25 giugno 2024

LA MASSERIA CON L'ALBERO DI TIGLIO: ZIA DUNETTA RICORDA IL TEMPO DELLA GUERRA

Zia Dunetta ha 88 anni, è piccola e minuta ma ancora piena di energia; cura il suo piccolo orto e le sue galline, dà una mano al figlio veterinario a badare alle pecore: vedova di un pastore, ha fatto questo lavoro tutta la vita, anche prima di sposarsi.

Mostra ancora straordinaria abilità quando quaglia il latte, la generosità di sempre quando offre un assaggio di ricotta o di formaggio.

La nostra preziosa collaboratrice Lucia Farella le ha chiesto se ricordava qualcosa sulla guerra; mentre Lucia le dava una mano a girare la ricotta, lei si è seduta su una sediolina di paglia, si è messa con le mani conserte e ha iniziato a raccontare.

La 'massaria' alle pendici della montagna
Nel 1943 avevo sette anni. Ricordo che andavamo in contrada Elice, dove c'erano dei terreni sui quali pascolavamo le pecore; i terreni appartenevano alla famiglia Masi. C'era una grande massaria con quattro stanze al piano superiore, due delle quali avevano anche l'astr'c e al piano inferiore noi tenevamo le pecore. Davanti alla masseria c'era un grande tiglio.
L'astr'c è un pavimento lastricato, probabilmente in cemento; Lucia nota che zia Dunetta pronuncia la parola con grande stupore. Inoltre, quando parla del tiglio (usando il genere femminile, come è bello per indicare una pianta) fa un gesto con la mano portandola al naso, per sottolineare il grande profumo dell'albero.

Quello che resta della masseria Masi. 
La strada accanto è via Elice e conduce alla grotta di San Michele.
Foto di Valentino Cuozzo.

Il maiale rubato dai soldati 
Nel periodo della guerra anche altre famiglie si sono rifugiate in quella casa. Mio padre il giorno andava sempre in località Cappaio, mentre mio fratello e un suo amico pascolavano le pecore e dormivano per terra, nei pressi della proprietà di una famiglia alla quale i soldati rubarono un maiale. 

Il rumore degli aerei e le lacrime delle bambine 
Io e le mie sorelle andavamo a raccogliere la legna per il fuoco. La sera andavamo incontro al veterinario Tamburro e alla figlia Maria, che di giorno stavano in paese e la sera venivano da noi. La bambina stava con noi e quando sentivamo gli aerei ci buttavamo a terra. Mia sorella Maria gridava per la paura e faceva piangere anche questa bambina. Ricordo che un signore che era con noi le sgridava quando le sentiva piangere. 

Nella foto si nota il tentativo di recupero edilizio
effettuato nel periodo dopo il terremoto; foto di Valentino Cuozzo

Le caramelle dei soldati 
Quando sono passati i soldati, molti erano a piedi; noi siamo scesi verso il paese e lungo la strada noi bambini gridavamo "Caramelle, caramelle!" e loro ce le gettavano. 

Brutti tempi 
Che brutti tempi sono stati! La guerra è una brutta cosa. Che dici, possono tornare quei tempi? 

Forse -come suggerisce Lucia- una possibile risposta alla domanda di zia Dunetta potrebbe essere nelle parole di Kant: "La guerra è un male, perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo".

🙏 Rinnoviamo il nostro ringraziamento a Lucia Farella, che ha raccolto anche questa preziosa testimonianza. 
🙏Grazie a Pietro Vuocolo per la gentile collaborazione.
🙏Grazie a Valentino Cuozzo, che ha individuato e fotografato i resti della masseria Masi. 

Approfondimenti


Gozlinus ha pubblicato il 👉biglietto postale che il veterinario di Valva, il dottor Ciro Tamburro spedì nel 1947 per tentare di fare luce sulla morte improvvisa di sette galline.

G.V.


24 giugno 2024

MICHELE, SOPRAVVISSUTO ALL'INFERNO DI GHIACCIO RUSSO

Il 27 ottobre 1921 le bare di dieci caduti della Grande Guerra, che non è stato possibile identificare, vengono traslate da Gorizia alla basilica di Aquileia, in vista della solenne cerimonia del giorno dopo. Uno di essi diventerà il Milite Ignoto.

Quel giorno, a Valva nasce Angelo Michele Cecere, figlio di Giuseppe e di Antonia Fasano.

