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23 luglio 2023

AL MUSEO DELL'INTERNAMENTO, TRA OGGETTI CHE PARLANO

Gli oggetti di un museo parlano. 

Basta saperli ascoltare dimenticando per un attimo quello che si conosce, quello che si legge nelle didascalie, le congetture e le ipotesi.

Come il profumo dell'erba appena falciata è intenso perché è un segnale di pericolo, un allarme contro il predatore, così forse è per gli oggetti di un museo della memoria.

Hanno un profumo anche se sono chiusi in una teca; è il segnale del pericolo contro l'eterno ritorno della guerra e della violenza dell'uomo sull'uomo, il segnale del rischio che il frutto dell'odio dia di nuovo seme.

Nell'antica Roma il berretto era il distintivo degli schiavi liberati.
Nell'antica Roma.

Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perché così prescrive il regolamento,
ma per dignità e per proprietà. Dobbiamo camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli,
non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire.

(Levi, Se questo è un uomo)

Io servo la patria facendo la guardia alla mia dignità di italiano 
(Guareschi, Diario clandestino)
Sono oggetti che gridano il NO! pronunciato dagli internati militari alle richieste tedesche.
A quella di aderire alla Repubblica di Salò, innanzitutto; in alcuni casi, il loro è anche un no al lavoro per i tedeschi, come testimoniano alcune pagine del diario di Giovanni Milanese.
Ecco come Giovannino Guareschi descrive la scena di alcuni che aderiscono:

Andai anch’io davanti alla finestra della baracca 6 a vedere la commissione assistenziale inviata dal governo repubblicano. La commissione assistenziale italiana era un tenente catanese e un sottufficiale tedesco, e l’esigua cameretta rigurgitava di gente. Molti domandavano informazioni e a costoro il tenente rispondeva allargando le braccia e scuotendo il capo. Un ufficiale mutilato del braccio destro chiese se fosse possibile avere qualche piccola agevolazione nel trattamento: ma ciò non rientrava nell’ambito della commissione assistenziale. La quale, naturalmente, non poteva neppure prendere in considerazione i vari casi di tbc e di deperimento organico, in quanto si occupava dell’assistenza più urgente: quella morale. E difatti, ogni volta che uno -dopo aver congiurato un po’ curvo sul tavolo – firmava il foglio con la famosa dichiarazione d’obbedienza al Grande Reich, il tenente catanese si alzava in piedi e porgeva la mano al nuovo camerata: «Mi congratulo con voi di aver aderito alla giovane repubblica italiana». E il sottufficiale tedesco approvava gravemente col capo come per significare che l’Asse gioiva intimamente dell’avvenimento. Era la prima volta che vedevo un soldato italiano col nuovissimo emblema repubblicano del gladio incoronato di quercia. E sentii spaventosamente straniera quella divisa che pure era identica alla mia. E quel soldato, che pure apparteneva alla mia stessa terra, sentii straniero e nemico più ancora del tedesco che gli stava al fianco.

Giovannino Guareschi, Ritorno alla base, Milano, Rizzoli, 1989

Chi non aderisce sa che rischia molto.

Mi tornano in mente le pagine del diario di Giovanni Milanese in cui i compagni lo invitano ad accettare di lavorare -è ormai nel suo ultimo campo, a Wietzendorf- perché è denutrito e se lavorasse i tedeschi lo nutrirebbero di più.

Morire ma non optare, leggo inciso su una tazza proveniente dal lager lazzaretto di Zeithain:

Incisione di Mario Turi, marzo 1944

L'orgoglio dei 650mila internati italiani che non aderiscono emerge con chiarezza da queste due bandiere: 

Tricolore dal Lager di Mittelbau-Dora. Donato al Museo dal cav. Sisto Santin,
che lo definisce "il più caro dei ricordi, intessuto di rischi, di patimenti e di speranza

Tricolore dal lager di Dortmund
Commovente la vicenda di questo lembo di bandiera. Quasi un lembo d'Italia.
Lembo della Bandiera del 383.mo Rgt. Fant. Venezia

Il 9 settembre 1943 a Tirana, il comandante del 383.mo Reggimento Fanteria "Venezia" decide di distruggere la bandiera reggimentale, dividendola in tanti lembi. 

"Erano le 17, ed il momento fu indescrivibile: era per noi il distacco più angoscioso dalle nostre famiglie, dall'avvenire, da ogni speranza. Io ho avuto questo lembo, che ho riportato in patria facendolo sfuggire alle numerose perquisizioni operate nei Lager di Meppen, Versen Biala-Podlaska, Sandbostel, Wietzendorf", scrive Andrea Fiorini, tenente comandante la compagnia comando del 383.mo Reggimento Fanteria "Venezia", che ha donato al Museo dell'internamento il lembo da lui ricevuto.

In questa metafora del paese allo sbando che era diventata l'Italia nei drammatici giorni dopo l'armistizio, leggo lo sforzo di custodire i frammenti di un simbolo, per ricostruirlo insieme dopo la tempesta e continuare a indentificarvisi.

Sì, gli oggetti di un museo parlano.


Per approfondire:

Questo è il sito del Museo dell'Internamento di Padova:




Visita al Museo dell'Internamento di Padova, 2 -continua-

G.V.

