13 settembre 2023

QUANDO I RACCONTI DI ZIO SABINO ENTRAVANO IN CLASSE

Le vicende di Sabino Spiotta mi accompagnano dai banchi delle elementari, quando un suo omonimo nipote era decisamente il più preparato di tutti noi sulla Seconda guerra mondiale e lo citava -a ragione- come una fonte autorevole. 

All'epoca non davo ai racconti degli anziani il peso che darei loro oggi, se fossero ancora qui.

Oggi farei più attenzione, ne sono certo; prenderei appunti, farei domande anche su come corteggiavano le ragazze o sull'origine del loro soprannome (zio Sabino era orgoglioso del suo, mi dice un nipote); farei domande non solo sugli avvenimenti della loro vita ma su come li hanno vissuti.

Ad esempio, se ora ne avessi la possibilità chiederei a zio Sabino di dirmi cosa ha provato il 12 settembre 1943, quando è stato catturato a Giannina, in Grecia, per essere internato il 4 ottobre nel campo di concentramento di Hannover, l'XI B nella fredda nomenclatura tedesca.

Gli chiederei con quale stato d'animo lavorava nella miniera Emilia Schach, a estrarre ferro fino al giorno della liberazione, avvenuta ad opera degli Americani il 10 aprile 1945.

In un documento degli Archivi Arolsen il suo nome,  scritto male, risulta in un elenco di internati che lavorano in un'azienda in Bassa Sassonia, insieme a  prigionieri polacchi, ucraini, olandesi.

La guerra

Alla guerra, Sabino Spiotta aveva preso parte subito, fin dall'11 giugno 1940, quando risulta in territorio dichiarato stato di guerra.  

E' nel 41.mo Reggimento Fanteria, con sede a Imperia; è impegnato nelle operazioni di guerra alla frontiera alpina occidentale con la Francia fino al 25 giugno.

Successivamente si imbarca a Bari per l'Albania, sbarcando a Valona. Dal 19 novembre 1940 al 23 aprile 1941 è impegnato nelle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera greco-albanese.

Nel 1941 il 41.mo Reggimento combatte in Albania e Grecia; ad esempio, sul Golico (Albania), in Valle Desnizza (da dove inizia l'offensiva italiana contro la Grecia) e nella Val Vojussa, fiume reso celebre dalla canzone Sul ponte di Perati, che lo cita in questi versi:  

Sui monti della Grecia 
c'è la Vojussa,  
del sangue della Julia
s'è fatta rossa.

Nel 1942 il 41.mo Reggimento rimane in Albania e Grecia con compiti di presidio. In seguito  all'8 settembre 1943 viene sciolto in Epiro. fonte 

Dal 18 novembre 1942 all'8 settembre 1943, Sabino Spiotta è impegnato nelle operazioni di guerra in Balcania, nei territori greco-albanesi.

Dopo la notizia della cattura, il suo foglio matricolare reca  tre informazioni molto interessanti, che spesso mancano negli altri. 

Innanzitutto, troviamo il nome del campo di concentramento.

Inoltre, troviamo una testimonianza della cosiddetta "civilizzazione degli IMI": alla data del 15 settembre 1944 leggiamo che diventa un "privato al servizio al lavoro". Dal punto di vista giuridico, gli IMI sono trasformati in lavoratori civili, ma per loro il cambiamento di status non ebbe effetti concreti.

Il cambiamento venne annunciato alla fine di luglio e il 3 agosto l’OKW [Comando supremo della Wehrmacht] diramò ai propri comandi l’ordine del mutamento di status: gli internati avrebbero dovuto firmare un foglio e dichiarare di essere disposti a lavorare come civili nel Reich fino alla fine delle ostilità. Contrariamente alle attese tedesche gran parte dei soldati e sottoufficiali rifiutarono di sottoscrivere un impegno formale. I motivi erano molteplici: gli Imi temevano di poter essere accusati al ritorno di collaborazionismo, o di perdere in Italia i propri diritti economici; un ruolo importante giocava anche la paura per i propri congiunti, specie se residenti nell’Italia meridionale. Inoltre il trattamento che il Reich aveva loro riservato spingeva gli internati a diffidare delle proposte tedesche e repubblicane. Le difficoltà incontrate nell’attuazione del provvedimento furono tali che il 4 settembre ’44 l’OKW rese operativa d’ufficio la civilizzazione degli Imi abolendo la clausola della firma. 
 Sabrina Frontera, I militari italiani negli Oflag e negli Stalag del Terzo Reich 

Infine, il foglio matricolare riporta l'interrogatorio dell'ex prigioniero: rientrato in patria il 4 agosto, cinque giorno dopo viene interrogato presso il distretto militare di Salerno e viene mandato in licenza straordinaria.