Per tutti, l'avvocato

La provincia di Udine tornerà nella vita di Angelo Michele, che in paese chiamano solo Michele e -tra un po'- sarà ancora più noto come l'avvocato: anzi, per i suoi concittadini diventerà l'avvocato per antonomasia, pur avendo solo la quarta elementare. Non sarà un soprannome ironico, ma il riconoscimento di un certo stile e di un bel portamento giovanile, con immancabile giacca e una bella parlantina.

La guerra

Il 9 maggio 1941 Michele è dichiarato rivedibile alla visita militare e lasciato in congedo provvisorio; quando viene chiamato alle armi, il 17 gennaio 1942, non parte subito perché è ammalato (il mese prima, tra l'altro, è deceduto il padre Peppino).

Giunge al distretto militare il 6 marzo e il giorno dopo lo troviamo nell'11.ma Compagnia Sanità di Udine.

Nel settembre '42 viene trasferito alla 4.a Compagnia Sanità in Verona e il 27 dello stesso mese parte per la Russia, "perché destinato a far parte del capo di spedizione italiano", recita il suo foglio matricolare.

In Russia, tra i feriti
In Russia risulta assegnato all'Ospedale militare di riserva 8 mobilitato.

Abbiamo chiesto a Renza Martini cosa fossero gli ospedali di riserva.

Gli ospedali di riserva, situati nelle retrovie, erano delle strutture destinate a militari per i quali era previsto un sicuro recupero (disponevano di mille posto letto, che potevano aumentare in caso di bisogno). Gli ospedali di riserva 6 e 8 erano compresi nel Centro ospedaliero di Karkov (o Har'kov).
Dal luglio 1941 al maggio 1943 sono stati operativi sette ospedali di riserva. 
I primi soccorsi venivano forniti dagli ospedali da campo, mentre i soldati più gravi venivano mandati agli ospedali di riserva che li valutavano e li trasferivano nei convalescenziari o li rimpatriavano in Italia con treni ospedali. 
Negli ospedali di riserva hanno prestato la loro opera anche 45 infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, oltre a personale femminile locale (addetto alla cucina, alla pulizia dei locali, alla lavanderia).

Sul foglio matricolare di Angelo Michele Cecere c'è un vuoto: la successiva informazione risale al 26 marzo 1943, quando leggiamo "Partito dalla Russia per rimpatrio".

Sei mesi: ecco la durata di questo vuoto in un documento burocratico; sei mesi in Russia, compresi i terribili giorni della ritirata dal gennaio 1943. Quello che il documento non ci dice, papà Michele lo ha raccontato ai figli e da nonno ai nipoti;  sicuramente molto ha tenuto per sé, perché ci sono esperienze terribili che non diventano racconto.

Un dettaglio dei suoi racconti è rimasto impresso nella memoria del nipote Luigi: tra i feriti c'era chi lo pregava di tagliargli le orecchie e i piedi, i primi arti a congelare.

Possiamo ipotizzare le tappe della ritirata, ancora grazie alla consulenza di Renza Martini e del prezioso volume I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo (1941-'43), a cura dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

Alla fine del gennaio 1943, nelle strutture ospedaliere di Karkov erano ricoverati circa duemila degenti italiani, che furono sgomberati con treni ospedale (sia italiani che tedeschi); con l'arretramento del Corpo d'Armata, giunsero in città tremila nuovi feriti. 
Dopo la battaglia di Nikolajevka, gli spostamenti vennero fatti in treno verso Gomel (per gli illesi) e verso Karkov per i feriti. 
Dall'8 febbraio 1943, il personale ospedaliero e il materiale sanitario vennero trasferiti prima a Kiev, poi a Leopoli e infine a Kolomyja (una città che oggi si trova in Ucraina ma all'epoca si trovava in Polonia).

Carri armati sovietici entrano nel centro di Char'kov, il 16 febbraio 1943;
fonte

Il ritorno a casa
Michele giunge in Italia il 1 aprile 1943; è aggregato al Comando Tappa di Falconara per trascorrere il periodo contumaciale. 

I campi contumaciali erano già diffusi nella Prima guerra mondiale: in essi i soldati -o i prigionieri- trascorrevano un periodo di quarantena, per scongiurare il pericolo della diffusione di malattie infettive.

Il 15 aprile cessa il periodo contumaciale ed è inviato in licenza speciale di trenta giorni, più il viaggio.