21 luglio 2023

CAVALLI 8 UOMINI 40

Cavalli 8 uomini 40
Al Museo dell'Internamento di Padova leggo il cartello affisso alla riproduzione di un treno utilizzato per la deportazione dei soldati italiani nei campi di prigionia del Terzo Reich e mi accorgo che queste parole non sono solo quelle di un ritornello che ora non riesco a togliermi dalla testa. 
Sono l'unità di misura di un treno merci, l'unità di misura della deportazione.
Penso ai miei concittadini che sono stati su un vagone come questo, dal settembre al novembre del 1943 e poi nei mesi successivi fino alla liberazione, da un campo all'altro, a volte da un paese all'altro, in inverno e in estate. 
Da un anno e mezzo cerco notizie su di loro ma non ne conosco ancora il numero preciso; alcuni resteranno ignoti, anche con ricercatori meno improvvisati di me. 
Penso agli altri, 650 mila in totale: di quanti non resta memoria, già oggi? Trasportati su treni merci perché non erano più considerati uomini, per arrivare in un campo in cui non sarebbero stati considerati nemmeno prigionieri di guerra. 
Entrato nel vagone, leggo la testimonianza di un deportato:

Il vagone, nuda scatola nera, ci inghiotte. Qualcuno butta dentro una balla di paglia, giaciglio e sedile per 40 uomini. Siamo in 53. La porta si chiude sull'ultima luce del tramonto. Apro lo sportello di uno dei quattro pertugi, alti, senza vetri, sulle estremità delle opposte pareti.  [...] Ci stendiamo, due a due, una coperta sulle gambe piegate, l'altra sulle spalle e sulla testa. La candela viene spenta. La fiammella rapida di un cerino o di un accendisigaro dà risalto, ogni tanto, a quel grumo d'uomini curvi, imbacuccati nelle coperte, la testa cacciata fra le ginocchia. [...]. E' come lo squarciarsi saltuario di un velo nero su una scena bestiale, una specie di "rivelazione" che ognuno ha, attraverso la visione complessiva, della miseria propria. [...] Poi riattacca la strascicata sinfonia ferrata delle ruote, lo sbatacchiare dei ganci d'attacco, i cigolii della vecchia scatola che pare sfasciarsi. [...] Nevica, largo e fitto. Dentro, le pareti del vagone, sotto agli spiragli, alle fessure e ai buchi, sono coperte da grosse formazioni di ghiaccio.

Giuseppe Zaggia, Filo spinato, Venezia 1945 

La rivelazione della propria miseria, attraverso la visione complessiva di uomini ridotti ad animali: guardo gli altri e mi accorgo di non essere più nulla. È l'opposto del canto di Ulisse, in fondo: fatti non foste a viver come bruti.
Treno merci, uomini, cavalli: è come se qui dentro i confini fossero diventati indistinti.
Il mio maledetto vizio delle comparazioni letterarie mi riporta alla mente le pagine drammatiche in cui Levi accusa i tedeschi di "violenza inutile", cioè gratuita. Da quel capitolo mirabile, il quinto de I sommersi e i salvati, mi torna alla memoria una frase che riassume la lotta per conservare la propria dignità: non siamo ancora bestie, non lo saremo finché cercheremo di resistere.
Entro nel museo e mi colpiscono subito i plastici che riproducono alcuni campi.
Uno è quello di Sandboster, tra Brema e Amburgo. 
Ricordo che è uno dei campi di cui parla un mio compaesano, Giovanni Milanese, nel suo diario.
Leggo che dopo l'8 settembre 1943 ha ospitato 67 mila internati militari italiani; in totale, in sei anni, 300mila prigionieri di 67 paesi, impiegati nell'agricoltura o nell'industria bellica; 50mila di loro, si calcola, sono morti di fame, di malattia o per le violenze subite.
Su un altro campo ho un po' più informazioni: è il campo di Giovannino Guareschi, l'autore di Don Camillo e Peppone, il campo di Alessandro Natta, segretario del PCI dopo Berlinguer; per me, è soprattutto l'ultimo campo in cui è stato prigioniero Giovanni Milanese (dal novembre 1944 alla liberazione): è l'Offizierlager 83, a Wietzendorf, a 50 chilometri da Hannover.  
Leggo le brevi informazioni accanto al plastico e mi torna in mente il concetto di unità di misura. In ogni camerata erano alloggiati da un minimo di 52 fino ad oltre 90 ufficiali, ma i posti letto erano sempre 52 per cui gli esuberi dormivano sui tavoli o a terra. 
Comprensibilmente, Giovanni Milanese saluterà la liberazione con queste parole: "Sono di nuovo un uomo e non più un numero".

Per approfondire:
👉Rapporto sul campo 83 Wietzendorf, del tenente colonnello Pietro Testa

Il post del blog "la ràdica" dedicato alla liberazione di Giovanni Milanese dal campo di Wietzendorf:

Questo è il sito del Museo dell'Internamento di Padova:



Visita al Museo dell'Internamento di Padova, 1 -continua-
G.V.


16 luglio 2023

L'INVOLONTARIO ARTEFICE

Avevamo vinto, avevamo sacrificato il fior fiore della nostra gioventù [...]. Ci si contendevano i termini [=i confini] sacri della Patria e c'erano in Italia dei democratici la cui democrazia consiste nel fare l'imperialismo per gli altri e nel rinnegarlo per noi (applausi) che ci lanciavano questa stolta accusa semplicemente perché intendevamo che il confine d'Italia al nord dovesse essere il Brennero dove sarà fin che ci sarà il sangue di un italiano in Italia (applausi). Intendevamo che il confine orientale fosse al Nevoso [in Slovenia] perché là sono i naturali giusti confini della Patria e perché non eravamo sordi alla passione di Fiume e perché portavamo nel cuore lo spasimo dei fratelli della Dalmazia perché infine sentivamo vivi e vitali quei vincoli di razza che non ci lega soltanto agli italiani da Zara a Ragusa ed a Cattaro [in Montenegro] ma che ci lega anche agli italiani del Canton Ticino, anche a quegli italiani che non vogliono più esserlo, a quelli di Corsica a quelli che sono al di là dell'Oceano, a questa grande famiglia di 50 milioni di uomini che noi vogliamo unificare in uno stesso orgoglio di razza (applausi). 
[...] Noi italiani del secolo XX abbiamo veduto la grande tragedia del compimento nazionale, noi che portiamo nel profondo del nostro animo il ricordo di tutti i nostri morti che sono la nostra religione, noi o cittadini d'Italia facciamo un solo giuramento un solo proposito: vogliamo essere gli artefici modesti ma tenaci delle sue fortune presenti e avvenire.