A Sabino Spiotta è stata concessa la Croce al Merito di Guerra: prima e seconda concessione per la partecipazione alle operazioni durante il periodo bellico 1940-1943, terza concessione per internamento in Germania.

Un doveroso ringraziamento al nipote Gerardo Spiotta per la preziosissima collaborazione.

G.V.

BUON COMPLEANNO, PINUCCIO


Coccinella bagnata, simbolo portafortuna. Foto di Valentino Cuozzo


                Buon compleanno, Pinuccio!

La redazione del blog la ràdica  formula i migliori auguri a un collaboratore preziosissimo di questo progetto.
Purtroppo non ci è possibile pubblicare il suo atto di nascita, perché non volevamo rivolgerci alla concorrenza... 😁
Come direbbero i nostri anziani, n'ati cient.

12 settembre 2023

SCRIVERE PER SENTIRSI ANCORA UOMO

Appuntamento con la memoria e sguardo verso il futuro al castello di Valva.


Castello di Villa d'Ayala-Valva, a Valva (foto di Valentino Cuozzo)

Nella suggestiva cornice di Villa d’Ayala-Valva si è tenuta la serata dal titolo La memoria e il futuro, che ha visto consegnare ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio comunali il libro Frammenti di storia (ed. Palladio), diario scritto dal valvese Giovanni Milanese durante la sua prigionia nei Lager nazisti dal 1943 al 1945.

Insieme al sindaco Giuseppe Vuocolo, a consegnare il libro è stato Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell'autore.

La serata è stata animata dai giovani, che hanno letto brani significativi del diario anche con un accompagnamento musicale.

L’onorevole Guido Milanese ha presentato il diario del padre e ne ha illustrato la figura, anche con aneddoti familiari.

Sono intervenuti anche: Enzo Todaro, presidente dell’Associazione Giornalisti Salernitani, che si è concentrato su alcuni aspetti della scrittura di Milanese; Pino Acocella, rettore dell’Università Giustino Fortunato, che ha inquadrato la vicenda di Milanese nel contesto drammatico del periodo dopo l’8 settembre, con la cosiddetta “morte della patria”; Antonio Landi,  presidente nazionale dell'Associazione combattenti e reduci e la presidente della sezione di Valva, Fiorenza Volturo, figlia di un soldato internato a Dachau.

Il pubblico in sala; per la foto, si ringrazia Luca Forlenza

Foto tratta dalla pagina Facebook del Comune di Valva

Il titolo della serata voleva sottolineare che la memoria è affidata ai giovani cittadini, che anche grazie ai sacrifici delle generazioni precedenti hanno ricevuto in eredità una società di diritti e democrazia: un tesoro prezioso da custodire e accrescere, ha scritto il sindaco nella lettera di invito.

Alla cerimonia erano presenti anche il Prefetto di Salerno e il Comandante provinciale dei Carabinieri.

Ecco un estratto dell'intervista realizzata dal giovane Filippo Vuocolo al nostro blog:

Prima dell’incontro, il sindaco e le autorità e gli ospiti presenti hanno deposto una corona di fiori al Monumento ai Caduti, per ricordare in particolare il sacrificio della Divisione Acqui, nell’ottantesimo anniversario dell’eccidio di Cefalonia e Corfù, dove due valvesi sono stati dichiarati dispersi in combattimento e un terzo è stato fatto prigioniero dai tedeschi.

G.V.

Approfondimento

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:


Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

09 settembre 2023

I VALVESI DELLA DIVISIONE ACQUI

 In memoria di

ALFONSO FENIELLO e GIUSEPPE MACCHIA

Divisione Acqui- Cefalonia e Corfù

Dispersi il 9 settembre 1943


Hanno l'impercettibile sussurro, 
Non fanno più rumore
Del crescere dell'erba,
Lieta dove non passa l'uomo.

Giuseppe Ungaretti, Non gridate più



Oggi sono a Verona perché dovevo essere qui, davanti al Monumento Nazionale alla Divisione Acqui, i martiri di Cefalonia e Corfù. Le prime vittime della resistenza ai nazisti, che rifiutarono di consegnare le armi per non tradire il giuramento fatto al Re, anche se il Vittorio Emanuele III era in fuga e dal governo arrivavano comandi incerti e a volte contraddittori.