Non sappiamo se in questo periodo Michele riesca a tornare a Valva; sappiamo però che il 15 giugno rientra dalla licenza, cessa di essere mobilitato e viene trasferito alla 4.a Compagnia Sanità di Verona. L'8 luglio lo troviamo nella 6.a Sezione Sanità.

Dopo l'8 settembre 1943, leggiamo che Michele si sottrae alla cattura in territorio occupato dai nazi fascisti e rientra a Valva.

Le date indicate sul foglio matricolare sono 9 e 20 settembre 1943, periodo nel quale va considerato in "licenza straordinaria in attesa di disposizioni". 

Qui troviamo un dettaglio molto significativo.

Nell'intervista che le abbiamo fatto, dal titolo L'abbraccio del soldato, la sorella Gerardina ha raccontato che quando Michele è tornato dalla guerra aveva i vestiti strappati e ha aggiunto: "ha raccontato che glieli avevano dati delle persone lungo il tragitto di ritorno".

Zia Gerardina ricorda che quando il fratello è tornato il resto della famiglia era ancora in contrada Elice, dove si era nascosto perché in quelle settimane del 1943 a Valva si scontrano tedeschi e americani.

Il ricordo di zia Gerardina è confermato dal foglio matricol,are, come possiamo vedere qui:

Il soldato Angelo Michele Cecere, con gli abiti malandati, è rientrato a Valva a metà settembre 1943, mentre sua madre, le cinque sorelle e suo fratello si erano rifugiati in montagna.

🙏Grazie a Renza Martini per la consueta e gentile disponibilità nella consulenza storica.
🙏Grazie alla famiglia Cecere per la foto e la collaborazione.
G.V.

22 giugno 2024

SETTEMBRE 1943: UN DOCUMENTARIO SUI CIVILI NASCOSTI NELLA GROTTA DI SAN MICHELE

Un documentario dedicato al settembre 1943, dopo lo sbarco alleato a Salerno.
All'ombra delle tue ali raccoglie testimonianze di valvesi relative al settembre 1943
Gli Americani risalgono il corso del fiume Sele.
A Valva, i tedeschi hanno il loro comando nella Villa d'Ayala-Valva.
All'arrivo degli Americani, i civili si rifugiano nelle grotte della montagna e della stessa villa d'Ayala.
In particolare, un nutrito gruppo di persone trova rifugio nella grotta di San Michele Arcangelo.
Foto di Valentino Cuozzo
Il primo episodio ha un titolo che viene dalla liturgia: INTROIBO.
È la prima parola di un breve rito di ingresso nella messa in latino: Mi accosterò all'altare del Signore. La parola assume il valore di "introduzione". 
L'episodio introduttivo ha due sorprese: la prefazione scritta da don Lorenzo Cuozzo e l'audio del canto tradizionale valvese dedicato a San Michele -dal titolo Il principe forte- cantato da un gruppo di donne e registrato dall'allora parroco mons. Domenico Cruoglio.
Ecco un brano tratto dalla prefazione:

In questo scenario tremendo anche la nostra piccola comunità venne sconvolta. Per sfuggire ai possibili bombardamenti aerei molti dei nostri compaesani salirono alla grotta di San Michele e nelle grotte adiacenti nella convinzione di trovare maggiore sicurezza rispetto al centro abitato.

Questa situazione che vide ospitati tanti valvesi nella «casa» del loro Protettore non ha davvero eguali nella storia della nostra comunità.

Foto di Valentino Cuozzo

Oltre ai racconti raccolti dai testimoni di quei giorni, nei prossimi episodi pubblicheremo altre strofe dell'inno a San Michele. Un piccolo omaggio alla tradizione culturale e religiosa di Valva.

G.V.

18 giugno 2024

L'ABBRACCIO DEL SOLDATO

La signora Gerardina Cecere ha 89 anni e vive ormai da tempo a Bellizzi, anche se è rimasto forte il suo legame con Valva e con i tanti nipoti della numerosa famiglia Cecere.

Abbiano chiesto a sua nipote Lucia di raccoglierne la testimonianza sul periodo della guerra e in particolare i ricordi relativi al settembre 1943, quando Valva ha visto lo scontro tra tedeschi e americani.

"Ho chiesto a zia se se la sentiva di raccontare dove erano, dove sono andati e come hanno vissuto quei momenti così difficili; lei ha fatto un cenno con la testa e ha iniziato il suo racconto", ci dice Lucia.