E' il 3 aprile 1921, la domenica dopo Pasqua, e al Teatro Comunale di  Bologna si tiene l'adunata dei fasci emiliani. Le parole di Benito Mussolini, non ancora Presidente del Consiglio, sembrano già preannunciare un futuro di guerra che incombe sull'Italia: ci penserà il regime fascista a inculcare nelle menti e nei cuori degli italiani l'obiettivo di essere artefici della gloria della patria, a ogni costo, attraverso una politica espansionistica in nome dei "naturali giusti confini" e dell' "orgoglio di razza".

In quella stessa domenica a Valva nasce Domenico StrolloI genitori sono Francesco e Maria Giuseppa Cuoco.

La carriera militare

Il 4 maggio 1940 Domenico è dichiarato abile e arruolato.

Chiamato alle armi il 6 gennaio 1941, è assegnato al 43.mo Reggimento artiglieria in Africa Settentrionale, addetto al deposito munizioni e attrezzature; vi resta fino all'ottobre 1941.


Dai documenti risulta che la sua prima campagna di guerra è quella in Balcania: l'8 ottobre 1941, infatti, Domenico Strollo viene trasferito al 48.mo Reggimento artiglieria mobilitato in Montenegro, dove resterà fino al 29 agosto del 1942. 

Il Reggimento artiglieria "Taro" è un reparto della 48.ma Divisione di fanteria "Taro". Dopo la resa della Grecia, nell'aprile 1941, la Divisione è stata trasferita in Montenegro per presidiare il territorio e reprimere la resistenza locale.

L'occupazione italiana del Montenegro inizia con l'invasione del Regno di Jugoslavia, nell'aprile del 1941; nel luglio 1941 inizia un'insurrezione generale da parte della popolazione e dei partigiani comunisti. I rinforzi consentono al corpo di occupazione italiano di riprendere il controllo della situazione in circa un anno. I partigiani torneranno in Montenegro nella primavera del 1943, tanto da rendere necessario l'intervento delle truppe tedesche a sostegno della repressione italiana.  (fonte

La Divisione rientra in Italia nell'agosto 1942 -e infatti nel foglio matricolare di Domenico leggiamo la data del 29- e viene dislocata in Piemonte, nella zona di Alessandria-Novi Ligure, per poi trasferirsi in Francia a novembre (il 10, leggiamo nel foglio matricolare).

Domenico si trova nella Francia meridionale, a nord di Tolone, lungo la costa nella zona di Cuers, tra Mèounes-lès-Montrieux, Pierrefeu e Carnoules.

Nel 1943 la Divisione resta nella Francia meridionale, a presidiare la zona a nord di Tolone e a est del porto, fino a settembre.

L'Italia occupa la Francia meridionale tra il 1940 e il 1943, fino all'armistizio dell'8 settembre. La Divisione Taro è impegnata -nel XXII Corpo d'armata- nella difesa del cosiddetto Primo settore, che si estende dal lago di Ginevra sino a Bandol.  
I partigiani francesi approfittano della caduta del fascismo per attaccare le forze di occupazione italiana, che fino a quel momento hanno mantenuto una linea morbida; nuove disposizioni restrittive in materia di ordine pubblico non vengono realmente attuate a causa della fine dell'occupazione italiana. 
Il governo di Pietro Badoglio dà inizio al ritiro delle truppe, ridislocandole in Italia. Si prevede di lasciare truppe italiane solo nel saliente nizzardo compreso tra il confine e la linea Tinea-Varo. L'Italia si impegna a lasciare alla Germania il pieno controllo dell'area entro il 9 settembre.  (fonte)

In questa bella foto con i suoi commilitoni,
Domenico Strollo è con la camicia chiara, senza giacca.

La cattura e l'internamento in Germania

L'8 settembre 1943 viene reso noto l'armistizio firmato con gli Alleati e inizia una nuova fase della guerra.

L'8 settembre l'evacuazione delle truppe italiane non è ancora completata: circa 100mila uomini sono lasciati nelle mani dei tedeschi, che impegnano contro gli italiani tre divisioni con mezzi corazzati e motorizzati. Gli italiani cercano di resistere ma molti sono costretti alla resa. I soldati che riescono a evitare la cattura cercano di riorganizzarsi in territorio italiano, con un ripiegamento nella zona di Cuneo-Mondovì; l'11 settembre, però, dopo aver isolato il grosso delle truppe italiane, i tedeschi hanno già conquistato Torino, Alessandria, Asti, Alba, Bra e Vercelli.  (fonte) 

Domenico Strollo risulta fatto prigioniero dei tedeschi già il giorno 9. Come molti suoi commilitoni, inizia la deportazione in Germania, finalizzata al lavoro coatto.