I valvesi nella Divisione Acqui
In particolare, sono qui perché due miei concittadini - soldati appartenenti al Battaglione mitraglieri di corpo d’armata della Divisone Acqui- risultano dispersi in combattimento il 9 settembre 1943.

Alfonso Feniello, dall'Africa Orientale a Cefalonia
Nasce a Valva il 2 agosto 1911, da Nicola a Maria Alfano. Da civile esercita il mestiere di mulattiere.
In occasione della guerra di Etiopia, il 5 novembre si arruola nella 140.ma legione in A.O.I. e viene assegnato al 4.o Battaglione Camicie Nere d'Africa con la ferma biennale.
Il 28 gennaio 1937 si imbarca a Napoli col piroscafo "Colombo" e il 5 febbraio sbarca a Massaua.
Il 18 agosto 2939 si imbarca a Mogadiscio per l'Italia, ma in seguito alla sospensione del rimpatrio sbarca a Massaua il 28 agosto e viene aggregato al 170.mo Reggimento Camicie Nere Asmara.
Finalmente il rimpatrio arriva e Alfonso può imbarcarsi a Massaua alla volta dell'Italia: sbarca a Napoli il 31 agosto 1939.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Alfonso è richiamato alle armi il 6 dicembre 1940, nel 110 Reggimento Mitraglieri autocarrati: è la Divisione Acqui.
Sbarca a Valona il 5 gennaio 1941 come aggregato alla Divisione Acqui  ed è a Cefalonia nel febbraio 1941.
Poi non abbiamo altre notizie di lui.
È ritenuto disperso a Cefalonia il 9 settembre 1943 per eventi bellici, come da atto notorio rilasciato dal Comune di Valva il 5 febbraio 1947. Verrà dichiarato “morto presunto a Cefalonia” da una sentenza del tribunale di Salerno nel 1956.  

Giuseppe Macchia 
Giuseppe Macchia nasce a Valva il 27 ottobre 1911, figlio di Giacomo e di Francesca Torsiello.

Dopo il servizio militare, viene richiamato alle armi il 12 febbraio 1935 e giunge al 39.mo Reggimento Fanteria 2.a Compagnia Richiamati. 
Parte per l'Eritrea col 3.o Battaglione speciale del 39.mo Fanteria mobilitato in A.O.I. Imbarcatosi a Napoli, sbarca a Massaua il 21 agosto 1935. E' inserito nel 4.o gruppo salmerie e carreggio d'intendenza, poi nel 17.mo Battaglione speciale intendenza A.O.
Nell'aprile 1937 si conclude la sua prima esperienza di guerra: infatti rientra è collocato in congedo illimitato e riceve il premio di smobilitazione.
Nel dicembre 1940 viene richiamato alle armi e giunge nel Deposito del 15.mo Reggimento Fanteria per passare nel 110 Battaglione mitraglieri: è la Divisione Acqui
Si imbarca a Bari e giunge a Valona l'11 dicembre.
Partecipa alle operazioni di guerra svoltesi alla frontiera greco albanese  fino al 23 aprile 1941 (data in cui la Grecia firma la resa). 
Il 23 settembre 1942 è inviato in licenza straordinaria di 15 giorni per gravi motivi di famiglia.
Al rientro, partecipa alle operazioni di guerra in Balcania, nei territori greco e albanese dal 18 novembre 1942 all'8 settembre 1943.
Poi, un'annotazione aggiunta anni dopo ci informa che Giuseppe Macchia è stato ritenuto disperso in Corfù per eventi bellici il 9 settembre 1943, come da atto notorio rilasciato dal comune di Valva l'11 luglio 1947.

Un post di Gozlinus del giugno 2019 parla della loro vicenda e mostra anche le loro (rare) foto.
Della divisione Acqui fa parte anche Pasquale Cappetta, chiamato alle armi a maggio e fatto prigioniero a settembre. Sarà il prigioniero matricola 117709, nel campo di Luckenwalde, Stalag del settore III A.  
Pasquale Cappetta in una foto risalente al periodo
in cui era emigrante in Germania; fonte: Gozlinus
Come abbiamo riportato in altri nostri post, di lui gli Archivi Arolsen conservano due documenti.
Ecco un foglio di registro, con numero di matricola, codice del campo di prigionia, data di nascita a professione (o impiego nel campo):
Pasquale Cappetta è definito "bauer", "contadino"; fonte
Questo documento sembra essere un appello mensile (nel febbraio 1944):
Il nome che nell'elenco viene dopo Cappetta Pasquale sembra di un valvese,
ma la data di nascita non corrisponde; fonte


Approfondimento
Sulla Divisione Acqui si vedano i post:

🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sula Divisione Acqui:

LA MEMORIA E IL FUTURO

La memoria e il futuro è il titolo della serata in programma a Valva domenica 10 settembre alle ore 18 al piano nobile del castello di Villa d'Ayala-Valva.

