanguinose battaglie dell’Isonzo.
Tra questi, molti trovarono la morte o la prigionia nel piccolo villaggio di Oslavia, a pochi chilometri da Gorizia. Proprio qui, nel gennaio del 1916, morirono due valvesi, mentre un terzo rimase prigioniero.

Oslavia: la conquista difficile del fronte isontino
Oggi Oslavia è una frazione del comune di Gorizia.
Durante la Grande Guerra era un piccolo villaggio in posizione strategica e ben fortificato.
Nonostante le prime quattro battaglie dell’Isonzo — combattute tra l’estate e l’autunno del 1915 — l’esercito italiano non riuscì mai a conquistarla.
Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1916, con una violenta offensiva, le truppe italiane riuscirono finalmente a entrare a Oslavia, conquistando anche la vicina Quota 188.
Fu una vittoria effimera: il 24 gennaio un contrattacco austro-ungarico riportò Oslavia sotto il controllo nemico, infliggendo gravi perdite agli italiani.
Oslavia divenne così uno dei luoghi simbolo di una guerra logorante, combattuta metro per metro.
La conquista definitiva da parte italiana arrivò solo nell’agosto 1916, durante la Sesta battaglia dell’Isonzo, quando caddero Gorizia e l’intero sistema difensivo austro-ungarico della zona.

Le vicende dei soldati valvesi
Due valvesi risultano dispersi a Oslavia il 24 gennaio 1916: Giuseppe Fasano e Giuseppe Piramide
Un altro valvese, Michele Cozza, è invece fatto prigioniero lo stesso giorno e sarà internato a Mauthausen fino all'ottobre 1918, quando sarà rimandato in Italia perché invalido e sarà ricoverato all'ospedale di Nervi, dove morirà nell'ottobre dello stesso anno.
Racconteremo le loro vicende in un prossimo post.

Approfondimento
Il maestro di Santomenna si chiamava Pasquale Figurelli, sua moglie Lucia Anita Carmela D'Ambrosio ("gentildonna"). Le bambine risultano nate in via Santo Antonio, al numero 26.

G.V.

30 luglio 2025

LA RÀDICA SETTIMANALE: LA NOSTRA NEWSLETTER

È nata la newsletter del blog "la ràdica".

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la ràdica

G.V.

28 luglio 2025

MARIANNA, CHE SCIVOLÒ NEL POZZO A PRIMAVERA

Un nome, un volto, un luogo.
In un piccolo borgo, ogni decennio ha un episodio che li racchiude e li assume come simbolo.
Forse, per gli anni Trenta, a Valva il nome è quello di Marianna; il volto è il suo, dall'espressione fiera e serena, con la dignità silenziosa di una giovane e forte contadina; il luogo è un pozzo.
L'episodio che li comprende è rimasto nella memoria della comunità.

Marianna scivola in un pozzo in un giorno di maggio, mentre sta vivendo la sua primavera, a ventuno anni. 
Nessuno sa esattamente come sia accaduto, ma ogni generazione ha sentito parlare di lei.
Ecco una possibile ricostruzione dei fatti.
La ragazza sta pulendo le verdure, la cosiddetta minestra; ha già messo sul fuoco la callara, l'ampio recipiente di rame smaltato. Il grembiule è annodato, come sempre.
Forse Marianna si sporge troppo, il secchio s’impiglia. Forse la pietra è umida e lei inciampa, cade, batte la testa.
Dicono che il fratello Salvatore, di nove anni più grande di lei, sia riuscito a sollevarla con l'uncino, il lungo bastone di legno dalla punta ricurva che si usa nei lavori dei campi.
Salvatore si sporge, vede il grembiule gonfio che affiora nell'acqua del pozzo. Allunga l'uncino e aggancia il cinto della sorella, il laccio del grembiule che ogni mattina Marianna lega attorno alla vita, prima di cominciare la giornata.
Il corpo torna alla luce, ma Marianna è già lontana.
Tra i fratelli in lacrime, il più giovane è Francesco. Ancora non sa che tra dieci anni il destino lo porterà lontano, in una terra straniera da cui non farà ritorno.
La storia di Marianna, correndo tra le bocche del piccolo borgo, nel corso del tempo ha assunto anche altre tinte, quelle del rosa e del giallo.
A distanza di quasi un secolo, preferiamo restare alla ricostruzione più semplice: una giovane contadina che scivola in un pozzo, a primavera, e vola su una stella come in una tenerissima canzone di De André.