Un altro valvese si trova in Francia in questi giorni, ma riesce a sottrarsi alla prigionia e trova ospitalità presso una famiglia borghese a Pianfei, in provincia di Cuneo: è Michele Cecere, che aderirà alla lotta partigiana dal luglio 1944 al giugno 1945.

Sappiamo con certezza che Domenico Strollo è prigioniero in Germania: risulta nello Stalag VI D, a Dortmund. 

Stalag VI, Dortmund; fonte

Sul sito di Ravizza Editore troviamo alcune preziose informazioni sullo Stalag VI. 
Dopo i bombardamenti del maggio 1944, nei quali persero la vita oltre cento prigionieri, le condizioni dei vita diventano catastrofiche: l'unico ingrediente dei pasti sono le patate. Il campo sarà completamente distrutto nei mesi successivi; verranno installate grandi tende (da 400 a 500 prigionieri) divise per nazionalità. 
Molti prigionieri riescono a fuggire, approfittando dei bombardamenti. Particolarmente grave il bilancio del bombardamento del 12 marzo  1945, che provoca moltissime vittime, anche a causa del divieto di accesso ai rifugi sotterranei della città di Dortmund per i prigionieri di guerra. 
Secondo un racconto orale raccolto dal nostro blog, anche il valvese Minente Figliulo è riuscito a fuggire in seguito a un bombardamento. 
I due compaesani si saranno incontrati nel campo?

fonte

Prigionieri di guerra nello Stalag VI; fonte

Il 7 aprile 1945 (oppure l'8 maggio, secondo altri documenti) Domenico Strollo viene liberato dalle truppe alleate, che lo trattengono fino all'11 agosto.

Il figlio Francesco ricorda che Domenico era impiegato in un'azienda agricola. Non siamo ancora riusciti a trovare documenti più precisi in merito.

Una geografia appresa in guerra

Soldato in Africa, poi impegnato su due fronti di guerra in Europa, infine internato militare in Germania: la geografia che Domenico Strollo ha imparato sui campi di battaglia e in quello di prigionia testimonia le conseguenze della politica espansionistica del regime fascista -già accennata in quelle lontane parole pronunciate, mentre egli stava nascendo, da Mussolini a Bologna- e la rottura dell'Asse, prodotta dall'armistizio dell'8 settembre 1943; una rottura che ha reso particolarmente duro l'atteggiamento dei tedeschi verso i soldati italiani. 

In questo significativo fotomontaggio, accanto a Domenico Strollo
ci sono due figli carabinieri: Mario (sx) e Francesco

Approfondimenti

Un video sulla presenza italiana nei Balcani: 1941: Italia in guerra- Fuoco nei Balcani

Il blog "la ràdica" ha dedicato il podcast IL GIORNO DOPO alle conseguenze dell'8 settembre 1943, dal punto di vista dei soldati valvesi; in particolare, Domenico Strollo viene citato nell'episodio 🎧La prima resistenza, terza parte; si veda anche il post 👉Otto valvesi prigionieri.

Alla figura del partigiano Michele Cecere il blog "la ràdica" ha dedicato diversi post:


Il blog Gozlinus ha dedicato un bel post a Mario Strollo, figlio di Domenico, tenente dell'Arma dei carabinieri. 

Un cordiale ringraziamento ai figli Gerardo, Mario e Francesco per la gentile collaborazione.

G.V.



18 giugno 2023

GELSOMINO, DA CRETA ALLA PRIGIONIA IN GERMANIA

Ci sono storie che non diventano racconto e sofferenze che non lasciano tracce nei documenti; nei documenti, dico, perché nell'animo di chi le ha patite restano per sempre.
Forse si può dire questo del sergente Gelsomino Cuozzo, nato a Valva l'11 febbraio 1916 da Giovanni e Maria Michela Cuozzo.
Sappiamo che è stato internato militare in Germania, ma di lui non conosciamo al momento neppure il campo di prigionia.
Come sempre, con burocratica sintesi, nei documenti del Distretto militare (oggi all'Archivio di Stato) ci sono solo due date, quella in cui è stato fatto prigioniero e quella in cui è stato liberato: 12 settembre 1943 - 8 maggio 1945, ma rientrerà in Italia solo il 17 settembre. 
Quello che è accaduto nel periodo di prigionia lo possiamo immaginare conoscendo esperienze simili, ma la sofferenza individuale -quella irriducibile, che non si scioglie nel comune dolore- è rimasta chiusa nella sua mente.

La carriera militare
Gelsomino Cuozzo sa leggere e scrivere: ha frequentato la terza elementare.
Durante il servizio militare è nei gruppi artiglieri, poi risulta trombettiere, artigliere scelto, caporale.
In congedo illimitato nel 1938, viene richiamato alle armi nel maggio 1940, quando è assegnato al 91.mo Reggimento Artiglieria.
L'Italia entra in guerra il 10 giugno, Gelsomino il 12 è già in zona di operazioni, ma non siamo riusciti a stabilire dove.
Il 17 settembre si imbarca a Bari per l'Albania, sbarca a Durazzo il giorno dopo.
Il 28 ottobre si trova in territorio dichiarato in stato di guerra, fino al maggio 1941. Viste le date, sembra ragionevole ipotizzare che abbia preso parte all'attacco italiano alla Grecia.
Nel novembre 1942 è trasferito alla 268 Batteria artiglieria controaerea a Creta
Creta, 1941: affresco nella reggia di Cnosso; fonte
Sul foglio matricolare troviamo elementi che ci consentono di ricostruirne la carriera militare: caporale in detto e poi sergente in detto con anzianità, trombettiere, servente al pezzo.
Il servente al pezzo è un soldato addetto al funzionamento di un sistema d'arma, addestrato anche a ricoprire un altro incarico in sostituzione di un posto scoperto. 
Nell'autunno del 1943 Gelsomino risulta ricoverato nell' ospedale da campo della 35 sezione Sanità. Per malattia riconosciuta viene dispensato da compiti di servizio: è il giorno di Natale del 1942.
Il 7 aprile 1943 viene dimesso dal luogo di cura e torna al suo corpo di appartenenza.