Ecco il suo racconto:

Abitavamo in paese, papà era già morto; io avevo più o meno otto anni. Siamo andati via portando poche cose. Eravamo io, mamma, le tre sorelle più grandi [lei le chiama r guagliott, le ragazze], mia sorella Maria che era piccola e mio fratello Bruno. Michele, l'altro fratello, non era con noi: era partito per fare il soldato e poi si è trovato a fare la guerra.

In questa foto del 1957, zia Gerardina è la donna in alto a destra. 
Accanto a lei, il fratello Michele e la sorella Carmela.
Davanti a zia Gerardina, sua madre Antonia Fasano.
La donna al centro è la signora Angela, sorella di Antonia.
In basso da sinistra, Maria Giuseppa (che indossa un segno di lutto) e Maria.
Mancano la sorella Annita (già emigrata in Argentina) e il fratello Bruno.

Uno scorcio di via Pistelli sotto Chiesa, dove abitava la famiglia;
fonte
Nel 1943, la sorella più piccola, Maria, aveva due anni: la mamma di Lucia, che ha raccolto questa testimonianza. 

Ci siamo trovati con altre famiglie, tra cui una con cui eravamo molto legati: la famiglia di Carmela Torsiello.

Carmela Torsiello è la signora che ci ha raccontato i suoi ricordi del tempo di guerra nel post Quando la montagna è un rifugio. Ci siamo occupati anche della vicenda di suo zio Francesco, morto nella Grande Guerra combattendo con l'esercito americano. 

Ci siamo rifugiati in contrada Elice; eravamo in tanti ma noi siamo stati sempre con questa famiglia. C'era una grande masseria ma molti erano accampati anche fuori, nei terreni e nel fango. Ricordo i tanti animali, anche i maiali. Di giorno gli uomini andavano nei campi e tornavano la sera, portando i viveri che riuscivano a trovare.

Non ricordo di preciso quando mio fratello Michele è tornato, ma ricordo che noi eravamo ancora all'Elice; quando è tornato aveva i vestiti tutti rotti e strappati, ha raccontato che glieli avevano dati delle persone lungo il tragitto di ritorno.

Il fratello Michele Cecere:
ha partecipato alla spedizione in Russia
ed è riuscito a sopravvivere alla tragica ritirata

Come trascorrevi le giornate?

Ricordo che stavo sempre con un bambino -un fratello di Carmela- che aveva più o meno la mia età; badavamo agli animali e quando sentivamo gli aerei sopra di noi scappavamo. 

Quando siamo tornati dall'Elice, prima di tornare a casa nostra siamo rimasti ancora un po' con questa famiglia. Alla fine della guerra [dopo che i tedeschi si erano ritirati], io e il mio amico scendevamo sempre in strada perché passavano i soldati e ci davano caramelle e biscotti. Li aspettavamo ogni giorno. 

Ricordo che una volta eravamo in prossimità della contrada Piro Verde; eravamo seduti su un muro, un soldato è sceso dal camion, si è lavato la faccia alla fontana e ha bevuto, poi mi ha guardato, mi ha abbracciata e mi ha detto che aveva a casa una figlia piccola come me.

Un po' più a valle c'erano anche degli accampamenti dei soldati, con tante tende. Le mie tre sorelle maggiori, Maria Giuseppa, Carmela e Annita, andavano a lavare i panni a questi soldati alla fontana della Pedina, in cambio di viveri. 

Il ricordo dell'accampamento militare è confermato da altri racconti. Ad esempio, l'avvocato Michele Gaudiosi ricorda quello tedesco nella zona di campagna Ortaglio, subito alla fine dell'abitato, e in contrada Pantanito: in effetti sono le zone che anche la zia Gerardina ricorda.  

Dopo un po' di tempo siamo tornati a casa nostra, in paese. La nostra vita è ripresa: io badavo a tua madre che era piccola, mamma e le sorelle più grandi lavoravano nei campi, i miei fratelli andavano anche a giornata nelle terre del marchese.

Una foto che non c'è più

Il terremoto del 1980 tra le altre cose s'è portato via una foto della famiglia Cecere fatta -come si usava al tempo- nel monumento ai caduti in guerra. Nella foto c'era ancora papà Peppino ma non ancora la figlia più piccola, Maria: possiamo dunque ipotizzare che sia stata scattata nel 1940. 