Il nome della nonna
Marianna ha il nome della nonna materna (Cappetta); per la verità nell'atto di nascita la bambina è registrata col nome di Maria Anna. 
È il 3 aprile 1910.
Davanti al segretario Elia Merolla (padre di un soldato morto in guerra, Biagio), compare Vito Feniello, cinquantenne, contadino, che dichiara che il giorno prima, in corso Umberto Primo numero 9, da Donata Torsiello, anche lei contadina, è nata Maria Anna Feniello.

Vito e Donata si sono sposati nel luglio 1896. 
Testimoni dell'atto di nascita della bambina sono Michele Spiotta (sarto) e Giuseppe Torsiello (spaccamurate). 
Un elemento insolito per l'epoca: anche il papà firma. Spesso gli atti di nascita recano solo la firma del sindaco o dell'ufficiale dell'anagrafe e spesso (ma non sempre) quella dei testimoni. E' raro che a firmare sia il neogenitore, soprattutto quando è un contadino. Il testimone Giuseppe Torsiello compare anche in altri atti; possiamo ipotizzare che lo "spaccamurate" (salvo errori nella lettura dell'atto) fosse un manuale specializzato nell'estrazione e nella frantumazione della pietra; il termine potrebbe essere una variante dialettale del più generico "spaccapietre".
Nell'uso quotidiano, il nome diventa presto Marianna, visto che così compare nell'atto di morte.
Il 27 maggio 1931, alle ore 9, davanti al commissario prefettizio Antonio Masi compaiono Pietro Falcone (bettoliere) e Antonio D'Ambrosio (contadino). 
Dichiarano che alle ore sei del giorno precedente, in contrada Bosco, è morta Marianna Feniello, di 21 anni, nubile. 
Sono presenti all'atto, in qualità di testimoni, Alessandro Di Florio (falegname) e Francesco Strollo (possidente).

Nell'atto, la voce NELLA CASA POSTA è cancellata: è questo l'unico indizio che fa pensare a una morte per incidente.
Quella di Marianna è stata una primavera interrotta.
Di lei però non rimangono solo poche righe in un registro dell'anagrafe; rimangono il suo nome trasmesso nella famiglia, il suo ritratto (a cura del fotografo e pittore Giacomo Feniello) custodito in alcune case, il suo ricordo tramandato nei racconti, come una voce che non si spegne.
Come una rosa, che vive un solo giorno e diventa emblema della giovinezza.

Un sentito ringraziamento a zia Fedora D'Ambrosio e a Michela Feniello per la preziosa collaborazione.
G.V.


25 luglio 2025

FUOCO DALLA TERRA E DAL CIELO: IL LAMPO SISMICO

Secondo appuntamento del nostro percorso attraverso la memoria del terremoto che nel 1930 ha colpito l'Irpinia e il Vulture.

Tra i tanti racconti legati a quella notte terribile, uno degli elementi più ricorrenti e misteriosi è il cosiddetto lampo sismico: una luce improvvisa, intensa, apparsa nel cielo poco prima o durante la scossa. Numerose testimonianze lo descrivono, lasciando spazio a domande e ipotesi che ancora oggi affascinano.