Uno dei pochi a dire no ai tedeschi
Gelsomino Cuozzo viene fatto prigioniero dai tedeschi il 12 settembre 1943, quando a Creta si verifica la stessa situazione di altri luoghi in cui italiani e tedeschi si trovano insieme: accettare di combattere con i tedeschi oppure diventarne prigionieri.
Dal sito www.ilpostalista.it troviamo queste interessanti informazioni:
[I soldati italiani a Creta erano 21.700]. Di questi, circa 20mila vennero disarmati e si dichiararono disposti a continuare a combattere con i tedeschi. Gli altri vennero considerati fuggiaschi. Per uno stano fenomeno, ma non si deve dimenticare che le forze armate a Creta dipendevano direttamente dai tedeschi, la quasi totalità dei militari italiani si accordarono con i tedeschi [...]. I militari che non aderirono si stimano non arrivassero a duemila unità. Nel dicembre 1943 i militari internati presenti nell'isola erano circa mille.

Nello stesso sito troviamo questa tabella, relativo allo sgombero dei militari italiani da Creta dopo l'8 settembre 1943.

Gelsomino Cuozzo è stato verosimilmente uno dei primi ad essere portato via dall'isola.

Liberato l'8 maggio 1945, rientra in Italia il 17 settembre 1945.

Creta, 1941: rovine della reggia di Cnosso; fonte

Approfondimento: gli italiani a Creta
Patrizia Larese, nel suo saggio Accadde a Creta. 1941-1945 scrive che nella provincia di Lassithi erano presenti dai 15 ai 22 mila italiani: una percentuale molto alta, se si considera che la popolazione era di circa 70 mila abitanti.  Dopo un primo periodo in cui i cretesi mostrarono ostilità verso gli italiani, considerati invasori, la situazione migliorò e si giunse a un clima di relativa pacifica coesistenza. Da alcune testimonianze risulta che i soldati italiani chiedessero ai cretesi cibo per integrare le loro scarse razioni: si presentavano alle case dei contadini e mostravano foto delle mamme o delle fidanzate per chiedere cibo.

Blog

Per contestualizzare le vicende che riguardano Gelsomino Cuozzo, può essere utile leggere questi post:
Il giorno dopo nel Dodecaneso italiano👉
Il giorno in cui nacquero gli IMI 👉

G.V.

25 aprile 2023

SONO DI NUOVO UN UOMO E NON PIU' UN NUMERO

Mentre nell'aprile 1945 si compiva la liberazione italiana dal nazifascismo e dall'occupazione tedesca, altri italiani ottenevano la libertà, in Germania.

Uno di quest è Giovanni Milanese, sottotenente internato militare prima a Siedlce (in Polonia), poi a Bramekford e infine, dal novembre 1944, nel campo di Wietzendorf, un campo in cui è attestata la presenza di alcuni internati illustri, come lo scrittore Giovannino Guareschi e il futuro segretario del PCI Alessandro Natta.

Campo di Wietzendorf; fonte

La gioia incontenibile, poi il timore che tutto sia un'illusione o una manovra dei tedeschi, il sentirsi sospesi in una situazione di incertezza: sono molti gli stati d'animo che Giovanni Milanese vive nelle ultime due settimane dell'aprile del 1945 che porteranno alla liberazione del campo di Wietzendorf.

Possiamo seguire i sentimenti e le attese del militare prigioniero leggendo le parole del suo diario, pubblicato dall'editore Palladio con il titolo di Frammenti di storia.

Vi presentiamo alcuni brani relativi ai giorni della liberazione del campo. In queste pagine emergono la mitezza di Giovanni Milanese e la sua lucidità nel descrivere alcune situazioni, pur caotiche; non manca un tentativo di analizzare il futuro dell'Italia e dell'esercito.

13-4-45 
E' la più bella giornata della mia vita. I tedeschi se ne sono andati. Siamo soli.  
Vorrei scrivere tante cose, ma la gioia e l'emozione me lo impediscono. Vorrei vestirmi a festa, ma non posso farlo perché sono ridotto a brandelli. 
Ci si incontra e ci si bacia. 
Iddio ci ha fatto la grazia. Dia lodato. Oggi è venerdì. 

16-4-45  
[...] Ordine del giorno della liberazione del Col. Pietro Testa comandante del Campo Italiano.  
Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani del Campo di Wietzendorf. 
- Siamo liberi-. 
Le sofferenze di 19 mesi di un internamento peggiore di mille prigionie sono finite.
Siamo degni di ricostruire
Ufficiali, sottufficiali, soldati italiani ricordiamo i morti di stenti ma fieri nelle face sparute, sotto gli abiti a brandelli, con una fede inchiodata alta come una bandiera.  
Salutiamo la Patria che risorge, che noi dobbiamo far risorgere.
W il Re. W l'Italia. W le Nazioni alleate.
Ten. Col. Pietro Testa.

18-4-45
Qui non si può essere mai  sicuri di niente. Solo nell'aiuto di Dio bisogna sperare ed io in quello fido moltissimo.
[...] Quindi noi siamo ancora completamente nelle mani dei tedeschi, sebbene non sorvegliati.
In questi giorni si sta mangiando moltissimo.