Era stata scattata perché la famiglia aveva il progetto di trasferirsi in Africa (verosimilmente in Libia): una scelta sicuramente suggerita dalla propaganda del regime fascista, che vedeva nella "quarta sponda" una possibile risposta all'atavica mancanza di terra dei contadini italiani, in questo caso meridionali. 

Nella foto, una ragazza con la "tovaglia" in testa (il fazzoletto tradizionalmente indossato dalle contadine); secondo Lucia -che ricorda bene la foto e da bambina ne ha sentito raccontare la storia- sotto quella tovaglia c'era un volto malinconico, perché la ragazza non voleva partire, visto che era fidanzata.

L'anno dopo papà Peppino sarebbe morto e tutti i progetti sarebbero cambiati.

La ragazza che non voleva partire sarebbe diventata mia nonna.

🙏Un ringraziamento speciale a Lucia Farella per la sua preziosissima collaborazione.

Approfondimenti
La testimonianza della signora Michela Feniello: Ricordo ancora il dolce di quelle caramelle
I ricordi dell'avvocato Michele Gaudiosi: GozlinusValva, 1943 

G.V.

08 giugno 2024

GUARESCHI CELEBRA LA FESTA DELLO STATUTO NEL LAGER

Due giorni prima dello sbarco in Normandia, domenica 4 giugno 1944, anche gli internati militari italiani celebrano la festa dello Statuto. 

Nel campo di Sandbostel c'è un internato militare d'eccezione, citato in questo breve ricordo scritto da Giovanni Milanese nel suo diario:

Il Ten. Guareschi ed il cap. Salvadori hanno commemorato con molta passione l'anniversario dello Statuto.

La bandiera sventola nel Lager, Fondo Vittorio Vialli; fonte

Non conosciamo il testo della commemorazione, ma conosciamo bene uno dei due autori: il tenente è Giovannino Guareschi, il noto scrittore che nel suo "Diario clandestino" dedicherà molte pagine alla vita in questo campo.

La festa dello Statuto si celebrava la prima domenica di giugno e non era stata abolita dal fascismo, che pure aveva "annichilito" lo Statuto, come scrive il Dizionario di Storia dell'Istituto Treccani:

Negli anni dell'edificazione del regime fascista, l'organizzazione dei poteri dello Stato e la fisionomia degli organi costituzionali stabilite dallo Statuto albertino subirono una trasformazione radicale di segno autoritario e antiparlamentare. [...] Questo svuotamento del significato normativo dello Statuto albertino palesa l'intrinseca fragilità di una costituzione sprovvista di garanzie: la mancata statuizione di un procedimento speciale di revisione costituzionale e di un organo di controllo giurisdizionale della costituzionalità delle leggi consentì al potere politico di legiferare in piena e assoluta discrezionalità.

Ci siamo occupati più volte di Giovanni Guareschi.

Di lui, ad esempio, abbiamo riportato queste significative parole, un vero e proprio manifesto all' "altra Resistenza" costituita dagli IMI:

Io non mi considero prigioniero, io mi considero combattente...sono un combattente senz'armi, e senz'armi combatto. La battaglia è dura perché il pensiero dei miei lontani e indifesi, la fame, il freddo, la tubercolosi, la sporcizia, le pulci, i pidocchi, i disagi che non sono meno micidiali delle palle di schioppo...Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano. 

G.V. 

06 giugno 2024

LE BARCHETTE DEGLI INTERNATI PER CELEBRARE LO SBARCO IN NORMANDIA

Si è diffusa nel campo la notizia del tanto aspettato sbarco alleato.
Fosse vero!... 

E' martedì 6 giugno 1944, campo di Sandbostel. 

A scrivere è Giovanni Milanese: è arrivato nel campo da poche settimane, proveniente da Siedlce, località della Polonia occupata dai tedeschi.

Dopo aver appreso dello sbarco alleato in Normandia, gli internati militari italiani a Sandbostel varano delle barchette nel cosiddetto "laghetto", una pozza di raccolta per l'acqua piovana.

Vittorio Vialli, Riflessi sull'acqua del "laghetto"; fonte

Vittorio Vialli, Il laghetto ghiacciato; fonte

Tra gli internati di Sandbostel ci sono anche radiotecnici, che sono riusciti a riparare e anche a realizzare radioricevitori di fortuna, per seguire le vicende della guerra. Possiamo immaginare che siano stati loro a diffondere la notizia dello sbarco in Normandia, evento decisivo per le sorti della Seconda guerra mondiale.
Vittorio Vialli, Ufficiali addetti alla "Caterina", la radio clandestina da campo

Segnaliamo l'interessante sito Radio Caterina, dedicato ai radioricevitori realizzati o nascosti nei campi di prigionia, che prende il nome della celebre radio nata proprio nel 1944 a Sandbostel.