Villa d'Ayala -Valva, Ingresso al giardino del castello;
foto di Valentino Cuozzo

Ai diciottenni e ai vincitori delle borse di studio comunali sarà donato il libro Frammenti di storia- Diario di guerra e di prigionia 1943-1945 (ed. Principato), diario scritto dal valvese Giovanni Milanese durante la sua prigionia nei Lager nazisti dal 1943 al 1945.

Il libro sarà consegnato dal sindaco Giuseppe Vuocolo e da Guido Milanese, cittadino onorario di Valva e figlio dell'autore.

Castello di Villa d'Ayala-Valva, Salone al piano nobile
foto di Valentino Cuozzo

Alcuni giovani leggeranno brani significativi del diario e ricostruiranno il dramma degli internati militari italiani, inquadrandolo nel contesto storico della Seconda guerra mondiale; racconteranno anche le vicende degli internati valvesi.

Castello di Villa d'Ayala-Valva, Sala delle armi
foto di Valentino Cuozzo

Sarà presente l'Associazione combattenti e reduci, con il presidente nazionale Antonio Landi e con la presidente della sezione valvese, Fiorenza Volturo, figlia di un internato militare.

Interverranno anche  Enzo Todaro, presidente dell'Associazione Giornalisti Salernitani e Pino Acocella, rettore dell’Università Giustino Fortunato. 

La locandina dell'evento

Il futuro visto da Giovanni Milanese

Ci siamo occupati più volti del diario di Giovanni Milanese.

Ora scegliamo alcuni brani sul tema del futuro, che egli vede in maniera abbastanza negativa, come notiamo da alcune sue riflessioni nei giorni dopo la liberazione (aprile 1945).

Assiste a comportamenti che condanna con decisione: alcuni ex prigionieri mangiano in maniera vorace quello che trovano nelle villette requisite, altri si danno a veri e propri atti di razzia.

Il 29 aprile 1945 scrive:

Ci vorranno molti anni per rifare l'esercito italiano, in particolare la classe degli ufficiali.
Ci sono fra noi dei colleghi che forse starebbero bene in una stalla. 

Il primo maggio nota che dalle case requisite i soldati italiani portano via  carrettini, carrozzelle per bambini e bagagli di ogni genere. Commenta con amarezza:

Forse sarà anche naturale in un paese d'occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna.
Bisogna rifare l'Italia, ma prima c'è da forgiare l'italiano nuovo.

Qualche giorno più tardi, scrive parole molto dure:

Penso con terrore all'Italia di domani.
Penso quello che sarà quando rientrerà la massa dei nostri soldati abituati ora a predare, a mangiare a crepapelle senza lavorare.
Quando invece saranno costretti a lavorare e sodo per mangiare un tozzo di pane, cosa succederà? 

 Dire NO, nonostante tutto

Il 14 luglio, riportando le parole del colonnello Bruni (appena rientrato dall'Italia), Milanese scrive:
Ha aggiunto che è molto più facile fare gli eroi sul campo di battaglia, nella mischia, che languire e combattere disperatamente e costantemente con la fame e con la morte in un lager, quando si risponde nella maniera più decisa no mentre tutto un complesso di sofferenze fisiche e morali ti impongono di dire .

E' una riflessione molto significativa, perché in essa troviamo quasi la chiave per interpretare il senso della lunga prigionia dell'internato militare Giovanni Milanese e degli oltre seicentomila soldati italiani che, come lui, hanno continuato a pronunciare il loro no nonostante tutto.

Nei mesi precedenti si era rifiutato di andare a lavorare: il suo modo di opporsi ai tedeschi.

Ad esempio, scriveva:

27-11-44
E' uno dei più brutti giorni di questa mia prigionia.
Mi hanno chiamato per mandarmi a lavoro, ma non mi sono presentato. Stiamo a vedere cosa succede.
1-1-45
Tutti mi consigliano di uscire al lavoro se voglio salvare la salute.  
Malgrado tutto voglio resistere ancora.
Voglio difendere fino all'ultimo il mio punto di vista.
Resistere, dicendo no quando sarebbe più comodo dire sì.
Resistere, incrociando le braccia quando sarebbe più comodo lavorare (visto che chi lavora viene nutrito di più).
Resistere, confidando a un diario i propri sogni e i propri timori.
Resistere, per sentirsi ancora uomo.