Milanese aggiunge che quasi tutti nel campo hanno la diarrea; anche lui è stato male per una scorpacciata di patate. Ritiene un bene non tornare a casa subito perché, con tutta la fame che hanno, rischierebbero di morire mangiando con avidità "roba di sostanza e condita".

19-4-45
Stanotte si son sentiti molti colpi in giro, però gli inglesi ancora non si vedono.
Ho riavuto con gran piacere la tessera ferroviaria.
[...] Son molto preoccupato per la stasi di questi giorni. Sembra già tutto finito. Invece!...
Siamo ancora fra "coloro che son sospesi".
Voglia Iddio che un giorno di questi non ci riservi la sgraditissima sorpresa di vederli ritornare nel campo.  

21-4-45
Stamattina presto c'è stato il rapporto.
Domattina alle 7 si parte. Il col. Duluc fu chiamato ieri sera dal col. tedesco, comandante del settore di combattimento, il quale gli comunicò che dovevamo partire per andare dagli inglesi.
E' mai possibile? Io non ho mai capito niente in questa guerra, ma ora si raggiunge il limite del credibile.
Al comando ci assicurano che realmente si va dagli inglesi. Che i tedeschi non giochino uno dei loro soliti tiri? [...]
Io in questi giorni non sto vivendo più.
Madonna mia aiutami. 

22-4-45
Che giornata meravigliosa!
Tutti i miei dubbi sono risolti.
Alle 9,13 abbiamo varcato l'ultima porta del reticolato, alle 11,50 abbiamo attraversato la prima linea (c'è stata una tregua per farci passare) ed abbiamo trovato gli autocarri alleati che ci hanno trasportati a Bergen.
Alle 16 circa siamo sistemati nelle villette requisite dove troviamo di tutto: farina, latte, birra...insomma tutto.
Anche scatole di carne, ciliegie allo spirito.
Finalmente son sicuro di essere libero.
Sono di nuovo un uomo e non più un numero. 
Molti si sono dati alla razzia insieme ai russi e francesi. Rompono tutto nelle case: piatti, bicchieri, lampadari.

Gli ormai ex prigionieri vengono alloggiati in abitazioni requisite; alcuni mangiano con imprudente voracità quello che trovano (subendone conseguenze intestinali), altri si danno ad atti di vandalismo e di razzia, ma non Giovanni Milanese, che condanna con decisione questi comportamenti.

In particolare, Milanese parla di "orde di russi" che rubano tutto; considera queste bande "il castigo peggiore che Iddio ha voluto dare al popolo che ha sconvolto con una guerra inutile e disumana tutto il mondo". 

Nei giorni seguenti aggiunge che anche francesi e italiani si sono dati alle razzie e rivela "Io odio per natura i tedeschi, ma questa situazione mi fa tanto male". Confessa inoltre: "Visto che l'unico a non mangiare bene sono io, anch'io ho preso qualcosa nei limiti della mia coscienza".

Particolarmente interessante le riflessioni che Milanese affida alla pagina del 29 aprile:

Ci vorranno molti anni per rifare l'esercito italiano, in particolare la classe degli ufficiali.
Ci sono fra noi dei colleghi che forse starebbero bene in una stalla. In quattro hanno aggredito un camion che trasportava latte per i francesi, asportando qualche bidone. Un ufficiale di marina raccattava mozziconi nella piazza principale del paese. Un altro si lavava il viso in uno scolo di fognatura.

Il primo maggio torna a Wietzondorf e con tristezza nota che dalle case requistite i soldati italiani arrivano ai camion trascinando carrettini, carrozzelle per bambini e bagagli di ogni genere. Commenta amaro e profetico:

Forse sarà anche naturale in un paese d'occupazione, specialmente quando questo paese è la Germania, ma sorpassare dei limiti di decenza, per me è assolutamente una cosa indegna.
Bisogna rifare l'Italia, ma prima c'è da forgiare l'italiano nuovo.

Qualche giorno più tardi, scrive parole molto dure:

Penso con terrore all'Italia di domani.
Penso quello che sarà quando rientrerà la massa dei nostri soldati abituati ora a predare, a mangiare a crepapelle senza lavorare.
Quando invece saranno costretti a lavorare e sodo per mangiare un tozzo di pane, cosa succederà?
Io sono sicurissimo che molti non vorranno sottostare a quella che è una legge più che umana, divina: lavorare per mangiare.
Prevedo che la massa aderirà all'idea comunista.

G.V

Approfondimento
Al diario di Giovanni Milanese, Frammenti di storia- Diario di guerra e di prigionia 1943-1945, Principato, abbiamo dedicato i seguenti post:


10 aprile 2023

LA MADRE E IL FIGLIO CHE NON FECE RITORNO DALLA PRIGIONIA

In tempo di pace, i figli piangono i genitori e li accompagnano nell'ultimo viaggio.

La guerra sovverte l'ordine naturale e a volte non consente nemmeno a una madre di piangere sul corpo del figlio.

I soldati partono giovani e a volte non tornano.

Non è tornato Carmine Corrado, deceduto durante la prigionia in un ospedale austriaco, a Wolfserg in Carinzia, nell'ultimo giorno del 1943.

Era stato fatto prigioniero dai tedeschi nel settembre 1943, sul fronte greco.

Sepolto nel vicino cimitero, dopo la Seconda guerra mondiale il suo corpo è stata traslato a Mauthausen, nel settore dedicato ai militari e civili internati dopo l'8 settembre 1943 nei campi nazisti.