Il sito riporta anche un articolo di Giovanni Guareschi che ricorda Radio Caterina, "occhio segreto nel Lager" (pubblicato su Oggi nel 1946).

Fonti
Le foto di Vittorio Vialli provengono dal Fondo Valli del sito del Museo della Resistenza di Bologna.

Su Radio Caterina, consultare il sito https://www.radio-caterina.org/

G.V.

03 maggio 2024

LE ROSE E LA MEMORIA- Omaggio floreale alla donna che ricorda il partigiano Michele Cecere

Fiori per ringraziare e per ricordare.

Un omaggio floreale in occasione della Festa della Liberazione, dal comune di Valva (SA) alla signora Caterina che vive a Pianfei (CN) e che ricorda il partigiano Michele Cecere.

Un fiore che non ha bisogno di presentazioni; foto di Valentino Cuozzo

Ecco il biglietto che accompagnava i fiori:

Signora Caterina,
abbracciando lei, vogliamo ringraziare tutte le persone di Pianfei che hanno accolto il nostro concittadino Michele Cecere e lo hanno sostenuto nella sua lotta per la libertà.

Il sindaco Giuseppe Vuocolo e i cittadini di Valva (SA)

All'omaggio ha fatto seguito una cordiale telefonata di ringraziamento del figlio della signora Caterina. 

Un incontro tra generazioni

L'anno scorso, sempre in occasione della festa del 25 Aprile, il sindaco di Valva aveva contattato quello di Pianfei, Marco Turco, per ringraziare la comunità piemontese che ha accolto il giovane valvese in fuga dalla Francia dopo l'8 settembre 1943.

Ospitato da una famiglia di Pianfei, infatti, nel luglio 1944 Michele Cecere aveva preso parte alla lotta partigiana fino alla fine della guerra.

Grazie alle ricerche del sindaco Turco, abbiamo scoperto che a Pianfei c'è una donna che ricorda bene quel giovane partigiano salernitano: la signora Caterina, appunto.

Così Luciana Cecere, nipote del partigiano Michele, ha potuto incontrare la signora Caterina.

Al loro incontro abbiamo dedicato il post La signora che ricorda il partigiano di Valva, dal quale riportiamo questo commento di Luciana:

Quando le ho chiesto se ricordasse mio nonno si è illuminataho avuto l'impressione di una donna emozionata di avermi incontrata, perché l'ho riportata indietro nel tempo, facendole riaffiorare i ricordi di una sincera amicizia e dell'adolescenza, sia pure vissuta durante il periodo di guerra.

L'abitazione in cui si è rifugiato Michele Cecere, che per mantenersi faceva il calzolaio, si trovava in questa via:

G.V.




27 aprile 2024

IN NOME DELL'AUTENTICO POPOLO D'ITALIA -Pagine della Resistenza in Fenoglio-

BEPPE FENOGLIO [1922-1963]

Nell'opera di Fenoglio la scelta di salire sulle "somme colline" è vista come un ritorno a una natura-madre, "al fango antico delle colline, impastato da secoli di sudore e ora di sangue", come scrive il filosofo e partigiano Pietro Chiodi.

E' celebre questa pagina del romanzo Il partigiano Johnny:

Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l'avrebbe aiutato nel suo immoto possibile [1], nel vortice del vento nero, sentendo com'è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì, si sentì investito -nor death itself would have been divestiture [2]- in nome dell'autentico popolo d'Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante era la coscienza dell'uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra.
[1] Il futuro partigiano ha l'impressione di vivere una vicenda senza tempo
[2] Nemmeno la morte avrebbe potuto privarlo dell'investitura. Fenoglio utilizza spesso parole ed espressioni tratte dall'inglese. 

"In nome dell'autentico popolo d'Italia": la Resistenza assume i contorni di un’avventura in cui l'azione dell'eroe è inserita in una lotta collettiva e corale; con il singolo eroe combatte simbolicamente l’intero popolo italiano. 

Gli eroi di Fenoglio sembrano incarnare valori fondamentali; sanno che il bene e la libertà saranno sempre minacciati, perché valori fragili; tuttavia, l'unico atteggiamento che ritengono possibile è quello di impegnarsi nella loro difesa. 