Castello di Villa d'Ayala-Valva
foto di Valentino Cuozzo


Approfondimento

Al diario di Giovanni Milanese il blog "la ràdica" ha dedicato i seguenti post:


G.V.

08 settembre 2023

8 SETTEMBRE 1943: L'ORA GRAVE DELLA NOSTRA STORIA

 Alle conseguenze dell'8 settembre 1943 il blog "la ràdica" ha dedicato un podcast dal titolo Il giorno dopo.

In particolare, l'episodio 🎧L'ora grave della nostra storia si occupa delle trattative tra Italia e Alleati in vista dell'armistizio dell'8 settembre e delle prime conseguenze dello stesso.

Questo post è una rielaborazione dell'episodio del podcast; il suo punto di riferimento è il testo della storica Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando- L'armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino, dal quale sono tratte anche le citazioni.

Verso la firma dell'armistizio

Giuseppe Castellano, generale di brigata, uomo di fiducia di Vittorio Ambrosio (capo di stato maggiore generale), è scelto per rappresentare l’Italia nelle trattative con gli Alleati.

Il 1 settembre, il capo del governo Pietro Badoglio accetta le condizioni poste dagli Alleati. Da questa data il governo italiano sa che “la scelta del giorno della dichiarazione del concluso armistizio è a discrezione degli Alleati”. 

Il pomeriggio del 3 settembre, il documento di armistizio viene firmato da Castellano e Bedell Smith, a nome di Badoglio e del generale Eisenhower.

Elena Aga Rossi scrive:

Firmando l’armistizio entrambe le parti si fondavano su errate valutazioni e giudizi sulla situazione italiana. (…) lo sbaglio principale di valutazione riguarda le previste reazioni tedesche. Sia i governi alleati sia quello italiano erano a conoscenza del piano tedesco di ritirarsi almeno agli Appennini in caso di uno sbarco in forze.

Durante le trattative, gli italiani non nascondono la debolezza dell’esercito italiano e la necessità dell’appoggio degli Alleati per combattere contro i tedeschi. Gli Alleati ritengono che le forze italiane intorno a Roma siano sufficienti per difenderla.

Il 3 settembre Badoglio convoca una riunione con i ministri militari e afferma: "Gli angloamericani effettueranno piccoli sbarchi in Calabria, poi un grosso sbarco vicino a Napoli, poi una divisione paracadutisti vicino a Roma".

Queste parole, riportate dal ministro della Marina, dimostrano che Badoglio sa che lo sbarco alleato avverrà a Sud di Roma.

Il punto è di importanza cruciale, perché il governo ha deciso di firmare l’armistizio sapendo che Roma può essere protetta solo dalle forze italiane e dai paracadutisti alleati; il Comando italiano dovrebbe dare le istruzioni necessarie.

Il generale Ambrosio si dichiara convinto che l’armistizio non sarà reso noto prima del 12 settembre.

Dai documenti, emerge che il 6 settembre il Comando italiano decide di non combattere i tedeschi a Roma senza l’aiuto alleato e di non collaborare nell’operazione dello sbarco dei paracadutisti alla periferia di Roma.

La versione ufficiale fatta circolare in seguito, però, sosterrà che il Comando italiano si aspettava uno sbarco vicino a Roma ed è stato dunque colto di sorpresa l’8 settembre. 

La notte tra il  7 e l’8 settembre, gli alleati scoprono che l’Italia è impreparata: due ufficiali fanno infatti un’ispezione per verificare che gli aeroporti da utilizzare per i paracadutisti siano in mano italiana. Sbigottiti dall’impreparazione italiana, pretendono di parlare con Badoglio, che li riceve in pigiama e rinnega tutti gli impegni presi a suo nome da Castellano; chiede di rinviare l’operazione e l’annuncio dell’armistizio.

Poche ore prima dell’inizio previsto per l’operazione, l’invio della divisione aviotrasportata viene annullato.

La mattina dell’8 settembre, governo e comandi militari sanno che l’armistizio sarà annunciato in giornata.

Gli alleati bombardano Frascati, dove sorge il Quartier generale del maresciallo Kesserling: è una sorta di segnale stabilito che indica l’imminenza dell’ora X.