La madre Caterina lo ha atteso invano e lo ha atteso da sola: suo marito  Pasquale era deceduto nel settembre 1942 e non avevano altri figli.

Ora, nel cimitero di Valva almeno una semplice epigrafe con nomi, date e foto riunisce la famiglia Corrado.

Grazie alla gentile collaborazione del dipendente comunale Eliseo Feniello, che già molte volte ci ha dato informazioni preziose per le nostre ricerche e che è stato aiutato dal dipendente Gerardo Macchia, siamo riusciti a individuare e a fotografare l'epigrafe.

La foto di Carmine è quella meno chiara. Sarà stata sul comodino di mamma Caterina per quasi quarant'anni, l'ultimo pensiero di ogni sera di una madre che è morta senza riabbracciarlo.

Carmine sembra un ragazzo in una divisa militare, vittima di un gioco crudele chiamato guerra.


La madre -che in paese ancora ricordano vestita con l'abito tradizionale da "pacchiana"- sembra una donna forte di tempra antica. 


Il signor Pasquale appare fiero nei suoi baffi solenni di un tempo passato.


Nell'antica cappella della Madonna degli Angeli, patrona di Valva, c'è una targa in marmo che ricorda che nel 1971 la signora Cuozzo Caterina ha contribuito al restauro dell'edificio sacro "in memoria del caro figlio Carmine".


Dall'Archivio Arolsen abbiamo ricevuto l'atto di morte di Carmine Corrado.


Dal documento possiamo ricavare le seguenti informazioni:
  • Deceduto il 31 dicembre 1943 presso l'ospedale dello Stammlager XVIIII A/ Wolfsberg (Carinzia)
  • Causa della morte: tubercolosi miliare
  • Era scapolo ["Ledig", riga 8]
  • L'indirizzo di residenza è  "Corso Vittorio Veneto"? [ottava riga]
  • Tra i parenti in vita è citata solo la madre [righe 12 e 14: "Mutter"]
Ci siamo occupati di Carmine Corrado in altri quattro post del nostro blog:

Un sentito ringraziamento e un cordiale saluto alla signora Michelina Torsiello, vedova Falcone, parente della signora Caterina Cuozzo.

G.V.

03 febbraio 2023

UN ANNO, INSEGUENDO STORIE DI INTERNATI E CADUTI IN GUERRA

Un passo alla volta...poi crescendo il neonato affinerà caratteri e intenti

Era una bella frase augurale quella che un amico del nostro blog -da lui definito "il neonato" e alla nascita del quale ha contribuito in maniera decisiva- formulava esattamente un anno fa, quando il 3 febbraio 2022 iniziava il nostro lavoro.

Un anno di un lavoro di ricerca che non si è limitato solo ai post ma che ha suggerito anche il progetto del podcast "Il giorno dopo", dedicato alle complesse conseguenze dell'Armistizio reso noto l'8 settembre 1943. Altri progetti sono in cantiere, ovviamente.

Alle 18.36 di quel 3 febbraio veniva "inviato per lo mondo" (un'espressione un po' leziosa che ci consentirete) il primo post, con  un titolo che era e resta per noi significativo: 

👉Un rimpianto e il tentativo di rimediare

Il rimpianto riguarda il passato: della grande famiglia costituita da un piccolo centro, i fili che tengono insieme gli avvenimenti e le persone, attraverso le generazioni, spesso si sono persi; a volte, per fortuna, sono però ancora leggibili o almeno si può provare a ricostruirli.

Il tentativo di rimediare veniva indicato in due ambiti di lavoro: un lavoro di ricerca sui caduti e dispersi della Seconda guerra mondiale, confidando nella memoria orale collettiva, e la ricerca di documenti e testimonianze sui valvesi deportati nei campi di concentramento, i cosiddetti "IMI" (Internati Militari Italiani).

Dopo un anno di lavoro, possiamo tentare un bilancio.

Valva, 1924: inaugurazione del Monumento ai Caduti

Caduti e dispersi della Seconda Guerra Mondiale

Per ogni soldato valvese caduto nella Seconda guerra mondiale, ora abbiamo il fronte e la data. 

In alcuni casi abbiamo ricostruito le vicende post mortem, come ad esempio la struggente storia di 👉Michele Macchia, i cui resti sono tornati a Valva dieci anni dopo la morte sul fronte greco o la vicenda di 👉Carmine Corrado, morto in ospedale durante la prigionia in Austria e sepolto a Mauthausen.

Siamo orgogliosi di aver contribuito a rendere nota la vicenda del partigiano di Valva  👉Michele Cecere.

Molta attenzione è stata riservata alle vicende della guerra in Russia, in particolare alle storie dei due dispersi valvesi: Prospero Annunciata e Raffaele Cuozzo.

Ecco un post che riassume i lavori dedicati all'argomento:

👉Un giorno di gloria che ha dato valore a un'intera vita: il giorno di Nikolajewka

Un anno fa, i nomi con qualche lettera distaccata sulle lapidi del Monumento ai Caduti suggerivano in quel primo post una "riflessione sulla caducità della memoria anche nei luoghi deputati a conservarla".

Il lavoro di ricerca ha fornito un altro e più significativo esempio: il giallo storico costituito dal soldato 👉Michele Cuozzo, di cui abbiamo trovato una scheda dell'Archivio Vaticano (che cita il telegramma inviato al parroco con la notizia della morte sul fronte africano), di cui conosciamo la paternità e addirittura l'indirizzo (via Fontana), ma che non siamo riusciti a identificare, nonostante varie piste ipotizzate.