Beppe Fenoglio

Ecco altri significativi passi, sempre tratti dal romanzo Il partigiano Johnny.

L'acciaio delle armi gli ustionava le mani, il vento lo spingeva da dietro con una mano inintermittente, sprezzante e defenestrante, i piedi danzavano perigliosamente sul ghiaccio affilato. Ma egli amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della sua destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà.

*****

Osservando il cadavere di un partigiano giustiziato, Johnny pensa a due suoi compagni che immagina -erroneamente- caduti ("milioni di colline addietro"); poi pesa alla sua morte e alla necessità di continuare a combattere, fino alla fine:

E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull'ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l'importante: che ne restasse sempre uno.

Nel post La scelta di dir di no fino in fondo abbiamo riassunto l'episodio della conversazione tra Johnny e il fornaio.

Ecco la pagina in cui è presente l'episodio:

- Stanno facendovi cascare come passeri dal ramo. E tu, Johnny, sei l'ultimo passero su questi nostri rami, non è vero? Tu stesso ammetti d'aver avuto fortuna sino ad oggi ma la fortuna si consuma, e sarà certamente consumata avanti il 31 gennaio. Perché dunque stare ancora in giro, in divisa e con le armi, digiunando e battendo i denti? Sembrerebbe che tu lo voglia, che tu ti ci prepari a quel loro colpo di caccia.
- Giunse compostamente le sue potenti mani. - Da' retta a me, Johnny. La tua parte l'hai fatta e la tua coscienza è senz'altra a posto. Dunque smetti tutto e scendi in pianura. Non per consegnarti, Dio vieti, e  poi è troppo tardi. Ma scendi e un ragazzo come te avrà certamente parenti e amici che lo nascondano. Un nascondiglio dove stare fino a guerra finita, soltanto mangiare e dormire e godersi il calduccio e... -ridacchiò e abbassò la voce: - e ricevere la visita ogni tanto di qualche tua amica di fiducia, l'unica a conoscere il tuo indirizzo. [...]
-Che mi dici, Johnny? -Johnny alzò il catenaccio. -Mi sono impegnato a dir di no fino in fondo, e questa sarebbe una maniera di dir di sì. - No che non lo è!" -gridò il mugnaio. -Lo è, lo è una maniera di dir di sì.
    Dietro la porta la gelida notte attendeva come una belva all'agguato e la cagna gli sbatté grevemente fra le gambe. -Fa' almeno un boccone di cena con noi, -disse il mugnaio, ma Johnny era già affogato nella tenebra.
    Un vento polare dai rittani [3] di sinistra spazzava la sua strada, obbligandolo a resistere con ogni sua forza per non esser rovesciato nel fosso a destra. >Tutto, anche la morsa del freddo, la furia del vento e la voragine della notte, tutto concorse ad affondarlo in un sonoro orgoglio. - Io sono il passero che non cascherà mai. Io sono quell'unico passero! -ma tosto se ne pentì e soberized [4], come gli parve di vedere in un cerchio di luce diurna le grige, petree guance di Ivan e Luis disserrarsi appena percettibilmente in un mitemente critico, knowing [5] sorrisetto.
[3] I rittani sono valloncelli tipici delle Langhe
[4] "Tornò a pensieri più saggi"
[5] "Accorto"

 G.V.


Bibliografia

  • Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi
  • Battistini -Cremante- Fenocchio, Se tu segui tua stella, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori
  • Bologna -Rocchi- Rossi, Letteratura visione del mondo, Loescher Editore

25 aprile 2024

LA SCELTA DI DIR DI NO FINO IN FONDO

Il partigiano Johnny -protagonista del celebre romanzo di Beppe Fenoglio- è riuscito a scampare ancora una volta all'appuntamento con la morte ma ancora una volta ha visto cadere due compagni.

Il mugnaio che ha condotto in città i cadaveri, e che sicuramente sarà tra i più attivi nel dar loro una dignitosa sepoltura, offre un ricovero al giovane partigiano e gli fa un"discorsetto", di realismo e "buon senso".

Lo invita a non sfidare oltre la sorte ("la fortuna si consuma") e a tornare in pianura. Non ha senso crepare attendendo una vittoria che verrà lo stesso, "senza e all'infuori di voi" grazie agli Alleati che risalgono la penisola.

Nella risposta di Johnny, leggiamo il senso di una scelta netta, coerente e fondante, alla quale ha deciso di rimanere fedele ogni giorno.