L'annuncio dell'armistizio

Verso le cinque del pomeriggio, arriva la severa risposta di Eisenhower alle richieste di Badoglio:

Ho intenzione di diffondere l’esistenza dell’armistizio all’ora programmata originariamente [cioè le 18.30 ora italiana]. Se voi o qualunque parte delle vostre forze armate mancherete di cooperare come precedentemente concordato, renderò di pubblico dominio in tutto il mondo una documentazione completa relativa a questo affare. Oggi è il giorno X, e mi aspetto che facciate la vostra parte. (…) Voi avete vicino a Roma truppe sufficienti a garantire la temporanea sicurezza della città, ma richiedo informazioni complete in base alle quali programmare le operazioni aerotrasportate. La mancanza da parte vostra nell’adempiere pienamente agli obblighi verso l’accordo firmato avrà le più serie conseguenze per il vostro paese.

Prima con una dichiarazione all'agenzia di stampa Reuter, poi con un radiomessaggio trasmesso da radio Algeri alle 18.30 ora italiana, il generale Eisenhower annuncia che l'Italia ha firmato un armistizio con le forze alleate. 

Ecco il radiomessaggio:

 

fonte audio: https://www.eisenhowerlibrary.gov/eisenhowers/speeches

Questi alcuni punti del messaggio:

Il governo italiano si è obbligato a rispettare questi termini, senza riserve. L’armistizio è stato firmato dal mio rappresentante e dal rappresentante del maresciallo Badoglio ed entra in vigore in questo istante. Le ostilità tra le forze armate alleate e quelle italiane terminano. Tutti gli italiani che ora agiscono per respingere l’aggressore tedesco dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’appoggio delle Nazioni Unite [gli Alleati].

La sera del’8 settembre 1943, alle 19.42,  il capo del governo, il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, rivolge questo drammatico proclama agli italiani:

La riscoperta dolente della patria

Secondo alcuni storici, l’8 settembre si consuma la morte della patria, altri invece parlano di riscoperta sia pure dolente del senso della patria che riemerge dall’umiliazione subita.
Ecco una significativa pagina di Natalia Ginzburg:

"Le strade e le piazze delle città, teatro un tempo della nostra noia di adolescenti e oggetto del nostro altezzoso disprezzo, diventarono i luoghi che era necessario difendere. Le parole «patria» e «Italia», che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché sempre accompagnate dall'aggettivo «fascista», perché gonfie di vuoto, ci apparvero d'un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D'un tratto alle nostre orecchie risultarono vere. Eravamo là per difendere la patria e la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava." 

Quali sono gli ordini?

Segnaliamo questa scena di un celebre film dedicato all'8 settembre 1943:
Tutti a casa, di Luigi Comencini, 1960

01 settembre 2023

FRANCESCO E CARMINE, MORTI IN FRANCIA CON LA DIVISA AMERICANA

Avrò letto questi nomi decine di volte.

Eppure, non avevo mai notato che la precisione con cui sono stati scritti si interrompe alla fine dell'elenco dei soldati caduti in combattimento: due nomi non rispettano l'ordine alfabetico.

Ora so che non è una svista ma una scelta.

Quando nel 1924 i valvesi hanno eretto il monumento ai caduti in guerra, grazie al contributo del Circolo valvese "Santa Maria Assunta" di Newark, hanno scelto di includere nell'elenco dei caduti anche due concittadini che erano morti con un'altra divisa: quella americana.

Abbiamo già affrontato il tema della scelta fatta da alcuni valvesi di combattere con l'esercito del Paese in cui sono emigrati, si veda il post La divisa nella quale combattere.

È per loro un'opportunità: dopo la dura china della guerra intravedono la cittadinanza, l'integrazione, una nuova vita. 

Partono per l'Europa, in genere nella primavera del 1918 e vi restano fino alla primavera inoltrata del 1919: così leggiamo dagli elenchi dei soldati sulle navi nella tratta da New York alla Bretagna.

Abbiamo raccontato le storie di Amedeo Catino (con un fratello caduto nell'esercito italiano), di Frank Grasso (poi celebre direttore d'orchestra in Florida), di Tony Marcello e stiamo cercando informazioni su Pietro Falcone.

In questo post ci occupiamo dei due soldati caduti in terra francese, uno dei quali riposa ancora lì in un cimitero americano.

Ecco una foto di Francesco Torsiello, nato a Valva l'11 giugno 1890.