Valva, Monumento ai Caduti, cerimonia del 4 novembre 1965; fonte 

Ricerca sugli IMI

Ora abbiamo i nomi di ventuno soldati valvesi che sono stati deportati in Germania (e in alcuni casi nella Polonia occupata dai nazisti).

Di alcuni di loro purtroppo sappiamo solo che sono stati fatti prigionieri; di altri abbiamo informazioni più circostanziate: data di cattura, campo di prigionia, data di liberazione.

In questo post, aggiornato, facciamo il punto delle nostre ricerche:

👉I nomi degli internati militari valvesi

Un internato militare valvese ha lasciato un diario, preziosissimo strumento per comprendere vari aspetti dall'argomento: è Giovanni Milanese, al quale abbiamo dedicato già alcuni post e che sarà oggetto di ulteriori approfondimenti:

Alcuni post sono stati dedicati al compianto Enrico Santovito, l'ultimo internato militare valvese, deceduto nel settembre scorso, sei mesi dopo aver compiuto cento anni. Ecco i principali post a lui dedicati:

Progetto grafico per il podcast Il giorno dopo, elaborato da Eleonora Moretto

Attuali ambiti di ricerca

Seconda guerra mondiale: vorremmo comprendere meglio le vicende dei due dispersi valvesi sarebbe interessante individuare i soldati che sono riusciti a tornare dalla Russia.

Resta da identificare anche uno dei soldati valvesi caduti a Cefalonia, argomento a cui abbiamo dedicato alcuni post e un episodio del nostro podcast:

Imi: non è ancora concluso il lavoro di identificazione dei ventuno soldati valvesi internati militari in Germania. Per uno di loro, Carmine Mastrolia classe 1923, l'unico documento al momento rinvenuto è un'annotazione in un registro del Comune di Valva. 

Se le famiglie degli internati militari vogliono collaborare, possono compilare questo questionario:

👉Questionario ricerca informazioni sugli internati militati

Altre storie

Il blog "la ràdica" si è occupato degli argomenti anche con post di approfondimento, come ad esempio quelli relativi alle condizioni degli internati militari italiani:

Alcuni post hanno avuto come argomento storie legate ad altre guerre: la Prima guerra mondiale, la guerra italo-turca, le vicende risorgimentali e della stagione del colonialismo italiano. 

Particolare rilievo ha avuto anche il tema dell'emigrazione, spesso intrecciata con il dramma della guerra.

In alcuni post abbiamo proposto delle riflessioni sul sistema dei lager, anche con un approfondimento sulla condizione psicologica dei prigionieri, a partire all'importanza della letteratura e della scrittura delle proprie memorie:


Panoramica del campo di Buchenwald

Visualizzazioni e i post più letti

In una anno il blog ha avuto circa 16500 visualizzazioni, con la media di 45 al giorno. Sono numeri certamente contenuti per un blog, ma l'importante è che le storie dei nostri soldati sono state lette e che i lettori abbiano avuto delle informazioni, sia pure a un livello non certamente specialistico, su alcune vicende della Seconda guerra mondiale e sulle condizioni di prigionia degli IMI. 

i più assidui: Stati Uniti, Germania, Irlanda, Francia e Svizzera, Grecia, Albania e Spagna; oltre dodicimila visualizzazioni sono avvenute tramite Facebook, solo poco più di cento tramite Google.

Ecco i post che hanno superato le cinquecento visualizzazioni: 

👉Il giorno in cui nacquero gli IMI [una ricostruzione delle vicende che portarono nel 1943 la Germania a considerare i soldati italiani non "prigionieri di guerra" ma "internati militari italiani"]
👉Raffaele, che non è mai tornato dalla Russia [dedicato alla vicenda del soldato Raffaele Cuozzo, disperso in Russia]
👉I racconti dell'ultimo combattente[un'intervista all'ultimo reduce valvese della Seconda guerra mondiale, il signor Giuseppe Feniello, realizzata dalla nipote Gerardina]
👉Mio carissimo padre [la trascrizione, con commento, della lettera del nostro soldato disperso in Russia
👉Carmine, che riposa a Mauthausen
👉Il partigiano di Valva [dedicato alla figura di Michele Cecere, partigiano]
👉Col sangue, con la libertà: quei no pagati caro
👉Una lettera dal fronte russo [una preziosa lettera di Raffaele Cuozzo alla sua famiglia
👉I racconti di zia Pasqualina [dedicato ai racconti della nonna di Valva, la signora Pasqualina Cuozzo]
👉La pacchiana che chiuse dietro di sé un mondo intero [dedicato alla figura dell'ultima "pacchiana" di Valva, la signora Pasqualina Cuozzo]

Radica di ulivo, foto del restauratore Giancarlo Feniello

Con uno strumento come un blog, questo materiale può essere condiviso perché altri lo utilizzino per scoprire nuove informazioni e nuovi strumenti di ricerca.

Un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato con il nostro blog in questo anno, in particolare alle famiglie dei caduti e degli internati e a Pinuccio Cecere, che ha fornito un aiuto indispensabile alle ricerche fatte.

Il lavoro di ricerca, continua.


Nel primo post di questo blog, citavo il compianto Salvatore Cuozzo. Mi piace ricordarlo dopo un anno: questo lavoro sarebbe stato più ricco se vi avesse contribuito anche lui. Lo dedico alla sua memoria.

G.V.

🎧 Podcast

Nei seguenti episodi del podcast "Il giorno dopo" ci sono altre informazioni sui valvesi prigionieri o caduti nella Seconda guerra mondiale.