Mi sono impegnato a dir di no fino in fondo, e questa sarebbe una maniera di dir di sì.

L'alternativa è la morte, ma Johnny ricorda bene le parole del suo amato professore: "partigiano, come poeta, è parola assoluta, rigettante ogni gradualità".

Stefano Dionisi in una scena del film di Guido Chiesa

La scelta di aderire alla Resistenza è ribadita ogni giorno, come i resistenti francesi di cui parla Sartre, coloro che "ad ogni ora del giorno e della notte, per quattro anni, hanno detto di no".

G.V.

18 aprile 2024

IL PRIGIONIERO INNAMORATO DELLA JUVE

Quando ha compiuto i cento anni ha ricevuto gli auguri anche dal sito ufficiale della Juventus, al quale ha rivelato di essere diventato tifoso bianconero negli anni della sua prigionia in Sudafrica, durante la Seconda guerra mondiale.

"Il segreto della mia longevità? Il tifo per la Juventus", spiegava Pierino Vacca, classe 1914.

fonte Repubblica Torino,
(foto pubblicata dal sito www.juventus.com)

Proprio alla sua passione calcistica è legata una bella esperienza televisiva: ospite della trasmissione "C'è posta per te", ha avuto la sorpresa di conoscere Gigi Buffon, da poco arrivato alla Juve.

fonte Repubblica Torino,
(foto pubblicata dal sito www.juventus.com)
La guerra di Pierino
Alla visita militare, Pierino Vacca dichiara di essere calzolaio e di sapere andare in bicicletta. 
Chiamato alle armi nel 1940, sbarca in Libia il 5 giugno.

Viene assegnato alla 15.ma sezione di Sanità mobilitata, con il compito di "portaferiti".
fonte Repubblica Torino,
(foto pubblicata dal sito www.juventus.com)

Il 23 gennaio 1941 risulta prigioniero di guerra in seguito agli avvenimenti di guerra in A.S. (Africa Settentrionale).
In un nostro precedente post dedicato alla sua vicenda, abbiamo ricostruito il contesto bellico della Libia👉Pierino, il calzolaio prigioniero in Sudafrica.
A dicembre gli inglesi, dopo aver ottenuto rinforzi e truppe fresche, iniziano a infliggere gravi perdite agli italiani.  A gennaio cade la piazzaforte di Bardia, non lontana da Tobruch: molti soldati italiani sono fatti prigionieri. 
Ipotizziamo che Pierino Vacca sia stato uno degli oltre ventimila soldati italiani fatti prigionieri a Tobruch
Di certo, il suo destino nei giorni e negli anni successivi è simile a quello di tanti soldati italiani: una lunga marcia a piedi lungo la via Balbia, fino al porto di Sollum; poi, l'imbarco sulle navi per Alessandria d'Egitto e i campi di smistamento sul Canale di Suez.

Prigionieri trattati come uomini
Da lì, la maggior parte dei prigionieri italiani viene inviata nel campo di Zonderwater, in Sud Africa.
"Erano uomini e uomini italiani e condividevano fatica, coraggio e soprattutto la dignità del momento", dice il celebre storyteller sportivo Federico Buffa in questo breve video in cui presenta il suo racconto tratto dal libro "I diavoli di Zonderwater. 1941-1947" di Carlo Arnese: la storia dei prigionieri italiani in Sudafrica, "che sopravvissero alla guerra grazie allo sport".
Ecco un breve estratto della presentazione del libro, sul sito della casa editrice Sperling & Kupfer:

Li aveva accolti un altipiano brullo disseminato di tende: alla loro partenza, sei anni più tardi, lascarono una vera città. Fu un capo illuminato, il colonnello Hendrik Fredrik Prinsloo, a capire che a quei giovani uomini doveva prima di tutto restituire una vita normale. Così scelse lo sport come alleato: promosse gare di scherma, atletica, ginnastica, oltre a un campionato di calcio vissuto con tale passione da trasformare in divi i più bravi fra i prigionieri".

Almeno uno di quei prigionieri, Pierino Vacca, decise che avrebbe tifato per una squadra di calcio con la maglietta bianconera. Non avrebbe mai cambiato idea.

🙏Un sentito ringraziamento alla figlia Giuseppina Vacca per la gentile collaborazione e per le foto inedite.

Per approfondire
Repubblica Torino, Ha centouno anni il più anziano tifoso della Juve

G.V.