È uno zio di zia Carmela, intervistata nel post Quando la montagna era rifugio; la signora ci ha parlato di lui e ce ne ha mostrato il ritratto, al quale è molto affezionata.

Nell'atto di nascita di Francesco Torsiello leggiamo che è nato in via Piazza dell'olmo 15 l'11 giugno 1890, figlio di Carmine (contadino di 44 anni) e di Angela Cuozzo. L'atto è sottoscritto solo dall'ufficiale di stato civile e sindaco Paolo d'Urso, poiché il padre del bambino e i due testimoni (il sarto Antonio Fasano e il contadino Francesco Spiotta) si sono dichiarati analfabeti.

Non è semplice seguire le orme di Francesco negli Stati Uniti, possiamo fare solo delle ipotesi.

Dovrebbe essere lui il soldato caduto il 13 ottobre 1918 e sepolto in Francia con il nome Frank Torssiello (sic!):

Sezione D, fila 6, tomba 6; per una visita virtuale al cimitero, si veda il sito

Il soldato risulta "killed in action" (morto in combattimento) a Romagne-sous-Montfaucon e sepolto nel cimitero Meuse-Argonne American Cemetery.
Frank apparteneva al 305th Infantry Regiment, 77h Division.
Il reggimento viene organizzato a Camp Upton, New York, nell'agosto 1917; partecipa alle campagne Oise-Aisne, Mosa-Argonne, Champagne e Lorena. Viene smobilitato nel maggio 1919.

Frank parte il 16 aprile 1918 sulla nave Vauban; risulta residente a New York e dichiara di avere uno zio di nome Michele.

In un altro documento leggiamo che si è arruolato il 27 febbraio 1918, all'età di 27 anni e 9 mesi (corrisponde); come luogo di nascita è indicato Maples, Italy (avranno approssimato un bel po'). Ha prestato servizio all'estero dal 16 aprile 1918 (appunto la data dell'imbarco) al 13 ottobre (quella in cui viene ucciso):

La sua morte viene notificata allo zio, il cui nome nel documento è scritto Mike Torssido (sic!), al numero 59 di Greene Street, Jersey City.

All'Archivio di Stato di Salerno Francesco Torsiello risulta essere stato disertore perché era all'estero; un'annotazione del 1924 cita l'atto di notorietà del Comune di Valva che dichiara che il soldato è morto in Francia, militante nell'esercito americano.

Valva, Monumento ai caduti

Sempre in Francia,  nel Dipartimento della Marna (regione Champagne-Ardenne), muore l'altro valvese Carmine Figliulo; la data che troviamo nei documenti è il 20 febbraio 1919

Visto che la guerra era finita nel novembre precedente, possiamo dedurne che il soldato sia deceduto in seguito a ferite riportate in combattimento (o a una malattia contratta in guerra).

A Carmine dedicheremo un post più approfondito, perché stiamo verificando un'ipotesi suggestiva: è possibile che egli abbia prima combattuto la guerra italo-turca con l'esercito italiano e poi sia  emigrato negli Stati Uniti, combattendo la Grande guerra con quello americano e trovandovi la morte.


Si ringrazia la dott.ssa De Donato dell'Archivio di Stato di Salerno

P.s. Documents are taken by www.ancestry.com

G.V.

29 agosto 2023

GIUSEPPE, DALLA RUSSIA AL LAGER

La storia di Giuseppe Falcone sembra scritta da uno sceneggiatore che sottoponga il suo personaggio a una sequela di peripezie fino al limite dell'inverosimile.
Giuseppe fa parte del Corpo di spedizione italiano in Russia, riesce a rientrare in Italia dopo la drammatica ritirata; dopo il ricovero in provincia di Udine, nel settembre 1943 si trova a Milano, dove viene catturato dai tedeschi: diventa un internato militare italiano. Torna a casa, ma muore nel 1952, a trentasette anni.
Questa però non è la trama di un film: è la vita drammatica di un uomo.

Da San Biagio a San Vito
Giuseppe nasce a Valva il 7 novembre 1915, da Francesco e Filomena Del Plato, nella loro casa in via San Biagio. A sottoscrivere l'atto di nascita sono Serafino Falcone (sarto) e Antonio Freda (calzolaio); anche papà Francesco appone la sua firma: fatto ancora abbastanza raro.
Giuseppe perde la madre da piccolo; suo padre si risposa.
Il 10 ottobre 1940 Giuseppe sposa Domenica Vuocolo, nella chiesa parrocchiale di Colliano.
Nel foglio matricolare, all'atto dell'arruolamento -quando il giovane non è ancora sposato- l'indirizzo risulta via San Vito. Dopo il matrimonio, Giuseppe e Domenica vanno a vivere nella casa di via San Biagio dove egli era nato.