Lo studioso G.B. Alfano racconta che durante il terremoto in molti comuni furono osservati fenomeni luminosi chiamati “lampi sismici”. 
Ecco, in sintesi, le informazioni da lui raccolte; spesso è indicato il nome del testimone:
  • Ariano di Puglia: lampo osservato due ore prima della scossa; al momento della scossa, il lampo riapparve, rossastro (Sac. Nicola Scarpellino).
  • Villanova: lampo tanto intenso da sembrare luce diurna, specialmente nelle campagne.
  • Gesualdo: visione di Frigento avvolto da una viva luce (Rosa Maruzzo).
  • Frigento: fuoco violaceo emergente dal suolo (Italia Pelosi).
  • Candela: bagliori rosso-cupi verso le zone più colpite (Prof. Alfredo Boselli).
  • Bisaccia: fiamme nei campi ad oriente, simili a gas in fiamme (Can. Nicola Giurazzi).
  • Lacedonia: un contadino vide un fuoco spaventoso tra sé e le case, che poi crollarono (Prof. Immanuel Friedlaender).
  • Melfi: fiamme da un crepaccio apertosi al momento della scossa (Prof. Friedlaender).
"...fuoco violaceo emergente dal suolo"
  • Sant'Agata di Puglia: lampo tra due montagne e odore di zolfo (Laura Rampino).
  • Altavilla: bagliore rossastro visibile.
  • Avellino: lampo rosso attraverso i balconi scossi (Emilia Rossi).
  • Baiano: fiamma visibile pochi secondi prima della scossa – interpretata come lampo anticipato rispetto alle onde sismiche.
  • Cervinara: vampe nell’aria (Abate Angelico Mancini).
  • Castelfranco in Miscano: lunga vampata da sud a nord.
  • Cusano Mutri: lampo osservato da pastori (Parroco De Nigris).
  • Vieste: lampo visto da marinai (Rosa Cimaglia).
  • Napoli: osservati diversi lampi anche dopo le scosse; in Piazza Plebiscito, visione di fiamme emergenti dal lastricato e palazzi avvolti da fiamme. (Celide Martino riferisce un lampo rosso sulla città). 
All’inizio si pensò che questi lampi fossero causati da cortocircuiti nei fili dell’elettricità provocati dal terremoto, ma Alfano sottolinea che questa spiegazione non è sufficiente a giustificare il fenomeno diffuso e le diverse forme in cui si è manifestato.
Egli ipotizza che l’energia meccanica del terremoto, quando raggiunge una certa intensità, si trasformi in energia elettrica ad alta tensione, generando così questi lampi, specialmente in località con intensità sismica tra il grado VII e X.
Boati
I boati furono percepiti in quasi tutte le località con intensità sismica compresa tra il grado X e il grado III-IV. 
Ecco degli esempi significativi:
  • Villanova: suono simile a colpi di cannone, seguito dalle scosse.
  • San Nicola di Baronia: fruscio simile a vento, seguito da scosse forti.
  • Aquilonia e Apice: boati fortissimi per tutta la durata della scossa.
  • Paduli, Nusco: impressione di tempesta in arrivo.
  • San Giorgio la Molara: percezione iniziale di un "aeremoto".
  • Cervinara: vento impetuoso in avvicinamento (Abate Mancini).
  • Castelfranco in Miscano: simile al fischio di una sirena.
  • Altavilla Irpina: scosse precedute da folata di vento (Podestà Cosimo Caruso).
  • San Fele: percepita folata di vento (Pietro Caputi).
  • Capua: sensazione di vento impetuoso (Canonico Lombardi).
  • Laviano: rumore simile a grandinata, seguito da odore di gas (ozono?) (Arciprete Angelo Ceriello).
  • Venosa: forte rumore come una grandinata (Podestà Bagnoli).
  • Potenza: vento impetuoso percepito (Matilde La Scala).
  • Salandra: simile a un temporale in arrivo (Maria Uricchio).
  • Manfredonia e Vieste: urlo di vento (Rosa Dimaglia).
  • San Fele (notti successive): boati continuati.
Leggiamo direttamente un brano del suo lavoro:

E' da ritenere che i colpi istantanei, come scoppi di cannone, siano dovuti alla frattura dello strato terrestre donde irradiò la scossa e che i boati siano prodotti dalle vibrazioni dei bordi dello strato fratturato.

Alfano sottolinea che non è possibile che il suono preceda il sisma, perché le onde sismiche viaggiano a circa 7500 m/s, molto più velocemente del suono (340 m/s). È probabile che l’essere umano percepisca prima i boati perché non avverte inizialmente le vibrazioni del suolo. Solo quando queste superano una certa soglia (accelerazione di almeno 10 mm/s) si ha la percezione diretta del terremoto.

Questi racconto ci aiutano a comprendere nella sua complessità un evento drammatico, di 95 anni fa. Non solo la cronaca di un disastro naturale, ma anche il tentativo umano di comprenderlo attraverso l'osservazione e la testimonianza.

Fonti
Alfano G.B., Il terremoto irpino del 23 luglio 1930 (Pubblicazione dell’Osservatorio di Pompei). Pompei 1931; in:  www.ingv.it


                                                                                                                                             seconda puntata

G.V.

24 luglio 2025

23 LUGLIO 1930: UN TERREMOTO NELL'ITALIA FASCISTA

23 luglio 1930: terremoto dell'Irpinia e del Vulture. Tra tragedia e propaganda.

Un anniversario poco ricordato, ma che ancora racconta una storia di terra e di luce. Una luce sinistra, apparsa agli occhi sgranati dal terrore, come un lampo che ferisce; e poi il rumore della tempesta, come di vento impetuoso e scrocio di pioggia o di grandine.
Il  23 luglio 1930 è un mercoledì.
Un sisma di magnitudo 6,7 (X grado della scala Mercalli) con epicentro tra Lacedonia e Bisaccia colpisce l’Irpinia e il Vulture; le vittime sono 1404.
Abitanti fra le case crollate; fonte
Il giorno dopo, il Corriere della Sera -fascistizzato come tutti i quotidiani non clandestini- ci informa che le autorità governative, con Mussolini al comando, hanno reagito prontamente attivando soccorsi su larga scala. Treni, milizia, esercito e personale sanitario vengono inviati nelle zone colpite per prestare assistenza e portare materiali di prima necessità. Viene organizzata una rete di aiuti per sfollati e famiglie colpite, mentre tecnici e ingegneri iniziano a valutare i danni e a progettare la ricostruzione. La Duchessa d’Aosta e altri esponenti del governo visitano le aree terremotate per mostrare solidarietà e coordinare gli interventi. 
Leggiamo questo brano della cronaca riportata in prima pagina:

Il disastro è particolarmente grave nei paesi di campagna, per la struttura delle case. I modesti casolari sono infatti coperti di tetti pesantissimi, per i quali si utilizza materiale calcareo, allo scopo di renderli più resistenti all’infuriare dei venti: sicché dove sono avvenuti i crolli difficilmente chi ne è stato travolto ha potuto essere estratto ancor vivo.

Militi recuperano i cadaveri; fonte
Secondo il Corriere, dal punto di vista sociale il terremoto ha rafforzato il senso di comunità e di solidarietà fra le popolazioni colpite, che affrontano la tragedia con coraggio e spirito di cooperazione. Vengono promosse anche manifestazioni religiose, come a Salerno: una affollatissima processione allo scopo di rassicurare e unire la popolazione nell’angoscia.

Particolarmente significativo -a nostro avviso- un articolo di spalla sempre in prima pagina, dal titolo Sereni e pronti.

Compiangiamo con tutta l’anima i poveri morti: quasi tutti lavoratori di quelle feraci campagne, sempre minacciate dagli sconvolgimenti tellurici, come se il destino volesse farne pagare a caro prezzo la pittoresca bellezza; compiangiamo i superstiti, che hanno perduto i loro cari e gran parte dei loro beni. Ma soprattutto, prendiamo atto della calma, della serenità che il Paese, anche nelle regioni più vicine a quelle colpite dal terremoto, ha dimostrato nella triste circostanza.
Nessun panico artificioso, nessun smarrimento; passata la prima penosa impressione, tutti si sono prodigati nell’opera di soccorso, con una prontezza degna d’ammirazione: autorità civili e religiose, soldati, milizia volontaria, associazioni di beneficenza. Tutti sono stati pari al difficile compito. Le popolazioni hanno partecipato con uno slancio veramente splendido alle operazioni di soccorso; reprimendo il loro sacro dolore, esse hanno voluto contribuire in ogni modo ad alleviare le conseguenze del grave cataclisma.
Da Roma, come sempre, è partita la parola di incitamento e si è messo in movimento il meccanismo già preparato per simili eventi…
Sono questi i lati confortanti della disgrazia: non solo perché indicano i progressi dello spirito pubblico e degli organi responsabili, ma anche perché assicurano che, in ogni caso, le conseguenze d’ogni più inumano capriccio del Destino, saranno rese più lievi da provvedimenti adeguati e che non si ripeterà più, come in altri tempi, il caso che ritardi e incertezze nell’opera di soccorso possano rendere peggiori e magari irrimediabili gli effetti di quelle sciagure, alle quali ormai l’Italia è avvezza e contro le quali ha imparato a virilmente reagire.

Dall’articolo riportato emerge una notevole enfasi sulla rapidità e sull’efficacia dei soccorsi, per trasmettere l’immagine di un regime capace di intervenire con prontezza, a differenza di quanto accaduto in passato; probabilmente il riferimento è ai disastri del terremoto di Messina (1908) e della Marsica (1915). 
Colpisce in particolare l’attenzione dedicata alla calma e alla disciplina delle popolazioni colpite, che rappresenta una visione ideale della società fascista: ordinata, unita e capace di fronteggiare il pericolo senza panico o caos. 
L’articolo elogia inoltre la modernità dell’Italia fascista, sottolineando come il Paese sia in grado di gestire calamità in modo organizzato. 
Infine, il richiamo al ‘sacro dolore’ che va represso serve a celebrare il senso del dovere e la partecipazione a una gloriosa azione collettiva, quella di alleviare le conseguenze del cataclisma.

Nel successivo post ci occuperemo del fenomeno dei “lampi sismici”, sulla scorta delle testimonianze raccolte dallo studioso G.B. Alfano.

Fonti
Archivio Storico Corriere della Sera
Sito www.ingv.it, che riporta la prima pagina del Corriere della Sera del 24 luglio 1930

Crediti foto storiche:
Bundesarchiv, Bild 102-10191 / CC BY-SA 3.0 DE
Bundesarchiv, Bild 102-10192 / CC-BY-SA 3.0 DE

prima puntata- continua
G.V.