In Russia
Dopo il servizio militare negli anni 1937-38, nel maggio 1940 Giuseppe risulta richiamato alle armi nel 15.mo Reggimento Fanteria in Salerno. 
Nel novembre lo troviamo assegnato al 77 Battaglione costiero.
Nel 1942, dopo alcuni problemi di salute (risultano un ricovero in un ospedale militare e una licenza di un mese per la convalescenza), nel mese di novembre è inviato in Russia con la Divisione Pasubio, 90.mo Reggimento Fanteria: così leggiamo nel suo foglio matricolare. 
A dir la verità, il 90.mo Reggimento fa parte della Divisione Cosseria, non della Pasubio. E' possibile ipotizzare un errore di chi ha compilato il foglio matricolare: forse la divisione era la Cosseria o, in alternativa, il soldato era nell'80.mo Reggimento (meno probabile).

Giuseppe Falcone è il primo a sinistra, in piedi

A questo punto, lo sceneggiatore da noi evocato all'inizio sembra abbia voluto usare quella che tecnicamente si chiama un'ellissi: omette di raccontare un pezzo della storia, attuando un salto nella narrazione per conferirle un ritmo sostenuto. 
Infatti, il foglio matricolare di Giuseppe riprende con questa voce, alla data del 25 aprile 1943:

Rientrato in Italia e giunto

Non racconta quello che Giuseppe ha vissuto in Russia in quei mesi, non parla del gelo, non dice nulla della penosa ritirata.
Possiamo però immaginare, anche grazie al racconto di chi ha vissuto le stesse esperienze; penso a Mario Rigoni Stern, anche lui in Russia e poi internato militare in Germania.
Il 26 aprile è trasferito al campo contumaciale di Osoppo, in provincia di Udine: è un campo in cui i soldati sono in isolamento sanitario.
Il 10 maggio è con il 90 Reggimento Fanteria a Milano.

La prigionia
Il 12 settembre è catturato dai tedeschi.
Altra ellissi dello sceneggiatore: si passa direttamente al 26 ottobre, quando -rientrato in Italia- si presenta al Distretto di Salerno, dove è inviato in licenza di 60 giorni.

Nella scheda a lui dedicata nel Lessico Biografico IMI, Giuseppe risulta catturato il 25 settembre, mentre la data di rientro risulta il 24 ottobre.  

E in mezzo? Oltre due anni, 775 giorni da internato militare.
Nel Lessico Biografico IMI, Giuseppe Falcone risulta nello Stalag V C. 
Lo Stalag V C si trova nella zona di Baden-Baden ed è in funzione dal febbraio 1940; due anni dopo, la nuova sede diventa Offenburg, non lontano da Stoccarda. C'è anche un sub-campo a Strasburgo.

Accanto al suo nome troviamo la sigla Arb. Kdo 12500: è l'acronimo di Arbeitskcommando, campi che spesso si trovavano vicino ai luoghi di lavoro e ospitavano i prigionieri destinati al lavoro coatto.
Dagli Archivi Arolsen affiora un documento che riporta il nome della località tedesca presso la quale Giuseppe Falcone lavorava:

Giuseppe Falcone è il numero 284; Kr. Gef. significa "prigioniero di guerra"
Dal documento risulta che Giuseppe ha lavorato da questa azienda dall'11 novembre 1944 al 20 aprile 1945, data nella quale verosimilmente è stato liberato.
Come accade a tutti gli internati militari, il rientro a casa è lento perché le Forze Alleate devono occuparsi di milioni di prigionieri.
Nel dicembre del 1945, Giuseppe Falcone sarà ricollocato in congedo illimitato.

Giuseppe non vivrà a lungo: muore infatti a Valva nel dicembre 1952, lasciando due figli maschi e la moglie incinta; pochi mesi dopo, nascerà sua figlia, chiamata Giuseppina in suo onore. Purtroppo la bambina morirà a soli dieci anni.
Lo sceneggiatore non ha proprio voluto un lieto fine.


Un cordiale ringraziamento alla nipote Antonietta e a suo marito Raffaele.

Grazie alla gentilissima Renza Martini, sempre disponibile a chiarire dubbi e a fornire informazioni sulla campagna italiana di Russia.

Fonti

Lessico Biografico IMI

Arolsen Archives


G.V.